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Full text of "Critica degli Evangeli"

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CRITICA 



E V A N G 




SBCOKDA Kmì 

^ DAT,W*ArttJRE. 



Voi. 1,^ 




F*er Francesco Sanvito 
1802, 




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Proptietà dell' editojre. 




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CRITICA 



DEGLI 



EVANGELI 



DI 






A. BIANCHI-filOlfiy'l^ 

SBCONDA EDIZIpNll'%W 
RIVEDUTA^ Ìd AUMENTltA CaìisilJEREVOl 
' / DAW AUTÓRE 




MILANO 

PER FRANCESCO SANVITO 
4862. 






Tutti i brani agnati eon att$ri$eo* sano aggiunU di ntkovo alla 
presente edizione. '* l 



(PAMSTAg: 



TIP. FIUT. BORB<HII. 



xoirsisiroRi 

; L\aig'i de' Marchesi Fransoni Arcivescovo di Ho- 
vino; 

Giova.rLni Axitonio Grianotti Vescovo di Stf- 
^ ìuzzo; 

Costaxìzo Michele Fea Vescovo di Alba; 
* Fra Modesto Contratto Vescovo A' Acqui; 

Liiigi Moreno Vescovo A' Ivrea; 

Filippo Artico Vescovo di Asti; 
I Fra Giovanni Tommaso Gliilardi Vescovo 
^ di Hf ondavi; 

I Fra Clemente Manzini Vescovo di Cuneo; 
» Giovaxmi Antonio Odone Vescovo di Susa; 
L Melchiorre Abrate Vicario Generale Capitolare 
f di Possano. 

AvtoH te «•■Muie éftìÈm IV^tMcMisa S ottobre i8St. 



877 



MONSIftNORI ILLUSTRISSIMI E REVERENDISSIMI 



La venerata Vostra Notificanza del 2 ottobre di 
quest'anno 1852, letta in totte le chièse dì Torino là 
domenica del 14 successivo novembre, venne ad av- 
vertirmi che fra li autori di cui vi piaque condannare e 
proibire le opere, io sono il più aggravato, siccome 
colui sul cui dorso pesa il ferdello di niente meno phe 
Sei opere; e volendo anch'io dimostrarmi al vostro 
cospetto pecora docile alla voce del suo pastore, mi 
afretto ad aspirare al vanto del noto Auctor laudabi' 
liter se subiescit et opus reprobavit. Ma nel medesimo 
tempo soccorrendomi alla memoria quella sentenza di 
san Paolo, là ove dice: la vostra deferenza sia ammisu- 
rata dalla ragione (1), mi feci meco a ragionare cosi: 
Prima di scrivere ho speso tempo e fatica a studiare ; 
credetti di scrivere cose buone, e cotesti Sapientissimi 

(1) « Ratiouabile obsequinm v«strtm » M Rotnamw, XH, 1. 



vui 

Prelati con un tiro di penna mi dichiarano che ho 
scritte cose cattive, eretiche, dannate, e da far perdere 
l'anima. Come quei Santi hanno potuto scoprire li er- 
rori che sfuggirono a me e a molti altri, e che fanno 
dannare i miei libri? Certamente, perchè hanno studiato 
più di me, perchè ne sanno più di me; e perchè col 
sacro crisma da oui furono unti quando ricevettero la 
ordinazione episcopale, discese sopra di loro lo Spirito 
Santo, come discese sopra Gesù quando fu battezzato nel 
Giordano, ed ha infuso in loro la più squisita porzione 
della celeste sua sapienza. Se cosi è, quei buoni e pii 
Pastori non vorranno per fermo ricusare di farmi parte 
della loro scienza e d'illuminare il mio spirito con un 
minimo raggio della loro sapienza. Io mi presenterò al 
santo loro cospetto, e dirò loro come l'ebFeo Trifone 
diceva a san Giustino Martire: t Voi siete pervenuti a 
« tanta altezza di cognizioni a forza di studiare e di 
« meditare; ora permettete anche a me, che per la 
« stessa via possa arrivare ad un eguale convincimen- 
« to (I) ». Questo infatti io dico a Voi, Pastori Vene- 
randi, e Voi, ne ho viva speranza» non mi negherete 
quella benevole adesione di cui il succitato santo mar- 
tire fu la^o verso il suo int^locutore, a cui, nel por fine 
al suo dialc^o, disse: < Perchè la ragione è stata data 
e all'uomo per servirgli di guida, nulla di meglio pos- 
« so io augurarvi, se non che di farne buon uso e di 
« api^oarla a conoscere le verità della nostra rdigio- 
ne »• 
Essendo dunque necessario l'uso della ragione per 



(i) JosUiii Ifart., DiiOof. ewm TH^, eap. 66. 



^^.. 



IX 

conoscere le verità della religione, permettetemi, o san* 
tissimi Padri e Maestri, che me ne serva ancor io, e 
che guidato da essa, io incominci collo esporvi qualdie 
Olio dubbio. 

Fra le sei mie opere che voi avete dichiarate ereti* 
che e condannate, havvene quattro stampate in Mila- 
Bo (1) sotto il occhi della Censura dell' I. R. Governo 
Austriaco; governo che, come ben sapete, gode la più 
ampia confidenza del Sommo Pontefice e anche la 
Vostra; governo la cui ortodossia è fuori di ogni coo*- 
trasto, e che ha meritato i più speciali elogi del Santo 
Padre; governo che ha talmente meritatala vostra am- 
mirazione da farvi desiderare, pel bene di Santa Chiesa, 
Ip vederlo propagato per tutto l' universo mondo e 
quindi anche negli Stati di Sua Maestà Sarda. È vero 
die quel paterno regime condanna qualche volta alla 
forca anche i vescovi, e dall'ignominioso supplizio del 
bastone non esenta il preterito consecrato dei preti , 
ma sono piccioli nei a fronte dell'immenso bene che 
ne fruisce la religione cattolica apostolica romana. 

Notate, Illustrissimi e Reverendissimi, che le dette 
mie opere subirono l'esame non di una, ma di due cen- 
sure : la civile e l'ecclesiastica; e tal fiata parendo che 
due censure fossera poche, si volle consultare anche il 
Sapremo oracolo di Vienna, a tal che le censure diven- 
tavano quattro. 

In un libro passato per tanti crivelli noà so concepire 
cerne potesse restarvi di eretico neppure una vii^ola; 



(1) Storia degli Ebrei durante il secondo tempio; Papessa Giovanna; 
Pontificato di san Gregorio; Note alla Storia delta Chiesa greca e russa, 
a Scbmidt 



eppure voi, o Venerabili , vi scopriste un mondo di 
eresie. Ecco pertanto teologi da una parte e teologi 
dall'altra, di cui li uni approvano^, li altri condanfìano. 
Siccome la ragione è una sola, cosi conviene che o i 
primi i secondi abbiano torto. Ma come distin- 
guere chi ha torto? 

Mi risponderete che la Santa Madre Chiesa cattolica 
apostolica romana, madre e maestra infallibile di ogni 
verità, ha condannate quelle mie opere e le ha regi- 
strate neìV Index librorum prohibitorum. 

Ammetto la tesi senza discuterla; ma sovvenite, g Santi, 
ad un altro mio dubbio. Sapete voi come fu condannata 
lamia Biografia di fra Paolo Sarpif II caso merita dì 
essere tramandato alFimmortalità. Io seppi che monsl^ 
gnor Nunzio a Svitto, che fu poscia Teminentissimo car- 
dinale De Angelis già vescovo di Montefiascoiìe e Cor- 
neto (vedete bei nomi!), ora arcivescovo di Fermo, ne 
desiderava una copia; mi feci un pregio di mandargliela. 
Sua Eccellenza ne tagliò delicatissimamente cdle for- 
bici il frontispizio; a me .rimandò i due volumi decapi- 
tati, e il frontispizio lo mandò alla Sacra Congregazione 
deHlndice, la quale leggendo e meditando gravemente 
il sullodato frontispizio, con suo decreto 4 luglio 1837 
damnavit opus. Condannare un'opera sul fronti^izio, che 
ve ne pare? Ma forse tutti i libri si condannano a Roma 
a questo modo. 

Un'altra mìa opera, la Storia dei Papi condannata da 
Voi, per quanto mi consta dai buliettmi officiali del 
Sant'Officio, ai 2 di ottobre non era ancora stata con- 
dannata a Roma. Ciò non Vuol dire che non lo sarà; msi 
vuol dire che quando lo fosse, la Santa Chiesa del Papa 



XI 

sareUbe rimasa più di due anni incerta e titubata ed avreb- 
be continuato ad esserlo, se non la soccorrevate Voi e non 
la illuminavate cdlo splen^re della preclara vostra sa- 
[Henza. Ma un'autorità che soggiace a dubbi, ad oscitanze, 
e che per uscire dalle inc^rtitudini habisogno di essere 
irradiata e condotta da altri, non è più per fermo un'au- 
torità infallibile. 

E che l'autorità dell'Indice de'Lil»ri Proibiti e della 
Sacra Congregazione cte'cardinali che lo elabora e del 
Santo Padre che vi mette l'ultimo suggello non sia di 
un gran peso, parmi che risulti da più altri fatti* Vene 
citerò alcuni, e pregovi, ó Dottissimi, a (armi conoscere 
il vostro giudizio, 

• Con decreto del 23 agosto 1634, preceduto da una 
solenne sentenza dogmatica, fiirono condannati i famosi 
Dialoghi del Galileo ove sì difendeva la mobilità della 
terra e la stabilità del sole; dottrina che la Santa 
Chiesa Romana dichiarò eretica, erronea, &lsa in filoso- 
fia e' contraria alle Sante Scritture. Ma quella dottrina 
essendo invece stata dimostrata vera in fiisica ed in mate- 
matica, anche i Diabghi sopradetti ricevettero l'assolu- 
zione, e il reverendo padre D^ola dell'Ordine de'Pre- 
dicatori e segretario delbi Sacra Congregazione dell'In- 
dice U fece pianamente scomparire dall'edizione del 1835. 
Dunque in punto ai Dialoghi del Galileo la Santa Chiesa 
Bomana persistè in un errore dogmatico per buoni du- 
eento anni, e fu illuminata sulle verità, non dallo Spirito 
Santo, ma dai progressi ddle scienze fisidie e matema- 
tiche, innanzi a cui anche l'autorità infallibile della Chiesa 
deve cedere. 
In tutti gl'Indici trovo condannati il trattato di Lo- 



xn 

renzo Vaila sulla falsa donazione di Costantino, e qaeik> 
di Davide Blondel sulle false decretali. La Chiesa neU» 
sua infaltibità spacciò per vera e queUa e queste; ma 
la critica, ancord^è non infeUibileJe dimostrò infalliMl» 
mente false, e la falsità loro è al presente portata a tale 
evidenza da non esservi più niuno, neppure a Roma» 
che ne dubiti. Da ciò non hassi a inferirne che la Chièsa 
Romana si ostina a condannare, come un errore, anche 
quello che dall'unanime consenso dei dotti fu riconosciuto 
essere una verità? 

In tutte le edizioni dell'Indice, dalle più antiche alle 
più moderne, trovo classificate fra i libri proibiti le 
Tax(B cancellarti et poemtentiarice Romams; eppure 
non meno di dieci edizioni si contano fatte a Roma 
dal 1477 al 1523^ per ordine e con bolla speciale 
di varii sommi pontefici. Dunque la Santa Chiesa Ro- 
mana avrebbe condannata la propria opera, avrebbe con* 
dannato sé medesima? 

Parimente in tutte le edizioni dell'Indice sta registrato 
fra i libri proibiti il trattato che porta il nomediGark> 
Magno, perchè fu (atto scrivere da quell'imperatore contro 
il VII Concilio Ecumenico tenuto a Nicea nel 787. Ep- 
pure quel trattato ebbe per autori i teologi più dotti di 
quel secolo, fu approvato dal Concilio di Franooforte 
nel 794, a cui assisterono chxa 300 vescovi, e confer* 
mato M Concilio di Parigi nell'SSS, quasi altrc^nto 
numeroso. Ecco dunque una parte cospicua della Chiesa 
che opina contrariam^te ad un'altra. 

Allo spettacolo di tante contradizioni che vi sono fra 
cristiani e cristiani, fra vescovi e vescovi, fra conciiii e 
ccmcilii, fra papi e papi, i quali tutti discordano fra di 



XIU 

loro in ogni cosa fuorché nel confondere qnello che do« 
vreWessere chiaro, nel disdire li uni quello che viene 
affermato dagli altri, e nello intaid)rare ogni principio 
di ragione e di logica, che nelle loro mani la verità 
diventa un enigma, cui ninna Sfinge varrebbe a risoU 
v^re; allo spettacolo, ripeto, di tante contradizioni, com< 
patite, o Reverendissimi Padri, se uno spirito debole 
quale è il mio, ne conchiude die b religione, qual viene 
insegnata dai preti, non ha regola sicura che la guidino 
ed è la cosa più incerta e. piùcontradittoriadeimondo. 
E, mi sbaglio io forse» ma parmi che lo dimostrino i 
dispareri esistiti fra più di cento sètte che divisero il 
cristianesimo e che disputarono moltissimo senza mai 
potersi accordare (l)r e i dispareri esistenti ancora fra 
cattolici, riformati, protestanti, valdesi, anglicani, puri- 
tani, presbiteriani, fratelli-moravi e che so io, i quali 
tatti si appoggiano xlel paro all'autorità della Bibblia che 
citano ed interpretano ciascuno a suo modo, e i dispareri 
che hanno esistito e che ancora esistono fra i cattolici me- 
desimi, di cui li uni condannano quello che altri avevano 
approvato, come accadde a Voi, Monsignori Illustrissimi 
Reverendissimi, che condannaste libri i quali altri teologi, 
'non meno dotti di Voi, trovarono degni della stampa; e 
come accadde al papa e al Sant'uffizio di Roma che condan- 
narono varie opere ddl' Alfieri soltanto un venti o ventici^- 

(i) « Multi ex his qui Chrìsto credere se profitentur, non solom in parvis 

• et roinirois discordante veruna etiam in magnis et maxìmis, idest, vel de 
« Beo, vel de Domine Jesu Chriftto, vel de Spirita Sancto; non solnm au- 
« tem de his sed et de aliis creatnrìs, id est vel de Dooaioationibi^, vel ijje 

• Virtutibns sanctis; propter hoc neoessariunì videtnr prius de his singulis 

• eertam lineam, manifestaBique reguUm ponere« tam éeiode ctiam de 
« csteris immten. • Orìgenes, D€ prineipm, 1, 2. 



XIT 

que anni dopo la sua morte, e dopo che ne furono 
fette inumerevoli ristampe; e che solamente ai 14 gen- 
naio di quest'anno si avvisarono di condannare le opere 
tutte di Vincenzo Gioberti, dopo tanti anni che circo- 
lavano nelle mani di tutti, e che Tautorò neiraprile o 
maggio del 1848 si presentava al santissimo e beatissimo 
Padre, che cortesemente accpglievalo e davagli a baciare 
la santa pantofola e lo onorava di lusinghieri encomii. 
Una delle due; o la Chiesa non ha potuto senza colpa 
lasciar sussistere per cosi luogo tempo ed accreditare 
Terrore con grave detrimento delle anime; o la Chiesa 
ha tardato a conoscerlo per mancanza di lumi, di cogni- 
zioni, di scienza, di dottrina, e non Io avrebbe forse 
mai conosciuto se ad istruirla non accorrevano i reve- 
rendi Padri Gesuiti; 

Come si spiega tanta o ignoranza o colpevole negli- 
genza? tanta incertitudine o volubilità o contrarietà di 
giudizi? È un problema che raccomando a Voi, Maestri 
Reverendissimi, di volermi sciogliere. Intanto che aspetto 
la gravissima vostra sentenza,, siami lecito di ripetere 
qui le parole di uno dei più antichi Padri della Chiesa 
latina: « Se stimassi costoro essere bastevolmente atti 
f a guidarci al ben vivere , io li seguirei ed altri' 
t esorterei a seguitarli. Ma posciachè fra di loro sonovi 
« dispute grandi e discordano in moltissime cose^ con 
t molta varietà di opinioni, appare che essi non possono 
t trovarsi mai sul retto cammino, e che, seguendo ognuno 
« di essi la via che più gli piace, hanno provocala una im- 
« mensa confusione d'idee ed abbandonato la verità (1) » . 



• (i) • Qaos qoidem si pntarem satis idoneos ad bene vivendum daces esse, 
t et ipse sequerer et alios m sequerentnr hortarer; S3d cum Inter se magna 



. "iiV 



xr 

Perciò appunto mi direte, YeDerabilissimi Padri» edìsere 
necessaria un'autorità suprema che decida infallibilmente 
e senza appello. 

Dio volesse che vi fosse tale una autorità che sapesse 
distenebrare tutte le questioni, sciogliere tutti i dubbi, far 
scomparire tutte le incertezze! Niente di più comodo 
per la tranquillità del sempre irrequieto spirito umano. 
Ma questa autorità dove trovasi? 

So che Voi, Dottissimi e Sapientissimi Dottori, nodrite 
la modesta pretensione di credervi, per mandato divino, 
investiti della autorità di cui parliamo, e sostenete che 
sì debba credere a ciò che voi dite, senza discussio- 
ne, senza esame, lo vorrei aquetarmivi se un altro 
dubbio non mi tormentasse. Maometto ebbe precisa- 
mente la stessa {)retensione ; egli incomincia il suo 
Corano con queste parole che sembrano essere state 
imitate da voi molto più che non i precetti del Van- 
« gelo: f È questo il libro su cui non vi sono dubbi; 

< egli guida quelli che temono il Signore; quelli che 
« credono in te e , nei profeti che ti precedettero 
e (Cristo e Mosè); quelli che credono ciò che non ve- 

< dono, e credono senza dubitare. Essi soli (i credenti 
t nel Corano) soqo guidati dal Signore;, essi soli sa- 
« ranno salvi (1) » . Dunque anche nel Corano non vi 
sono dubbi, anche il Corano è una guida infallibile, anche 
nel Corano bisogna credere senza dubitare: e solo chi 



• coDcertatione dissideant, secumque ipsi plerumqne diacordent, appare! 
« eonim iter nequaquam esse directam siquidcm sibiqoique, ut est libitum, 

• proprias vias impresserunt, confiisioneque magna querentibus, veritatem 
« reliqnemnt » . Lactantii Firmiani, Divin, Institut.y I, 1. 

(1) Koiran, U, ì, seg. 



xn 

crede nel Corano è salvo, e chi non vi crede è dannato. 
Io pongo voi da una parte, Maometto dall'altra; voi dite, 
bisogna credere a ciò che diciamo noi; Maometto dice, 
bisogna credere a ciò che dico io. Entrambi esigete ana 
fede esplicita, assoluta, senza opporre obiezione, senza 
impacciarci in discussioni, senza niente prendere in 
esame. Voi dite: noi siamo i ministri di Dio, e fueri di 
no^ non vi è più salute; Maometto dice: io sono il pro- 
feta di Dio, e chi non crede nel mio Corano è dannato. 
Voi dite: noi siamo i successori degli apostoli Gabbiamo 
ricevuta l'unzione dallo Spirito Santo; Maometto dice: 
io sono salito al quinto cie|o, io ho parlato coll'angelo 
Gabriele. Come distinguere, da voi a Maometto, quello 
a cui più meriti di porger fede? credwe a tuttiulae, 
e sarebbe credere a cose contradittorie; o credere a 
nissuno dei due, il che sarebbe un phronismo irragìof 
nevole, quando fosse senza causa; o per credere con 
cognizione di causa giova far uso della nostra ragione, 
ed esaminare i titoli dell'uno e degli altari affine di rico* 
noscere chi ne possieda di migliori. 

Mi risponderete altresì, che il cristiano cattoDco deve 
fare il sacrifizio della sua ragione e sottomettersi dolce- 
mente all'autorità della Chiesa; ma noi siamo sempre 
alla medesima petizion di principio, ad ammettere per 
dimostrato quello che appunto é da dimostrarsi. In primo 
luogo, i teologi non sono peranco riusciti ammettersi di 
accordo nel definire ciò che abbiasi ad intendere per 
Chiesa con assoluta ed infallibile autorità di giudicare 
qualsiasi questione; perchè li uni intendono la Chiesa 
rappresentata dai concilii ecumenici, li altri intendono 
il papa quando pronuncia ex cathedra. Ma quand'èche 



il papa pronuncia ex cathedra"! Anche su di ciò i teo- 
logi si sono smarriti in un labirinto di dispareri, da cui 
non peranco trovarono Tuscita. E dunque incerto che 
cosa intendere si debba per Chiesa: come è certo che 
papi e concilii ecumenici si , sono contradetti le cento 
volte, ed accadde non di rado che l'uno distruggesse 
ciò che era stato piantato dall'altro* 

Indipendentemente da questa difficoltà, che è radi- 
cale, havvene qualche altra non meno importante. Per- 
donate, Dottissimi, Venerabilissimi Pastori, se abuso 
della vostra benignità ; ma voi siete il ■ sai della terra 
che deve salare le cose insipide; date dunque anche a 
me un po' del sale della vostra sapienza; condite con 
esso, ve ne supplico, la mia insipienza, se credete che 
ella sia tale. Ditemi dunque, se taluno domandasse: la 
Chiesa da chi ha ricevuto quell' autorità ? — Voi ri- 
spondereste , da Gesù Cristo. — E se si domandasse 
ancora: chi guarentisce che Gesù Cristo conferi alla 
Chiesa quell'autorità ? — Voi soggiungereste : gli Evan- 
geli. — E se si continovasse a domandare : chi gua* 
rentisce l' autenticità degli Evangeli ?.... -*- Monsignori 
Illustrissimi, che cosa si potrebbe rispondere? Che la 
Chiesa guarentisce gli Evangeh? Dunque la Chiesa gua- 
rentisce l'autorità degU Evangeli, e gli Evangeli guaren- 
tiscono r autorità della Chiesa. Strano circolo vizioso , 
che ci trae alla conseguenza: non avere l'autorità della 
Chiesa altra guarentigia fuori la propria autorità; o 
in altri termini, che essa è un'autorità gratuita, desti- 
tuita di ragioni e di prove, e fondata sopra un mero 
supposto. 

tA me piace oltremodo questa bellissima sentenza che 

Crii, degli Ev. voi. I. 8 



XfUì 

leggo in testa al trattato delle Divine Istituzioni del 
sopracìtato Lattanzio Firraiano : Nec sine religione sa- 
pientia, nec sine sapientia sit probanda religio. Perchè 
infatti : se una sapienza] irreligiosa è insipida né mai 
può trovare adito nel cuore umano, una religione che 
non può resistere al crogiuolo della scienza e della sa- 
pienza, diciamolo schiettamente, è una religione falsa. 
Ma essendo io desideroso di fermi un giusto con- 
cetto della religion vera, e non venendomi da voi for- 
nito nissun lume per conoscerla se non quel vostro lo 
diciamo noi, ho pensato di fere da me e di cercarla io 
medesimo col salire alle origini storiche del cristiane- 
simo, e sottoporne i documenti ad una critica analisi. 
Non è sugli Evangeli che si fonda l'autorità della Chiesa, 
del papa, de'concilii, del Sant'Offizio, della Congrega- 
zione deir Indice? Non è sugli Evangeli che si fonda 
la vostra autorità, e l'autorità di fare delle notifìcanze, 
di condannare e proibire dtì libri, di affrontare le leggi 
dello Stato, di declamare , di macchinare , di cospirare 
contro il governo ? Or bene, a me, una delle parti lese, 
a me sia dato, per legittimo diritto di difesa, di esa- 
minare che cosa sono quegli Evangeli, e quale grado di 
autorità si meritano al cospetto di una critica impar- 
ziale e ragionevole. Tale è il tenore dell' opera che io 
sottopongo alla sublimità del vostro giudizio; e Voi, 
che siete cosi santi, cosi dotti, cosi sapienti; Voi, che 
siete i depositari di tutti i segreti di Dio; Voi, che 
siete la fiaccola posta in alto per servire di luce e di 
guida agli uomini; Voi, che ricevete la parola dallo 
Spirito Santo medesimo; Voi, che stimolati da un im- 
menso appetito per le cose divine, sedete ogni giorno 



XIX 

alla mensa dell' Eterno Padre ; Voi , a cui fu ingiunto 
l'ite et docelBy ossia il mandato di girare il mondo ed 
ammaestrare i popoli; Voi, che perciò dovete saperne 
più degli altri; Voi, dunque. Illustrissimi e Reverendis- 
simi Padri, Maestri, Pastori e Dottori, vogliate colla so- 
lita vostra bontà e carità aggradire il debole mio omag- 
gio. La vostra Notificanza me ne ha suggerito il pen- 
siero; e questo pensiero che viene da Voi, a Voi ritor- 
na quale tributo di profondo ossequio alla incommen- 
surabile ed incomparabile dottrina vostra. 

La questione, per quanto mi sembra, è della più alta 
importanza sociale. Tutte le religioni sono in decadenza; 
non parlo del Giudaismo che vive come le mummie 
nei musei di antichità; non parlo delllslamismo che pel 
processo di futuri e forse non remoti eventi politici è 
minacciato di una gran rovina; non parlo di varie pic- 
cole sètte cristiane che vivono quasi latitando e giorno 
per giorno, o che sorgono e passano come le ombre ; 
ma parlo delle tre più grandi comunioni cristiane. Il 
Protestantismo si dissolve sotto V analisi del razionali- 
smo, e i suoi libri simbolici non sono meno invecchiati 
di quel che lo sia la lingua tedesca di cui si serviva 
Lutero ; le Confessioni Elvetiche si sorreggono a malo 
stento mercè di un ascetico misticismo, che si assomi- 
glia quasi all'ascetico pueriHsmo di cui i gesuiti fanno 
spaccio alle loro divote; e il Cattolicismo è asfissiato 
sotto i rigidi amplessi deirindifferentismo. Si crede per 
ozio, per abitudine, per ignoranza, per interessati ri- 
guardi, non per convinzione, non per fede. La fede 
non esiste più, ed ella è come la verginità: perduta 
ooa voba, sono vani tutti gli artifizi per ripristinarla. 



XX 

Voi stessi, Venerabilissimi Prelati, non credete nulla 
di quel tanto che vorreste far credere agli altri. Ne 
bramate una prova? La vostra Notificanza. Se foste ere-, 
denti, se foste animati dalla sincera fede che la Chiesa 
stia piantata sulla pietra inconcussa, e che le porte del- 
l' inferno non prevarranno, anziché sciupare il tempo 
a scrivere pastorali , che nissuno legge , perchè vanno 
a controsenso della pubblica opinione ; o a declamare 
dai pergami e proibir libri e giornali, che le vostre de- 
clamazioni e proibizioni fanno meglio conoscere e de- 
siderare : vi occupereste coir insegnamento , coli' opera 
e coll'esempio a trasfondere negli altri quella fede che 
scalda i religiosi vostri petti. 

Si, o Santissimi, anche in Voi la religione è sparita, 
la fede è morta, Tinciredulità ne ha preso il luogo. Voi 
non credete che Gesù Cristo sia venuto al mondo a 
compiere un gran sacrifizio, ma credete che sia venuto 
al mondo per dare al papa una potenza temporale e 
per commettergli la cura di tiranneggiare tre milioni 
di cristiani; Voi credete che sia venuto al mondo per 
dare ai cardinali un sontuoso piatto , per dare ai ve- 
scovi una sontuosa mensa, e per procacciare ai digni- 
tari della Chiesa, onori, agi, titoli, ricchezze, lusso. La 
vostra fede non è né in Gesù Cristo, né nella sua Chie- 
sa, né nel suo Vangelo, né nella sua dottrina, né nella 
sua morale; ma é nelle vostre rendite, nei vostri pa- 
lagi, nelle vostre ville, nei vostri cocchi, nei vostri ca- 
valli, nelle vostre livree, nei vostri titoli, nei vostri 
onori, negli sferzosi vostri abiti, nella dispotica vostra 
autorità, nel vostro fasto, nel vostro orgoglio, nei vo- 
stri piaceri. Consultate il vostro cuore, e troverete che 



la vostra fede è là, unicamente là, e fuori di là Voi 
non credete più nulla, neppure in Dio, posciachè vi 
siete fatto un Dio di voi medesimi e delle stesse vostre 
passioni. Non siete voi, o Pastori Cristiani, i quali gri- 
date come i preti pagani del III secolo: Templorum 
vectigalia quotidie decoquunt. Stipes quantus qnique iam 
iactatf (1). « I proventi della Chiesa diminuiscono ogni 
e giorno. E chi è oramai che getti un centesimo nella 
e cassetta?» La vostra religione sta appunto nei guada- 
gni della Chiesa e nelle abbondanti limosina fotte alla 
cassa de' morti. E perchè.una religione cosi interessante 
per Voi, non ha più il medesimo interesse per gli altri, 
e sono perciò in pericolo le vo^re utilità temporali , 
voi siete queruli, inquieti, sempre in sull'allarme, sem- 
pre aflfeccendati a urtare, a contradire, a negare la con- 
tinuità del progresso morale nei mondo , e la divina 
provvidenza che lo spinge e lo governa. 

Ma donde tanta incredulità? donde mai tanta deca^ 
denza nello spirito religioso? Egli è perdiè l'umana 
società ha fotto un inunraso avanzamento e la religione 
è rimasta indietro. La società si é rinnovata da cima a 
f(Nado nella vita politica e privata, letteraria e scientì- 
fica, nelle usanze e odile idee, e la religione è vecchia^ 
è calcata ancora sopra un sistema di opinioni , d' idee , 
di credenze, d' ittclinazk)ni, di abitudini, di gusti che da 
loogo tempo sono scomparsi » (mde torna in acconcio 
l'adagio di Gesù Cristo : « Non si mette vin nuovo in 
% otri vecchi, perdìè gli otri si rompono e si perdono 



(I) TertnlliaDi, ApohìgeL, XUI. 



xxti 

€ essi ed il vino (1) » . Via dunque gli otri vecehi, e il 
vin nuovo si inetta in vasi naovi. 

Per raggiung^e quest' intento , conviene risalire da 
capo, e come la religione è una scienza, cosi p^ rile« 
varia dal suo decadimento, per ristorarla, per ringìo* 
vanirla, per accomodarìa allo spirito ed ai bisogni delle 
crescenti generazioni, parmi che si debbano imitare i 
ristaurttori delle altre scienze , i quali spogliandosi di 
ogni prevenzione che li legava al passato , presero ad 
esaminare le questioni a stato vetrine. Un. tentativo lo 
feci già quando Tanno scorso publicai la mia Stwria bi^ 
blka dalia oreazUme det mondo alla traslazione degli 
Ebrei a Babilonia , la quale non veggendola inscritta 
fra i libri da Voi dannati, mi h credere che abbia in- 
contrato r eruditissimo vostro gusto. La stessa fortuna 
desidero al presente libro; ed è inutile che io dica di 
quale e quanta consolazione e tripudio mi sarebbe il 
suffragio di Prelati, ciascuno de' quali è una enciclope- 
dia ambulante della più squisita dottrina, e che Dio 
stesso avrebbe fatto bene a coi^ultare quando creò il 
mondo, perchè avrebbe potuto fare opera più perfetta. 
Ma essendo una sventura che non si possa pervenire 
al conoscimento delia verità se non col passare a tra- 
verso degli errori; se mai questa sve&tora fosse toc- 
cata anche a me, io vi prego, anzi vi supplico, o Pa- 
dri Dottissimi, a frai^ere i ritegni della vostra mode- 
stia e a spalancare anche a me le fonti amplissioie della 
voslra scienza , sapienza , dottrii» , erudizione ia <^m 



O) Matteo, IX, 17; Marco, U, tt; Luisa, T, V. 



xxm 
ramo dello scibile umano e divino, Vos estis lux mun- 
di. Lucernam non a4^cenditur me ponitur sub medio sed 
super candelahrum ut luceat omnibus. Piacciavi dunque 
di togliere di sotto del moggio la lucerna del vostro 
sapere, che rimase fino ad ora occulto, et mundas eum 
non cognomi y e di porla sul candelabro affinchè tutti 
siamo illuminati dai celestiali splendori di lei. 

Intanto con devozione profonda mi dichiaro di Voi, 
Monsignori Illustrissimi e Reverendissimi» 

Umilissimo servo 

A. BlANCHI-GlOYINI. 



CRITICA DEGLI EVANGELI. 



LIBRO PRIMO. 

INCERTA AUTENTICITÀ OPPRIMI DOC(IME?ITI ISTORICI 
DSL CRISTIANESIMO 



CAPO PRIMO. 

CANONE de' LIBRI EBRAICI. 

. Il cristianesimo esseado uscito dalia religione giudaica, 
a documento della sua origine adottò i libri sacri degli 
ebrei, a cui ne aggiunse altri siu)i propri, e ne compese 
)a Biblia ossia il Vecchio ed il Nuoto Testamento. Que* 
st' ultima denominazipne fu tolta a prestito dal linguaggio 
de'giuristi, ed è una cattiva traduzione della parola greca 
Diaiikiy che vuol dire alleanza, ma che può anco signifi- 
care una ultima volontà: e malgrado l'assurdo di attribuire 
uno ed anco due testamenti a Dio, fu sancito dal lungo 
«so e permane. 

Tertulliano fu il primo ad adoperarlo verso Tanno 200; 
come il vocabolo greco Biblia (Libro) fu adoperato la pri- 
ma volta da san Giovanni Crisostomo precisamente due 
•eeoli dopo (1). 

GII ebrei chiamano il Vecchio Testamento Legge scritta 
o libri sacri, o i ventiquattro libri sacri o semplicemente 

(1) BabÈi, Critiea àeUikH ia$ri àelVJnUco Tet U um nto, tomo I, | L 



4 UBRO PRIMO 

i ventiquattro. Il vocabolo Scritture era usato dalla 'anti- 
chità giudaica e cristiana, abbenchè gli ebrei gli abbiano 
poi data una significazione speciale. Imperocché distribui- 
rono que' libri in tre classi: 

1.* La legge (Torà) che contiene i cinque libri attribuiti 
a Mosè, detti grecamente Pentateuco; 

2.* I profeti, suddivisi in due ordini; 

1. Profeti antichi (Nabiim riscionim)^ e sono i libri di 
Giosuè, Giudici, Samuele (due)^ Re (due)y scritta 
innanzi la trasmigrazione di Babilonia ; 

2. Profeti, posteriori (Nabiim acharonim), cioè Isaia, 
Geremia, EzecJiiele, | do4ici profeti minori, che 
scrissero tutti dal principio della trasmigrazione, o 
poco tempo innanzi, fin dopo il ritorno da Babilonia. 

3. Le Scritture (Ketubin)^ e sono Salmi, Proverbi, Giob- 
be, la Cantica, Rut, Lamenti di Geremia, Eccle- 
siaste, Ester, Daniele, Esdra, Neemia, Paralipome- 
ni Cronache (due) (1). 

Tutti si hanno originalmente scritti in lingua ebraica, 
tranne alcuni capi dr Daniele e di Esdra che sono in caldeo^. 
Il primo Canone o catalogo autentico di essi fu fatto dal 
sacerdote Esdra, come è la tradizione comune, o da Neemia, 
come appare dal secondo libro de' Maccabei (2), poco dopo 

(I) Qveffta ^vitione è antioa, n» potterìore al crìstUneiteo ed interio- 
re al Talmud, che cita spesse volte i libri sacri divisi in questo modo, fi 
anco da notarsi che in tutto sono propriamente 2d o 25 se Samuele, Re, 
e Cronache non contano che per tre; per ridurli a 24 se alcuni vogUono 
fare un libro solo dei due libri Giudici e Kut. 

(8) n. Maehab,, U, 13. Non è ben chiaro ciò che intendono i Talmaéni 
col seguente passaggio : « Al prindpio fu data la Legge ad Israele in iscrit- 
« tura ebrea e lingua «anta; poi al tempo di Esdra fu data in isorittora 
• assiria e lìngua caldea *, Ghemara Sanhedrin, II, 13, nelle Oper$ di 
Gio. Cocceio, tomo Vii È certo che Esdra non ha cangiato la lingua, 9Ì 
solo i caratteri ; ma forse i Talmudisti intendono che dopo Esdra hi legge fa 
insegnata nelle sinago^e in Unguà caldea, come appaic anco dal segmito, ove 



CATONE DE'LIBBI EBRAICI. 5 

il ritorno da Babilonia^ 450 anni prima di 6. C; ma non 
vi comprese se non la Legge, i profeti antichi, U libro di 
Davide e le epistole dei Re, che sono ora perdute; i Pro- 
feti posteriori appartengono ad una collezione fatta più 
tardi, forse sotto i primi Maccabei, che furono principi, 
sacerdoti e ristauratori della religione dopoché Antioco 
Epifàne ebbe fatto profanare il tempio e gettare alle fiam- 
me quanti libri sacri si poterono trovare, mettendo pena 
la vita a chi li occultasse. 

Ma Giuda Maccabeo avendo purificata la città santa ed 
il tempio (anno 160, av. G. C.) e restituite le cerimo- 
nie, pensò eziandio a compilare una nuova collezione de' 
libri sacri, di cui gli esemplari deposti nel tempio erano 
spersi od abbruciati (1). 

Gesù pronipote di Gesù figliuolo di Sirah allevato nella 
Palestina e che fiori in Egitto verso il i30 av, G, C. 
parla delia Legge, dei Profeti e di altri libri lasciati dai 
maggiori; ma non si sa vedere se per Profeti intenda 
solamente gii antichi, od anche i posteriori: ad ogni modo 
è chiaro che gli ebrei non contavano fra i libri canonici 
che la Legge e i Profeti. A' tempi di Gesù Cristo i Salmi 
erano sicuramente fra i canonici, cosi perchè Luca sembra 
dirlo espressamente (2), come perchè gli Evangelisti non 
si sarebbero arditi di citarli con tanta frequenza, se non 
avessero avuto una autorità canonica. 

Flavio Giuseppe (3), 50 anni dopo la morte di Gesù, 
diceva che i libri sacri de' Giudei sono 22, cioè : 



si soggiunge: « Elessero la scrittura assirica e lìngua santa, e lasciarono 
« a^i idioti (Samaritani) la scrittura ebraica e la lingua aramea. » Vedi 
eziandio Cristophori Cellarii, Historia Samaritana, cap. IV, 5, a pag. 642, 
nel Thesaurus antiquitaìum hebraicarum di Ugolini, tomo XXII. 

(1) I. Match. I, 60. 

(2)LucaXX4V,44. 

(3) Cimtro Apione, I, 8. 



6 LIBRO PRIHO 

5 di Mosè, , 

13 scritti dai Profeti successori di Mosè dalla di lui 

morte sino al regno di Artaserse, 
4 di inm e di morale ; 
ed aggiunge che dall'impero di Artaserse in poi furono 
scritti altri libri, ma non di eguale autorità degli antece- 
denti. 

Siccome non specifica i libri della seconda e terza classe, 
cosi non sappiamo precisamente quali fossero; ma nel cano- 
ne rabbinico riferito di sopra {essendo contati 24 libri, e 
Giuseppe contandone soltanto 22, si può inferire con qual- 
che certezza, che Giuseppe omettesse il libro di Giobbe e 
quello di Ester; imperocché il secondo fu scritto dopo 
Artaserse, e il primo appare dalla medesima sua istoria 
che non lo ha conosciuto. 

Si può anche dubitare se la divisione deMibri sacri era 
allora come adesso, e se a' tempi di 6. C. il libro di Da- 
niele fosse ammesso nel canone: apparendo infatti che 
godesse dr non molta autorità, perchè malgrado le sue 
dichiarazioni sul Messia gli Evangelisti non lo citano mai, 
se non una sola volta in un luogo ove il nome di Daniele 
sta evidentemente, interpolato (1). 

Il catalogo giudaico tal quale ora lo abbiamo, fu compi- 
lato dopo G. C, e probabilmente dalla scuola sacra di Jabne 
verso l'anno 80 dell'era volgare (2). Imperocché distrutti, 
dieci anni prima, Gerusalemme ed il tempio, e dispersi 
dal furore della conquista i monumenti sacri^ i dottori 
giudei che si erano ritirati a Jabne e vi avevano aperta 
un'accademia avranno certamente pensato a rifare la col- 
lezione canonica de' libri sacri; ed ai primi già accettati 



(1) Matteo XXIV, i5 C. fr. — Marco Xm. — Luca XXI, 21. 

(2) Lighlfoot, Opera, tomo I, pag. 141 neW Opera postuma, pag. 41, fa 
la storia dell'Accademia di Jaboe. 



CANOIfE de' libri EBAAICI. 7 

dalla sinagoga, avranno aggiunti anco gli altri tenuti in 
credito di pietà o di edificazione, ma in cui non si rico- 
nosceva un suggello divino. 

Questa progressiva formazione del canone ebraico ci 
. spiega perchè i Sadducei ricevessero soltanto la Legge , 
e perchè i Farisei non ne facessero scandalo. Anzi questi 
ultimi ancora (come i Rabbanisti loro successori) non 
veneravano tutti que' libri in modo eguale, avvisando 
che la Legge l'avesse Iddio di propria bocca dettata a Mosè, 
ed essere. perciò degna del più profondo rispetto; che i 
Profeti fossero soltanto ispirati dallo Spirito Santo, e ch9 
le Scritture sono opera d'uomini pii che ebbero qualche 
parte alle ispirazioni celesti, ma non ispirati direttamente 
uè per un dato fine. E come le tradizioni, al dire de' Fari- 
sei, erano state comunicate da Dio a Mosè, e da Mosè tra- 
mandate, sino a 1(M^, cosi ne tenevano più conto che non de' 
Profeti e delle 'Scritture. Essi innalzarono a pari autorità 
le tradizioni e la Legge: anzi a quelle ne diedero una mag- 
giore, per la ragione che la Legge è il testo scritto ad uso 
comune, e le tradizioni sono la dottrina secreta riservata 
ai soli sapienti onde servire d'interpretazione alla Legge. 
Per questo dicevano che il Testo bibKco somiglia al- 
l'acqua, la Misna al vino, e la Ghémara al vino aromatiz- 
zato; ovvero che, la Legge è simile al sale, la Misna al 
pepe, la Ghémara agli aromi (I). 



(I) Pfeiffelr, De Talmude, pag. 16, nelle sue Dissertationei philologicae. 



O LIBIO FRUIO 

CAPO SECONDO. 

LIBRI DEUTERO-CANONIGI. 

Fino da'suoi principii il cristianesimo si distinse in due 
fazioni: dall'una parte erano i fedeli usciti dal gentilesimo 
che tendevano ad una emancipazione assoluta dal culto 
giudaico: dall'altra erano quelli usciti dalla sinagoga che 
difendevano la circoncisione «d il mantenimento di molti 
riti legali. Questi cristiani giudaizzanti, dall'anno 70 in cui 
fu distrutto il tempio, all'anno 136 quando da Adriano 
tutti i Giudei furono scacciati da Gerusalemme, costituiro- 
no un anello intermedio fra il giudaismo ed il cristianesi- 
mo; parlavano la medesima lingua, de' Giudei della Palesti- 
na e della Siria, tenevano li stessi costumi civili e reli- 
giosi, e frequentavano sicuramente le stesse scuole, o per 
lo meno vivevano molto vicini ed amici. 

Costoro 'pigliarono i libri sacri dai loro confratelli di 
antica alleanza e li trasmisero a quelli della nuova. Ma 
quello che maggiormente contribuì a far passare il canone 
de'Iibri ebraici ai cristiani, furono le traduzioni in lingua 
greca. Se crediamo ad Aristea, Tolomeo Filadelfo ne fece 
fare una versione 270 anni prima di G. C, al qual uopo 
il sacerdote Eleazaro mandò in Egitto 72 dottori periti in 
ambe le lìngue, onde quella versione fu poscia detta dei 
Lxx (1). Ma è fuor di dubbio che molto tempo prima di 



(1) La storia d* Aristea è un pretto romanzo pieno delle solite ampollosità 
giudaiche ; pure fu seguitata da Flavio Giuseppe, che ne copiò il carteggio 
fra Tolomeo ed Eleazaro. Il Talmud gerosolimitano racconta che cinque 
Zakenim (anziani) per far piacere al re Tolomeo tradussero in greco la 
Legge e che quel giorno fu acerbo ad Israele come il giorno in coi fu con- 



LIBRI DEUTERO-CARONia. 9 

6. e. esisteva una traduzione greca dei libri sacri ebraici, e 
specialmente della Legge, di cui si servivano le sinagoghe 
de'Giudei ellenisti; e non è inverosimile che li Ales- 
sandrini, i quali, secondo tutte le apparenze furono i primi 
a commettere un tal sacrilegio, abbiamo cercato 4ì giusti* 
flcarlo in faccia ai rigidi loro confratelli della Palestina, 
inventando la narrazione di Aristea, È facile immaginarsi 
che i cristiani, la maggior parte de' quali parlavano greco, 
facessero uso di questa traslazione sino dai primissimi 
tempi. Verso Panno 120 Aquila prose lite ebreo la rifece 
da capo e pare che vi abbia aggiunte molte cose che 
innanzi mancavano, o ne abbia levata altre che vi erano. 

Verso la flne del medesimo secolo Teodosione e Simmaco, 
cristiani giudaizzanti , pubblicarono due nuove edizioni 
della Biblia in greco, che salirono in molta fama cosi fra 
i cristiani come fra i giudei ellenisti ; e gì' interpreti , a 
misura che avanzarono col tempo, arricchirono le loro 
traduzioni non solo dei nuovi libri aggiunti alP ultima 
edizione canonica, ma di altri che gli ebrei non hanno 
mai ricevuto, e che i cristiani a poco a pocS adottarono 
e chiamarono Deutero-canonici, cioè libri sacri del secondo 
canone o di più recente data; e sono: 

Le storie di Tobia, di Giuditta e de' Maccabei; il libro 
di Baruch, segretario di Geremia, una lettera di Geremia, 
e due libri morali intitolati la Sapienza e V Ecclesiastica; 

flato il vitello d* oro, perchè la Legge non potè esser tradotta secondo tutti 
i soci requisiti. Poi Tolomeo adunò di nuovo 72 anziani e li collocò in 72 
camere senza che Tuno sapesse dell'altro, e li incombenzò di trascrivefe 
la legge di Mosé, loro maestro; ed essi ispirati da Dio, la trascrissero per 
tè stessa, tutti in un modo eguale, soltanto che ne mutarono tredici luoghi. 
— Donde apparirebbe che ne fu fatta una versione greca non riuscita, ed 
una trascrizione del testo ebraico in caratteri greci, n Talmud di Babi- 
loDia, posteriore all'antecedente, non parla che dei 72 interpreti ed omette 
la frase : trascrissero la Legge per sé stessa. Lightfoot^ Ora hebraiccef et 
talmvdiea, pag. 73d e 934. Tomo II delle Opere. 

Crit. degli Ev. Voi. I. 3 



iO tiBRo pnmo 

r orazione di Manasse , alcune aggiunte al libro di Ester , 
e nel libro di Daniele i racconti favolosi del drago di 
Babilonia, dei tre giovani nella fornace e della Susanna. 

I libri di Tobia e di Giuditta furono originalmente scritti 
in caldeo , e san Gerolamo attesta di averli tradotti da 
quella lingua; ma fra la versione latina, la greca e due 
ebraiche pubblicate da Paolo Fagio e Sebastiano Munstero 
passano diversità, nelP ordine ed anco nel contenuto, donde 
appare che i testi non fossero eguali. 

L'Ecclesiastico fu scritto in ebraico da Gesù Ben Sirah, 
che viveva circa 200 anni innanzi Péra nostra; 60 o 70 anni 
dopo fu tradotto in greco da un altro Gesù suo pronipote. 
Il testo originale esisteva ancora a' tempi del citato san 
Gerolamo, e dice che portava il titolo di Mislè (parabole). 
In altro luogo aggiunge di aver veduto anco il testo 
ebraico del primo libro de' Maccabei; il secondo appartiene 
alla lingua greca, come pure quello della Sapienza, che alcuni 
antichi attribuirono al celebre Filone; e solo in greco si 
hanno gli altri che rimangono dei Deutero*canonici. 



CAPO TERZO. 

CANONE CTISTIANO. 

Compongono il canone del Nuovo Testamento quattro 
Evangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni; gli Atti degli 
Apostoli attribuiti a san Luca ; quattordici lettere di san 
Paolo, tre dì san Giovanni, due di san Pietro, una di 
san Jacopo, una di san Giuda o Taddeo, e TApocalisse at- 
tribuita a san Giovanni; tutti scritti in greco, tranne il 
primo Evangelo che si crede essere una traduzione dal- 
Tebraico. Nei primi secoli della Chiesa i teologi greci, non 



CANaSE CEISTUSO. 41 

avendo cognizione della lingua ebraica, fecero principale 
uso, pel Vecchio Testamento, della versione greca attri- 
buita ai Lxx di quelle di Aquila, di Simmaco e di Teo- 
dosione, delle quali fu formata una sola che tenne il nome 
venerato dei lxx, e fu anco tradotta in latino e conosciuta 
sotto il titolo di versione italica. Ma i gravi difetti di que- 
ste versioni manipolate Puna sull'altra erano evidenti, e 
furono diligentemente notati da Origene ne' suoi Exapli. 
Per lo che verso l'anno 370 san Gerolamo, perito nella 
lingua ebraica e greca, imprese a correggere la supposta 
edizione dei lxx, ed a rifarne una latina cavandola dall'ori- 
ginaie: lavoro faticoso e lodevole, ma che gli attirò l'ana- 
tema di tutti coloro che nelle cose di religione abborrono 
ogni novità ancorché stiggia ed utile; e lo avrebbono inscrit- 
to fra gli eretici, come%ccadde a tanti moderni che vollero 
imitarlo, se non lo salvava la protezione di papa Dàmaso: 
di modo che la sua versione, da prima impugnata e cre- 
duta sacrilega, fu poscia ricevuta in tutto l'Occidente. 

Ciò non di meno quella che noi chiamiamo la Vulgata 
non è tutta di san Gerolamo ; i Salmi, per esempio, sono 
ancora della versione italica; in altri libri la versione 
italica fu rifatta e corretta sopra quella di san Gerolamo e 
viceversa, per lo che la versione gerolomina non esiste 
più nella sua purità primitiva. 

Gli antichi teologi (cioè i Padri della Chiesa) erano te- 
nuti a nessuna Legge , e potevano accettare o rigettare 
dei due Testamenti quelle parti sopra cui nascesse in loro 
qualche scrupolo. Nissun canone era obbligatorio per tutti, 
e prima di stabilirne uno definitivamente la Chiesa vagò 
incerta più di quindici secoli. 

S. Ireneo, arcivescovo di Lione nel 177, morto nel 202, 

1 assicura che molte chiese non avevano libri sacri ; e il 

primo fra i cristiani che ne abbia dato un canone fu san 

Melitene vescovo dì Sardi verso il 170 , il quale ammise 



i2 UBRO PRIHO 

tutti quelli registrati nel canone degli ebrei, ad esclusio- 
ne di Neemia e di Ester: ma il primo può essere com- 
preso sotto il nome di Esdra, e il secondo lo tralasciò, o 
perchè mancasse al catalogo da lui copiato, o perchè alcu- 
ni fra i dottori cristiani dubitassero della rcanonicità di 
quella istoria, la quale fu poscia introdotta nel canone da 
Origene verso la metà del secolo seguente (1). La Sinopsi, 
attribuita a sant' Atanasio, dice infatti che il libro di Ester 
non era ricevuto da alcuni antichi. 

Contempo^neo a Melitone o un poco. più tardi, un pre- 
te romano pubblicò un elenco dei libri canonici rice- 
vuti dalla Chiesa romana; ma nel frammento conserva- 
.toci dal Muratori (2) manca tutta la parte relativa al Vec; 
chio Testamento, ed è notabile che il libro deutero-canonico 
della Sapienza, scritto, ivi si dice, dagli amici di Salomone 
ed in onore di lui, sia compreso fra quelli del Testamento 
Nuovo. 

Nel 357 il concilio di Laodicea fu il primo tra i concili 
che facesse un canone biblico; ma si attenne a quello de- 
gli Ebrei^ il solo adottato sino allora dalla Chiesa, se non 
che al libro di Geremia aggiunse anco quello di Baruch. 

Quarant^anni dopo, il concilio d'Ippona e il terzo concìlio 
di Cartagine (nel 397) compresero per la prima volta tutti i 
Deutero-canonici, inalzandoli ad uguale dignità degli altri ; 
ma si mostrarono titubanti, e dissero che bisognava con- 
sultar le Chiese di oltremare. 

Nel 406 papa Innocenzo I^ nella sua lettera ad Exupe- 
rio, contò ed antichi e nuovi senza riserva. 

Si direbbe che lo stesso facesse papa Gelasio nel concilio 
di Róma l'anno 494, ove pubblicò il suo famoso indice 
espurgatorio; ma se quelP indice, salvo poche eccezioni, 

(4) Eusedio, Titoria EceUi., IV, 26, e VI, 25. 
(2) Antiq. Ital Medii JEvi, tomo III, pag. 854. 



CANOICE CaiSTURO, i5 

è propriamente di Gelasio , non si può asserire lo stesso 
del canone biblico, il quale non si legge negli antichissimi 
codici vaticano, fiorentino e lucense veduti dal Fontanini, 
dal Bianchini e dal Mansi ; e negli altri passano tante va- 
rietà che ben si vede avere ciascuno amanuense aggiunto 
ora un libro ora 1' altro seguendo il proprio arbitrio o li 
usi del suo paese. Anzi nel codice lucens^ del secolo IX 
invece del canone biblico è detto semplicemente che in 
quanto alle Sacre Scritture si riporta al giudizio che ne 
ha fatto san Gerolamo; il che equivale ad una esclusione 
dei Deutero-canonici che san Gerolamo tratta esplicitamente 
da apocrifi , e dice che si possono leggere come libri edi- 
ficanti, ma che non fanno alcuna autorità nella Chiesa. 
Rufino pensava egualmente, e verso il 630 sant' Isidoro 
di Siviglia avendo spartiti i libri sacri in quattro classi, 
pose i Deutero-canonici neir ultima (1). 

La Chiesa stette in questi termini fino all'anno 1439, 
quando ps^pa Eugenio nella sua epistola agii Armeni rimise 
i Deutero-canonici nell'elenco dei libri sacri, e il concilio 
di Trento nel 1546 confermò terminativamente il suo 
decreto. 

Cosi in punto ai libri del Vecchio Testamento la Chiesa 
antica non ha creduto quello che è tonuta a credere la Chiesa 
cattolica dopo la metà del secolo XVI ; ma le Chiese ri- 
formate restarono più fedeli all' antichità. 

Men lunga fu la contesa intorno ai libri del Nuovo Te- 
stamento. Nel catalogo romano citato poco anzi, che è il 
più antico e che rappresentali canone ricevuto dalla Chiesa 
romana, sono notati: I quattro Evangeli, gli Atti degli 
Apostoli, tredici lettere di san Paolo, una di san Giuda, 



(1) HieroDym, In prologo GaUaio e Prcsf, in libros Salomonis. — Ru- 
fioi, ExpoHt. Symb,, pag. S6, in calce aUe Op, di s. Cipriano, edit. Oxo- 
niense bidor. — Hispal, De rebui inventorihu», VI. 



ÌA LIBIO PIIHO 

due di san Giovanni, l'Apocalisse di san Giovanni, l'Apo- 
calisse di san Pietro, e il Pastore , scritto , dice V autore, 
a' Tempi nostri da Erma^ quando era vescovo di Roma Pio 
di lui fratello. 

Adunque la Cliiesa romana non riceveva: 

L'epistola agli Ebrei, quella di san Jacopo, le due di 
san Pietro, ed una di san Giovanni tenute di presente per 
canoniche; ed ammetteva: il Pastore di Erma e l'Apoca- 
lisse di san Pietro, che la Chiesa posteriore ha rigettati 
fra gli apocrifi (i). 

Nondimeno per ciò che tocca le due Apocalissi l'autóre 
dichiara che diversi fra i preti romani non le volevano 
leggere in chiesa, vale a dire che pendevano incerti sopra 
la loro autenticità. Muratori attribuisce questo catalogo a 
Caio dotto prete romano fiorito tra il 200 e il 220 , il 
quale in un' altra opera rigetta esplicitamente l'Apocalisse 
di san Giovanni, come si dirà qui appresso. 

Nella versione siriaca del Nuovo Testamento detta la 
Semplice, che i critici fanno salire ai primi tempi del cri- 
stianesimo/non si trovano: la II e III epistola di Giovanni, 
la II di Pietro, quella di Giuda e l'Apocalisse; e questa 
esclusione è di gran momento, che la Chiesa siriaca doveva 
credersi fra le meglio informate di ciò che fecero o scris- 
sero gli Apostoli. Abramo Echellense monaco maronita pu- 
blicò un catalogo di Ebed-Jesu patriarca siriaco, nel quale 
anco i detti libri si trovano; ma fu convinto di falsazione 
da monsignor Assemani siriaco e maronita egli pure (2). 
Né Adler li trovò in due codici siriaci del Nuovo Testa- 
mento da lui esaminati a Roma e che sono forse i più an- 

(1) • L*Apocali8se di san Pietro esisteva ancora in arabo nel Ì2Ì0, per- 
chè ne parla Giacomo di Vitry vescovo di Acri, in nna lettera a papa Ono- 
rio HI , e dice che alcuni siriaci gliela avevano fatta vedere è spiegata. 
Spicilegium, Vili, p. 373. 

(2) Assemani, Bibl Orient., tomo UI, pag. 9. 



CANONE CRISTIANO. ii 

tichi che si conoscano (1); e le omesse epistole, edite in 
siriaco ed in latino da Pococke, furono dal dotto editore 
e da altri orientalisti riconosciute di uno stile assai mo- 
derno. 

Gli antichi furono divisi di parere intorno alla autenticità 
dell' epistola agli ebrei attribuita da alcuni a san Clemente 
romano, da altri a san Barnaba; da questi creduta origi- 
nale, da quelli una traduzione; letta in alcune Chiese, non 
voluta da altre (2). La Chiesa romana in ispecie la trattò 
lungamente da apocrifa (3): fu accettata finalmente dai 
Greci, ma non lo fu dalla Chiesa latina .se non dopo il 
400 (4). Quasi un eguale dissenso vi fu sopra le epistole 
di Jacopo e di Giuda, e sopra la II e III di Giovanni; e 
chi escludeva 1' una e chi V altra, e chi anco le rigettava 
tutte come apocrife o di sospetta provenienza. 

Ma fra i libri del Nuovo Testamento quello che incontrò 
più ostacoli fu l'Apocalisse che gli antichi trattarono d'a im- 
postura inventata dall'eretico Cerinto per dar credito alla 
sua chimera del regno millenario. Cajo romano si esprimeva 
di questa forma (6) : « Cerinto usurpando il nome di un 
« grande apostolo, spaccia rivelazioni e meraviglie da lui 
« inventate, che finge essergli state manifestate da un an- 
« gelo, e nelle quali afferma che, dopo la risurrezione. Gesù 
• Cristo regnerà mille anni sulla terra, cui gli uomini pas- 
« scranno in feste e piaceri nella nuova Gerusalemme » , 

Verso il 260 il dotto e pio san Dionigi vescovo di Ales- 
sandria scriveva (6): « Alcuni hanno esaminato da capo a 

(!) Adler, Bihliseh-Kritische Reiie nach Bom,, pag. 98. Altona 1783. 
(i) Origene ciuto da Eusebio, ht. Ecclci. VI, 25, e Gerolamo nel Cata- 
logo degli Scrittori ecclesiastici, art. Paolo e Epist, LXXXV ad Dardanum, 

(3) Eusebio, Ist, Eccles., Ili, J. 

(4) Tilleraont, Memoires pour servir à Vhistoire eceletiastiquet tomo I, 
pag. 86i. Bruxelles i706. 

(5) Eusebio, ht. Ecclei., HI, 28. 

(6) Idem, Ibid.^ VII, 25. 



i6 LIBBO PRIMO 

• fondo t[uest' Apocalisse, e provarono che non vi è senso 
€ comune, che è una impostura, che non è di Giovanni 
« o di altro apostolo, e che è una finzione dell'eretico Ce- 
« rinto, inventata per dar peso al suo regno millenario. 
< Dal canto mio non ardirei rigettarla del tutto , perchè 
« la vedo stimata da vari fedeli, e penso che nasconda un 
€ senso occulto e misterioso che non so capire; ma non 
« convengo che sia del Giovanni di cui abbiamo V E- 
« vangelio ed una lettera canonica (1). Che V autore sia 

• un Giovanni, si può credere perchè lui stesso lo dice: 
€ ma quale e' si sia fra queili che portarono questo nome, 

• è incerto. • 

Aggiunge che TEvangelio e la lettera di Giovanni apo- 
stolo sono scritti con buono stile, mentre l'Apocalisse è 
dettata in pessimo greco, né manca di barbarismi o di 
solecismi. 

N^ 364 il concilio di Laodicea escludeva l'Apocalisse 
dai libri sacri; invece verso il 380 àan Filastrio vescovo 
di Brescia trattava di eresia l'opinione di Cajo, e quasi nei 
medesimo tempo san Gregorio di Nazianzo, sant^AmQlochio 
d'Iconio e la maggior parte de' Greci, se non attribuivano 
l'Apocalisse a Cerinto, almeno le ricusavano un posto fra le 
Scritture. Onde san Gerolamo scriveva a Bardano che come 
ì Latini non ammettevano l'epistola agli ebrei, del paro le 
Chiese greche rigettavano l'Apocalisse di san Giovanni (2). 
E non fra i Greci soltanto, ma nell'Occidente ancora, nel 
633, vi erano molti che, malgrado le decisioni de' concilii 
e dei vescovi romani , non volevano riconoscere l'Apoca- 

(1) Ora ne abbiamo tre, ma san Dionigi, conforme al canone siriaco, e 
ad altri teologhi antichi, ne riconosceva una sola. 

(2) Hieronyra., EpiiU LXXXV ad Dardanum, — Blondel, des Syhilleg, II, 
26. Un antico autore dice aver letto in un codice dell'Apocalisse che questo 
libro non era ricevuto in Ordente; ma soggiunge che lo era in Occidente, nella 
Fenicia ed in Egitto. Spieilegium SoUimenset pag. i55. 



CANONE CRISTIANO. il 

lisse f ra i libri divini, né permettere che si leggesse in 
Chiesa, contro i quali fu necessario minacciar la scomu- 
nica (1). 

Ecco dunque una parte cospicua del Nuovo Testamento 
mtorno a cui i più ortodossi teologi della antichità , che 
si trovavano più vicini alle tradizioni apostoliche , porta- 
rono opinioni non conformi a quelle de' moderni. Pare 
nondimeno che tra il IV e il V secolo le Chiese della Gre- 
cia, dell'Egitto e dell'Occidente si fossero generalmente 
messe d^ accordo nel ricevere come canonici tutti i libri 
che formano di presente il Testamento Nuovo; ma le 
Chiese della Siria ed alcune altre dell'Oriente persevera-' 
rono ad escluderne diversi. 

Aggihngo brevemjente che la prima epistola a Timoteo 
e l'epistola a Tito hanno Farla o di non essere di san Paolo 
di essere state adulterate, per varie espressioni intorno 
alla divinità di Gesù Cristo non conforme alla teologia che 
si vede nelle altre lettere (2). Nella prima di san Giovanni 
vi è un verso sopra la Trinità (V. 7), che non si trova 
ne'codici antichi, e che debb'esservi stato interpolato po- 
steriormente. La prima epistola di san Pietro non è sicu- 
ramente di quest'Apostolo; chi la scrisse è un tale ch^ 
si dà il nome di Silvano, ed è verosimilmente quel mede- 
simo che fu discepolo o collega di san Paolo ed autore in 
comune con lui e con Timoteo delle due epistole ai Tes* 
salonicensj ; vi è menzionato un certo Marco, il quale è 
parimente creduto lo stesso che fu compagno di Paolo e 
di Barnaba. Ms^rco e Silvano erano proseliti ellenisti che 
disertarono la sinagoga e passarono coi loro maestri a pre- 

(1) Quarto eoneilio di Toledo, can. i7. 

(2) Schleiermacher ed Eichhorn , celebri teologi della Germania, hanno 
messo in dubbio T autenticità di queste epistole. Hug porta le loro obbie- 
xioDie vi risponde nella Einleitungin die Scrieftndes Neuen Tettammts, 
tomo U, l il2, 113 e seq., quarta edizione. StuUgard e Tubinga 1847. 



i8 LIBRO PRIMO 

dicare V evangelio ai Gentili ; e le idee teosoflche sparse 
nella lettera sono identiche a quelle insegnate da Paolo. 
Per questo vi è ogni apparenza che ella sia di Paolo e che 
la soprascritta sia stata adulterata da^ suoi discepoli per 
attribuirla a Pietro ed accreditarla presso i cristiani giu- 
daizzanti , che molto fondavano sopra V autorità dell' apo- 
stolo pescatore. 

Il famoso versetto La Chiesa eletta di Babilonia vi sa- 
luta ha dato luogo a molte dispute. 

Eusebio è il primo che per Babilonia intendesse Roma, 
e sembra che tale fosse^ la tradizióne a' suoi tempi (1). 

Alcuni eruditi , come Scalìgero e De Marca , hanno in- 
tesa la Babilonia sulF Eufrate senza ricordare che a quel 
tempo ella era tutta solitudine e rovine (2); e che nel suo 
territorio vi potevano essere ben pochi giudei dopo la 
strage che ne fu fatta verso Tannò 40 (3); Pearson credei 
invece che sia Babilonia in Egitto; ma è sopramodo in- 
certissimo che san Pietro sia stato in Italia, nella Caldea 
o in Egitto^ e tutto ci porta a credere che non sia mai 
uscito dalla Siria. Laddove san Paolo che era prigioniero 
a Roma poteva dire con ragione la Chiesa che è in Babi- 
lonia, volendo alludere alla sua. cattività. 

Per ultimo, T epistola di san Giuda è una cosa affatto 
simile col capo II della seconda epistola attribuita a san 
Pietro, onde si vede essere due traduzioni di un medesi- 
mo originale che non sappiamo se appartenga a san Pietra 
a san Giuda, o a nissuno dei due. 

Una conseguenza innegabile ella è che la Chiesa ha ac^ 
ecttato questi libri senza nissun preventivo esame crìtico 
e senza alcuna garanzia della loro autenticità. 



(1) Eusebio, T$t. Ecelei,, li, 5. 
(i) Plinio, Hist, Nat, VI, 26. 
(3) Giuseppe, Ant»r.hità qiudakke, XYIII, 9. 



LIBRI AI<0CA1FI. i9 

CAPO QUARTO. 

LIBRI APOCRIFI. 

Se la Chiesa antica rigettava dall' elenco dei libri sacri 
alcuni che furono poi ammessi dalla Chiesa moderna, per 
compenso ella ne ammetteva altri sui quali la Chiesa mo- 
derna ha cambiato di parere. 

Fu assai celebre il libro di Enoch, di cui T epistola at- 
tribuita a san Giuda ne porta un passaggio sopra il giu- 
dici© universale , e la II epìstola attribuita a san Pietro 
ne porta un altro relativo alla punizione degli angeli ca« 
duti (1); anco l'autore dell'Apocalisse vi ha preso e imi- 
tato varie immagini, e i più illustri Padri della Chiesa tol- 
sero da esso l' opinione che gli angeli si sieno mescolati 
colle figlie degli uomini ed abbiano generato i giganti. 
Tertulliano lo credette un libro inspirato, e fa molte con- 
ghietture per provare come sia stato salvato dal diluvio 
e pervenuto ai posteri. Origene sta in dubbio; san Cle- 
itìente Alessandrino, sant'Ireneo, sant^Anatolio lo citarono 
con rispetto ; F autore del Sohar lo dice un libro disceso 
dal cielo (2). Fra i cristiani era tuttavia accreditato nel 
400 quando san Sulpizio Severo ne trasse ciò che racconta 
nella sua istoria intorno agli amori degli angeli ed alle ca- 
gioni del diluvio ; e solo verso la fine di quel secolo 
(nel 494) fu da papa Gelasio collocato tra gli apocrifl , se 
il libro delle figlie di Adamo contato nel suo catalogo è 
lo stesso che il libro di Enoch^ 



(I) Judae, 6 e i4; II, 3, confronta col Libro d'Enoch, II e X; 6, «9. 
{%) Le autorità sono portate da Laarónce nella dissiTtazione prelimina- 
re al Libro ^ Enoch. 



so LIBRO PRIMO. 

Perchè dovrò citare più volte questo libro aggiungerò 
che in origine sembra essere stato scritto in lingua siriaca 
caldea , o in qualche altro dei dialetti aramei, indi tra- 
dotto in ebreo volgare ed in greco; ma ora non lo abbia- 
mo più se non in lingua etiopica , dalla quale lo tradusse 
in inglese ^arcivescovo Riccardo Laurence di Cashel in Ir- ' 
landa (1). Quest'erudito suppone, sopra assai probabili con- 
ghietture, che possa essere stato scritto durante il regno 
di Erode da un Giudeo che abitava verso la Colchide dove 
si cì*ede che Salmanassar trasportasse. quei di Samaria. Ma 
quantunque non si possa dubitare che sia anteriore al cri> 
stianesimo e che forse una parte di esso ascenda ad una 
remota antichità, nello stato in cui lo abbiamo, par bene 
che sia un lavoro compilato sopra frammenti e visioni di 
diversi autori, od almeno la interpolazione ed il disordine 
vi appaiono manifesti, né sono dissimulati dal dotto tra- 
duttore (2). 

La seconda e terza sezione, contenenti gli amori degli an- 
geli , la loro caduta e il loro castigo seml)rano una leg- 
genda antichissima, che doveva far corpo con altri miti 
intorno al ratto di Enoch ed alle antecedenze del diluvio 
espressi oscuramente dall'autore della Genesi, o da questo 
libro forse anco tagliati fuori da una mano posteriore. Ol- 
tre al libro di Enoch , la stessa epistola di Giuda (V. 9) , 
estrae da un altro apocrifo, che vuoisi intitolato V a- 
scensione di Mosè, T episodio dell' arcangelo Michele che 



(1) The Book of Enoch the Prophet, etc. Terza edizirae in-d. Oxford 1838. 
Sopra questa di Laurence U dottor» Hoffmann di Jena ha fatto una tra- 
duzione tedesca con prolisse annotazioni. Gfròrer ne tia pubblicata una 
traduzione latina ne' suoi Prophetw veteres pteudepygraphi, in^. Stai- 
tgarda 1840. 

(2) Murray, per un sistema ingegnoso e molto verosimile, ha cercato di 
ordinarlo. Si veda la terza edizione di Laurence. 



LIBRI APOCRIFI. 21 

disputa col diavolo a cagione del corpo di quel legisla- 
tore (1). 

San Paolo recita un passo che san Gerolamo crede 
estratto dall'Apocalisse di Elia, e cita altrove il libro ma- 
gico di Jannes e Mambres registrato fra gli apocrifi da pa- 
pa Gelasio (2). 

Il Pastore di Ermas, libro gnostico-ebionita, fu in prima 
dalla Chiesa romana registrato fra i canonici e come tale 
citato da' vari Padri della Chiesa , poi fu rigettato fra gli 
apocrifi (3). 

Lo stesso Ermas cita gli oracoli di Eldad e di Modad , 
profeti antichi nel numero dei settanta seniori scelti da 
•Mosè (4). 

Gli oracoli delle sibille sono citati frequentemente e con 
autorità canonica dagli antichi teologi, e il Jfllosofo Celso 
imputava i cristiani di averli falsificati. Origene lo nega (5); 

(J) Origene, de Principiis III, 2, S I, e Fabricio, Codex psettdepygraphus, 
tomo I, pag. 839 e seq. Nel Debarim Rabbà si racconta che Samael o 
Satan, angelo della morte, essendo andato per comando di Dio a prendere 
r anima di Mosé, colpito dallo spavento non potè adempire un comando 
che rifiutarono, già prima di lui , di assumersi Michele e Gabriele ; per 
Olì a prendere l'anima di Mosè discese Dio stesso. Eisenmenger, Entdecktet 
hdenthwn, tomo I, pag. 857 e seq. Cosi anche nel Siphri, col. 854, nel 
Thetaurus antiquitatum hehraicarum di Ugolinii tomo XV, e nei due 
trattati rabbinici De Morte Motis , pag. 331 e 360 , nei Propìietce veteres 
fteudepygraphi rac^lti da Gfròrer. 

(2) Corint., I, 9. — Timot, U, III, 8. — Hieronym, in Isaia^ LXIV, 4. 
— Sixti Senensis, Biblioteca sancia, lib. II, pag. 122. 

(3) Frammento antico nelle Antichità d'Italia citato di sopra; e concilio 
di papa Gelasio nel 494. 

{i) Pastore, Visione I, II, 5. Un frammento del succitato antichissimo 
apocrifo anteriore al cristianesimo ci è conservato dal Targum gerosolimi- 
tano e da quello di Jonatan sui Numeri XI, 26. I Samaritani contano 
Eldad e Modad fra i profeti di cui onorano ancóra ì sepolcri. Epist Si- 
chemitarum ad Jobum, Ludolphum, nella GoUcz. di Ugolini , tomo XXII, 
pag. 659. 

(5) Origene, Cantra Celso, VII, 53. 



2S I.IBRO PRIHO 

e r imperatore Costantino nel suo discorso all'assemblea 
de' vescovi, riferisce un acrostico di 27 versi che attri- 
buisce alla sibilla Eritrea, e dice che fu conosciuto e tra- 
dotto in latino anco da Cicerone: il che non è esatta- 
mente vero (i). 

San Clemente Alessandrino che fioriva verso l'anno 190 
ci ha conservato un frammento di san Paolo, o attribuito 
a quest'apostolo, ov' è detto : « Leggete i libri dei Greci, 
« studiate le sibille , e rileverete come insegnino V unità 
€ di Dio e le cose che debbono avvenire. Prendete e leg- 
« gete il libro d' Istaspe , e vi troverete scritto in senso 
« chiaro e aperto ciò che risguarda il figliuolo di Dio (2) » . 
Li oracoli di Zoroastro (3) sono citati nell'Evangelio della 
infanzia ; e quelli d' Istaspe ricordati qui sopra , lo sono 
parimenti da Giustino e da altri. Lo stesso Giustino e 
Tertulliano citano la lettera di Pilato a Tiberio ove narra 
la morte di Gesù. L' autore dell' opera imperfetta sopra 
san Matteo cita il libro di Seth ov'è parlato della stella 
che doveva apparire al nascere del Messia, dei dodici Magi 
e dei donativi che gli avrebbono portato. 

Eusebio nel 325 ci dava ancora per autentiche la let- 
tera di Abgar re di Edessa a Gesù, e la risposta di Gesù 



(1) Rispetto air errore di Costantino intorno l'opinione di Cicerone so- 
pra i libri sibillini, vedi Blondel, de$ Syhilles, I, li e seq. 

(2) Clement., Strom., VIJ pag. 636, edizione di Parigi, e pag. 760, edizione 
Potter. L'autorità dèi libri sibillini non é declinata del tutto nella Chiesa 
romana, come lo prova il noto inno Dies irce, che si legge in tutti i libri 
liturgici, ed ove è citata a testimonio che il mondo sarà distrutto dal fuo- 
co. Nel medesimo senso la citarono anco san Giustino martire, Apolog, 
I, 20, e san Teofilo di Antiochia che ne porta uno squarcio di So versi 
nel lib. II ad Antolico, § 36. 

(3) Cotesti oracoli bisogna che fossero diversi da quelli che possediamo, 
e non meno apocrifi , ne' quali non si trova la cibazione dello Evangelio 
dell'Infanzia. 



LlBni APOCBIFI. 23 

ad Abgar (1); e alla fine del secolo medesimo erano an- 
cora lette in varie chiese e conservate in' più cataloghi 
di libri canonici le Apocalissi di san Pietro e di san 
Paolo (2). 

Lo stesso onore si usava alla epistola di san Barnaba 
ov'è insegnato Terrore del regno millenario e che san 
Clemente Alessandrino credeva autentica; e l'epistola di 
san Clemente Romano era in gran riputazione presso 
molte società cristiane e principalmente in quella di Co- 
rinto (3). 

CAPO QUINTO. 

EVANGELI APOCRIFI. 

Ha ciò che havvi di più notabile è la moltitudine degli 
Evangeli conosciuti dagli antichi. Fabricio raccolse quelli 
sottratti all'edacità del tempo, e i frammenti .e i titoli de- 
gli altri che andarono smarriti e ne fece un catalogo di 50, 
non compresi i quattro che teniamo per autentici; ma 
confessa che molti erano forse diversi nel solo titolo od 
ìd alcune modificazioni iutrodottevi dallo spirito di novità 
di setta. Di quelli che ci pervennero intieri uno è l'E- 
vangelio di Jacopo, o Protevangelio, in cui si racconta là 
nascita , V educazione eie sponsalizie di Marjia , la conce- 
zione miracolosa e la nascita di G^sù, l'arrivo de' Magi e 
la strage de' bambini. 



(1) Easebìq, Storia Eccles., l, 13. 

(2) Sozomeno, Storia Eccki., VII, 19. ' 

(3) Sui libri apocrifi in credito appo i cristiani^ oltre il Fabricio, Codex 
pieudepugraphus, che ne ha raccolti i frammenti, un lungo, ancorché im- 
perfetto catalogo, con ragguagli analoghi, 3i può trovare nella Bihliotheca 
tancta di Sisto da Siena, libro II. 



24 UBao PRIMO 

Il nome di Jacopo che si dà Tautore ha ingannato quelli 
che lo credettero Jacopo il Giusto fratello del Signore ; e 
il titolo di Protevangelio che non si trova ne' nianoscritti 
gli fu dato volgarmente forse perchè suppliva all'Evange- 
lio di Matteo che negli antichi esemplari ebraici incomin- 
ciava soltanto dalla predicazione di Giovanni Battista ; di 
modo che il Protevangelio conteneva i racconti anteriori 
a quest'epoca. Fu pubblicato la prima volta da Guglielmo 
Postel; ma il testo greco non sembra originale: si con- 
tano molte versioni in arabo e ve ne sono foiose anche iu 
siriaco ed in copto. San Gregorio di Nissa, sant'Epifanio 
e più altri autori greci hanno copiate molte cose da que- 
st' Evangelio (1). 

Sembra altresì essere stato conosciuto da Origene, che 
parla di un libro di Jacopo figliuolo di Giuseppe natogli 
4a una prima moglie (2). Ma il Protevangelio, sebbene an- 
tico, non sale sì alto : V autore è un Jacopo sicuramente, 
perocché tal nome si dà egli stesso; ma non può essere 
il fratellodi Gesù, ed Origene senza dubbio fu tratto in errore 
da quanto si legge in alcuni manoscritti ove l'autore dice 
d'aver scritto quella sua istoria nel deserto nel quale si 
^ra ritirato durante i tumulti suscitati in Gerusalemme 
da Erode. Il testo greco publicato da ultimo dal dottore 
Gian Carlo Thilo ha semplicemente : Io Jacopo scrissi que- 
sta istoria in Gerusalemme. 

Se il libro di Seth non è anteriore, il Protevangelio 
sembra il primo che parlasse dei Magi e delle altre circo- 
stanze di quella tradizione. Anche Luca ha varie cose co- 
muni con lui, o modificate di poco : in totale è un libro 

(1) Thilo, Codex apoeriphus Novi Testamenti, nei Prolegomeni , pagina 
LXIII e seq. Di questa nuova collezione (Lipsia IdSS) fa pubblicato sol- 
tanto il prìmo volume, il quale ha molte cose importanti che non si trovano 
in Fabricio, oltre ad un superiore merito nella parte critica e filologica. 

(2) Thilo, ibidem, pag. LXl. 



EVANGEU APOOtlFI. 29 

non privo di merito letterario; è scritto eoa istìle vivace; 
abbonda di esaltazioni poetiche e di racconti nel gusto 
orientale, tramezzo di cui non è difficile scorgere ciò che 
è mitologico da ciò che può essere tradizionale o semi- 
storico. 

Vi furono molti Evangeli della Natività di Maria , deri- 
vati senza dubbio da una fonte comune, ma amplificati ed 
arricchiti con favole dal capriccio dei traduttori e dalla cre- 
scente superstizione. Nel Codex di Tbilo ne abbiamo due 
(oltre a vari altri citati Prolegomeni) l'uno dei quali fu 
attribuito a Matteo, e si pretese che s. Gerolamo lo avesse 
tradotto di ebraico in latino; e 1^ altro è di un tale che 
nel prologo sì dice Jacopo figliuolo di Giuseppe. 

Vi furono parimente molti Evangeli della Infanzia di 
Gesù , i quali in origine sembrano essere stati un solo e 
medesimo lavoro, ma alterato in vario modo nelle varie 
edizioni e traduzioni che se ne fecero in guisa da appa- 
rire opere diverse. Pare che gli Arabi ed i Copti vi abbia- 
no contribuito più degli altri collo inserire nei loro esem- 
plari quante favole andavano pel volgo intorno a' miracoli 
fatti da Gesù bambino durante il suo viaggio in Egitto. 

Il più antico è quello citato da sant' Ireneo, conosciuto 
da Origene e spacciato falsamente sotto il nome di Tom^ 
maso apostolo. Si può credere sia quello stesso di cui ci 
rimane un buon frammento tradotto dal greco in latino 
da Cot^erio. 

Thilo ne ha data una edizione più ampia^ ove l'autore 
si chiama Tommaso filosofo israelita, il che lascia supporre 
tosse qualche monaco od asceta, ai quali veniva dato soli- 
tamente il sopranome di filosofi. 

Un altro Evangelio della Infanzia ancor più prolisso è 

quello che Enrico Sike pubblicò in arabo ed in latino, e 

' che è probabilmente la traduzione di un testo siriaco a 

Crii, degli Ev, Voi. L ' , A 



96 UBftO PRIMO 

cui r interprete arabo fece assai aggiunte di prodigi ove 
* gareggiano il goffo ed ii puerile. 

L'Evangelio di Nicodemo ha per argomento la passione 
di Gesù; ma in via di episodio vi sono annestati i rac- 
conti della sua vita e de' suoi miracoli copiati dai quattro 
Evangeli canonici e da altri apocrifi. Ha infine la rivela- 
zione di Lenzio e Carino , due morti risuscitati , i quali 
narrano la discesa di Gesù tra i morti e la liberazione de' 
patriarchi. É il primo documento in cui si faccia menzione 
"del peccato originale, di ventai to poscia un articolo di fede 
cattolica, 

Quest'Evangelio sotto il nome di Nicodemo non fu co- 
nosciuto dagli antichi : ma pare che si debba separarlo in 
due parti scritte in tempi diversi, la distinzione delle 
quali, alquanto rappezzata nel latino, apparisce molto me- 
glio nel testo greco del professore fhilo. La prima , in 
che racconta la passione di Gesù, è senza dubbio una 
stessa cosa cogli Atti di Pilato citati nelle loro apologie 
da san Giustino e da Tertulliano, e quindi scritti innanzi 
la metà del secolo IL Ne' primi aoni del secolo IV , du- 
rante la persecuzione di Hassimino II, gli etnici composero 
alcuni falsi Atti di Pilato pieni d'ingiùrie contro il cristia- 
nesimo e che per ordine dell'imperatore furono diramati 
nelle provincie, affissi in pubblico e dati a leggere nelle 
scuole (1); ed in quella occasione è ben probabile che i 
cristiani abbiano rifatto gli antichi Atti di Pilato, introdu- 
cendovi aggiunte cavate dai molti Evangeli che avevano 
tuttavia corso, e pubblicati a un dipresso nella forma che 
hanno nella prima parte del succitato Evangelio. Si vede' 
infatti che questa parte fu dettata dal desiderio di prova- 
re ai Romani che Pilato aveva riconosciuta la divinità di 
Gesù Cristo , e confessata la verità dé'suoi miracoli ; che 

(1) Eascbio, Storia Eccles,, IX, K, 



EVANGBU kfWMm» 27 

avea fatto il possibile per salvarlo, ma che dovette pie- 
gare alla furia dei Giudei, al pericolo di una sedizione, 
ed alla tema di essere denunciato a. Ce^re come fautore 
di un ribelle che levava a rumore il popolo e s' intitolava 
re dei Giudei. 

La rivelazione di Lenzio e Carino, Che forma la seconda 
parte , è forse un frammento di alcuna fra le molte tradi- 
zioni apocrife attribuite ad un Lenzio o Leucio, e ad un 
Carino, e in origine sembra essere stata scrìtta contro i 
Marcioniti e le altre sètte che ponevano una distinzione 
fra il Dio del Vecchio Testamento, che figuravano un 
Dio malefico, ed il Dio del Nuovo Testamento più potente 
e jMÙ buono e che aveva mandato ,6esù per sottrarre 
gli uomini dalla tirannia di quello. Secondo loro. Gesù 
discesa tra i morti a predicarvi l'Evangelio, ma i patriarchi 
favoriti dal Dio dei Giudei non gii vollero credere , e 
gli credettero quelli che dal medesimo Dio dei Giudei 
furono odiati , come : Caino , Cam , Esaù , Core, Datan , 
Abiron ed altri che da Gesù Cristo furono salvati. La 
rivelazione di Lenzio è intesa a provare il contrario^ 
e subì forse alcune aggiunte nel secolo V, quando per la 
controversia suscitata da Pelagio e Celestio (nel 405) si co- 
mincia a discutere la questione del peccato originale e ad 
introdurre nel simbolo , come un articolo dogmatico , la 

, discesa di Gesù tra i morti per liberare coloro che la grazia 
del battesimo non aveva salvati. 

Indi può essere che taluno, e forse anco il manipola- 
tore di quella pi^etesa rivelazione, per accreditare meglio 
la sua impostura, l'abbia aggiunta agli Atti di Pilato ; e 
trovando che Nicodemo fa una figura principale , gli sov- 
venne il pensiero di intitolare quell'insieme, Evangelio di 
Nicodemo; o forse tale denominazione gli fu data volgar- 

' mente per lo stesso motivo. 

L'Evangelio detto di Marcione fu molto celebre nell'an- 



28 UBRO PRIIR) 

tichità, ma andò smarrito; tuttavia il dottore Augusto 
Hahn di Lipsia seguendo le traceie iiwiieate da Tertulliano, 
da sant'Epifanio e da altri autori, ne diede il tessuto e 
lo pose a confronto con quello di Luca ; indi Thilo lo ha 
compilato per disteso e pubblicatolo ne^suoi Apocrifi. 

Esso è una cosa medesima coirEvangelio secondo Luca, 
ma incomincia con queste parole : t Nel XV anno dell^im- 
c pero di Tiberio Cesare, il Signore scese in Capernaum, 
€ città della Galilea, ed insegnaya ne'sabbati. » Di forma 
che mancano tutt'intieri i. tre primi capi, tranne le prime 
parole del capo IV fino al verso 31 del testo di Luca ; e 
nel còrpo dell'opera vi sono altre rilevanti differenze, es- 
sendo che nel codice di Marcione siavi niente che risguardi 
r umanità di Cristo. 

Secondo quel teosofo^ il Verbo non nacque da donna, 
non assunse veipuna carne, ma vestendo uri corpo fittizio 
discese immediato dal cielo nella sinagoga di Capernaum. 
Eichhorn e vari altri critici modani pensano che l'E- 
vangelio di Marcione sia più au&ntico delFesemplare di 
Luca, quale lo abbiamo al presente, ed hanno assai pro- 
babilità in loro favore. 

Giustino martire che scriveva verso il 140, non sembra 
aver conosciuti i nostri quattro Evangelii, ^e cita (invece 
gli Apomnemonèumata^ ossia Memorie o Commentari degli 
Apostoli, che hanno somiglianza coi tre primi Evangeli, 
ma che anco ne differiscono per molte cose. Fabrieio ha 
dimenticato di raccogliere i numerosi ed importanti fram- 
menti di questi Commentari^ ma si può vederne una ana- 
lisi parallela presso Eichhorn (1), e avremo anche occa- 
sione di citarli in seguito. 



(1) Eichhorn, Einkitung in das Neue Testamenti %i, B e seq., %* ediz. 
Stroth crede che Giustino martire citi sempre T Evangelio degli ebrei, e 
ne ha riuniti tutti i frammenti in una dissertazione che é od tomo I del 



EVAKI»U APOCRIFI. S9 

I Templari conservarono un Evangelio di san Giovanni, 
tra il quale e il testo comune passano variazioni di non 
lieve importanza che furono raccolte dal professore Thilo. 
Quest'Evangelio, che i Templari portarono dall'Oriente, è 
probabilmente una copia deirEvangeHo secondo Giovanni, 
tal quale era Ietto ed adoperato da alcune fra le antiòhe 
sètte gnostiche e forse dai Valentiniani e dai Setiani. 

CAPO SESTO. 

ALTRI ATTI . APOCRIFI. 

Agli Evangeli possiamo aggiungere gli Atti di Paolo e 
Tecla, che sonò come un supplimento alle gesta di quel- 
r apostolo narrate dagli Atti apostolici. San Gerolamo (1) 
fa dire a Tertulliano, nel trattato del Battesimo, che un 
prete asiatico aveva composto un libro de' viaggi di Paote 
e Tecla', ma che essendo stato convinto di falsità e con- 
fessatosene a san Giovanni apostolo, fu deposto. Tertulliano 
ha niente di simile; si soltanto volendo impugnare alle 
donne il diritto di conferire il battesimo (diritto che oggi 
è liberamente concesso a tutte le levatrici) dice (2): 
e Se furono ascritte a Paolo alcune cose in difesa della 
« licenza che si arrogano le donne d' insegnare la dottrina 
« e di battezzare, sappiano costoro che nell'Asia il prete 



Bepertorium fur MbUuhé vnd morgtnlditdÌ9ehe Liiteràtur di EicàliorB. 
Ma pare piattosto die i Commentari citafi da Giustino aieno %v»kha cotti 
di simile al Diatetiaron di Taziano suo discepolo o più probabilmente 
TEvangeiio detto degli Apostoli. 

(1) De viribui illutU, cap. 7, nella Biblioteca Eceletiastica di Fabri- 
cio, p. 47. 

(8) De btifUimù, eap. i7. 



30 UBRO PRIKO 

« autore di quello scritto, convinto e confesso di averlo 
e intìnto per amore di Paolo, fu deposto dal suo ufficio t . 
Gli Atti di Tecla, a cui non si possono riferire queste pa- 
role e forse neppur quelle di san Gerolamo, sembrano 
scritti verso i tempi di Traiano da un discepolo di Paolo 
da uno che lo conobbe di persona , e che era al fatto 
di alcuni fra i casi delia sua vita. I racconti non mancano 
di verosimiglianza istorica , e' i miracoli non sono punto 
più incredibili di quelli narrati negli Atti canonici degli 
apostoli. I Padri della Chiesa fino al secolo V ed anco più 
innanzi tennero quegli Atti di Tecla per una istoria auten- 
tica e li citarono più volte nelle loro omelie ad ediflca- 
zione de'fedeli. Si hanno per sunto nei Leggendari delle 
sante vergini e in alcune collezioni agiografiche approvate 
dall'autorità ecclesiastica e si leggono per compendio an- 
che nel Breviario romano sotto il 22 settembre. 

Marcello ha scritto le contese di Pietro e Paolo con 
Simone il Mago a Roma, e i prodigi operati da quelli e da 
questo alla presenza di Nerone , che malgrado V evidente 
superiorità taumaturgica dei due apostoli li fece morire. 

Arnobio che scriveva verso il 296 sembra sia stato il 
primo a parlare di questo fatto, o almeno il Tillemont non 
ha saputo trovarne uno più antico; quindi la relazione di 
Marcello, come più ricca di favole, debb' essere posteriore 
a quel dottore della Chiesa. 

Il supposto Abdia di Babilonia scrisse in dieci libri la 
storia degli Apostoli; e sebbene tutti convengano a trat- 
tarlo da impostore, pure è da quella torbida fonte e da 
altre simili che derivarono i racconti intorno ai viaggi ed 
al martirio de^rarii apostoli consecrati ne'Le^endari e nel 
Breviario romano. 

Thilo ci ha data in arabo ed in latino eziandio una leg- 
genda istoria di Giuseppe falegname. É un racconto 
messo in bocca a Gesù, che si suppose averla narrato agli 



Atm ATTI ArO€RIFL ot 

Apostoli sul monte Oliveto; è di data assai recente, in- 
ventato dai Copti o dagli Arabi cristiani dello Egitto , e 
desunto da tradizioni sparse fra il volgo o dagli Evangeli 
apocrifi. Malgrado le superstiziose assurdità^ si vuole che 
alcune Chiese dell' Oriente venerino questa istoria tanto 
quanto un libro sacro. 

E non è da stupirsene, perche la Chiesa di Messina 
prosegue anco a' di nastri a prestare un culto sacro ad 
una lettera di Maria del tenore seguente : 

< Maria Vergine, figlia di Gio^ìchino^ umilissima serva 
e di Dio, madre del Cristo Gesù crocefisso, della tribù di 
e Giuda, delia stirpe di Davide, a tutti i Messinesi salute 
« e benedizione dal Dio padre onnipotente. 

e Consta che voi tutti con gran fede e per pubblico de- 
t creto ci avete mandato Legati e Nunzi, col mezzo dei 
t quali confessate che il nostro figliuolo generato da Dio^ 

• è Dio e uomo, che dopo la sua risurrezione è asceso in 
e cielO; e che mediante la predicazione di.Pado apostolo 

• avete riconosciuta la via della verità; per la qual cosa 
€ noi vi benediciamo colla vostra città, della quale voglia- 

• mo essere la perpetua protettrice. 

ft Dato da Gerusalemme, V anno del nostro figlio XLIT, 
« il 3 delle none di luglio, il XVII della luna, feria V (1) » . 

La Chiesa romana, sempre all'erta per fulminare tutti gli 
autori e tutti i libri che non rendono omaggio alla su- 
perstizione, ha invece consecrata questa impostura che 
mantiene nell'inganno un intiero popolo e la guarentisce 
sotto il manto della sua religione. 



(1) FiJ)rieio, Cùdex bpoeripkut, N, T.« tomo I a pag. Si% e seq. Vedi 
anco ciò che dico nelle note. Questa lettera é riferita andie dal Sandioi, 
Famiglia $aera, pag. 373; Venezia i73ì. SaUa medesima vedi Lambertioi, 
De Canonizatione, lib. IV, p. II, cap. XÌXI, 26. 



^ Lmo PRIMO 

Isacco Beausobre (1) osserva che quantunque la Chiesa 
abbia dichiarati apocrifi i sopra descritti libri, ha nondi- 
meno canonizzate le istorie che contengono ed inseritele 
nelle lezioni, negli' ufficii ecclesiastici e nelle prediche. Cosi 
la storia di sant'Anna e di san Gioachino; T educazione 
della Madonna fra le vergini del tempio; il miracoloso 
sponsalizio di san Giuseppe ; santa Veronica e il sudario 
che si mostra a Roma (2); san Longino che, avendo ferito 
di lancia Gesù, restò spruzzato del sangue divino e recu- 
però la vista (3); sanDisma il buon Ladrone che i Marti- 
rologi commemorano ai 25 di marzo (4); il peccato ori- 
ginale e la discesa di Cristo tra i morti; Tistoria dì santa 
Tecla; l'andata di san Pietro a Roma e i suoi contrasti 
con Simon Mago raccontati seriamente non pure dal vec- 
chio cardinale Baronio , ma anco dal moderno cardinale 
Orsi (8); i miracoli e la morte di san Pietro in quella 
medesima città di Roma, che secondo ogni verosimiglianza 
istorica non vide mai; — queste e moltissime altre cose 
sono tutte quante ricavate e guarentite dai libri apocrifi. 
* Ma la Chiesa si è attenuta al precetto di san Paolo (6) : 
< Fate saggio di ogni cosa e scegliete ciò che è buono > : 
ha rigettalo i libri perchè sono apocrifi, ed ha ricevute 
le istorie contenute nei libri, come se fossero vere. 

Come un di mezzo fra i canonici e gli apocrifi si può 
collocare il simbolo, detto degli Apostoli. 

(1) Hiitoire chi Manichéisme, tomo I, pag. 349. 

(2) Baronio^ Atmales. Eecles, ad an, 34, § i38^ i9i, e Lambertini, Ih 
Canonizatwiie, lib. IV, par. II, cap. XXX, 12. 

(3) Daii'894 in poi, la città dì Mantova rende culto at favoloso Longino, 
ed a due vasi di preteso sangue di Gesù Cristo. Sopra di ciò ve^ Mm- 
berti ni, De Canonizaiionet lib. IV, par. II, cap. X, 8. 

(4) Baronio, nel Martirologio romano, 25 mano, nota g. — Ivi é chia- 
mato san Ladroneil 

(5) Ora, Storia Eeek$iatU€a, U, 19. 

(6) Tessalon., I, V. 21. 



alth atti APocRin. 33 

Simbolo era il scgao o la parola d'ordine usata dai sol* 
dati, che si davano gli iniziati ai misteri (1). 

I cristiani dei primi tempi costituivano una specie di 
milizia od una società segreta, ordinata nelle forme e coi 
modi di quelle che esistono anche oggidì, e che sono per- 
seguitati dai principi di adesso, comò i cristiani erano 
perseguitati dai principi di allora. Si adunavano di notte 
e in luoghi solitari ; avevano misteri che era proibito di 
rivelare; con pene gravissime (»*oibito parimente di co- 
municare ai profani i libri sacri della Chiesa; gii aspiranti 
erano ammessi e provati facendoli passare per vari gradi; 
gli accoliti che erano i segretari e i messaggeri de'vescovi 
erano tenuti ad un rigoroso segreto; i fedeli incontran- 
dosi si riconoscevano a segni ed a parole di convenzione; 
andando in viaggio portavano con seco le cosi dette Idt- 
tere formate che contradistinte da sigilli detti formae e 
scritte con cifre e caratteri di convenzione inventati ap- 
positamente dai vescovi onde sottrarre le loro corrispon- 
denze alla curiosità dei profani, servivano a farsi ricono- 
scere dalle altre comunità (f) ;. per ulfimo, adottarono un 
simbolo per riconoscersi ed essere ammessi nelle loro as- 
seinblee e per escluderne i non iniziati. Da prima sarà 
stato di pochi articoli ; ìndi secondo il talento o la neces- 
sità fu acciresciuto e variato in modo che ciascuna Chiesa 
aveva il suo ; e quello che l'una aggii^ngeva venne poscia 
adottato o corretto dall' altra. 

Siccome il simbolo formava parte delk dottrina segreta 
de'cristiani, cosi era tenuto occulto; ma dopo Costantino 
non vi fu più questo bisogno, e sembra che il primo ad 
esser pubblicato fosse quello di Nicea. 

Quello -attribuito agli Apostoli venne dopo verso la fine 



(i) 1. G. Vomì, Jh tribus iimMii, pag. 13. 

(2) Dodwell, DiaertatUmet CppriaiUcw, II, pag. i7, e seq. 



54 uno mmo 

deK secolo IV; rmperocchè Rafloo di Àquilea e sant'Ago- 
stino sono i primi che ne parlino ; ed a sant'Agostino fu 
imputata la storiella che ciascun apostolo ne componesse 
un articolo (1), ma i Padri Benedettini Khanno levata via 
dalla loro edizione. É però certo che fu an^messa da. san 
Leone papa (2), donde passò agli altri teologi cattolici. Gian 
Gherardo Yossio prese a confi*ontare alcuni fra i più an- 
tichi simboli, ne' quali ha rilevato differenze notabili; e 
segnatamente in uno adoperato dalla Chiesa di Roma , in 
un altro adottato dalle Chiese d' Oriente, e in quelli di- 
Nicea del 325, di Costantinopoli del 381, e di Gerusalem- 
me conunentate da san Cirillo morto nel 386, non si vede 
rammemorato il dogma che Gesù Cristo sia disceso tra 
i morti , il quale solo s' incomincia a trovare nel simbolo 
di Aquilea citato da Ruflno verso il 400 (3). 

CAPO SETTIMO. 

GLI EVANGELI CANONICI FURONO DETERMINATI DAL CASO. 

Nella moltitudine degli Evangeli di cui cinquanta o circa 
furono riprovati come falsi, e quattro soli furono ricevuti 
come veri, è naturale che uomo si faccia a chiedere quali 
precauzioni e quali norme di critica furono adoperate per 
verificare l'autenticità dei quattro e la falsità dai cinquanta? 
Come fu verificato che questi quattro appartengono vera* 
B^nte agli autori di cui portano il nome? E che il testo 

(1) Xistis Senensis, Bt&liofA. Sanetm, lib. II, pag. dO. 

(2) Epitioìa XCVI ad Pukheriam Augtistam, 

(3) Oltre le citate dissertazioni del Yossio vedi anco Binghamii, Origitus 
tccUsiasliccef libr. X, capo 4, ove ha raccolto e confrontato i frammenti 
di sedici più simboli, cofliincUodo da quello di s. Ireaeo, che é il più 
antico. 



6U EVANGELI CUHOMCI ECC. 35 

quale lo abbiamo al presente ci sia stato tramandato in- 
tegerrimo; o che avendo patita alcuna alterazione, non si 
può dubitare che ne abbia patite più altre, e che non es- 
sendo più tal quale lo fece 1' autore, manchi dei caratteri 
essenziali ad un genuino autografo ? 

Cominciando dalla prima domanda, chi mai può asserire 
che la Chiesa antica prima di ripudiare gli uni ed ammet- 
tere gli altri Evangeli abbia fatto un esame crìtico di 
tutti , e ad uno ad uno abbia verì Acato i fatti contenuti 
da loro ed ammessili od esclusili secondo la risultanza 
delle prove? 

Vi è forse chi allega che ove le istorie avessero bisogno 
di una così rigorosa dimostrazione, poche o ninne sareb- 
bero meritevoli di fede, e che un pirronismo generale 
dovrebbe prevalere sopra le verità morali ammesse da utì 
quasi unanime consenso. Imperocché chi è che abbia prèse 
in tempo le opportune informazioni per sapere se Tito 
Livio e Tacito abbiano scritto niente più che la pura ve- 
rità, o se i libri di Erodoto o di Senofonte sieno di loro 
e non di altri ? Ma si può rispondere che in quanto a 
Livio e a Tstcito o a qualsiasi altro istorico profano, è li- 
bero a ciascuno di credere ciò che vuole, di ammetterne 
una parte e di rigettarne un'altra; di ritenerne i racconti 
per certi o soltanto per probabili, oppure per inventati; 
di confrontarli nelle cose discordi, e di attribuire più cre- 
dito a questo che a quello; e se ci narrano fatti sopra- 
naturali, noi possiamo crederli fantasie o menzogne senza 
die ninna cosa ci obblighi diversamente. Ma gli Evangeli 
sono un dogma storico; essi sono la prova infallibile di 
una religione rivelata da Dio agli uomini, quindi tutto in 
loro debb'essere vero; o se vi è una sola falsità^ tutto può 
essere falso ; o se vi è una sola inesattezza o un solo er- 
rore, tutto può essere inesatto od erroneo. 

Importa dunque moltissimo di essere sovranamente certi 



36 LIBSO PRIKO 

che sleso di Matteo e di Giovaani, ossia di due compa- 
gni di Gesù e testimoni oculari delle cose che narrano; 
o di Marco o di Luca che possono averle ricavate da te- 
stimoni oculari. 

In questo caso , increduli o credenti che noi vogliamo 
essere, saremmo sempre obbligati dalla ragione a prestar 
loro un grado di fede, che non potremmo concedere ad 
altre persone; e »e fodero persone sconosciute, non pure 
non saremmo tenuti a prestar loro una piena fede, ma ci 
troveremmo nel diritto, prima di prestargliene alcuna, di 
domandare chi essi sono, quando scrissero, donde tras- 
sero le notizie che ci somministrano e quali sono i titoli 
e i certiflcati della loro autorità; e dovremmo anco veri- 
ficare se colui che ha usurpato il nome di un apostolo o 
di un suo discepolo non fosse per avventura un impo- 
store che ha voluto ingannarci o un credulo che restò in- 
gannato. 

Fra^ quattro istorici profani che abbiano scritto sopra ii 
medesimo argonwnto, se vi sono delle diversità, noi sce- 
gliamo quello che ci sembra più vero; ma se gli Evangeli 
sono un codice divinamente ispirato, fra i quattro autori 
non vi debb^essere contradizione neppure apparente; tutti 
devono aver detta la verità ad un modo^ tutti devono es- 
sere stati egualmente bene informati; nissuna omissione 
importante; e la massima conformità o il massimo le- 
game ne' racconti, non solo nel fondo, ma eziandio nei 
minimi ace^sorii; cosi che non sia Msogno di ricorrere 
ogni momento a congett«*e e ad ipotesi per conciliarli 
fra loro. 

Sant^Agostino dice che le Sacre Scritture non potreb- 
bone più essere autorevoli, se in loro si fossero introdotte 
falsità sebbene ufficiose (1), Eppure gli Evangeli e le loro 



(1) Ad Hieronpmum, epist IX, ed in Graziano Gan., Si ad Scripturas, 
dist. IX, e la Glossa sopra qaesto canone. 



GLI EVAIT^LI CAJfOfflCI ECC. 37 

istorie sono un miracolo continuo nell'ordine fisico e nel- 
r ordine morale ; e come i miracoli escono dal corso or- 
dinarto delle cose umsoie e infrangono le leggi che regolano 
il mondo, cosi sono per sé stessi un fatto incredibile, né 
scema la incredulità la moltitudine de' testimoni cbe si 
dice essere stali presentilo perchè quella moltitudine non 
è vera, o perchè sono abbastanza noti i prestigi della su- 
perstizione e della ciarlataneria. Il Padre Combefl^ dice 
che la mano di Dio è onnipotente , ma concede che la 
semplicità dei popoli è fàcile ad essere ingannata con falsi 
miracoli (1). E il TiUemont, che in punto a miracoli è tut- 
t'altro che un miscredente, osserva (2) : < che quanto più 
€ gli avvenimenti sono grandi, tanto più hanno bisogno di 
« prove. certe ed autentiche ». In fatti, se mille idioti 
attestano di avere veduto co^ propri occhi un miracolo, e 
se un osservatore giudizioso oppone che miracolo non c'è, 
è chiaro che bisogna metter f^de piuttosto neiruno che 
nei mille. 

Ora, quali so.no le guarentigie che ci porgono gli Evan- 
gelisti e per cui ci sia mjBstieri di rinunciare alla diuturna 
esperienza per credere che una vergine ha partorito, o 
che un morto fu risuscitato ? Chi ci accerta che un fatto 
essenziale raccontato dall'uno fu omesso dall'altro a bello 
studio e non perchè lo ignorasse? E il dissenso che regna 
fra loro chi è che sa conciliarlo con ragioni assolute e 
non con ipotesi o stentate o inverosimili? Chi è che può 
assicurare che nel racconto de'miracoli non furono ingan- 
nati ingannatori? Essi narrano avvenimenti al sommo 
straordinari e che dovettero eccitare lo stupore di tutti i 
contemporanei, oppure nissùno ne parla, e gli Evangelisti 
medesimi confessano l'incredulità invincibile de'contempo- 



(1) Avctarium ad BiblJMth, Patrwn.^ tomo m, pag. 479. 

(2) Mèmoirei pour servir à Vhistoire eccletiastique, tomo I, pag. il64. 



58 LIBBO FRISO 

ranei. Da qui si vede quanto sia indispensabile di cono* 
soere quale esame critico abbia preceduto alla scelta dei 
quattro Evangeli , e come quest' esame sia il punto car- 
dinale sopra cui si appoggia tutta la nostra credenza {sto- 
rica. La Chiesa ha ella tenuta un' assemblea generale ? I 
Padri della Chiesa riuniti in corpo ! rappresentativo della 
universalità dei fedeli, hanno eglino sottoposto ad una 
critica discussione quella numerosa suppellettile di Evan- 
geli, e dopo un maturo esame determinato il mimerò dei 
quattro autentici, e rigettati tutti gli altri come apocrifi? 
Già verso il i80 troviamo stabilito il dogma esclusivo dei 
quattro Evangeli e se interroghiamo sant* Ireneo, che vi- 
veva allora , ed è il primo che ne faccia menzione nel 
combattere i Gnostici (1) , egli risponde gravemente che 
quantunque vi sieno molti Evangeli, pure essi devono es- 
sere uè più né meno di quattro ; perchè quattro sono le 
regioni del mondo e quattro i principali spiriti (o venti) ; 
e che la Chiesa essendo sparsa per tutta la terra, e co- 
lonna e firmamento della Chiesa essendo l'Evangelio e Io 
spirito della vita, ne segue che la medesima Chiesa debbo 
avere quattro Evangeli, i quali simili a colonne incorrut- 
tibili, purifichino e \iviflchino gli uomini. 

Aggiunge ancora che i cherubini i quali attorniano il 
trono del Verbo essendo di quattro specie, di cui V una 
somiglia ad un leone, la seconda ad un vitello, la terza 
ad un uomo , la quarta ad un' aquila , simboli della po- 
tenza del regno di Dio , della vittima e del sacerdozio 
della umanità di Cristo e dello Spirito Santo che fortifica 
la Chiesa colle sue grazie : si ha ragione d'inferirne essere 



(1) Secondo Vittore vescovo di Gapna che fioriva verso il 550, san Poli- 
carpo tra il 140 e il 150 sarebbe il primo a parlare dei quattro Evangeli» 
ma rantenticità della sua citazione paò essere revocata in dubbio. Gallandi, 
BUA, Veterwn patrvm, tomo II, pag. 53i. 



GLI EVAKOLI CABOmCI ECC. 39 

slata ìntenzioDe del Verbo che vi fossero quattro Evangéli 
e DOD più, scritti in quattro diverse forme , ma con un 
solo spirito (1). ' • ' 

Origene fiorito poco dopo sant'Ireneo, confessa che fu- 
rono scritti molti Evangeli; ma aggiungendo che quattro 
soli furono scelti e tramandati alla Chiesa , avrebbe do- 
vuto dirci altresì da chi furono scelti^ e quando e con quali 
regole di critica fu fatta la scelta (2). 

L'argomento di sant'Ireneo dedotto dai cherubini distinti 
ìd quattro specie di animali, è al tutto cabalistico. L'A- 
pocalisse nel descrivere que^ cherubini che circondano il 
trono dell'Onnipotente, e cantano Santo, Santo, Santo, 
ha preso ad imitare il carro veduto da Ezechiele , tirato 
da quattro animali con quattro ali e quattro volti; l'uno 
volto d^uomo, l'altro di leone, il terzo di bue ed il quarto 
di aquila ; essi andavano ove li conduceva lo spirito — e 
lo spirito è quello che soffia dai quattro venti e vivifica i 
morti (3). 

Quel carro ha fornito ai cabalati giudei una sorgente 
inesausta di dottrine misteriose; e se essi vi ravvisarono 
gli arcani dell'esistenza di Dio come un infinito inefi^abile , 
e della sua manifestazione per mezzo de' suoi attributi e 
del suo Verbo, indi l'opera della creazione donde uscirono 
primamente un mondo archetipo od ideale, e quattro altri 
mondi: i mistici cristiani, imbevuti alle medesime fonti 
di dottrina segreta, ravvisarono nella visione dell'esule di 
Patmos conciliata con quella d'Ezechiele, P onnipotenza e 
la gloria del Verbo, la sua azione sulla umanità, il mondo 
diviso in quattro parti ed ove spirano quattro spiriti, 



(1) Ireneo, Contro ^ li eretici. III, U, pag. 221. 

(2) Origene, Homilia /, ad Lucam, 

(3) Ezechiele, I, i e seq. XXXVII, 9 e stq. ConfronU coUMpocaIisj«, 
IV, 6 e seq. 



40 UBM PIO» 

qaindi la necessità di soli quattro Evangeli, che a guisa 
di colonne sostengano le quattro parti del mondo , e da 
cui' esce lo spirito che depura e vivifica gli uomini. 

Da questo modo di argomentare, ebbe pur luogo P al- 
legorica applicazione dei quattro animali ai quattro Evan- 
gelisti: per cui Matteo è figurato come un angelo, Marco 
come un leone, Luca come un bue, e Giovanni come un' 
aquila. Ma tranne i mistici, è difficile che altri sia per ap- 
pagarsi di ragionamenti cosi poco sodi , e che non hanno 
alcun valore in faccia alla storia e alla critica. 

CAPO OHAVO. 

NON È CERTO CHE GLI EVANGELI SIANO DELL'AUTORE 
DI CUI PORTANO IL NOME. 

Ordinariamente gli interpreti appoggiati all'autorità di 
Teofilatto, autore dell' XI secolo, ammettono come cosa 
certa, che Matteo scrisse il suo Evangelio otto anni dopo 
l'ascensione di Cristo, cioè verso l'anno 40; Marco due 
anni dopo. Luca cinque anni dopo Marco, e Giovanni tren- 
ta anni dopo l'ascensione, od anco, secondo altri, alla fine 
del primo secolo. Ma sant' Ireneo che viveva sul tramonto 
del secondo secolo, e che nella sua gioventù aveva cono- 
sciuto san Policarpo, afferma che Matteo scrisse il suo 
Evangelio quando Pietro e Paolo evangelizzavano a Roma 
e fondavano quella Chiesa, e che dopo la loro morte scrisse 
Marco, ed in seguito Luca; per ultimo. pone Giovanni, 
che compose il suo Evangelio quand' era ad Efeso, ina non 
destina il tempo (1). 

(1) Ireneo, Adv. Htum^ IH, 1, e le osseryazioDi di Grabe su questo 
luogo. 



non È CERTO CBB eu bvangeli ecc. M 

Vera o falsa che sia l'andata di Pietro a Roma, resta 
sempre vero che Paolo non vi giunse prima dell'anno 61> 
quindi il primo Evangelio, seguendo sant'Ireneo, non 
può essere stato scritto innanzi quest' epoca. San Paolo 
scomparve dalla scena istorica l'anno 63 o 64, e si pone 
la sua morte qualche anno dopo, per cui ne segue che il 
secondo e terzo Evangelio furono scritti dopo l'anno 66 (1). 

Con tutto questo il primo a farei sapere che Matteo e 
Marcò scrissero un Evangelio è san Papias vescovo di /era- 
poli nella Frigia, il quale non può avere fiorito prima del- 
l' anno 120, e forse anco più tardi, se è vero che sia morto 
fra il 160 e il 180. Il più singolare sì è che Papias era 
stato discepolo di Giovanni presbiteri, il quale a sua volta 
k) era stato Giovanni Evangelista, ed aveva conversato eoa 
altri discepoli ed amici degli Apostoli , di cui in un libro 
raccolse le sentenze ; con tutto ciò non fa parola uè del- 
l' Evangelio di Luca che doveva essere conosciuto da 60 
anni , né di quello di Giovanni che doveva essere sparso 
per tutta l'Asia (2). 

Non si ha notizia delP Evangelio di Luca prima di Ikr- 
clone, che lo corresse verso l'anno 136. Questo eretico, 
abbenchè segregato dalla Chiesa, era uomo profondamente 
pio, e fu appunto la troppa sua pietà che lo trascinò nella 
eresia; quindi non era tale da mettere una sacrilega falce 
in un Evangelio che la pubblica opinione avesse con cer- 
tezza attribuito a Luca, ancor ch'egh lo credesse un titolo 



(1) Hag celebre teologo cattolico ha addotto varie ragioni per sostenere 
ébe TEvangelìo secondo Matteo fa scrìtto verso Tanno 68. Ma le stesse ra- 
gioDÌ, cioè le allusioni alla guerra giudaica ed aH' esito infelice che essa 
étibSf ci persuadono che quell'Evangelio fu scritto dopo Tanno 70, cioè dopo 
la distruzione del tempio. Veggasi la sua Etnkittmg in die SehrifUn ie$ 
Neven Testamenti, tomo II, $ 6, 4.* edizione. 

(2) Su Papias vedi Eua^io, Istoria Euìesiast,, lU, 38. 

Crii, degli Ev. Voi. I. 5 



4S Limio PRIMO 

supposto. Bisogna che fra gli esemplari passassero diversità 
jiotabiii, le quali a Marcione suggerirono il pensiero di 
fame una collazione critica, e prepararne una edizione cor- 
retta e ridotta a quella eh' egli credeva la primitiva verità. 
Ed avendo trovato un gran numero di seguaci, fln anco 
ju Boma, che parteciparono alle sue opinioni, convien cre- 
dere che l'autorità di un Evangelio di Luca non fosse an- 
<5ora sodamente stabilita. 

- Né sant'Ignazio vescovo d'Antiochia, che visse quando 
viveva Giovanni Evangelista, né san Policarpo vescovo di 
SflQiirne, che fioriva poco dopo e pati il martirio alla metà 
del secondo secolo (1), né san Clemente Bomano, né san Bar* 
oaba, né san Giustino martire, convertito verso il 130 e 
morto verso il 167, parlano dell'Evangelio di san Giovanni, 
citato la prima volta da san Teofilo vescovo d'Antiochia 
che scriveva Panno 170. E quantunque fosse già conosciuto 
Dello Egitto^ perché lo cita san Clemente di Alessandria, 
che fioriva intorno al medesimo tempo o pochi anni dopo^ 
é notabile che nel 196 fosse, per quel che sembra, scono- 
sciuto ad Efeso, cioè nella città medesima ove si suppone 
che Giovanni lo abbia scritto ; perché san Policrate vescovo 
di Efeso, chiamando Giovanni dottore, vescovo e martire, 
e dicendo che ebbe l'onore di riposare sul petto del Si- 
gnore, e che come gran sacerdote portava una lamina sulla 
iron\e, non dice che fosse anco evangelista, che di tutti i 
titoli era il più utile e il più opportuno al suo scopo (2). 
Un altro argomenti^ contro l'autenticità di questo Evan- 



(i) « Dell' anoo ia cui Policarpo pali il martirio, è molta diversità fra 

• gli scrittori; Eusebio pone l'anno 167, Usserio e Bucherio Tanno 169, 

• Petit Fanno 475; ma il nostro dottissimo Pearson vuole che sia Tanno 147, 
« il che egli dimostra prolissamente o con argomenti di vario genere ». 
Cave, Hittor. liter, eccles,, tomo I, pag. 44, ediaàone di BasUea 1741. 

(2) LeU2ra a Vittore in Eusebio, I^t^. Eccle$., V, 24. 



HON E CERTO CQB GU EVAUGELI ICC 43 

gdio e^i è che le prime notizie di lui si lianno dai Mon- 
tanisti^ la coi sètta cominciò nella Frigia verso l'anno 157; 
e per principio di opposizione a quei visionari vennero gli 
Alogi (1) sparsi nella stessa provincia (verso il 190) ^be 
conformi in tutto alle credenze della Chiesa grande, solo 
rigettavano l'Evangelio che si spacciava sotto il nome di 
Giovanni apostolo, e che imputavano all' eretico Cerinto. 
Quella ignoranza di san Polierate e questa opposizione degli 
Alogi; nel paese medesimo ove doveva essere la maggiori 
certezza intorno all'Evangelio in causa, sono un fatto no- 
tabile. Ha in quel medesimo tempo, sant'Ireneo, nato a 
Smirne o nella Frigm, mst trasportato da giovane nelle 
Gallie, ignaro di ciò che accadeva nel suo paes^, cominciò 
ad accreditare l'Evangelio di Giovanni confutando i Valen- 
tiniani ed i Setiani, che se ne servivano e pretendevano di 
trovarvi le loro opinioni (2); e sostenne che l'Apostolo Io 
aveva scritto per confutare l'eresia di Cerinto. 

Cosi nelle Gallie e nella Frigia l'ardore della controversia 
e l'ignoranza delle reciproche opinioni^ conduceva gli orto- 
dossi a principi! affatto opposti. Secondo i teologhi della 
Frigia (che per essere sul paese potevano essere meglio in- 
formati) il quarto Evangelio era opera non deir apostolo 
Giovanni, ma dell'eretico Cerinto, che per ingannare i 
fedeli usurpava un nome venerabile, come lo aveva usur- 
pato fingendo TApocalisse; e secondo il vescovo di Lione 
era genuinamente di Giovanni, che lo aveva scritto contro 
la dottrina di Cerinto: quelli vi trovavano i dogmi cerin- 
tiani; questo la confutazione. Ma poiché l'Evangelio fu 



(1) Alogi cioè Irragionevoli è un sopranome che sant'Epifanio diede a 
tutti quelli che rigettavano il quart' Evangelio, i quali non fecero mai una 
sètta particolare, ma vissero uniti alla Chiesa ortodossa. 

(2) - Il loro Evangelio • dice Ireneo, IT, 22, parlando dell'Evangelio di 
Giovanni. 



44 LIBHO PftDiO 

ascritto fra i libri canonici^ che Ireneo ebbe titolo di santo 
e di Padre della Chiesa, a togliere la contradiztone fu tro- 
vato il ripiego di mettere gli Alogi fra gli Eretici; e chi sa 
che fra costoro non vi fossero discepoli dei discepoli di 
san Giovanni? 

Non vi è dunque veruna certezza che i quattro Evangeli 
siano di coloro di cui portano il nome; essi s'insinuarono 
r un dopo Faltro quasi clandestinamente e molti anni dopo 
la morte dei supposti loro autori. Quelli di Matteo e di Marco 
cominciano ad essere nominati verso V anno 180 , a dir 
poco, cioè 30 40 anni approssttìdatlvamente dopo la morte 
di quei due apostoli. Si vuole che Marco abbia scritto il 
suo Evangelio in Italia (1); ma il primo che ne parli è un 
vescovo delia Frigia, e san Clemente Romano, che non 
avrebbe dovuto ignorare l'esistenza di un simile Evangelio, 
Jo cita neppure indirettamente. Solo verso ii 135 si co- 
mincia a parlare di un EvàngeHo di Luca, che pure si 
vuole essere stato scritto 60 o 70 anni prima: una sètta 
cristiana assai numerosa e molto divota ritiene che Luca 
non ne è l'autore e che gM esemplari sono stati corrotti. 
Si comincia a parlare di un Evangelio di Giovanni un 
mezzo secolo dopo la sua morte, e quelli che sono sul 
paese e che dovrebbono essere i più sicuri testimoni, sono 
precisamente quelli che e' inspirano i maggiori (lubbi sopra 
la di lui autenticità. 



<1) Eusebio, Storia Eecki., U, 15. 



IL TESTO DEMI EYAKGELI ECC. 45 

CAPO NONO. 

IL TESTO DEGLI EVANGELI È STATO ALTERATO. 

Non possediamo più gli originali dei quattro Evangeli, ed 
ignoriamo quando furono editi e persino la storica loro 
esistenza. Quando fu scoperto il preteso corpo dì san Bar- 
naba verso l^nno 488 gli si trovò sul petto l'Evangelio 
di Matteo, copiato di propria mano da esso Barnaba, e 
scritto sopra tavolette di thyne^ legno assai raro che veniva 
dalle Indie. LMmperatore Zenone volle averlo, lo baciò 
con rispetto, lo arricchì d'oro e lo fece custodire nel te- 
soro del palazzo. Gli autori non dicono che fosse in ebraico, 
e sembra che fosse in greco, perchè tutti gli anni al gio- 
vedì santo si leggeva l'Evangelio in quel codice nella cap- 
pella del palazzo (1). Questa storiella che ha per malleva- 
dori Teodoro Lettore e Svida, venuti troppo tardi e troppo . 
screditati per meritar fede, non è ammessa dal Tillemont, 
il quale ha sospetta anco la genuità dell'esemplare ebraico» 
di san Matteo, che si conservava, secondo san Gerolamo, 
nella biblioteca di Cesarea; come l'abate Du-Pin non presta 
fede all' altro esemplare, pure ebraico, del medesimo Evan- 
gelio, che san Bartolomeo lasciò nelle Indie e che fu sco- 
perto e portato ad Alessandria da san Panteno (2). Pare 
si del)ba esprimere una istessa opinione sopra quanto as- 
serisce la Cronaca Alessandrina, che l'originale dell'Evan- 
gelio di "san Giovanni si conservava ancora nel VII secolo 
dalla Chiesa di Efeso, essendoché si può dubitare se quet- 

(i) TiUonont» mmiru pomr w^ à rAlifCeMet., tono HI, ptr« ì, 
pag. 518. 



46 uimo ntofo 

l'apostolo sia mai stato ad Efeso, e se non fu confuso con 
un altro Giovanni che ivi si era acquistata qualche ripu- 
tazione. 

I Veneziani vantavano l'originale deir Evangelio di Marco 
tolto, alla Chiesa d'Aquil^a, e la cattedrale di Praga ne 
vantava due quaderni tolti alla medesima Chiesa; ma que- 
sto pretesa autografo lacerato in due parti è niente altro 
che un antichissimo esemplare della traduzione di san Ge- 
rolamo (1). 

Infine fra le glorie della biblioteca regia dell' Escuriale 
in Ispagna vi era il preteso autografo di san Luca scritto 
in lettere d'oro. Al qual proposito non è inutile di osser- 
vare che nei secoli barbari usavano i missionari di sor- 
prendere la credulità od allettare la superstizione dei po- 
poli facendo loro vedere libri scritti con oro e con ele- 
ganti miniature, e gli idioti facilmente si persuadevano che 
ni un altro fuori che un angelo od un santo era capace di 
cosi bel lavoro. Cosi, a cagión 4i esempip^ adoperò san Bo- 
nifacio il grande apostolo della Germania, quando per in- 
fondere ne' Sassoni un alto concetto di san Pietro, ne fece 
trascrivere le epistole in caratteri d'oro con fregi e minia- 
ture da uno de' più esperti calligrafi (2). 

Quegli esemplari venerati coma reliquie, passati da uno 
ad un altro tesoro, si mantennero in fama fra il volgo per 
la diligenza dei preti e pei guadagni che loro fruttava la 
popolare superstizione. 

I Greci non solo correvano a queste frodi pi^ quanto i 
Latini, ma furono i primi ad inventare apocrife scritture 
e a far calare dal cielo sante immagini pjnte o da un an- 



(1) Si può vedere la storia di questo codice nella prefazione all*fi0afi^- 
liarimn qwidimpk» M BkMchiirt, ed in Dobrawskt, ^ra^ménkm ptagé^e 
£vang»Ui i. Marci, vulgo autographi. 

(2) S. Bonifacii, EpUU ad Eadbwrgam,'\xk Barafeii ad MB, ^ | t. 



IL TESTO DEGLI EVANGELI ECa 47 

gelo o da san Luca, e la loro passione per le reliquie andò 
a tale eccesso da essere signi flcata scarsamente chiamandola 
fanatismo. Quindi non bisogna fare alcun conto di que'pre* 
tesi autografi, come nissuno ne fecero gli uomini dotti, é 
se vogliamo conoscere la verità ci conviene appigliarci alla 
storia ^d alla critica. 

Surti dunque cosi clandestinamente i quattro EvangeH^ 
e propagatisi a forza di copie fatte Puna sopra l'altra, dove 
gli errori commessi nella seconda passavano nella terza e si 
moltiplicavano col moltiplicar degli esemplari, è facile il 
supporre che non poterono pervenire a noi nella primitiva 
loro integrità; massime che fra molte sètte cristiane che 
si disputavano il campo della verità, le une toglievano e te 
altre aggiungevano' qualche cosa: oltre che gli amenuensi 
erano soliti a trasportare nel testo le postille che taluno 
aveva scritto sul margine dell'esemplare che essi copiavano. 
Giovanni Mill nella celebre sua edizione del Nuovo Testa- 
mento ha raccolte più di 30 mila varianti, di cui molte non 
sono che errori di ortografia o cose di lieve- momento, ma 
ve ne sono assai che mutano il senso (1). Altre varianti si 
trovano nella edizione del dottore Mattei, cavate dai codici 
di Mosca e da altri della Germaina; e se vi aggiungiamo tutte 
quelle che i moderni critici rivelarono qua e là, e special- 
mente nei codici greci e siriaci della Vaticana, ne avremo 
non. meno di 40 a 50 mila, vale a dire, quanto basta per 
comporre dieci o dodici esemplari degli Evangeli di cut 
l'uno sta in contradiziotìe coll'altro. 

Scendendo ài particolari, san Papias attesta che Matteo 
scrisse il suo Evangelio in ebraico, intendendo forse il dia- 
letto Siro-caldeo parlato dagli ebrei ai tempi di Gesù Cristo, 
ed aggiunge che ciascuno lo ha Pradùttócomehapoiuto{Ì). 



(i) Furono riprodotte nell'edizione del Novum Teitamentum graecum 
di Giovan Alberto Bengel, in-4. Tubinga i73l,clie citerò frequentemente. 
(%) Eusebio» Star. Eeeki., lU, 19. 



4^ LIBRO PRIMO 

Papias era stato discepolo di Giovanni presbitero e di Ari- 
tone, i quali avevano conosciuto e conversato con alcuni 
fra gii Apostoli: egli stesso amava molto di sapere ciò che 
^li Apostoli avevano detto, e consultava quelli che con 
loro avevano praticato; e quantunque Eusebio lo chia- 
mi uno spirito superficiale perciò solo che seguitava l'o- 
pinione dei millenari, la sua autorità è di molto peso 
perchè parla di cose da lui osservate, e perchè a conoscere 
se una traduzione è bene o mal fatta, basta un coofronto 
materiale accompagnato da una sufficiente cognizione delle 
due lingue. 

A buoni conti resta fermo che dall'anno 120 esistevano 
più traduzioni >delFEvangelio di Matteo, diverse fra di loro 
e più meno lontane dal testo. Ora chi assicura che la 
esistente versione greca, la quale ci tien luogo dell'originale 
smarrito, sia la migliore e la più esatta? Anzi Hichaslis ha 
per via di congetture filologiche provato ch'ella è erronea 
in più luoghi e che il traduttore o si servi di un testo 
vizioso non era abbastanza versato nella lingua originale. 
Nel corso di quest'opera ne citerò qualche esempio. 

Pare che Quest'Evangelio fosse conosciuto dalla prima 
antichità , sotto il nome di Evangelio de'Nazarei, degli ebrei, 
degli Egiziani o degli Ebioniti; i quali benché fossero tutti 
un medesimo libro, dai frammenti che ci rimangono si vede 
che diffeiivanoip vari punti, e che i fatti erano adorni nell'uno 
da circostanze omesse dall'altro* I Nazarei si vantavano di 
possedere il genuino testo secondo che Matteo lo aveva 
scritto in ebraico volgare; san Gerolamo afferma che tale 
infatti era l'opinione di molti, e sembra che v'inclini anco 
la sua (1). Sant'Epifanio contemporaneo di san Gerolamo 
e che conosceva la lingua ebraica e siriaca, sente nello stesso 



(1) I vani passi di san Gerolamo sono diati dal Fabricio, Codex apocri- 
phui Noci Te$L tomo I^ 365 e s^. 



IL TESTO DBGLI EVAirGELI ECC. 49 

modo (1); e cosi anco sant'Ireneo due secoli prima di loro (t). 
Il detto san Gerolamo tradusse in greco e in latino quoirÉ- 
yangelio, ma ambe le versioni andarono smarrite, e appena 
ci rimangono frammenti de'quali ne riferirò due a confronto 
coll'Evangelio canonico (3). 



DE*NAZAREI. 

Ivi era un muratore che aveva una 
mano rattratta, il quale, correndo 
dietro a Gesù, diceva: Ti prego, Gesù, 
di rendermi la salute affinchè io nor^ 
tiaoboligato a mendicarmi \a vita con 
vergogna. Allora i Farisei fecero una 
domanda ecc. 

DE' NAZAREI. 

Se il tuo fratello pecca contro di te 
in parole, e ti soddirfaccia, ricevilo 
sette volte il giorno. Simone suo disce- 
polo gli disse: Sette volte il giorno? 
Rispose il Signore : Io ti dico anzi fino 
a settanta volte sette volte. 



DI MATTEO, XII. 

Ivi era un uomo che aveva una 
mano secca ; e i Farisei fecero una do- 
manda a Gesù dicendo: È egli lecito 
di guarire in giorno di sabato? 



DI MATTEO, XVIII. 

S^ il tuo fratello pecca contro di te, 
va e riprendilo fra te e lui. Se ti ascolta 
tu hai guadagnato tuo fratello; ma se 
non ti ascolta prendi teco ancora uno 
o due, acciocché ogni parola sia con- 
fermata da due o tre testimoni. E se 
disdegna di ascoltarti, dillo alla Chie- 
sa; e se disdegna eziandio dì ascoltare 
la Chiesa, abbilo come etnico e publi- 
cano. Io vi dico in veritl che tutte le 
cose avrete legate sopra la terra^ sa- 
ranno legate nel Cielo ; e tutte le cose 
avrete sciolte sopra la terra, saranno 
sdolte nel Cielo. OUre a ciò io vi dioo, 
che se due di voi consentono sopra 
la terra intorno a (qualunque cosa 
chiederanno, quella sarà lor fatta dal 
Padre mio che é ne'Cieli. Perciocché 
dovunque due o tre saranno raccolti 
nel nome mio, quivi sarò io pure con 
loro. Allora Pietro accostando<5egU 
disse: Signore, quante volte peccando 
il mio fratello, gli perdonerò io? Fino 
a sette volte? Gesà gli disse: Io non 
ti dico fino a sette volte; ma fino & 
settanta volte sette volte. 



(1) Epifìtuìo, Ereiie, XXX, 13. 

(2) Ireneo, Adv. Baerei, I, 26» 

(3) FabrìciOf Codex apoer. N, 7., tomo I, pag. 3$7 e 3A8. 



50 uBio PEmo 

La preghiera dello storpio non è più nel testo che ab- 
biamo di presente, ma è. verosimile che la facesse; eia do- 
manda de'Farisei^ se sia lecito guarire nel giorno di sabato) 
sembra alludere tanto a quella, quanto al buon volere già 
esternato da Gesù, senza di che sarebbe stata una domanda 
fuor di proposito. 

Nell'Evangelio di Matteo sembra che siasi voluto fare una 
parafrasi; mail processo inquisitoriesco e passabilmente fe- 
roce ivi introdotto, non ha forma di appartenere allo spi- 
rito caritativo e tollerante di Gesù; e vi fu forse interpolato 
quando i cristiani spartendosi in giudaizzanti ed in gentili 
cominciarono ad odiarsi e volere gli uni imporre il giogo 
delle proprie opinioni agli altri. Sta poi anco in cohtradi- 
zione colla risposta data a Pietro: se debbasi perdonare 
senza limite di tempo e di condizione, perchè citare l'of- 
fensore in giudizio, ed odiarlo al modo che i Giudei odia- 
vano gli idolatri ei gabellieri? Contro il testo di Matteo sta 
quello di Luca, le cui espressioni sono precise col testo 
de'Nazarei (1). 

In oltre in Matteo si usa la parola Ecclesia, ed accennasi 
la pratica di far giudicare dà essa le differenze tra i fedeli. 
Quella parola si riscontra più volte nel Vecchio Testamento 
greco o latino ove traduce il vocabolo ebraico Kahal, unione 
di più persone o di certa qualità dì persone; ma non si 
trova negli Evangeli di Marco, Luca e Giovanni comechè 
scritti originalmente in greco. In quel di Matteo è usata 
soltanto qui e in un altro luogo del capo XVI; ma non 
poteva essere convenientemente posta in bocca a Gesù, im- 
perocché fu introdotta fra i cristiani dai Giudei ellenisti; 
e meno ancora poteva essere usata nel senso di un corpo 
morale, e neppure accennata la pratica di comporre le liti 



(i) Luca, XVir, 3, 4. 



IL TESTO DEGLI ETAKGEU ECC. 51 

ìd faccia aHa Chiesa, vocaI)oIo ed istituzione introdotti moHi 
anni dopo Gesù. 

Un'altra notabilissima differenza fra il testo di Matteo e 
gli antichi originali siro-caldaici, è che questi ultimi non 
contenevano la genealogia di Gesù, la sua nascita, TarriTO 
delf agi, la strage de'bambini, la fuga in Egitto, e Incomin- 
ciavano dalla predicazione di Giovanni Battista, come si vede 
nello Evengelìo di Marco, ch^è una traduzione di quelli. 
In breve, tralasciavano tutt'interi i due primi capi del testo 
presente. 

Per ultimo^ il testo attuale di Matteo contiene moltissime 
citazioni del Vecchio Testamento, le quali non corrispondano 
col ^to ebraico, e sono Holte evidentemente dalle versioni 
greche. Non è bisogno di diniostrare che chi scrisse in ebraico 
quell'Evangelio, nel citare il Vecchio Testamento avrebbe 
ricorso al testo ebraico, e non a traduzioni fatte in una 
lingua che gli era sconosciuta, e d'altronde infedeli e poco 
stimate dai Giudei. Se all'incontro quelle citazioni furono 
ricavate dalle traduzioni greche, è chiaro che elle bon esi- 
stevano netìlesto primitivo, ma che furono aggiunte di mano 
in mano dai traduttori od idterpolatori. 

Mi astengo dallo addume qui gli esempi, perchè avrò 
occasione di trattenermi sovra di essi più avanti. Per ora 
mi basti di dire, che la genealogia testé rammentata è rile- 
vata più dalle versioni greche, che non dall'originale ebraico. 

Questa contradizione è così palmare, che per evitarla vari 
crìtici moderni, come il Calovio, il Fabricio, ed ultimamente 
Giovanni Hug, hanno voluto sostenere che l'Evangelio di 
cii parliamo fu* esso pure scritto, non in ebraico, naa 
in greco (I). Ma hanno contro di loro il testimonio costante 
delle antichità. Donde ne risalta, che noi non possedishno 

(!) Bibtiotheea Ecehsiastiea, edit. Fabricn, pag. 3Ò, Hambargi i7l8. — 
R«g, EinUitung in dot Neve Tettament, tomo li, $ de seq; 



5S UBRO PRIMO 

più il testo genuLDO d'Evangelio attribuito a Matteo, e 
che quello il quale ora ci rimane ha subito aotabili adul- 
terazioni. 

Il secondo Evangelio è cosi simile al primo, che molti lo 
hanno volutj^ credere quel medesimo ridotto in compendio. 
Alcuni critici opinano che Marco lo abbia scritto sopra 
quello di Matteo già voltato in greco; ad altri pare che 
Marco sia più antico, e che abbia servito di fonte a Matteo 
ed a Luca. Egli è però fuor di dubbio che ambo gli Evan- 
gelisti hanno lavorato sopra un fondo comune, e che i 
due Evangeli non sono che traduzioni di un medesimo 
originale: con questa. differenza, che Marco o chiunque ha 
preso il suo nome, si servi di un esemplare molto semplice e 
non impinguato da tante addizioni quante se ne hs^nno in 
quello di Matteo; il che risulta dal confronto di lunghi 
squarci che sono nell'uno e nell'altro affatto simili, non 
pure nella materia, ma nell'ordine e nelle espressioni ; ed 
è notabile che le diversità fra i due autori sono colà dove 
per l'appunto dovrebbono essere più concordi, e che il 
secondo E y^i^elista copiando i medesimi racconti che .sono 
portati lettWimente anco nel primo, vi »)ttrae tali squarci 
e di. così grave momento da versarci nel peggior dubbio so- 
pra la loro autenticità. 

Fra le altre cose Marco seguendo i primitivi Evangeli 
siro-cald?dci omette di pianta tutto ciò che Matteo narra 
nei due primi ca{», sebbene abbiano rapporto al dogma fon- 
damentale dei cristianesimo qual è rìnGaì*nazione della Di- 
vinità e la sua umanazione nell' utero di un^ Vergine ; ^ 
nel fine mancano i miracoli relativi alla morte ed alla ri- 
surrezione di Gesù raccontati con tanta enfasi da Matteo. 

Queste oinissioni gravissime lasciano sup^rre, o ohe 
l'esemplare di cui si servi Marco non conteneva pec anco 
quelle cose che sono nel testo di Matteo, o che Marco la 
ha rigettate per sospetta veracità. 



IL TESTO DEGLI EVANGELI ECC. 53 

Riguardo al testo proprio, assai documenti antichi ci ac- 
certano che in molti codici non esisteva il periodo del- 
Taltimo capo, che incomincia dal versetto 9 e va sino alla 
fine, ove si racconta la risurrezione di Gesù e la sua ap- 
parizione alla Maddalena ed agli altri Apostoli (1); e se non 
tutti quei versi, almeno dal v. 14 in avanti si trovano pure 
omessi in due antichissimi codici degli Evangeli in siriaco 
scritti in caratteri estraugheli, conservati nella Vaticana e 
veduti da Cristiano Adler, il quale- stima che l'uno fu 
scritto nel 528 e l'altro nel 726. Ove le date siano vere, 
sarebbono i più vetusti manoscritti di questo genere che 
si conoscano (2). Convien però confessare, che quest'ag- 
giunta debb' essere molto antica, perchè si leggeva nel 
testo di cui^ si serviva sant'Ireneo, ad eccezione però del- 
l' ultimo versetto (3). 

Fra le numerose varianti che si citano dagli eruditi , è 
considerevole quella del capo XII, 24 , ove presentemente 
si legge : Voi ignorate te Scritture; invece alcuni codici 
antichi leggevano: Voi ignorate il vero delle Scritture, donde 
l'autore delle omelie attribuite a san Clemettte che cita il 
Vangelo a questo modo , conchiude che se fmà rimpro- 
verava ai Sadducei di non conoscere ciò che vi ha di vero 
nelle Scritture, è segno che elle contengono altresì cose 
false (4). 

Luca o l'autore che ne ha preso il nome assicura che 
a' suoi tempi esistevano già molti Evangeli ^ i quali dopo 
averli esaminati à fondo, avvisò per bene di ordinare una 
narrazione nuova e più veridica. Dunque degli Evangeli 

(1) Eichhorn, Einkitung in da$ Neìk Testament, % 193, e le ossenruloni 
di Sisto da Siena, BibUoL Saneta, pag. 118. 

(2) Adler, Bihlisch-Krititche Reiie nach Rom., pag. 97. 

(3) Ireneo, Ere*ie, III, 10 in fine. 

(4^ Beaasobre, HUtoire àu Maniehéiime, tomo I, pag, .270, nota 3. Que- 
sta variante non è accennata nel Nuoto Tesumento di Benget. 



54 LIBRO PRIMO 

che esistevano sino allora, nissuno era a sufficienza veridico, 
e nel numero vi era per fermo quello di Matteo, dì cui 
copia letteralmente alcuni brani, intanto che lo contradioe 
espressamente in più altri. É poi da osservare che se i 
Nazarei, gli Ebioniti e in generale tutti i cristiani giudaiz* 
zanti non ammettevano altro Evangelio tranne quello 
ebraico attribuito a Matteo; se i Valentiniani ed altri Gno- 
stici davano la preferenza a quello di Giovanni, i Marcio- 
niti ed altri settari del II e del HI secolo ricevevano il 
solo Evangelio di Luca e le epistole di san Paolo. 

Fra il testo evangelico corretto e pubblicato da Marcione 
e il testo secondo Luca tal quale lo possediamo di pre- 
sente, passano molte variazioni, quasi tutte di grave mo- 
mento; ed ho già accennato che i critici moderni dissentono 
fra loro nell' assegnare quale dei due sia il più autentico. 

Attenendoci alla opinione pregi udiciale che mette fra gli 
apocrifi quello di Marcione, siamo tuttavia costretti a con- 
fessare che non sappiamo in quale stato si trovassero i 
testi secondo Luca quando Marcione pubblicò il suo, e se 
i primi non contenevano alcune fra le varianti che si ri- 
levano di presente. 

Ricardo Simon pensa che molte potevano benissimo es- 
sere negli esemplari di Luca di cui Marcione si servì per 
compilare la sua edizione; e sembra eziandio che varie ri- 
forme di cotesto settario si siano perpetuate, parendo che 
una volta si leggesse negli esemplari di Luca un passaggio 
nel quale Gesù diceva, non esaere venuto a distruggere la 
legge e i profeti, sì ad adempirli; ed un altro dove ;dice va 
essere stato mandato per le sole pecorelle smarrite d'Israele; 
i quali due passaggi non si trovano più nell'Evangelio di 
Luca, sebbene esistano in quello di Matteo, e Tertulliano 
rimproverava i Marcioniti dello averli espunti (1). 

(1) Simon, ffiflDtrf critique du TexU dtL*Nauv. Te$tament, pag. 128. 
e seq. 



IL TESTO D£GU ETARGELI ECC. 55 

Anco gli ortodossi si adoperarono a correggere gli Evan- 
geli, levando o aggiungendo secondo l'occasione. Per esem- 
pio: in molti eodici antichi di Luca, greci e latini, non 
si leggeva la storia del.sudameiito di sangue e dell'angelo 
ebe viene a consolare Gesù nell'orto; e nemmanco il passo 
ov'è detto che Gesù pianse sopra Gerusalemme (1); i quati, 
secondo sant' Epifanio , furono introdotti negli esemplari 
non corretti, donde passarono anche negli altri (2). 

In altri codici antichi, massime nei due siriaco-estran- 
gheli citati poc'anzi, non si hanno i versi 17 e 18 del 
capo XXII, che sembrano inAtti. essere una aggiunta in- 
terpolatavi. 

Pur molte e di grave momento sono le varianti net 
quarto Evangelo ; per esempio nel manoscritto di Gies- 
sen manca tutt^ allatto il v. 51 del capo I: ed egli disse 
a lui (a Natanaele): • Cosi è, cosi è, lo dico a voi, vedrete 
« il cielo aperto e gli angeli dì Dio ascendenti e diseen- 
« denti sopra il figliuolo delPuomo ». 

Lo stesso manoscritto ed altri al capo VI, 81, omettono 
le parole: Io sono il vivo pane disceso dal cielo. Ai ca- 
po Vili, 44, si leggeva anticamente : Voi siete dal padre 
del diavolo; ma come i Manichei traevano da queste pa- 
role un appoggio alla loro dottrina dei due principii, gli 
ortodossi mutarono l'Evangelio facendo cUre a Gesù: Voi 
siete dal padre diavolo. Hichaelis nota alcun' altra adulte- 
razione fatta per lo stesso motivo (3). Del citato capo Vili 
tutti i manoscritti più antichi e tutte le antiche versioni 
sono d'accordo ad omettere la storia della donna adultera» 
Fra Sisto da Siena (4) pensa che quel frammento sia stato 



(1) Luca, XXn, 43 e 44, XIX, 41. * 

(2) Epifanio, Ancorato, cap. 31. 

(3) Michaelis, Einleitung in das Neue Testamenti % 59, pag. 3i5» 

(4) Bibìiotheca Saneta, pag. 50. 



66 umo TRiHO 

dall'Evangelio de^Nazarei trasportato in quello di Giovaiini» 
trasposizione fatta sicuramente non prima della metà del IV 
seeolo; imperocché Eusebio parla di una eerta donna adul- 
tera la cui storia si leggeva nell'Evangelio de'Nazarei, ma 
si esprime in modo da far intendere che a' suoi tempi 
(nel 325) non si leggeva ancora in quello di Giovanni (1). 

Fra il testo canonico di Giovanni e il testo de'Templari 
sono differenze grandissime, e difficilmente si potrebbe 
sostenere che tutte siano mutilazioni od aggiunte di chi ba 
elqcubrato questo secondo testo: i^r esempio i Templari 
non leggono il verso 10, capo I: « Nel mondo era, e il 
e mondo fu fatto per esso, ma il mondo non 1' ha coiio- 
c sciuto » . Origene lesse bensì questo verso ne'suoi esem- 
plari, ma colla omissione importante di tutta la frase: ed 
il mando fu fatto per esBOy che debb'essere stata intrusa 
dappoi. Al capo V, 4, i Templari non leggono: che 1' an- 
gelo del Signore discendeva ad agitare Tacqua nella pi- 
scina di Bètesdo e che il primo infermo gettatovi dentro 
ne guariva : e molti critici sulla fede di alcuni manosciitti, 
ove quel passo non si trova, lo tengono per sospetto. 

Se poi si volesse fare un esame congetturale, leggeDdo 
con qualche attenzione questo Evangelio, è facile accor- 
gersi che non è sempre il lavoro tdi una istessa mano e 
tìnet in- vari tempi vi furono fatte varie aggiunte. Per 
esempio, i discorsi che Gesù tiene dopo la cena non paiono 
dover appartenere ad un medesimo autore. Al capo XIV 
in fine Gesù, dopo aver pariate a lungo, dice: Otsà^ fe- 
vaievi e andiamo tia: donde si vede che il discorso è fl- 
uito; invece ne ripiglia un altro più lungo che continua 
tutti i due capi seguenti. L'ultimo verso del capo XVI, 
e le prime parole del capo XVII, lasciano credere che il 
discorso è finito un' altra volta ; all'incontro lo vediamo 

(1) Eusebio, litor. EeeUt., IH, 39. 



I IL TESTO VBQlì EYAH^ELI ECC. 9? 

ripigliare e proseguire sino alla fine del capo XVII. Per 
levare la difficoltà, credono alcuni che questi discorsi siano 
stati tenuti da Gesù cammin facendo, il che è contrtrio 
ai principio del capo XVIII. < E Gesù avendo dette queste 
e cose, USCI, e passò di là del toirente Cedron > ; donde 
bisogna inferirne che tali squarci cosi fegati non appar- 
tengono né a Gesù, né all'Evangelista che lo fa parlare, 
ma che sono addizioni introdottevi posteriornoente. 

Al capo XVIII si legge: 

Ver. 12. < Adunque la coorte ed il tribuno e la fami- 
t glia de^Giudei presero Gesù e lo legarono, e primamente - 
t lo condussero ad Anna. 

13. < Imperocché egli era suocero di Caiafa sommo sa- 
« cerdote di quell'anno. 

14. « £ Caiafa era quello che consigliò i Giudei, essere 

< spediente che un uomo perisse per la salute d«l popolo. 
i5. « E seguitava Gesù Siman Pietro ed un altro di* 

< scepolo; ma quel discepole era noto al principe de'sa- 
. e cerdoti ed entrò insieme con Gesù nell'atrio del prin- 

t cipe de'sacerdoti. 

16. • Ma' Pietro stava di fuori. Adunque l^ altro disce- 

< polo che era conosciuto al principe de'sacerdoti usci, 
« parlò alla portinaia ed introdusse Pietro. 

17. « Disse dunque la portinaia a Pietro: Forse tu an- 
« Cora sei discepolo di quell'uomo? e Pietro rispose : Non 
« sono. 

18. « Ed essendo freddo, i servi ed i famigliari facevano 
« fuoco e si scaldavano i piedi, e cosi anco Pietro si scal- 
€ dava con loro. 

19. < Adunque il principe de^ sacerdoti interrogò Gesù 
e intorno a' suoi discepoli ed alla sua dottrina. 

20. < Rispose Gesù: Io ho parlato in pubblico ed ho sempre 
€ insegnato nella sinagoga e nel tempio^ al quale da tutte 
« parti concorrono i Giudei, ed ho detto niente in secreto. 

Crit. degli Ev. Voi. I. 6 



ss uno pRitto 

21. € Perehè m'interroghi? Interroga quelli che mi udi- 
« fono di ciò che ho discorso ad essi, ed e^i sanno ciò 

* ehe ho detto. - 

22. t Dicendo queste cose uno de' famigliari lì presente 

< diede uno schiafiToa Gesù, dicendo: Cosi rispondi al prin- 
« clpe de' sacerdoti? 

23. « Gesù gli rispose : Se ho parlato male, testimonia 

< del male; e se bene, perchè mi percuoti? 

24. e Anna lo mandò legato a Caia'fa principe de' sacer- 

* doti, e Simone Pietro stava là in piedi e si scaldava. 

25. « Adunque dissero a lui: Non sei tu de' suoi disce- 
« poli?» 

il verso 13 è senza dubbio un glossema posto nel mar- 
gine da qualcheduno, indi passato nel testo. 

Lo stesso deve dirsi del versetto seguente da taluno an- 
notato nel margine per richiamare ciò che è detto al capo 
XI, 49, e che un ignorante amanuense ha fatto passare nel 
corpo delia istoria. I versetti seguenti, fino al 23 inclusivi, 
hanno tutta' l'aiia di essere fattura di una o più mani po- 
steriori, ed offrono un cumulo di difflcoltà; laddove il di- 
scorso procede più regolare se, tralasciate quelle superfe- 
tazioni , si legge : « Primamente lo condussero ad Anna^ 
e ed Anna lo mandò a Caiafa, ecc. » Ma nel seguito un tale 
t'incastrò le interpellanze dì Caiafa, un altro Faneddoto 
del discepolo in relazioni dh amicizia col sommo sacerdote, 
cosa poco credibile; e sono forse aggiunti anco i versi 26 
é 27 che risguardano la seconda negativa di Pietro. 

Di questo medesimo capo XVIII , l'Evangelio di Nico- 
demo trascrìve tutto lo squarcio che è dal verso 29 sino 
alla fine; ma omette il verso 32, che sembra essere stato 
una postilla marginale passata nel testo. Per compenso com- 
pie il dialogo fra Gesù e Pilato monco nel testo di Giovanni, j 
ove il verso 38 è così concepito : « Pilato gli disse (a Gesù) 
« che cosa è verità? E detto questo uscì a'Giudei ecc. » È 



IL TESTO DEOU EVAIIGELI ECa 59 

improbabile che Pilato facesse una domanda e poscia se ne 
andasse senza curare la risposta; la quale nelPEvangelio di 
Nicodemo, capo III, è riferita come segue: t Pilato gli 
« disse: Che cosa è verità? Gesù disse: La verità è dai cielo., 
« Pilato disse: Dunque la verità non è sulla terra? Gesù 
t disse a Pilato: Vedi come coloro che dicono la verità qui 
e in terra sono giudicati da quelli che hanno una potestà 
e terrena » . E secondo altri manoscritti Gesù risponde : 
t Io sono la verità; e vedi come qui in terra è giudicata 
€ la verità da coloro che sono investiti di una potestà ter- 
t rena. E Pilato, lasciando Gesù nel pretorio^ di nuovo usci 
• a' Giudei ecc. • La interpolazione di un versetto e la mu- 
tilazione di questa parte del dialogo nel testo presente di 
Giovanni, sembrano indubitabili. 

. Secondo Grozio, anche l'autenticità delKultimo capo è 
soggetta a dubbi, pretendendo egli che sia una giunta della 
Chiesa di Efeso, A dir vero la narrazione sembra dover 
finire col capo antecedente, e quel che viene è un'appen- 
dice isolata* 

Nel testo de'Templari non solo manca quest'ultimo capo, 
ma quello altresì che lo precede. 

CAPO DECIMO. 

NECESSITI. DELLA CRITICA 
PER STARILIRE LA VERITÀ DELLA STORIA EVANGELICA. 

Gesù lasciò scritto niente: e nei primi decenni del cri- 
stianesimo gli Apostoli occupati a regolare la piccola e na- 
scente società cristiana, non ebbero né il tempo, né il bi- 
sogno di registrare la dottrina e le gesta di lui: e forse 
ne ebbero nemmanco il pensiero, siccome quelli tra i quali 
nissuno probabilmente sapeva scrivere. 



00 LIBRO PRIMO 

Secondo sant'Ireneo, il più antico testimonio che noi ab- 
biamo a questo proposito (l), non prima dell'anno 62 s'in- 
cominciò a raccogliere ciò che sapevasi della vita di Gesù; 
e posto per vero che Matteo, Marco, Luca e Giovanni siano 
ciascuno autori di un Evangelio, resta vero altresì che non 
sappiamo dove l'abbiano scritto, quali regole abbiano se- 
guitato nello scriverlo, a quali fonti abbiano attinte le loro 
notizie, come le abbiano verificate, se l'uno seppe delPal- 
tro, se scrissero allMnsaputa Puno dell'altro; per quali 
ragioni l'uno abbia omesso avvenimenti, anco principalis- 
simi, che sono raccontati dall'altro; per quali ragioni al- 
tresì Tuno asserisca una cosa che sembra in aperta contra- 
dizione con quanto è asserito dall'altro; quando abbiano 
pubblicato il loro autografo, in quah mani abbia esistito e 
chi lo abbia veduto ed esaminato; ed infine quali norme ab- 
bia adottato la Chiesa per conservare la purità del testo 
e tramandarlo incorrotto fra -mezzo alla varietà delle sètte, 
alla intemperanza de' glossematori, alla inabilità de' copisti 
ed airarbitrio de' traduttori, in un secolo in cui era così 
operosa e così universale la smania di finger libri o d'in- 
terpolarli mutilarli a capriccio? 

Noi siamo debitori ai Masoreti se i libri ebraici del Vec- 
dùo Testamento, quali furono raccolti ed ordinati dai rab- 
bini dopo la distruzione di Gerusalemme e del tempio, si 
sono conservati fino a noi senza notabili alterazioni. In onta 
però alle cure ed alla diligenza spìnta fino alla pedanteria; 
in onta alla scrupolosa enumerazione delle parole e delle 
lettere; in onta a più altre minuziosissime ed ingegnosis- 
sime regole stabilite per trascrivere colla massima esattezza 
quei sacri codici, affinchè niente ai straniero o di erroneo 
s'introducesse; è ora dimostrato che la Màsora non è in- 
fallibile e che a dispetto di tante sottili precauzioni pre- 

(1) Ireneo, Adven. Haens., ìli, L 



i^ecessitI imexla critica ecc. gì 

scritte da'suoi autori, i testi offrono varianti numerosissime. 

Se poi confrontiamo Toriginaie ebraico della Scrittura 
colle traduzioni greche esistenti nei primi secoli del cristia- 
nesimo, e che o tutte o in parte sono pervenute fino a noi, 
vi rileviamo non solo una libertà che degenera in licenza, 
ma tale un. arbitrio per cui non di rado la traduzione ha 
più nulla che somigli all'originale : il che proveniva tal Data 
dal non aver bene inteso il testo, tal altra dalla impazienza 
dei traduttori, che non volevano affaticarsi a studiarlo; ma 
spesse volte altresì dai loro pregiudizi q dalla smania d'in- 
terpretarlo a seconda dei loro capricci o delle loro pre- 
venzioni. 

Non* consta che i primi cristiani per conservare la pu- 
rità del testo evangelico abbiano adoperato alcuna delle 
tante cautele a cui ricorsero i Masoreti, e per cui abban- 
donato esso alla licenza dei copisti fu facile ai medesimi di 
manipolarlo a norma delle proprie opinioni, togliendo od 
aggiungendo, abbreviando od ampliando secondo che im- 
portava il bisogno. Vi era un passo di cui si servivano 
tali o tali eretici? Quel posso veniva espunto od adulterato 
in un altro senso, onde • togliere agli eretici quest'arma. 
Vi era una obbiezione de' Giudei a cui si voleva rispon- 
deiyB? Vi era un'opinione eretica che volevasi combàttere? 
Si faceva agli Evangeli una aggiunta che ^tornasse al pro- 
posito. 

Quanto poi ai primitivi Evangeli o ebraici o siro-caldaici, 
ciascuno li tradusse nel miglior modo che li potè inten- 
dere; ed è probabile che quegli Evangeli composti da per- 
sone poco letterate fossero scritti in una cattiva lingua, 
la quale non essendo bene intesa dai traduttori, se ne ca- 
varono nel miglior modo che seppero, interpretando questi 
in un senso, quello in un altro, o l'uno saltando a pie pari 
le difflcoltà, l'altro sostituendovi qualche cosa di proprio* 

Arrogi che i crì^tluni primitivi si trovarono divisi ben 



*!Lir 



62 LIBRO PRIMO 

tosto in due fazioni; dàU'ana parte erano i giudaìzzanti 
ò quelli che si attenevano ancora s^lie osservanze della leggi 
mosaìca; dall'altra i cristiani che uscivano dal gentilesiin< 
e che predicavano una completa emancipazione dal mo 
saismo. Gli uni e gli altri poi si suddivìsero in varie sètte 
quali ritenevano che Gesù fosse uomo e nato «ome gli al 
tri uomini; quali opinavano che fosse un uomo Jbensì, irn 
nato in modo straordinario; altri o ritenevano per un? 
ematiaziorie della divinità e che d'uomo non avesse che U 
apparenze; altri spiegavano la sua apparizione con teorie 
trascendentali. Quindi ciascuna setta si studiava di acco- 
modare, gli Evangeli a norma delle proprie opinioni^ donde 
ebbe poscia origine quella svariata moltitudine di Evangeli 
che abbiamo accennata di sopra, e quella manipolazione a 
cui dovettero necessariamente andar soggetti i quattro che 
trronferono sopra tutti gli altri. 

É fuor di dubbio che hanno esistiti degli Evangeli scritti 
in ebraico o nel dialetto siriaco che si parlava nella Pa- 
lestina; è fuor di dubbio che fra questi appartenevano gli 
Evangeli degli Ebioniti e de'^Nazarei; è fuor di dubbio al- 
tresì che alcuno di tali Evangeli vaniva attribuito all'apo- 
stolo Matteo: ma ignoriamo quale fosse il vero testo di que- 
sto ultimo, da chi sia e come sia stato tradotto. Quelli che, 
come sant'Epifanio e san 6eiH)lamo, videro i due Evangeli 
testé citaci, accertano che* fra essi e il testo volgare di Mat- 
teo vi era molta simiglianza. Anzi san Gerolamo pretende 
che l'Evangelio de^ Navarci fosse il vero testo di Matteo; 
eppure sappiamo da lui medesimo che quello differiva ìr 
molte cose dal testo volgare. 

Confrontando l'Evangelio di Matteo con quello di Marco, 
si riscontrano lunghi squarci, anzi intieri capitoli, i quali 
sono cosi somiglianti come si somigliano due diverse tra* 
duzioni dì un medesimo libro. . | 

E se il primo è più ampio, per un pò* efae ci 9t badi, il 



; D£C3SSSIT1 0EIX\ GftlTtCA ECC. jS3 

agevole il ricoooscere che sono accomodamenti od aggiunte 
. pc^terìori, e che hanno per lo più un'origine greca; donde 
ne segue, che il testo attribuito à Marco è una traduzione 
assai più fedele che non il testo attribuito a Matteo. 

Quello di Luca è una oempiiazione fatta sopra diversi 
Evangeli, come lo dice l'autore medesimo nel proemio; ma 
è fuor di contrasto che^ tra gli altri, ebbe sott'occbio 
anche un testo molto somigliante d quello che ser\i 
di normft ai due precedenti ; abbencbè nel resto egli diffa- 
risca da loro in molte cose anco sostanziali; loccbè dimo- 
stra, che ei si giovò di documenti ei^tranei al testo primi- 
tivo. 

Il quarto Evangelio finalmente differisce cotanto dagli 
altri» che conviene assolutamente attribuirgli una affatto 
diversa origine; e proverò più tardi che l'autore di esso 
non può essere né l'apostolo Giovanni, né alcun altr$> Giu- 
deo, o che aUua attinto a fonti giudaiche;* ma piuttostq un 
Samaritano, e. verosimilmente l'eretico Gerinto, come fu 
sostenuto da alcuni antichi. 

Infatti quanto egli si mostra ignaro delle usanze giudai- 
jehe e della storia di Gesù, quale ci viene descritta negli 
Evangeli tutti di giudaica provenienza, altrettanto egli espri- 
me le dottrine ed opinioni dei teosofi samaritani, e queBe 
principalmente^ professate da Gerinto e. Menandro. 

Tale .è il risultato q^e ci presenta Presame critico degli 
Evangeli; ma volendo anche ristringerci^ nei limiti più 
ortodossi , noi, troviamo ^e i Padri della Chiesa , o con* 
temporanei agli Evangelisti, o che vissero più prossimi a 
loro, e che conobbero i loro discepoli, non ebbero alcuna 
notizia dei quattro Evangeli canonici, e citarono invece 
altri che andarono poscia smarriti; troviamo che esisteva 
allora una quantità presso che innumerevole di libri apo- 
erifi letti nelle chiese e* citati dai teologi, e fino anco da- 
gii stessi Apolli o loro discepoli che attribuivano a quei 



64 LIBRO PRIMO 

libri una divina autorità; Iroviamo che i quattro E vani 
si mostrarono a poco a poco come di soppiatto e confu: 
colla moltitudine degli altri, né portarono seco alcuna prò 
della loro legittima origine; troviamo che non fu fatta al 
cuna indagine per riconoscerne la genuiiità, e che la lo 
scelta e il loro numero furono determinati dal mero caso; 
troviamo che nissuna ragione storica ci obbliga a credere 
€he sieno stati scritti da Matteo, da Marco, da Luca e da 
Giovanni^ opinione venuta molti anni dopo la iofo morte, 
provata da nissun documento, e fondata unicamente sopra 
una tradizione volgare che può essere erronea per molti 
lati; troviamo infine che il testo degli Evangeli non ci è 
pervenuto nella primitiva sua purità ,^ e che ha sofferto 
varie ed anco non lievi alterazioni, le quali ci mettono in 
guardia eziandio contro la integrità del rimanente. 

Se Matteo ha Iscritto un Evangelio, non può essere 
quello che abbiamo; e convien credere che l'originale fosse 
già molto corrotto a' tempi di san Luca , il quale dice di 
avere composto il suo per dare una narrazione più esatta 
di quelle in corso. 

Luca e Marco non furono testimoni di vista e di udito, 
scrissero lontani dalla Palestina, almeno 3S o 40 anni dopo 
h morte di Gesù , ed andarono a prendere le notizie da 
chi le aveva udite dagli Apostoli, i quali non sempre ave- 
vano rettamente intesi i discorsi del loro Maestro, o le 
iRCoolsero da una tradizione già corrotta nel passare di 
bocca in bocca o di paese in paese. 

In quanto a Giovanni apostolo, sussistono molti dubbi 
storici eh'ej possa essere l'autore del quarto Evaagelio, 
e in ogni altro caso, non lo debbe aver scritto nella forma 
pervenuta a noi. 

I miracoli costituiscono il fondo principale della storia 
evangelica; ma ohi li ha verificati in sul luogo? chi ne 
garantisce l'autenticità? o non sarebbono essi niente pia 



i«£Cessit1 della critica ecc. 65 

ehe una illusione mentale jn seguito' alla condizione esal- 
tata in cui si trovava allora lo spirito umano? Fra un 
popolo sempre pasciutosi di superstizioni e di miracoli, 
ÌQ una età in cui le superstizioni ed i miracoli avevano 
ingombrato le teste delle persone anco più saggie, ed 
erano una specie d' influenza che padroneggiava tutti gK 
spiriti, è egli da esigersi che una comunità d'uomini pie* 
bei ed entusiasti fòsse più ammisurata nel credere o più 
severa nella scelta dei fatti che credere si avevano? Str 
pere far miracoli era una qualità essenziale per un pro- 
feta, e Gesù doveva averne fatti più di tutti gli altri. Fra 
le sètte giudaiche, quella degli E^seni , alla quale sembra 
avere appartenuto Giovanni Battista, ed a cui non fu forese 
estraneo Gesù, esercitava una specie di medicina empirica. 
Supposto che Gesù facete lo stesso, ù può immaginar^ 
•come dallo avere ordinato un rimedio contro la febbre, al 
dire che avea guarito miracolosamente la febl>re; dalla 
^verc colle sue cure restituita la salute ad uno che era 
in punto di perdere la vita, al dire che Uy aveva risusci- 
tato quand'era già morto: siene transizioni non molto dif- 
ficili, massime fra persone che vogii6tiio il meraviglìosQ; 
di queste alterazioni della verità trasportata da una bocca 
all'altra, ne abbiamo esempi qi^otidiani. 

Quindi gli^ vangelisti pieni di credulità e di esaltazione 
recitarono quei miracoli colla migliore buona fede del 
mondo , e lungi dal sospettarne V autenticità e dallo isti* 
tuire un giudiciale esame dei testimoni che li asserirono^ 
nella scelta del racconti davano la preferenza alle circo- 
stanze più straordinarie , parendo loro che un prodigio 
tanto più fosse da credersi quanto più si allontanava dalla 
regola comune e faceva più grandeggiare la potenza so* 
pranaturale del loro erm^ 

I Giudei chiesero più volte a Gesù un segno dal cielo^ 
cioè un portento che attestasse la sua missione; e gli Evan-, 



(36 LIBRO PRIHÒ 

gelisi! adducevano quei miracoli come una dimostrazione 
ineluttabile che Gesù aveva adempiute tutte le parti di 
Profeta e di Messia. Ma una prova della loro negligenza 
nel depurare il vero , si è il difetto assoluto d' ordine e 
di cronologia, e le contradizioni frequenti fra di loro , a 
tal cbe sembra quasi cbe Tuno l'abbia scritto per confutar 
l'altro; e quando si vuole conciliarli, disperando dipo* 
terlo fare con ragioni , bisogna smarrirsi in un labirinto 
di congbietture. 

Mancando la stampa e dovendosi i libri propagare con 
i'ajuto della scrittura a mano, i metodi dello scrivere, mas- 
sime nelle lingue orientali, essendo complicati, i mezzi di 
eomunicazione letteraria erano costosi e lenti, e gli scrit^ 
tori degli Evangeli potevano dlfflcilmente intendersi e met- 
tersi d'accordo; aon è perciò da stupire.se quanto di- 
cevano gli uni sopra notizie raccolte alla ventura era con- 
tradetto dagli altri sopra notizie racoolte in modo non 
punto diverso; come non è da meravigliarsi se i compi- 
latori si adoperavano a vicenda e secondo le cognizioni 
che ciascuno possedeva, o le opinioni da cui si sentiva 
dominato, a manomettere gli Evangeli correnti, a rifarne i 
racconti, a levarvi un fatto, a correggerlo o ad. esporlo 
con altre circostanze, ad aggiungervi fatti nuovi e in* 
somma a Compilare un nuovo libro cbe spaectavasi nel 
pubbtieo sotto il nome rispettabile di qualche apostolo; 
donde avviene che Gelso rimproverava i cristiani di essere 
eontinuamcnte affaccendati a rifare e correggere i loro 
Evangeli (1). 

Se gli Apostoli prima di ogni altra cosa si fodero ooeo*- 
patì di comune oansentimento a scrivere un Evangelio le- 
-galmente approvato e garantito da loro, e lo avessero co- 
municato ai cristiani in una ^assemblea generate, quella 

(4) Origene, Conira Celio, H, «7. 



NECEssrrJL della Critica ite. 67 

edizione in forma tanto autentica avrebbe impedito ai ma- 
nipolatori di elucubrarne tanti e cosi diversi; ma non es- 
sendosi fatto questo, e ciascun Evangelista avendo edito 
il suo lavoro di privata autorità, in modo incognito e 
senza dare una malleveria che il suo fosse migliore di 
quello di altrui, accadde che ogni uno si credette in di- 
ritto di togliervi o di aggiungervi secondo il proprio ta- 
lento, e da molti Evangeli compilarne unì) solo, ma di suo 
gusto. 

Si arroge che gli ammanuensi non erano molto scrupo- 
losi, e costando molta fatica a trascrivere un libro, e molto 
denaro ad acquistarlo, chi copiava per lucro abbreviava 
onde vendere a buon mercato, o ingrossava di altre no- 
tizie il suo Evangelio onde accrescere il pregio alla sua 
eSizione; e chi copiava per proprio uso tralasciava quelle 
cose che non gì' importavano , e ne introduceva altre più 
prementi a lui. Accadeva ancora che in margine ad un 
esemplare taluno vi postillasse quache annotazioni o po- 
nesse glossemi fra gl'interlinei affine di ampliare o di chia- 
rire il testo, le quali cose un copista ignorante traspor- 
tava poi nel testo medesimo, e diventava una parte di 
esso. 

Del resto , i primitivi cristiani erano poveri , divisi in 
molte picciolo sètte, e assai di loro non sapevano leggere; 
quindi un solo esemplare delP Evangelio serviva a tutta 
una comunità, che lo adattava alle tradizioni prevalenti 
fra di essa. 

Adunque da quanto si è discorso è facile tirare la con- 
seguenza che la storia di Gesù, tal quale ci viene rappre- 
sentata, debb'essere necessariamente difettosa e travisata 
da non poche illusioni. Ha come si è fatto in tutte le 
scienze^ e segnatamente in più altri rami della storia che 
gii scrittori antichi ci avevano trasmessa sotto forme ol- 
tremodo erronee ; cosi pure in questo che ha un interesse 



68 UBBO FRlSOi INCESSITI E0& 

molto più immediato e profondo per la società, egli è in* 
dispensabile di spogliarci deiie preconcette opinioni, di ri* 
farci da capo, di considerare gli Evangelisti come qualsiasi 
altro storico , e di sottometterne le narrazioni all' esan>e 
di nna critica severa ma imparziale. 



LIBRO SECONDO. 



STOBU DI GESÙ NELLA SUA INFANZIA 



CAPO PRIMO. 

ARMONIA EVANGELICA. 

Fu asserito più volte cke i quattro Evangeli, sebbene 
scritti in tempi e luogM diversi^ portano con seco una 
perfetta armonia ne 'racconti; maquesta^se esiste, è meno 
negli Evangeli che neir arte a)n cui si cercò di concor- 
darli. Imperocché veggendosi che narrano senz'ordine e 
senza cronologia ; che Tuno tieae un fatto omesso dall'ai* 
tro; che l'uno ag^unge circostanze dail^ altro non ricor- 
date ; che Funo oìena il protagonista in un luogo e l'altro 
lo mena in un altro; che la tal cosa ^li è dall' uno fatta 
dire in una occasione, e dall'altro è riferita ad occasione 
diversa ; che insomma i detti, i fatti, i tempi, i luoghi, le 
persone sono variamente esposte dai quattro biografi : per 
far sparire la deformità che autori inspirati potessero tro- 
varsi in contradizione, bisognò fondere i quattro ^Evangeli 
in un solo corpo di storia , dargli un ordine cronologico, 
moltiplicar le persone, dividere i fatti, ed acconciare le 
cose in guisa che ne apparisse una narrazione regolare nelle 
sue parti e ottimamente concertata nel tutto. 

L' esecuzione di questo pensiero fu tentata la prima 
volta da Taziano verso la fine del II secolo , poi da Am- 



70 LIBRO SECONDO 

monio Alessandrino verso la metà del secolo seguente. 
Veramente quest'ultimo, non tanto ebbe il disegno di ar- 
monizzare i quattro Evangeli, quanto di funderli e farne 
un solo. Il suo lavoro originale è perduto, e cosi anche una 
versione latina che ne fece Vittore vescovo di Capua nel VI 
secolo: ma fatta sopra quest' ultima ci è rimasta una tra- 
duzione in vecchia lingua tedesca (i). Pure vi sono assai 
buone ragioni per dubitare che possa essere la genuina 
Armonìa di Ammonio o di Taziano. 

Più altre Armonie furono posteriormente compilate, 
delle quali ne abbiamo assai fra antiche e moderne (2), e 
quantunque tutte abbiano per (Ine di concordare i quattro 
Evangeli, pure sono esse ben lungi dall'essere concordi fra 
di loro ; e il loro numero, come anco la varietà dei sistemi, 
sono una prova degli sforai fatii dagli eruditi per trovare 
una consonanza storica nel quattro Evangeli e della im- 
possibilità di potervi riuscire. 

Per convincersene basti confrontare le.due che sono le 
più ingegnose, e quelle i cui autori posero, maggiore studio 
e fatica, voglio dire quella, del piMlre Bernardo I^my sa- 
cerdote dell'oratorio (3), e quella più r^5ente d^l dottore 
Edoardo Gresswell (4), i quali differiscono essenzialmente 
Funo dall'altro , e sono costretti più <l'una volta a sp^ez- 



(i) Nella collezione di Schiodler, Thesaurus antiquitatum germankarum, 
tomo L 

(2) Di Giovanni liightfoot, nel tomo I delle sue Opere; di Thoinard, 
Harmonia evang. greco-latino stampata a Parigi, fol. 1707; di Celottl Ca^ 
tetia sacra quatemce seriptwije sanótorum evangelistarum, ìùi, Vene- 
tiis 1750, di Gian Davide Michaelis nella, saa Introdìizione al Nuovo Testa- 
mento j (in tedesco) ; di Drach, nella Bibbia di Vence, dell'arcivescovo Mar- 
tini ; di Friedlieb (in greco), Wratislavia 1847, con varianti al teslo ecc. 

(3) Commentarius in Harmoniam sive concordiam qiuituor Evangelista- 
rum, 2 voi. in'4. Parisis 1699, in latino. 

(4)H«rw©nio evangelica $we quatìtor Evangelia a/tque Acius Apoitohrw^ 



ARMONIA EVANGrailCA. 71 

zare arbitrariamente i testi degli Evangeli per concordarli 
a forza, e far comparire nell'ordine tecnico an'arm<»)ia cbe 
non esiste nell'ordine naturale ed isterico, quando i ri- 
spettivi contesti si confrontino fra di loro. 

Dei quattro Evangeli, i due pnmi, attribuiti a Matteo 
ed a Marco , appena si esaminino con qualche atienzioaa 
e si confrontino pavoh per parola i numerosi luc^hi pa- 
ralleli, risulta chiaro che non sono se non se due tradu^ 
zioni di un medesimo Evangelio scritto o in siro-caldeo o 
in ebraico, con qualche varietà nei testi di cui si servi- 
rono i due traduttori ; i^ forse meglio .non sono che una 
traduzione sola: tranne che quella detta di Marco è la 
più semplice è la più ;gen uina; laddove a quella detta di 
Matteo furono fatte moltissime aggiunte e interpolazioni 
di data posteriore) e di provenienza greca. Avrò occasione 
di citarne più di una prova; ad ogni modo i lettori pos- 
sono facilmente convincersi di quanto io dico, appena si 
facciano a prendere in mano una Armonia greca od ancào 
una latina. 

Quanto al terzo Evangelio d^tto di Luca risulta da un 
eguale confronto che fu compilato sopra i due precedenti, 
cof sussidio di alcuni altri materiali, come sarebbero al- 
cuni Evangeli apocrifl. É però da osservarsi che al tempo 
u cui fu scritto il terzo Evangelio, il primo non aveva 
ancora la forma che ha al presente , e segnatamente vi 
mancavano gli episodi contenuti nei due primi capi: perchè 
Luca, chiunque sia l'autore a cui fu dato questo nome, 
copia indubitabilmente in più luoghi l'Evangelio di Matteo; 



grcece'pro temporis et rerum serie in poi-tes sex distribuii, in-8, editio ter- 
lia, Oxoniae 1840. 

Dello slesso autore : Prolegomena ad Harmoniam evangelicam, sive de 
primariis nonnullis ad chronologiam evangelicam spectantibus, dissertatio- 
nes quatuor, in-8, OxoDìae i840. 



72 CIMO SECONDO 

ma non pure tralascia ^i episodi anzidetti, còsa che fatto 
non avrebbe se ii ave^e conosciuti, si anche scrive delle 
cose che a patto niuiK) si possono conciliare con quelli. 

A cagione di tale identità di origine, i tre primi Evan- 
geli sono dai critici dSstmti col noi^ di sinoptici od ab- 
bre viatori. 

All' incontro H quarto Evangelio è totalmente diverso 
dai precedenti; e una cosi strana discrepanza è ancor più • 
kìesplicabiley se, lasciati da parte Marco e Luca che hanno 
scritto dietro le notizie somministi*ate da altrui, mettiamo 
Giovanni al confrojìto col sqIo Matteo. Ambidue furono 
apostoli e seguaci di Gesù , ambidue furono testimoni di 
Fista e di udito^ ed aùibidue narrano cose affatto distinte; 
t fatti storici , il tenore de' ragionamenti , il numero e la 
spede de'miracoU di Gesù sono dissomigliantissimi nei due 
scrittori; e Io*sono fino le persone introdotte sulla scena 
e i luoghi ne'quali traggono il lo.ro protagonista e di cui 
fanno il campo delle sue gesta. Lo stesso protagonista 
come personaggio storico od ideale da un Evangelista è 
rappresentato in modo che non somiglia a quello dell' al- 
tro; e con lievissime modificazioni fatte ai due Evangeli, 
nissuno che non avesse le prevenzioni de' cristiani si av- 
vfeerebbe giammai di leggere T istoria del medesimo per- 
sonaggio. 

CAPO SECONDO. 

NASCITA DI GIOVANNI BATTISTA. 

Diverso è il modo, ossia il punto di partenza, con cui 
ciascun Evangelista incomincia il suo racconto. 

Marco dà principio colla predicazione di Giovanni Batti- 
sta susseguita dal battesimo di Gesù, quindi nulla dice in- 
torno alla nascita né di questo, né di quello. 



NASCITA DI aiOVATINl BATTISTA. 73 

Matteo incoi&incìa dalla nascita di Gesù, di cui premette , 
la genealogia. 

Luca sale più in alto, imperocché prende le mosse, non 
solo dalla nascita di Gesù, ma da quella del Battista, anzi 
dalla concezione di lui e di Cristo. 

Giovanni non somiglia a nissuno dei precedenti. Al paro. 
di Marco non parla della nascita né di Gesù, né del Bat- 
tista; al paro di lui non ha alcuna genealogia naturale; e 
come lui entra in argomento dalla predicazione di Gio- 
vanni Battista; ma 'premette una genealogia teologico-gno- 
stica di Gesù, e tutto il rimanente del racconto è appien 
diverso da quello degli altri. 

Volendo procedere per ordine di storia, incomincieremo 
noi pure là dove incomincia il terzo Evangelio, cioè quello 
che porta il nome di Luca, il quale dopo un breve proe- 
mio in cui dice che molti essendosi adoperati per narrare 
la storia di Gesù dietro la relazione di testimoni oculari, 
a lui pure è sembrato di ordinare un'eguale relazione con 
maggiore diligenza che gli altri non avevano fatto, passa 
al seguente racconto. 

Al tempo di Erode re della Giudea un angelo apparve 
ai sacerdote Zaccaria per annunciargli la nascita di un fi- 
glio; sei mesi dopo lo stesso 'angelo apparve a Maria di 
Nazareth per annunciarle parimente la miracolosa conce- 
zione di Gesù; Maria andò subito a trovare Elisabetta, 
sua cognata e moglie di Zaccaria , i quali abitavano una 
città anonima nella montagna della Giudea; e air incon- 
trarsi delle due donne, egualmente incinte, il Battista, feto 
di sei mesi, esultò nel ventre della madre. Maria rimase 
tre mesi con Elisabetta, indi se ne tornò a Nazareth, e 
finalmente Elisabetta partorì un bambino a cui fu imposto 
il nome di Giovanni (misericordioso) per alludere al suo 
ministero di precursore del Messia, che doveva recare la 

Crit. degli Ev. Voi. I. 7 



74 uno sEcxnnH) 

saiuta ad Israele e far misericordia al suo popolo siccome 
dai profeti era stato promesso. 

Quest'episodio ignorato dai due altri sinoptici è formal- 
mente smentito dal quarto Evangelio, ove parlando dì Gesù 
fa dire a Giovanni Battista (t): « Io non lo conosceva, ma 
« quegli. che mi mandò a battezzare coU'acqua, mi disse: 
•e Quell'uno sul quale vedrai discendere e fermarsi lo Spi- 
« rito, quegli è cbe battezza nello Spirito Santo > . Il Bat- 
tista non avrebbe potuto dire che non conosceva Gesù se 
fosse stato suo cugino; e nemmeno che non lo conosceva 
come Messia, se fosse vera la narrazione di Luca. Al dire 
di quest'ultimo, il Battista aveva riconosciuto il Messia es- 
sendo ancora ambidue nel ventre delle rispettive genitrici; 
l'aveva altresì riconosciuto Elisabetta madre dal Battista ; 
questo fatto si era sparso da per tutto, si era conservato 
nella tradizione finché pervenne alP Evangelista che lo 
scrisse; e supposto che il Battista l'avesse dimenticato nel 
ventre della madre , nato e fatto grande doveva averlo 
appreso o da^ essa oda altri; quindi come poteva dire che 
non conosceva Gesù, né sapeva ch'egli fosse il Messia? e 
che per conoscerlo avesse d'uopo\di una nuova rivelazio- 
ne? Si potrebbe supporre che i dtie cugini, vivendo tanto 
lontani V uno dall' altro , non si erano mai veduti ; ma è 
un'ipotesi, la quale d'altronde non sembra conciliarsi con 
quell'esplicito e ripetuto per ben due volte: Io non lo 
conoscevo^ e col contesto del quarto Evangelio che esclude 
affatto ogni anteriore rapporto fra Gesù e il Battista. 
. Di questi rapporti non si trova neppure alcuno indizio 
negli Evangeli di Matteo e di Marco; e fa meraviglia che 
il primo dica neppure una sillaba di quanto narra il terzo 
evangelio, abbenché tornasse cosi acconcio alla sua narra- 
zione, e segnatamente a spiegare il fenomeno della gravi- 

(J) Giovanni, 1/53. 



IfASCITA DI GIOVAlim BATTISTA. 76 

danza di Maria esposto da lui in un modo arido e còsi 
poco soddisfacente. 

Quello che più monta egli è, che è neppure d'accordo 
con quanto Luca racconta nel seguito. Ei dice cbe Giuseppe 
e Maria andarono a Betlemme per farsi rassegnare, ed al- 
loggiarono in una stalla perchè non vi era luogo nella lo- 
canda; ma perchè non andare ove abitava l'Elisabetta, tre 
quattro ore lungi da Betlemme, dove avrebbono allog- 
giato in casa de' congiunti , massifue se la gravidan» di 
Maria era così inoltrata? L'Evangelista dicendo: Intanto 
che dimoravano là, si compì il tempo del partorire^ lascia 
supporre che dall'arrivo a Betlemme allo s^^vamento di 
Maria passassero più giórni. Quindi gli apocrifi con una 
esposizione più venwimile raccontano che essendo già vi- 
cini a Betlemme, Maria fu sorpresa dai dolori di parto, e 
che Giuseppe la depose in una spelonca in guardia de'suoi 
figliuoli, intanto ch'egli andò in cerca di una levatrice. 

Secondo Luca, Maria e Giuseppe restarono a Betlemme 
ciroa 40 giorni, di là passarono a Gerusalemme, senza che 
venga loro in mente di fare una visita ad Elisabetta; né 
che Elisabetta o Zaccaria, avvisati che Maria era cosi dap- 
presso, si curino di restituirle la visita ricevuta tre mes 
prima. Si dirà che in quest'intervallo morirono entrambi; 
ma gli apocrifi affermano che erano vivi, e l'Evangelista ca- 
nonico non lascia supporre il contrario. 

Ma concesso che fossero morti, certamente vivevano la 
balia del Battista, i suoi tutori, gli altri suoi parenti, e pa- 
renti più meno prossimi anco di Maria. Tutti costoro 
erano al fatto di quanto successe nella concezione e na- 
scita del Battista e nella visita che Maria fece ad Elisa- 
betta; tutti costoro aspettavano il Salvatore d'Israele, sa- 
pevano che Maria lo portava nel suo ventre, e che il Bat- 
tista era il predestinato ad annunciarlo. Il neonato Messia 
era stato riconosciuto dai pastori che ne sparsero la nuova 



76 UBRO SECONDO 

in tutti i contorDi di Betlemme , era stato riconosciuto 
nel tempio e divenne una cosa pubblica in Gerusalemme. 
Questa notizia, tanto desiderata dagli ebrei, doveva rapi- 
damente spargersi di eco in eco per tutta la Giudea; ed 
è un' assurdità morale il volere far credere che i parenti 
dei Battista, parenti aneo di Maria, non ne avessero a sa- 
per niente, o che sapendolo, non volessero soddisfare alla 
propria curiosità con un viaggio di poche miglia per andar 
a veée^e quel tanto aspettato, molto più che li stimolava 
la vanità dei parentado. 

Eppure l^ Evangelista nulla dice di tanto. Ed anco si 
contradice più abbasso (1) ove racconta che il Battista 
udendo le meraviglie operate da Gesù, gli tnandò due de'suoi 
discepoli a chiedergli se egli era il Messia^ o se doveva 
aspettarne un altro. É strano che un angelo sia venuto a 
bella posta ad annunziare la concezione di Giovanni; che 
Elisabetta ispirata dallo Spirito Santo abbia riconosciuto 
ohe Maria portava un frutto benedetto e che era per di- 
ventare la madre del Signore; che il Battista ancora nel- 
l 'utero materno, esultasse e desse segni di una divina in- 
telligenza e giubilasse alla presenza del concetto Messia; 
che nato e fatto grande se ne annunciasse il precursore, 
che al battesimo di Gesù vedesse lo Spirito Santo discen- 
dere in forma di colomba, ed udisse la voce dal cielo che 
lo proclamava Figlio diletto in cui Dio si compiacque; e 
malgrado tutto questo è strano, ripeto io, che dubitasse 
ancora se Gesù era quello che doveva venire. 

Un dubbio cosi ben formulato non può a verun patto con- 
ciliarsi con quanto si narra da Luca nel principio del suo 
Evangelio; e quelle notizie cosi particolarizzate sulla con- 
cezione e nascita del Battista stanno in somma spropor- 
zione colle- altre eccessivamente aride,, che nel seguito il 

(1) Luca, VII, 18. 



NASCITA DI GIOVANNI BATTISTA. 77 

medesiniK) Evangelista ci somministra sul personaggio di 
Giovanni, del quale persino la morte è accennata per mera 
inoidenza (1), intanto che nei due altri sinoptici forma un 
episodio interessante. 

Pigliamo ora ad esaminare il raccoato ne' suoi partico- 
lari. Luca dice che Zaccaria era della classe 4i Abia, cioè 
dell'ottava fra le ventiquattro classi, sacerdotali istituite da 
Davide (2): ma essa^ insieme a diciannove altre, si estinse 
durante l'esilio di Babilonia; e quelli che tornarono é che 
si dicevano della stirpe di Abia, non avendo potuto pro- 
varne l'autenticità furono separati dal sacerdozio (3). 

Le quattro caste sacerdotali che rimpatriarono furono 
quelle di Jadaia,. Himmer, Pasciur ed Harim, ad oguiina 
delle quali, onde compire il numero delle ventiquattro, fu- 
rono aggiunte còme supplimentarie cinque famiglie de' pro- 
feti restati a Gerusalemme (4). Adunque questa prima as- 
serzione dell'Evangelista è in opposizione colla storia. 

Si potrebbe supporre che le sopradette famiglie suppli- 
mentarie avessero preso il nome delle famiglie sacerdotali; 
ma neppure con questo si accorda la formale asserzione 
dell'Evangelista, che Zaccaria discendeva daUa casa di Aron- 
ne, laddove i profeti erano di tutte le Tribù. Aggiùnto che 
quantunque per la composizione sopradetta si fossero ri- 
tenute virtualmente le ventiquattro famiglie, nel fattb è 
certo che al tempo degli Erodi le famiglie sacerdotali erano 
quattro solta/ito, cioè le sole quattro che tornarono da Ba- 
bilonia (6). 

(1) Luca IX, 9.' 

(%} PardUp, I, XXIV, la 

(3) Esdra il, 62 : Neemia VII, 39 e 63. 

(4) Tosapthà Twnith, II, 1, e più diffosamente la Ghèmara Taanith a 
pag. 776 del tomo XVIII dei Theiaurus antiquitatum hebraiearum di Biagio 
Ugolini. 

(5) Giuseppe. Contro Anione, 1, 8, . 



78 IIBRO SECONDO 

Aggiunge TE vangelista che essendo venuto il suo turno, 
Zaccaria entra nel tempio per ardere l'incenso, e che tutta 
la moltitudine stava di fuori in orazione aspettando Torà 
dell'incenso; che ivi gli apparve Pangelo del Signore, la 
cui vista lo turbi) e lo spaurì; ma l'angelo confortandolo 
gli disse esser egli Gabriel che sta innanzi a Dio, e man- 
dato a lui per annunciargli la nascita di un fanciullo che 
sarà grande innanzi al Signore^ e pieno di spirito santo an- 
cora nel ventre di sua madre. Quel fanciullo, nello spirito 
e colla virtù di Elia, deve precedere il Messia onde con- 
vertire i cnori dei padri nei figliuoli e preparare al Signore 
un popolo perfetto. Zaccaria trova la cosa non molto pro- 
babile, perchè egli è già vecchio e sua moglie pure avan- 
zata negli anni. In pena della quale incredulità, l'angelo 
gii 4iee che sarà muto inflno ai tempo che si effettuerà 
la sua promessa. 

Il diritto di offrire Pincenso sull'altare era riservato al 
sommo sacerdote ^1); e il Protevangelio attribuì a Zacca- 
ria quella dignità. Ma da questo lato il racconto di Luca 
non manca di essere conforme agli usi giudaici. Imperoc- 
ché uno dei sacerdoti, seguendo il suo turno, soleva ogni 
giorno incensare lo spazio interiore, che era fra ir vestibolo 
e l'altare; e durante quella cerimonia ciascuno usciva, né 
poteva rientrare sé non dopo che il sacerdote ne fosse 
uscito (2). 

I Giudei facevano distinzione da angelo a spirito (3); 0i 
spiriti, dice rabbi Osea, sono quelli a cui fu creata l'Anima 

(i) Etodo XXX, 7. Levit. XVI, i7. 

(2) MaimoDidis, De sacfificio iugii$, III, 3. Altri passi rabbtoici mostranti 
questo luogo di Luca furono raccolti da Bia^o (Jgolini nella nota 32. sul 
capo I. Rabbi Chyae AddHamenta ad todieem de die expiationum, nel tomo I 
del suo Thesannu, 

(3) Luca XXIV, 39; Atti Apost., XXHI^ 8 e VEvangelio àe'Nazarei, d- 
Uia da s. Ignazio, AgliSmimenti, cap. i. 



5ASCITA DI 6I0TANHI BATTISTA. 79 

e non fu creato il corpo (1); vale a dire che hanno un'a- 
nima e non un corpo; laddove agli angeli ne attribuivano 
uno^ ma impassibile e quindi non soggetto ai bisogni, alle 
sensazioni e alle mutazioni de^ corpi umani (2). 

Nondimeno perchè un angelo possa rendersi visibile ad 
un uomo ed articolare una voce umana uopo è che as- 
suma una forma analoga. L' Evangelista non lo dice, ma 
bisogna necessfiriamente supporlo ; e se l'angelo aveva una 
figura umana, come Zaccaria potè provarne spavento? Si 
potrà dir per ipotesi, abbenchè l'Evangelista non lo accenni, 
che l'angelo si circuiva di uno splendore inusitato; in tal 
caso come in un uomo così pio, quanto viene dipinto Zac- 
caria, tanta incredulità verso le promesse recategli da un 
essere visibilmente sopranaturale? La stessa incredulità 
aveva già dimostrata Sara, ma gli angeli che parlavano ad 
Abramo vestivano la forma semplice di due giovani; e una 
vecchia di nóvatit'anni poteva ben ridere sentendo dirsi che 
fra poco diventerebbe madre di un bel ragazzo. Laddove a 
Zaccaria la stessa apparizione straordinaria e il timor santo 
che lo colpiva dovevano persuadergliela verità della pro- 
messa. Invece egli risponde freddamente: t Come posso 
t crederlo, se io sono già vecchio e mia moglie giàavan- 
t zata negli anni? » Parole che o non corrispondono allo 
stato del suo animo prostrato da timore e riverenza innan 
all'oggetto che gli parlava, o provano che l'apparizione non 
aveva prodotto in lui l'effetto che narra l'Evangelista, In- 
somma se l'angelo vestiva la forma di un uomo comune, 
è poco verosimile che la sua vista eccitasse in Zaccaria un 
sacro terrore; o se vestiva una forma straordinaria, onde 
Zaccaria ne fosse turbato e scosso, è anco meno vero^mile 



{I) Bereiciik Babbà^ fui. SI. % in Li^^tfoot, lfer.9 hehraiea et ttàhnw 
dietF, paf . 567, in Opp,, toma II. 
(i) Matteo, XXII, 30. 



80 I^IBRO SECONDO 

che gli restasse tanta presenza di spirito per rispondere in 
un modo cosi scettico e poco pio- 

Nel Maha Bhàrata^ poema sacro degli antichi Indiani, tro- 
viamo una leggenda affatto simile. Asvapatis, un pio re di 
Madras, ma vecchio e senza figliuoli, se ne rammaricava, 
e per averne si diede per diciotto anni continui a penitenze 
ed esemzi di pietà cosi assidui, che alla fine gli apparve 
in forma corporea la dea Sàvitri che gli disse : trovarsi ella 
'soddisfatta della sua pietà e volerlo perciò ricompensare 
con quella grazia che egli più desiderar potesse. Asvapa- 
tis le chiese di aver prole. La Dea rispose, che prevenendo 
i suoi desiderii essa ne aveva supplicato il Gran Padre, e 
che gli aveva ottenuto di poter diventare il genitore di 
una amabile zitella, ma che egli non doveva opporre al- 
cuna obbiezione (di avere un maschio piuttosto che una 
femmina) e dovesse anzi rassegnarsi ai decreti dell'Eterno. 
Il principe indiano, più nutrito di fede che non Zaccaria, 
non oppose replica e si contentò di soggiungere: « Che pre- 
« sto si adempia la tua promessa > . Si adempì infatti ; e ja 
fanciulla essendo un dono di Siivitri, fu chiamata parimente 
Sàvitri e divenne un modello di virtù e di carità maritale, 
a tal segno. che il di lei sposo Satjavan essendo morto, e 
il Dio de* morti Jatmas essendo venuto per condurlo seco, 
ella seppe tanto .supplicarlo e ingegnosamente ingannare il 
Dio; che le restituì lo sposo (1). 

Tornando a Zaccaria, l'angelo gli disse che egli chiama- 
vasi Gabriele, vocabolo caldeo significante il Dio (o Tan- 
gelo), forte, potente, od anche la virtù o potenza di Dio. 
Oli Ebrei prima dell'esilio avevano una molto confusa idea 
degli angeli, e in nissun libro del Vecchio Testamento an- 

(i) Bopp., Die Sundfiuth nehst dreif antere» EpUtoàen ^$ Moka Bhà- 
rata, Berlino, 1829. ^vveoe aùehe una Uadaxione latina deUo^ stesso Bo|^, 
Berlino 1829. 



hascita di GiovAnm battista. 81 

tenore a quell'epoca si trovano indicati con proprio nome. 
All'incontro i nomi di Gabriel, Michael, Raphael, confessano 
i rabbini miedesimi di averli portati da Babilonia (i). 

Ora, come mai la mitologia di un popolo idolatra e le sue 
finzioni sugli angeli o sul loro nome e il loro ministero, 
hanno potuto identiflcarsi con una i^eiigione rivelata? la 
rivelazione era ella cosi imperfetta che le facesse mestieri 
di empirne i vacui colle immaginose finzioni di una mito- 
logia straniera? 

I nomi di Gabriel, Michael e^ Raphael dalla mitologia per- 
so-caldea passarono nella mitologia giifdaieo^rabbinica, % di 
là nella cristiana, ove la loro esistenza, come intelligenze 
angeliche, fu canonizzata e convertita in dogma. 

Eppure i due primi si trovano rammentati soltanto nel 
libro di Daniele, scritto dopo l'esilio, e si può anche dire 
dopo che l'impero persiano fu soggiogato dai Macedoni ; il 
terzo riscontrasi unicamente nel libro xii Tobia. 

Quanto ai libri del Nuovotestamento, tranne il citato luogo 
dì Luca ove Gabriele è nominato, non se ne trova più trac- 
cia non solo negli Evangeli, ma in tutti gli altri libri, ab- 
benchè si parli più volte di angeli o di angelofanie. Nello 
stesso Nuovo Testamento è parimente ignota l'esistenza di 
un angelo che si chiami Raffele. Quanto a Michele è ricor- 
dato più volte nell'Apocalisse, ove la sua comparsa è sem- 
pre mitica od allegorica; ed una volta anche nella epistola 
di san Giuda^ in occasione che copiando qualche antico apo- 
crifo, riferisce parimente un mito giudaico. É. notabile, al- 
tresì, che sebbene Matteo parli anch'egli di un angelo ap- 
parso ripetutamente a Giuseppe, pure non gli dà alcun 
nome. 

Questo complesso di circostanze è tale da suscitare gravi 

(1) Tahnud hieroi, in Lightfoot, Horce hehraiccB et ialm^ica. Pag. 498, 
In Opp,, tomo n. 



82 LIBRO SECONDO 

dabbi contro la veracità istorica del racconto di Luca. Ben 
si comprende come egli parlasse secondo le idee popolari 
del jsuo tempo; ma non si comprende come quelle idee 
popolari, derivate da una fonte impura e rigettata dalla ri- 
velazione, potesse poscia convertirsi in una verità dogma- 
tica. ' 

Questa difficoltà, che è insolubile per qualunque verso 
la si esamini, basta essa sola a persuaderci che la narra- 
zione dell'Evangelista è niente più che una mitica leggenda 
elaborata sul gusto di quella età, e da una mano diversa da 
quella che scrisse il rimanente del terzo Evangelio, a cui 
fu posteriormente aggiunta come introduzione' od episodio 
preliminare. 

Lq stesso angelo Gabriele che era apparso a Zaccaria nel 
tempio di JSerusalemme, sei mesi dopo si mostrò a Maria 
in Nazareth per annunciarle la sopranaturale conQ€(zione di 
Gesù. 

Rimando ad altro capìtolo l'esame di questa parte; ma 
continuando il filo del precedente racconto, aggiungo che 
« in fuei giorni Maria andò frettolosamente nei monti, nella 
« città di Giuda, a render visita ad Elisabetta > . La frase 
in quei giorni è vaga oltremodo, e ci lancia incerti se la 
partem^ di Maria fu subito dopo la visita dell'angelo, o 
qualche tempo dopo. Il contesto sembra favorire la prima 
opinione. Ma qual era quella città di Giuda nei monti? I 
commentatori la credono Ebron net manie di Giuda (1), città 
sacerdotale e di rifugio nella parte più meridionale della 
Palestina, lontana 22 miglia romane da Gerusalemme. All'in- 
contro i missionari di Terra Santa mostrano un luogo detto 
da loro San Giovanni in Montana, nelle vicinanze di Be- 
tlemme, ed ove pretendono che ivi nascesse il Battista. Vi 
era nella Giudea una regione chiamata hor hammakk*o 

•(i)Jo8tte, XX, 7. 



NilSaTA DI GIOVAimi BATTISTA. 8S 

Monte Reale sovrastante alla pianura di Lidda (1). Se è la 
regione montana dell'Evangelista, la città a cui egli accenna 
bisognerebbe collocarla fra Gerusalemme e il Mediterraneo, 
e non fra Gerusalemme e il Mar Morto come faiìno i mis- 
sionari, e molto meno ad Ebron, come vogliono i eommev- 
latori. Quest'ultima opinione, per altro, sarebbe la meglio 
appoggiata se la citata frase di Giosuè Ebron nel monte di 
Giuda corrispondesse esattamente a quella dell'Evangelisia 
nei mentii nella città di Giudft. Comunque sia, l'indica- 
zione vaga dell'Evangelista cosi del tempo in cui Maria fe«e 
il suo viaggio, come del luogo a cui élla s'indirizzò, dime- 
stracome egli stesso non avesse alcuna chiara nozione dei 
fatti che narra. ^ 

E quel viaggio di Maria, a qual prò? Ella è una giovani, 
promessa sposa e in procinto di andare a nozze; viaggia, 
a quel che sembra, da sola; si assenta per tre mesi; è una 
gita al tutto oziosa, da che non si scorge che si prefiggesse 
alcun scopo; ed è anche inesplicabile nella posizione delicata 
in cui ella si trovava di zitella, di sposa e di vergine in- 
cinta mira^losamente. Nondimeno ella si toglie frettolosa- 
mente da Nazareth in Galilea per recarsi in una città della 
Giudea. Qual fine poteva avere? forse la curiosità di veri- 
ficare se l'angelo le aveva detto il i?ero intorno alla gravi- 
danza di sua cognata? Ma perchè andar sola? Non sarebbe 
stato più acconcio di comunicare immediatamente al suo 
fidanzato o a' suoi parenti l'apparizione sopranaturale di cui 
fu favorita, la prova di testimonianza che le fu data? Un si- 
lenzio cosi misterioso la esponeva alla pubblka vergogna ed 
alla severità delle leggi, o rendeva necessario un seeoodo 
miracolo per giustificarla. Che doveva dire il suo sposo 
quando dopo un'assenza di tre medila vedesse Unrnare in* 
cinta senza che egli vi avesse avuto parte? 

(1) Toiaphtà Beviith, VH, 5 nel Theiaùrui di UgoHDì» lotto XX. 



84 UBRO SECONDO 

A fronte di tante difficoltà noi siamo costretti a fermarci 
allo scopo delFEvangelista, il solo che apparisca . dal suo 
racconto, quello cioè cb^egii abbia immaginato quel viag- 
gio per aver l'occasione di riferire il precoce riconoscimento 
del Messia in Elisabetta e nel di lei portato. 

Infatti la causa e T effetto di qiiel viaggio stanno intie- 
ramente nelle seguenti parole: t Maria entrò nella 
t casa di Zaccaria e salutò Elisabetta; e appena Elisabetta 
t udì la salutazione di Maria, Vinfante che era nel di lei 
e utero esultò, ed Elisabetta. fu piena di spirito santo e 
« con gran voce esclamò e disse: Benedetta tu sei fra le 
€ donne e benedetto il frutto del tuo ventre. Ma per qual 
t merito mio la madre del mio -Signore è venuta a tro- 
c varmi? Perciocché tosto che la voce del tuo saluto corse 
« al mio orecchio, esultò di allegrezza l'infante che porto 
« nel ventre. E tu beata che hai creduto, affinchè si com- 
e pissero le cose dette a te dal Signore. 

Secondo l'Evangelista, Maria si fermò quasi tre mesi 
presso la cognata, dopo di che tornò a casa sua. Se quando 
v'andò, Elisabetta era già incinta da sei mesi, e se Maria 
si trattenne presso di lei quasi tre altri mesi , ciò vuol 
dire eh' ella si trattenne fin quasi al tempo del parto di 
Elisabetta; ma a questo fatto ella non si trovò presente, 
perchè lo storico la fa partir prima. Non era egli naturale 
che ella dovesse rimanere fino alla nascita di quel mera- 
viglioso bambino, che doveva essere il precursore di quel- 
r altro che ella portava in grembo? Quale necessità la 
spinse a fare frettolosamente il viaggio da Nazareth nei 
qionti della Giudea; a trattenervisi quasi tre mesi, ella 
die era fidanzata ad uno sposo ; e poi a partirne qualche 
settimana prima che seguisse il parto di Elisabetta? Sic- 
come tutto l'interesse del viaggio sta evidentemente nello 
scopo di raccontare qualmente al primo incontro Elisabetta 
riconoscesse in Maria la madre del futuro Salvatore dM- 



NASCITA DI GIOVAimi BATTISTA. 85 

sraele , e che questo Salvatore appena concepito nel 
ventre di Maria fu parimente riconosciuto dal Battista 
ancora nel ventre di sua madre; cosi la prohingata di- 
mora di Maria , sembra non avere altro fine tranne di 
stabilire che ella era già gravida di tre mesi , per opera 
dello Spirito Santo, prima che passasse a nozze con Giu- 
seppe. 

Per ultimo non so quale fede istòrica meritar possano 
i due cantici che Si suppongono improvvisati Tuno da Ma- 
ria nel suo incontrò con Elisabetta, l'altro da Zaccaria 
dopo la nascita di suo figlio; e che hanno tutta V appa- 
renza dì essere una invenzione dello scrittore onde com- 
piere la parte poetica di quella narrazione tanto piena di 
meraviglioso. 

Essendo ella incredibile come storia perchè non regge 
alla critica, noi non possiamo però accettarla se non come 
una leggenda religiosa elaborata sopra tradizioni preesi- 
stenti ed applicate alla circostanza. 

10 non voglio sostenere che il mito indiano recitato àà 
sopra possa essere entrato pei* qualche cosa nel mito evan- 
gelico, non potendosi provare che le tradizioni poetico-re- 
ligiose degl'Indiani fossero diffuse nella Palestina. Ma l'ap- 
parizione dell'angelo a Zaccaria ebbe senza dubbia un pre- 
cedente, che le servi di tipo, in un mito rabbinico assai 
divulgato al tempo in cuji furono compilati gli Evangeli; 
ed è questo. 

11 sommo sacrificatore Simeone il Giusto, (dall'anno 300 
al 260 avanti Gesù Cristo) dopo quarant^anni di pontifi- 
cato annunciò agli Israeliti che in quell'anno egli morrebbe. 
Gli chiesero , come lo sapesse^; ed e* rispose : Ogni anno 
quando io entrava nel Saqtp de' Santi entrava ed usciva 
meco un vecchio vestito di bianco e velato di bianco : ma 
quest'anno entrò e non usci. E ad alcuni che. facevano 
delle congetture sopra quella apparizione misteriosa , sog- 



y^ 



86 UBRO SECONDO 

giunse : « Creda altri che era un uomo, ma io credo che 
<^ra un Diofun angelo) (1)>. 

É dunque probabile che questo mito sopra un perso- 
naggio assai celebre e venerato fra i Giudei, abbia sommi- 
nistrato il primo embrione ; il resto della leggenda fu som- 
ministrato da altre tradizioni assai conosciute e dagli usi 
ste3si de' Giudei; appo 1 quali l'aver molti figliuoli era il 
principale scopo del matriaK>nio, e il maggior orgoglio dei 
coniugi; e il non averne era una non pure vergogna, ma quasi 
un segno che Dio non aveva benedetta la loro unione. Quindi 
l'aver prole in una età avanzata si considerava come un 
favore speciale del cielo, e un tal favore veniva alcune volte 
annunciato da un angelo. Cosi accadde ad Abramo per la 
nascita d' Isacco , a Man uè per la nascita di Sansone ; e 
quei fanciulli donati da Dio si ritenevano consacrati a Ini; 
come Isacco che fu per essere sacrificato, Sansone che fu 
fin dalia nascita eonsecrato al voto de' Nazirei, e Samuele 
che fu dedicato al servizio dell'arca ed allevato nel collegio 
d^' profeti. 

. Questi ed altri esempi com'erano nella memoria del po- 
polo cosi lo erano anche in quella dell'Evangelista, che ne 
trasse una imitazione poetica nel suo racconto della con- 
cezione e nascita di Giovanni. 

Anche i nomi di Zaccaria ed Elisabetta non furono in- 
trodotti a caso. Elisabeth o Elisebà chiama vasi la moglie 
di Aronne (2), e Josabeth o Josebà, che torna lo stesso del 
nome antecedente, chiama vasi la moglie di un discendente 
di Aronne,' del sacerdote Joiada. Fu essa che sottrasse il 
fancìulletto Gioas, di lei nipote, dalle stragi della crudele^ 



(i) Ghent, Hierosol Jomà. 298 nel tomo XVIII del Thesaurus di Ugo- 
lini , e con qualche varietà nella Ohem. Babyl. berachot, pag. i26t, nel 
tomo XIX detto. 

(2) Esodo, XI, 2. 



NASCITA DI GIOVANNI BATTISTA. 87 

Atalia (1); e fu anco la madre del sommo sacerdote Zacca- 
ria che Gioas, diventato re, fece assassinare. 

Il nome di Josabeth o Elisabeth era dunque aulico ed 
usuale nelle famiglie sacerdotali, ed era d'altronde il nome 
di due donne celebri, ambe mogli di sommi sacerdoti. Come 
anche assai celebre era passata fra i rabbini la storia di 
Zaccaria, che vestirono di finzioni poetiche^ e la* ripete- 
vano nelle loro lezioni (2). Attingendo a queste tradizioùi 
l'Evangelista trasse i nomi dei due protagonisti del citato 
episodio. 

Quanto ai due cantici , quello di Maria non ^ che^ una 
amplificazione del cantico di Anna madre di Saoiuele, dopo 
che vide cessata la sua sterilità (3); e quello di Zaccaria 
fu compilato sopra vari passi allusivi al Messia, sparsi nei 
libri del Vecchio Testaménto. 

Finalmente se vogliamo indagare quale po^sa essere il 
fine propostosi dall'autore del citato episodio; nissun altro 
noi ne vediamo fuori di questo. Sappiamo da Giuseppe 
Flavio che Giovanni Battista predicando la virtù e la pe- 
nitenza si era fatto un numeroso seguito di discepoli ed 
erasi acquistata una grande riputazione fra il popolo, onde 
Erode il tetrarca temendo di una sedizione lo fece impri- 
gionare e poscia morire. Però i suoi discepoli gli sopra- 
vissero e formarono la setta de' Gìovanniti, di cui ci toc- 
cherà di parlare più avanti. Fra essi e i discepoli di Gesù 
sorsero delle emulazioni; e siccome il Battista si era an- 
nunciato il precursore di un prossimo Messia, e i Nazareni 
sostenevano che tale aspettato e predetto Messia era il loro 
Maestro, perciò si trovarono nella necessità di conciliare 
la missione di Giovanni con quella di Gesù e di dimostrare 
gl'intrinseci rapporti fra loro due. 



(1) ly, Re, XI, 2; li. Paralip., XXII, il- 

(2) Questa legi^da la raiérìrò fivL abbasso nel libro lY^ capo 3. 

(3) I, -Re, II, 1 e seq. . . 



ss LIBRO SECOKDO 

A quest'uopo fu immaginata la parentela fra i due pro- 
feti, parentela che, come vedremo nel capo seguente, è sog- 
getta a contradizione; fu parimente immaginata la con-* 
cezione miracolosa di entrambi, e la leggenda del Battista 
che tuttora nel ventre della genitrice riconobbe ed esultò 
alla presenza del Messia, egli pure nel ventre della propria 
madre è concepito da poche settimane ; come anco la ri- 
cognizione di Elisabetta , che fece- i suoi complimenti e i 
suoi omaggi alla cognata vergine ed incinta. Simili pro- 
digi niente eostavano agli antichi in cui era molto pro- 
fondo il sentimento religioso, e che d'altronde "possedevano 
una viva^ poetica e superstiziosa immaginazione. Qualche 
cosa di simile al movimento del non-nato Battista ci offre 
la Genesi nella lotta fra Giacobbe ed Esaù incominciata 
avanti che nascessero (1). Anche THo Livio ricorda un infante 
che dal ventre di sua madre gridò: lo trinmphe.; ma tanta 
è la forza della prevenzione che sant' Agostino , il quale 
befifavasi dei miracoli affermati dai pagani, non trovava 
egualmente assurdi quelli dei cristiani (2). 

Quanto ai.sopraccennati accomodamenti essi risulteranno 
anche più chiari ove avremo a parlare dei vicendevoli rap- 
porti personali fra Gesù e Giovanni. 

CAPO TERZO. 

GENEALOGIA DI. GESÙ. 

Matteo comincia il Suo Evangelio con queste parole Li- 
bro della generazione di Gesù Cristo, che tradotte in 
ebraico corrispondono a queste altre Sepher toledot Jesciuà 
ammescià. Fra Bernardino da Siena (3) contro V opinione 

(i) * Geremia santificato nel ventre della madre e predestinato profeta 
alle genti. Gerem. I, 5. 

(2) Titi Livii, JKitoria, XXIV, 4,D. Augastini» De Civitate Dei, Hi, 31. 

(3) Bibliotìma Saneta, lib. U, pag. 127. 



GENEALOGU DI GBdÙ. 80' ' 

espressa da san Giovanni Grìsostomo e da aleuni altri, pre- 
tende che queste parole si abbiano a prendere pel titolo 
di tutto r Evangelio di Matteo: ma le prove éhe àdduee 
non sono molto soddisfacenti , e sono anzi contradette dà 
ciò che nella Scrittura la frase Sepker toledòt, Bbro delle 
generazioni (1), — e Ellech tòledot — ecco le generazio- 
ni (2) — è adoperata a significare non una storia, ma una 
semplice genealogia; molto più che i! vocabolo Sepher se 
si può tradurlo libro^ si può anco e più letteralmente tra- 
durlo ordine, successione. Quindi la frase Sepher toledot 
Jesciuà significherebbe ordine o successione delle genera- 
zioni di Gesù, in termini più moderni albero genealo- 
gico di Gesù. 

Quindi il manicheo Fausto, nelle sue dispute con sant'A- 
gostino, si appoggiava a' motivi critici quando impugnava 
questo titolo dell'Evangelio di Matteo e sosteneva dpver- 
losi riferire non a tutta la narrazione^ si soltanto ai primi 
due capi (3^; i quali sembra infatti che formino un lavoro 
staccato dal rimanente. É certo almeno che non si legge- 
vano negli esemplari ebraici dell'Evangelio di Matteo di cui 
si servivano gli Ebioniti e i Nazarei, veduti da sant'Epi- 
fanio e da San Gerolamo. 

Quello degl' Ebioniti , che è verosimilmente il più an- 
tico, incominciava cosi < Accadde ai tempi di Erode re 
€ della Giudea, sotto Caifa principe de' sacerdoti, che un 
« tale per nome Giovanni battezzasse il battesimo della pe- 
< nitenza nel fiume Giordano >. 

L'Evangelio di Marco incomincia quasi nello stesso modo; 
lo che prova come egli, più degli altri sinoptici, si accosti 
ai primitivi testi ebraici. 

(I) Genesi, V, I. 

(J) Ibid, X, 4; XI, 10 e XXXVI, 1. 

(3> D. Auguslini, Contra Fawtum, II, i, et XXIII, % in Opp,^ tomo Vm. 
Edit Bcnedict. 

Crii, degli Ev. Vd. L s' 



. ÀBche Bel 6Ute9seron^ o vogliam dire nella Concordia 
Krangelica di Taaiaao , h ritiene che mancasse la genea- 
logia» e loanca altresì in alcuni codici antichissimi che tut- 
tora si conservano, tra cui in quello di Ebner (1). 

r Insomma i crìtici la incontrano la prima volta negli esem- 
plari di etti si servivano i due eretici Cerinto e Carpo- 
(^te, onde n^sce il sospetto che sia stata compilata da loro. 
Anche Luca ci dà una genealogia di Gesù. Ha se Matteo 
la colloca nel bel principio e come un prologo alla storia 
deUsi nascita di Gesù, Luca la trasporta dopo il battesimo 
del medesimo. Matteo comincia da Àbramo e scende sino 
a. Gesù; e Luca seguendo un ordine inverso, incomincia 
da Gesù ed ascende sino ad Adamo, anzi a Dio. 

Queste sarcherò difierense di nissun momento, se altre 
non ve ne fossero che, hanno imbarazzato e imbarazzano 
tuttavia gli esegetici ; ed è la dissonanza che passa fra le 
genealogie dei due Evangelisti e fra esse e i cataloghi ge- 
nealogici de' Paralipomeni , come risulta dalla sola ispe* 
zjoae del quadro seguente: 

LUCA 

/ i Adamo 
/ JSeth 

3 Eoof 

4 Gainan 

5 Maleel 

6 lared 

7 Enoch 
I 8 Matasalem 
' Lamech 

Di accordo coi oatal./lO Noè 
della GeDesiaecon.iLXXA 11 Sem 

112 Arfoxad 

113 Cainan, 
la Sale 
'iSHeber 

16 Faleg 

17 Ragau 

18 Sarug 
i9 Nachor 

<20 Tare. 

(1) Michaelis, Einìdtung in dat Neue Teitatr^^t, % 138, pag. 1012. 



eERiKtosu M «na. 



91 







MATTEO s LITGA 








f 1 Abramo 


31 




/ 


2 Isacco 


22 




l 


3 Giacobbe 


23 






i 4 Giuda 


24 


» 


1 


1 5 Fares 


25 






1 6 EsroD 


26 


Di accordo coi 


r««i«lri . 


/ 7 Aram 


27 


del Vecchio TesUménlo. ^ 


\ 8 Aminadab 


2d 






] 9 Naaason 


29 






fio Salomon 


30 






fu Booz 


81 






^I« Obed 


32 






13 lesse 


33 






^ 14 David 


34 


1. ParalipommU^ III. 


MATTEO 


LUCA 


Salomone 




1 Salomone 


35Katan 


R<dx>aiDO 




2 Roboamo 


36 Mattata 


AìntL 




SAbia 


37 Mainàn 


Asa 




4Asa 


dSMelca 


Josafath 




5 Josafath 


39 Eliacim 


loram 




6 Joram 


40Jona 


OchozU 






41 Josef 


Gioas 






42 Giuda 


Amatia 






43Simeon 


Azaria od Olia 


7 Oda 


ULeYi 


Joatan 




6 Joatan 


45Mattat 


Achax 




9Acbat 


46 Jorìm 


Ezechia 




10 Ezechia 


47 Eliezer 


Hanasse 




11 Manasse 


48 Gesù 


▲mon 




11 AmoQ 


49Her 


iosia 




13 Josia 


50 RImodam 


JoaehliD 






51 Gosam 

52 Addi 
83 Metchi 


Jèconia 




14 leconìa 


54 Neri 


Salatbiil 




i SALATain» 


55 Salatbbi» 


Pedaia 








ZoBM^AIlt» 




iZoiOBAMb 


66Z0108ABB1 


Anania 




3 Abind » 


57Re8i^ , 


Faltia 




4 Eliacim 


58 Joanna 


• • • • • 


(i) 


5 Azor 


59 Giuda 


Sechaote 




eSadoe 


60 Josef 


Semel 




7 Adìim 


61 Semel 



(1) Nei ParaKptm^fii vi ò qui una lacuna, stante che it passo sia vi- 
ziato nò si veda chiaro chi fòsse il discendente di Faltia Tascendènte di 
Sechama. 



92^ 


L»RO SlOpHDO 


62 Mattata 
63Maat 


Nehariah 


8 Gliud 


64 Nanghai 


Elioneo (i) 


9 Eleasar 


65 Esh 
66Nauin 

67 Amos 

68 Mattalia 
Ì9 Josef 

70 Jonna 

71 Melchi 

72 Uvi (2) 




ÌO Malhan 


73 Malthat 




il Jacob 


74 Eli 




12 Giuseppe 


75 Giuseppe 




13 Gesù* 


76 Gbso' 



Matteo dice che da Abramo a Davide vi furono quattor- 
dici generazioni; da Davide alla trasmigrazione di Babilo- 
nia quattordici generazioni ; e dalla trasmigrazione di Ba- 
bilonia a Gesù altre quattordici generazioni : in tutto, qua- 
rantadue, eppure contandole non sono che quarantuna. 

Il primo quattordenario da Abramo a Davide inclusivo 
è giusto: ma il secondo da Davide alla trasmigrazione di 
Babilonia, se si ferma a Josia, come sembra dover essere 
r intenzione deirEvangelist^ , sarebbe giusto, ma Davide 
sarebbe contato due volte, cioè in fine al primo, ed in capo 
al secondo quattordenario. Se escludiamo Davide e comin- 
ciamo a contare da Salomone sino a Josia , non avremmo 
che tredici generazioni e dovremmo aggiungervi Jeconia 
per compiere le quattordici; ed allora ne restano tredici 
soltanto pel terzo quattordenario. In tutti i modi la tota- 
lità è sempre di quarantuno e ùon di quarantadue. 

La serie genealogica compresa nel primo quattordenario 
è provata dai registri del Vec^ìhio Testamento; ma non è 

(1) Qui finisce il catalogo de* Paralipomeni. 

<2) Omessi da Giulio Africano o da altri ; vedi Novum Testamentum 
grcBCum variis ketionibui adornatum, pag. 521, Tubing» 1734 ; edisdoBe 
di Beogd. Neiresemplare di coi si serviva san Giovanni Damasceno, Levi 
stava prima di Melchi e mancava Matthat. Ne parlo un po' più oltre. 



GEREALOOIA DI 6£SÙ. 93 

cosi di quella compresa iì«1 secondo da Satomone sino a 
Jeconia ; mentre dai Paralipomeni e dalie istorie dei re di 
Giuda risultano, diciotto generazioni. 

Stando a Matteo, Joram generò Ozia: ma secondo i ci- 
tati documenti Joram generò Ochozia; questi generò €ioas; 
da Gioas nacque Amasia, che fu padre di Azaria detto an- 
che Ozia nel Paralipomeni. Perlochè l'Evangelista avrebbe 
saltato le tre generazioni di Ochozia, Gt(^s e Amasia. 

Questa omissione è giustificata da Lightfoot (1) con 
dire che JOram essendo stato idolatra^ Dio lo volle gasti- 
gare collo escludere dalla genealogia di Gesù i suoi suc- 
cessori sino alla terza generazione. Se questa ragione po- 
tesse valere, si sarebbono dovuti .escludere, per lo stesso 
motivo, quasi tutti i re di Giuda succeduti a Salomone; 
imperocché la Scrittura dice che, tranne Ezechia e Josia, 
tutti gli altri prevaricarono cogli idoli (8). 

Sembra piuttosto che il compilatore della genealogia di Mat- 
teo od abbia confuso Ochozia con Ozia (Azaria) e ne abbia 
latto un solo personaggio saltando via le due generazioni 
intermedie ; ovvero siasi giovato di questo medesimo equi- 
voco per omettere espressamente tre generazioni, onde 
ottenere il giusto numero del secondo quattordenario. 

Un po'iHÙ oltre l'Evangelista prosiegue a dire che: 
< Josia generò Jeeonia e i suoi fratelli nella trasmigrazione 
« di Babilonia > , il che non è esatto. 

Josia fu ucciso neUa battaglia di Mageddo contro Necao 
^re di Egitto, dodiei anni avanti la trasmigrazione. Lasciò 
tre figliuoli: Joakim, Joakaz e Sedecia. Il secondo fu por- 
tato sul trono dalla fazione di corte che teneva per -gli 
Assirìi o Caldei ; ma tre mesi dopo Necaò venne a Geru- 
salemme, Io depose, gli sostituì Joakime Io condusse pri- 

{ì) BarmmM è^aé^fiUta mtXlìt Opem, tmn ì, fà^ 
(1) Eecktiaitkui, XUX, M. 



94 IIMO ttCORDO 

gkme in EfjUi/9 àmie più noa tornò. Joakim regnò un- 
dici anni e morendo lasciò il regno a Joakin o leconia s«o 
figlio, il quale tre mesi appresso fu captivato da Nabuco- 
dònosor re de'Caldei che lasciò il regno a Sedecia ultimo 
re di Giuda. Jeoonia fu condotto a Babilonia e tenuto in 
carcere per ben 37 anni. Essendo poi morto Nabucodono- 
sor, il di lui figlio lo trasse di prigione e gli assegnò un 
trattamento deg«o del suo grado. 

Dunque l'Evangelista per essere conforme alla storia 
avrebbe dovuto dire: < Josia generò Joakim e i suoi fra- 
< telli , e Joakim generò Jeconia (menato captivo) nella 
e trasmigra2ioiie di BaUlonia»; lo che corrisponderebbe 
alla frase usata dai Paralipomeni: « E figli di Jeconia cap- 
t tivo (Àsir) furono Salathiel ecc. (1) ». 

Ha anche qui Lightfoot scioglie la difikoltà con dire 
che Joakim fu escluso dalla genealogia perciocché fu giu- 
dicato indegno della sepoltura e gettato nelle carogne (2). 
Senza ricorrere a siffatte spiegazioni mistiche, di cui non 
saranno molti quelli che se ne tengono soddisfatti, è chiaro 
che vi è una omissione nei testi comuni di Matteo^ la 
quale debb' essere molto aatica perchè passò nella versióne 
siriaca, né trovasi risardta se non in alcuni testi poste- 
riori al IV secolo, in cui si legge jMkim generò Jeconia (3). 
Par cui rimane il dubbio se il risarcimento sia stato in- 
trodotto dai correttori onde emendare la mancanza di 
Ihtteo^ come sospetta il padre Lamy (4); o se i correttori 
hanno trovato quel risarcimento in altri testi pi4 antidii, 
come sembra indicarlo la mancanza di una generazione 

(I) I, ParaHp., UI. 17. U jeaoh À9ir (oopUvo) daUfli ¥a1ga|»e H altri, 
. ioterpreti vieot iitesa pd wmé pni^io di un «Uno ^o 4i leoooia. 
■ma é chiaro il diverso suo significato. 

(%) Lightfoot, I e, Geremia, XXX, i8. 

(d) NovMM T^ilammUtm cm$ pmri^ Uùtkmbm, fidìt. Jesfel, pag. 451. 

^) Hàrmùma evat^liea, tomo I, pag. SL . - 



CfCneALOGIA DI GESÙ» 95 

per completare il numero delle quarftntadne sommate del- 
TEvangelista. 

Ritenuta questa ultima ipotesi, il secondo quuttorde- 
nario finirebbe con Josia; e con Jeconia comincferebbe il 
terzo. 

Ma sciolta questa , c'incontriamo in altre difficoltii. 
L'Evangelista dice che dopo la trasmigrazione di Babi- 
lonia Jeconia generò Salathiel. Quando Jeconia fu tratto 
in servitù aveva 18 anni, e la storia dicendo che con ini 
furono tratti in esilio la madre e le mogli , non nomina 
che avesse alcun figliuolo (l)\ anzi Geremia cbe era con- 
temporaneo a quest'atvenimento, in iin vaticinio scritto 
dieci anni dopo^ cioè quando i Caldei assediavano per 
V ultima volta Gerusalemme, dice apertamente che Jeconia 
non avrebbe mai avuto figli, lo che dimostra per lo meno 
che fino allora non ne aveva (2). 

Con tutto ciò i Paralipomeni glfene danno almeno uno, 
precisamente Salathiel, che Jeconia, secondo il testo ebraico, 
generò nella schiavitù. 

Anzi potrebbesi supporre che ne generasse otto, se la 
confusione che regna nel testo, evidentemente viziato, 
permettesse di attribuire a lui anche gli attrl sette nomi- 
nati dopo Salathiel. Comunque sia, quest' ultimo, secondo 
i Paralipomeni, era figlio di Jeconia captivo (3), e quindi 
r asserzione dell' Evangelista è posta in salvo. 

Ha non è cosi ove soggiunge che Salathiel generò Zoro- 
babel. Dall'elenco de' Paralipcnneni non risulta che Sa4a- 
thiei abbia avuti figliuoli; ma Aggeo contemporaneo ed 
amico di Zorobabel ed Esdra e Neemia venuti mezzo se- 
colo <^po, lo qualificano constan temente per figliuolo di 

(!) rV, Re, XXIV. i5. 

(«) Geremia, XXII, 30. . . 

(3)1, ParaUp.,m, 17. 



96 LIBRO SECOSBO . 

Salatbiel, laddove i Paralipomeni lo fanno generato da 
Phadaia. Ma di costui avremo a discorrere più sotto. 

Continua a dire V Evangelista che da Zorobabel nacque 
Abiud) e da questi Elìacim: ma tra i due figliuoli maschi 
ed una femina che i Paralipomeni danno a Zorobabel, non 
si trova nominato on Abiud; né tra i figliuoli de' figliuoli, 
un Eliacim; come anco non vi è alcuna simiglianza fra 
gli altri nomi compresi nel catalogo de' Paralipomeni e 
quelli riferiti dall'Evangelista. 

Dunque la genealogia di Matteo confrontata colle ^ liste 
del Vecchio Testamento, è comprovata pel primo quat- 
tordenario^ ha delle mancanze nel«econdo, e differisce in 
gran parte nel terzo. 

Passando a confrontare la genealogia di Matteo con quella 
di Luca trovasi che il primo conta da Davide a Gesù due 
volte 14 generazioni, Davide escluso; e l'altro ne conta 
tre volte 14, compreso Davide; a tal che Luca conta nel 
medesimo albero genealogico 13 generazioni più di Matteo. 

Quest' ultimo dopo Davide nomina Salomone, Roboamo 
e via di seguito facendo discendere Gesù dal ranio re- 
gnante della casa di Davide; invece Luca lo fa discendere 
da Nathan ossia da un ramo cadetto. É nondimeno sor- 
prendente che ambidue i genealogisti dopo una serie ine* 
guale di generazioni e di nomi differenti s'incontrino del 
paro nelle persone di Salathiel e di Zorobabel. Ma seguendo 
Matteo, Salathiel fu figliuolo di Jeconia penultimo re di 
Giuda, e seguendo Luca fu figliuolo di Neri discendi^nt^ 
di una linea fuori della casa regnante. 

Fra i molti figliuoli che Davide ebbe da varie mogli e 
coneublne dopo che da Ebron trasferi la sua residenza a 
Gerusalemme, trovasi nominato un Nathan, del quale la 
Bibbia non fa più parola (1); e soltanto per conghiettura 

(1) II, Re, V, i4; I. ParaUp,, UL 5. 



GBIVEÀLOeiA DI «ESU. 97 

si può credere che fosse uh fratello uterìno di Salomone, 
e il padre di un Azaria che lo stesso Salomone fece ""suo 
intendente generale (1 . 

Ma se Natban abbia avuto molti o pochi figli, se la sua 
discendenza si sia conservata a lungo, se ^lla esistesse 
ancora al tempo dell'esilio o se siasi estinta o andata a 
smarrirà nella oscurità delfei vita privata, è ciò che la 
Bibbia ci lascia completamente ignorare. 

Per cui questa parte della genealogia di Luca manca 
affatto di prove, molto più che i pubblici registri essendo 
stati dispersi tramezzo agli sconv<Hgiitenti ed alla confu- 
sione da cui fu preceduto P esilio, non si sa immaginare 
donde l'Evangelista possa aver tratta quella, successione 
regolare da Nathan fino a Zorobabele. 

Matteo e Luca, che dopo Davide procedono per due 
linee diverse, dopo la trasmigrazione nuniscòno queste 
due linee nella persona di Salathiel padre di Zorobabel, 
giacché nominano entrambi questi due individui; né vi ha 
dubbio che il Salathiel e il. Zorobabel dell'uno sono anco 
quelli dell'altro, giacché si accordano a farti fiorire nel 
medesimo tempo, e questo tempo coindde perfettamente 
coir epoca dell'esistenza istonoa di quei due personaggi. 
Ma discrepano in tutto il resto. 

Secondo Matteo, Josia re di Giuda generò Jeconta (omessa 
la generazione intermedia di Joakim) e Jeconia generò 
Salathiel. 

Secondo Luca, Elmodam, personaggio sconosciuto , ge- 
nerò Cosam, questi generò Addì che fu padre di Melchi, 
da cui nacquB Neri, « da questi Salathiel. 

In guisa che Matteo da Josia a Salathiel non conta che 
una generazione intermedia, e quattro ne conta Luca da 
Ehnodam a Salathiel. 

(i) m, Be.iy^n. 



98 UNO SADCHDO 

Di quest'EimodtiD o EiiDodan non havri indizio ndla 
Scrittura; trovasi invece un Elnathan. uno dei segretari 
o ministri del re Joakim (1), e che da lui fu spedito in 
ambasciata al re di Egitto (2); egli era suocero del re, 
perchè sua iiglia Nohesta o Nechusta fu maritata a Joakim 
che la fece madre di Jeconia (3). Ma Elnathan ed Elmodan 
non possono essere identici, perchè quello ebbe per padre 
Achor, questo Her, tranne che non si ami di credere che 
il secondo nome è una corruzione del primo, cosa non al 
tutto inverosimile. Sono egqalmente sconosciuti i nomi 
di Ck>sam, Addi, Melchi e Nerr. 

Fra i posteri di Jeconia trovasi un Chosamah ed un 
Helcbiram (4) che possono ben essere Gosam -e Melchi di 
Luca; ma questi due che Luca pone fra gii antenati di 
Salathiel, secondo ì Paralipomeni, sarebbero stati figliuoli 
di Jeconia, o di Sedecìa, suo fratello, o di Salathiel suo 
figlio, giacché V oscurità del testo lascia luogo a tutte tre 
queste interpretazioni, di cui ninna conviene colla genea- 
logia di Luca. 

Trovasi pure un Nehariah (6) che potrebb' essere il Neri 
di Luca, con quesia diUérenza, che Luca lo fa padre di^ 
. Salathiel ed avolo di Zorobabel, l^iddove i Paralipomeni 
lo collocano* fra gli ultimi discendenti di ZoroMbel , o 
delia casa davidica rammentati in quel libro. 

Geremia (LI, 6S) notuma, fra^ suoi contemporanei e per- 
sone da lui conosciute un Saraia, figlio di Neri^ figlio di 
Maasia (Machaseia) che era prefetto del regio palazzo e 
.che fu condotto a Babiloaia con Sedecia ultimo redi 
Giuda, undici anni dopo di Jeconia^ Quel Neria padre di 

(i) Geremift, XXXVI, U o 25. 

(2) Idem, XXVI, ti. 

(3) IV, Be, XXIV, 8. 

(4) I, Paralip,, UI, i8. 

(5) I, Puralip., lU^ 22 e 23. 



GEREALOaA m 4iESa. 99 

Saraia, e indal>ttabilinente padre ancbe derprofeta Barueti 
amico e discepolo di Geremia (1), eorrbponde beoissiiàOy 
anche pel tempo iD C4ii visse, col Neri di Luca, il quale 
può aver storpiato il nome di Machaseia in Meicbi, o cot- 
fusolo con Meicbi o Halcbia padre del sacerdote Paaeiur 
che viveva nel medesimo tempo (2). Quanto al Hachaseia 
dovrebb' essere lo stesso di Machasiau governatore di 6^ 
rusalemme al tempo del re Josia (3), e di Mahasia padre 
di Sofonia sacerdote (4), e dì Sedecia sacerdote e pro- 
feta (5); la quale identità, se non mi sbaglio, è riconosduita 
anco dai Talmudisti (6). In tal caso quel Neria figlio idi 
Machaseia, fratello di Sofonia e di Sedecia e padre di Baruch, 
lungi dall'essere di stirpe davidica, sarebbe anzi staio di 
lignaggio sacerdotale; e Luca avrebbe male a pr(H>osiio 
confuse due prosapie al tutta distinte. 

Dato poi che fosse attendibile la tradizione di Rabbi laa 
il vecchio, che Nerià, Baruch, Saraia, Machasia, Geremia 
ed altri, discendessero da Raab, resterebbe ancora da de- 
cidersi a quale tribù si sia ella sfregata; imperocché,^ 
come lo dirò più abbasso, secondo ^i uiii ella sarebbe 
stata maritata ad Asbeah della tribù di Giuda, ma di un 
lignaggio diverso dal davidico, e secondo altri a Giosuè 
della tribù di Efraim* 

Abbenchè le eontradizioni sieno cosi flagranti e cosi 
inestricabili le difficoltà che ci arrestano ad ogni passo, 
nondimeno il celebre professore Leonardo Hug (7) ha vo- 



(1> Geremìa, XXXII, 12. Baruch, I. 1. 

(2) Geremia, XXI, 1. 

(3) II, Paralip. XXXIV, 8. 

(4) Geronia, XXI, L 

(h) Idem, XXIX, %L , . 

(6) Megillà, f. 14, 2 io Scheidii^ Loca Talmìidica (Nòvum Ttitam^ium 
€X Talmude iUniiratum), pag. 40. 

(7) EinieiUimg'inàU Schriften det Newn Tettam«ii(f, tomofU, pag. 238, 
«diz. 4. 



400 UBRO ȣ001II>0 

Iato tentare una via di conciliazione. Egli suppose cbe 
Jeconia fosse V ultimo superstite della linea regnante di 
Davide; imperocché de' suoi zii, Joachaz mori esule in 
Egitto^ Sedecia mori cieco ed in carcere a, Babilonia, i 
suoi Agli furono massacrati, e di Sellun altro zio di Jeconia 
non si trova che il nome; fin qui l'ipotesi di Hug è am- 
missibile. 

Suppone ancora che Jeconia non avesse né fratelli , né 
flgliuoli , nel che è contradetto dai Paralipomeni che gli 
danno un fratello per nome Sedecia, e gli attribuiscono 
un figliuolo per lo meno. Si attacca poscia alla legge mo- 
saiea che ordina di suscitare il seme del fratello o parente 
morto senza prole , e che a Jeconia mancando i parenti 
prossimi, bisognava necessariamente ricorrere a linee di 
parentela più remote, a quella per esempio di Nathan per 
trovare chi fosse in ^rado di adempiere ai doveri imposti 
dalla legge. 

Torturaiulo poscia il testo dei Paralipomeni, collocando 
prima ciò che in ei^o é posto dopo, spezzando i vo- 
caboli ebraici per violentare il significato, ei trova un Mel- 
€hì padre di Neri, e suppone che Neri sposasse una moglie 
di Jeconia e ne generasse Salathiel, che secondo la natura 
sarebbe stato Qglio di Neri , e secondo la legge figlio di 
Jeconia. Ma questa ipotesi, appoggiata ad argomenti co- 
tanto forzati si distrugge da sé medesima, e non può avere 
pei^uaso neomieno il suo autore. 

Consentono Matteo e L^ica nel dire che Salathiel fu pa- 
dre di Zorobabel; ma il primo dà per figlio a Zorobabel, 
Abiud ; l'altro gli dà Resa ; indi quello seguendo la discen- 
denza di Abiud , questo la discendenza di Resa prose- 
guono il rispettivo elenco con nomi che in nulla si somi- 
gliano. Anche i Paralipomeni danno a Zorobabel due figli, 
ma li chiamano Mòsollan ed Anania; e per maggiore pre- 
cisione a questi due ma$c}ii aggiungono ^ a compimento 



«eheeOiOOu m wsà. 401 

detta prole di Zorobabel, anche una ragaEza per nome So- 
lomith (Pacìitca). 

Supposto nondimeno, il che è assai gratuito, che dtre 
i figli nominati dai Paralipomeni, Zorobabel ne avesse avuto 
altri due, riman pur sempre che Giuseppe padre di Gesù 
non poteva discendere in pari ten^po e dalla linea di Abtud 
e da quella di Resa. 

Luca s^incontra coi Paralipomeni in un Semei, ma non , 
si accordano fuorché nel nome ; imperocché^ secondo Luca, 
Sen^i discenderebbe da Resa , secondo i Paralipomeni da 
Anania. Secondo Luca, Semel ebbe per padre Giuseppe e. 
per figlio Mattata ; e secondo i Paralipomeni, il padre di 
Semel chiamossi Seehania e il figlio Neharia. Quindi ogni 
conciliazione é impossibile. 

Più oltre Luca s'incontra con Matteo in un personaggio 
ch'egli chiama Mattat e il primo Evangelista Matban. La 
differenza può essere semplicemente ortografica ; ma una 
differenza più sostanziale é che secondo Luca il padre di 
Mattat si chiamò Levi e il figlio Eli ; e secondo Matteo il 
padre di Mathan si< chiamò Eleazar e il figlio Jacoh. 

Finalmente eccoci a Giuseppe, al padre putativo di Gesù; 
ma qui ancora i due genealogisti dissentono perché Mat* 
teo lo fa nascere da Jacob, Luca da Eli, 

Tante contradizioni furono rilevate fino dai primi secoli 
del cristianesimo e suscitarono dei dubbi contro F auten- 
ticità delle discordi genealogie, donde vennero poscia gli 
sforzi degli armonizzatori per conciliarle. 

Giulio Africano (1)^ che fiorì verso la metà del III secolo, 
ebbe ricorso ai matrimonii leviratici ; e questo pure fu lo 
spediente a cut si attennero di preferenza i successivi ar- 
monizzatori. 

Una consuetudine antichissima fra gli Ebrei, sancita an- 

(1) Uttera ad Aristide in Eusebio, Storiti Eecki. I, 7. 



iùi tastò sEcotiAo 

che dalia legge mosaica/ presoli veya che morendo un tale 
\seDza figliuoli, il fratello od il più prossimo parente fosse 
temuto a sposarne la vedova, onde suscitare^ come dice- 
vasi, il seme del defunto ; la quale usanza, che sussiste tut- 
tavia fra i Mongoli ed alcuni altri Asiatici (I), sembra che 
avesse due motivi: il primo di evitare l'ignominia che col- 
piva le donne prive di figliuoli, e il pericolo a cui era 
esposta una vedova improle, povera e forse anco né giovane, 
uè beAa^ di non trovare un secondo marito ; l'altro, il bi- 
sogno di dare un successore ai beni del defunto ed im- 
pedire Y estinzione ddle famiglie o il troppo cumulo di 
ricchezze in un solo, erede di molti defunti. 

Appoggiandosi a que^ costumanza Giulio Africano pre- 
tende che le genealogie degli Israeliti fossero talvolta se- 
condo l'ordine naturale, tal altra secondo l'ordine legale, 
e che un esempio di entrambi ci porgano le genealogie de- 
gli Evangelisti. 

Per ben intendere ciò ch'egli dice in seguito ; eonvien 
notare che i^l testo di Luca, da lui veduto, sono omesse 
le generazioni di Levi e Hathat (^ , per cui Melchi che 
nel testo attuale di Luca sarebbe il trisavolo di Giuseppe, 
nel testo di Africano diventa l'avolo. 

Egli suppone pertanto che Mathan avolo di Giuseppe 
nella genealogia di Matteo fosse fratello di Melchi avolo 
del medesimo nella genealogia di Luca ; che entrambi di- 
scendessero da Davide, ma il primo, per la linea di Salo- 
mone, l'altro per quella di Nathan. 

Aggiunge die Mathan si sposò con una femmina ch-'egli 



(1) * Questa medesima usanza esìsteva anche fra alcune tribù indiane 
della provincia di Qaatimola. (Vedi Ximenes, Storia di Qmtimola). 

(8) Sono parimente omesse da vari autori del IV secolo; vedi le varianti- 
nel Nuovo Teitamento di Béagel, p. 4fiM. 



GEllBALOaA DI «OttÙ. iOH 

Domina EsU (IJ, <ta cui nacque Jacob; indi essendo morto, la 
vedova Està si rimaritò con Melcfai frateiio del defunto mi* 
rito, e da questo secondo letto nacque Eli, per il che Jacob 
ed Eli furono fratelli uterini. Eli essendo poi mòrto senza 
fijgliooU, la di lui vedova si sposò col eognato Jacot», ehe^ 
la fece madre di Giuseppe, il quale per questo trovossi 
figlio per natura di Jacob^ e figlio per la legge di EK. 

Ma questa esposizione è in primo luogo appoggiata ad una 
ipotesi del tutto gratuita e ad una tnràizione assai remota 
e non documentata da alcu^ prova; poi , è contradetta 
dalla stessa legge mosaica die proibisce di sposare la ve* 
dova del proprio fratello quando il defunto abbia lasciato 
figliuoli (2); per lo che il supposto matrimonio di Helchi 
colla vedova del fratello Mathan è inammissibile, postocbi 
quest'ultimo aveva lasciato un figlio in Jacob. 

Finalmente non è vero che i matrimonit levìratici (^n- 
glasserò l'ordine naturale nella saccessione genealogica, e 
ne abbiamo la prova nella stessa genealogia di Davide adot- 
tata concordemente da ambedue gli Evangelisti. Thamar 
rimasta vedova di Her e di Onan, e senza figliuoli, ebbe com- 
mercio con Giuda 4i lei suocero e generò Fares e Zare, tt 
primo di cui fu aolenato di Davide (3); Ruth rimasta pur 
vedova di Chelion , morto senza sueeesslone , si sposò a 
Booz, il pià^ prossimo parente del defunto, da coi naeque 
Obed, avolo di Davide (4). Ma in tutte le geneartogie bibli- 
che cosi del Vecchio come del Nuovo Testameato Farea 
e Zare non contano tra i figli di Her e di Onan , prece^ 
denti mariti di Thamar, bensì tra quelli di Giuda; ed Obed 



(1) Fors^ una coDfnsa tradizione derivata da Nuhesta figlia di Elnathan 
e madre di Jeconia. IV, Re, XXIV, 8. 

(2) Leiitico, XVm. 16 e .XX, «. 

(3) Genesi, XXXVI, 6 e seq. 

(4) Ratb, IV, i3eseq. 



104 UBftO SSONIBO 

figura eome fifi^oolo di Booa, che fa flglioolo di Salomon, 
e non eome flgliucdo di Ghelkm, figlio di Eiimelech. 

Eusebio, cbe ci ha conservata l'esposizione di Giulio 
Africano, nella sua storia ecclesiastica in cui sembra 1' a* 
resse anche adottata, trovandola poscia insufficiente , nelle 
questioni a Stefano ne produsse un'altra sua propria (1). 
Egli pensa che Matteo abbia data la vera genealogia di 
Gesù, e Luca una presuntiva e quale era creduta volgar- 
mente, fondandosi sopra questa frase di Luca: GesUy come 
si diceva, era figlio di Giuseppe^ figlio di Eli ecc., ritenen- 
do che l'interciso come $i dicem si avesse a sottintenderlo 
ad ogni generazione. Ma subito dopo mostrandosi poco 
soddjsfotto di qu^ta sua ipotesi, ne faùts^tica un'altra ap- 
poggiata a ragioni mistiche od accomodative, ma non me- 
glio concludenti. 

San Giovanni Damasceno (8). si è appoggiato ad una'altra 
ipotesi, che, quantunque favolosa forse >iù delle altre, ebbe 
tuttavolta il merito di essere autenticata dalla Chiesa (3). 
Egli suppone che dalla linea ài Salomone discendesse Ma* 
than padre di Jacob ed avolo di Giuseppa ; e dalla linea di 
Natban discend^se Levi padre di Melchl, e Panther. Ma- 
than della linea di Salomone essendo morto Melchi dalla 
linea di Nathan ne sposò la vedova da cui nacque Eli. 

E questi essendo poi morto senza prole, Jacob suo fra- 
tello uterino ne sposò parimente la vedova e ne generò 
Giuseppe, il quale perciò nella genealogia di Matteo figura 
come figlio di Jacob , a in quella di Luca come figlio di 
Eli. Panther poi fu il padre di Bar-Panther (Bar in siriaco 
vale figlio) che generò Joachim^ da cui naque Maria, la 
quale sarebbe stata per conseguenza cugina in terzo grado 

(1) Mai, Seriptorum veterum colliCtio nova, tomo I, p. 16. 

(2) De ortodoxa fide, IV, 15. . 

(3) Breviarium Rom, in feste XX martiì. 



GENEALOGU Df OESÒ. ÌÙ8^ 

oon Giuseppe. Ma, lo ripeto^ sono ipotesi immaginate a 
capriccio e che servono soltanto a dimostrare le insolu- 
bili difficoltà che le dette genealogie hanno offerto in tutti i 
tempi e a tutti i commentatori. Aggiungo di passaggio e come 
un'altra contradizione fra gli autori, che se al dire del Da- 
masceno Panther fu il bisavolo di Maria, al dire di san- 
t' Epifanio (i) fu invece un soprànome di Jacob padre di 
Giuseppe e di Cleofa. 

Per ultimo, alcuni commentatori si avvisarono di scio- 
gliersi da ogni contrarietà col dire che Matteo ha data la 
genealogia di Giuseppe, e Luca quella di Maria. Cosi in- 
fatti dovrebb'essere; ma i due Evangelisti fanno intèndere 
chiaramente che al solo Giuseppe appartengono entrambe 
le genealogie. 

Nel che fu mestieri di confessare che contradicono al 
proprio assunto, perchè se Gesù nacque bensì da Maria^ 
ma per una concezione sopranaturale, e se Giuseppe non 
ne fu che il padre putativo, per provare che Gesù discen- 
deva da Davide conveniva tessere l'albero; genealogico delia 
madre e non quello del padre. Anzi Luca ci fornisce tale un 
particolare che elimina di pianta la discendenza davidica 
di Maria. Ei dice che Elisabetta era una delle figlie di 
Aronne^ vale a dire una discendente della tribù sacerdotale 
di Levi, e dalla linea pontificate di Aronne. 

Poco dopo soggiunge ohe la stessa Elisabetta era Sfn- 
genix di Maria, i^yngeni» in greco aigniflca non una larga 
parentela , ma una stretta eooianguineità, e il vocabolo 
Syngenix non altrimenti si può tradurlo cbe per cognata 
4> cugina) (i). 

Dunque se Elisabetta era della stirpe dp Aronne, e se 
Maria era cognata o cugina di Elisabetta, ne viene la con- 

(1) jBoerM., LXXYUI, 7. 

(2) Schleusoer, Lexicon ^raeco-latinum in Nov, Tett^tomo ll,pag.868. 

Crit degli Ev. Voi. I. 9 



i06i LORO SECOIfDO 

seguenza che Maria non discendeva dalla tribù di Giuda e 
dal lignaggio di Davide, bensì dalla tribù di Le\n e dat 
lignaggio di Aronne; stante la quale conclusione non si 
può più dire che Gesù, ove non sia stato generato carnal- 
mente da Giuseppe, provenisse dalia casa di Davide; o se 
si vuole ritenere per vera quest'ultima asserzione, fa me- 
stieri di conchiudere eziandio die Gesù fu vero e naturai 
figliuolo di Giuseppe. 

Ma quest' incidente non fu introdotto a caso dall'Evan- 
gelista; imperocché egli volle da prima, pei motivi che 
abbiamo già indicati altrove e che meglio svolgeremo in 
seguito, stabilire la consanguineità fra Gesù e Giovanni Bat- 
tista, poi egli volle applicare a Gesù due tradizioni gene- 
ralmente ricevute a' suoi tempi. La prima, che il Messia 
uscirebbe dalla casa di Davide; l'altra, ch'egli sarebbe sa- 
cerdote alla maniera di Melchisedec, ossia sacerdote e re (1). 
Di quest'ultima idea i mistici s'impadronirono di buon'ora; 
la espressero in un apocrifo de'primi tempi del Cristiane- 
simo (2), e trovasi ripetuta più volte e con molta insistenza 
nell'epistola di san Paolo agli ebrei. 

Per raggiungere questo doppio scopo, convenne supporre 
che se Giuseppe discendeva da Davide, Maria all' incontro 
discendeva da Aronne, in guisa che nella loro unione si 
, -trovassero unite la dignità regia e la sacerdotale. 

Siccdme poi i mistici trovano da per tutto e con molta 
facilità delle allusioni che confermino le loro idee, cosi è 
assai probabile che a stabilire quella di cui parliamo ab- 
biano contribuito il rapporto di nome, già da noi osser- 
vato altrove, fra Elisabetta moglie di Zaccaria e madre del 



(i) Salmo CIX, 4. Confr. Ad Hebreos V, VI et VII. 

(2) Testamentum XII Patriarcharum, Test, Simeonis, % 71 in Fabricii, 
Codex pseudepigraphus VeU Test, pag. 542 ; ed in Gallandi, Bibliotheca 
vetorum Patrum, tomo I. . 



GEIffiÀCOOU m <(ESÙ. i07 

Battista, e le mogli dei pontéfici Aronne e Joiada. Elisa- 
beth o Elisabà moglie di Aronne fu figliuola di Aminadab 
e sorella di Naasson, avoli di Davide in quarto o quinto 
grado ascendente (1), e Josabeth o Josebà moglie dì Jo- 
iada e madre di Zaccaria, fu figlia dì Joram re di Giuda e 
sorella di Ochozia di lui sucoe^ore (2): a tal che quelle 
due donne appartenevano per nascita alia dinastia* reale e 
per matrimonio alla dinastia sacerdotale. Chi conosce la 
maniera arbitraria con cui gli antichi rabbini (e dietro di 
loro i Padri della Chiesa,' massime quei della scuola mi- 
stica) interpretavano le Scritture e sapevano trovarvi le 
loro opinioni^ talvolta bizzarre, si persuaderà Acìlmente 
che Fautore della leggenda sulla nascita del Battista possa 
avere supposto un rapporto del medesimo genere in Ma- 
ria, onde far si che in pari tempo ella fosse della stirpe 
regia e della sacerdotale per riunirle ambidue nel figlio che 
doveva nascere da lei. 

Neppure sotto il punto di vista statistico le due genea- 
logie si accordano, imperocché da Zorobahele a Gesù, spazio 
di circa eOO^annì. Matteo conta 11 generazioni e Luca 21; 
per cui fra una generazione e l'altra, il primo frappone un 
intervallo di -60 anni, di 29 il secondo; ma il primo risultato 
che ammette due generazioni per secolo, è poco verosimile, 
essendo provato non potersi comprendere meno di tré gene- 
razioni per secolo, ed anche quattro ove si consideri che gli 
ebrei solevano ammogliarsi di freschissima età. Infatti lo 
stesso Matteo contando 16 generazioni da Davide a Zoroba- 
hele, spazio di 480, non dà che 30 anni ad ogni generazione, 
che riduconsi a 24 o 23 anni ove si corregga il suo sbaglio 
nel porre 16 generazioni, invece che sono 20 ed anche 21: e 
21 infatti ne conta Luca. 



(1) Esodo, VI, 23. 

(2; IV, He, t; IL ParaUp., XXU, li. 



10S LORD aBOORBO 

Se crediamo agli espositori, gli Evangelisti eopiarona le 
loro genealogie dai publìci registri; ma è una proposizione 
ìBsai poco sostenibile. Imperocché tosto dopo seguita la 
separazione del regno d^Israele da quello di Giuda, la di- 
stinzione tra le tribù andò scomparendo. Nel regno di 
Giuda la tribù di Beniamino non tardò ad ei^ere assor- 
bita dalla tribù dominante, e lo stesso accadde nel re- 
gno d' Israele , ove la tribù di Efraìm prevalse sulle 
altre. Questa confusione si accrebbe dopo che Salman- 
Àsar ebbe distrutto quel regno e che ne trasportò la 
miglior parte degli abitanti neUe regioni o della Me- 
sopotamia o della Media. Il disordine fu compiuto colla 
caduta del regno di Giuda e la trasmigrazione di Babi- 
lonia. 

Nello spazio di ventitre anni Gerusalemmie fu saccheg- 
giata una volta dagli Egiziani e due voUe dai Caldei, che 
anche la incendiarono e fecero un deserto di tutto il paese, 
il quale rimase spopolato per la forzata emigrazione dei 
suoi abitanti. É quindi chiaro che i r^plstri pubblici, se ve 
n'erano, non poterono essere risparmiati e che in tanta 
confusione di cose dovettero smarrirsi anche 1 documenti 
domestici. Infatti dopo U ititorno dall'esiguo, non sola non 
vi è più cenno della distinzione per tribù » ma si trovò 
che molte famiglie sacerdotali si erano esjkinie e che altre 
non aveano saputo giustificare la loro origioe; lo che di- 
mostra la perdita dei registri e ch^ per ricomportì si (kn 
vette ricorrere ^la tradizione. 

Se tanto accadde alla casta più interessata a conservare le 
sue genealogie, che non dovette succedere alle altre? I rali- 
bini hanno dunque ragione quaado asseriscono che nella 
trasmigrazione di Babilonia si perobttero le genealogie; 
che in seguito molte di commentizie ne furono fabbricate;. 
e che quando i dottori vollero depurarle, accorgendosi che 
andavano ad offendere la vanii! di grandi famiglie e ad 



GEIlEiaOGUlH (%SU. i09 

incontrarne l'odio, se ne astennero: onde ne nacque gran 
confusione (1). 

Quanto alla casa reale, nel regno di Giuda non sembra 
che fosse stabilito un ordine regolare di successione; ma 
che il re si designasse a successore uno de?suoi figli, e ve- 
rosimilmente il figlio della più favorita fra le sue mugli o 
concubine. Da Salomone fino a Joram sembra che le stra- 
niere prevalessero negli intrighi di coiste, onde far dare la 
preferenza ai loro figliuoli. Mu da Gioas in poi tutti i re 
di Giuda furono generati 4a donna ebrea, e pare che fosse 
un principio stabilito. in conseguenza delKattentato di Ata- 
lia di origine fenicia, la quale dopo la morte di Ochozia 
suo figlio usurpò il trono facendo assassinare tutti i mem- 
bri della casa reale , meno Gioas' che fu sottratto al ma- 
cello. 

Ma siccome i re avevano parecchie tra mogli e concu- 
bine, e da tutte avevano figliuoli, cosi sembra che quelli 
esclusi dal trono fossero rilegati nella vita privata ed an- 
dassero a confondersi col comun ceto dei sudditi. Infatti 
non risulta che vi fossero principi del sangue oche i fra- 
telli i nipoti o i cugini dei re godessero di qualche pre- 
rogativa, o che i re solessero scegliere le loro mogli fra 
le principesse della casa^ anzi la Scrittura ne nomina circa 
una dozzina, cominciando dalla madre di Gioas, e tutte fu- 
.rono trascelte evidentemente fni le .figlie di privati ed al- 
cune forse anco di |M*ivati osciuri. 

Da ciò si può arguire che nissun jitibbltco registro ge- 
nealogico si teneva della discendenza vmìe,, e che se qual- 
che registro doipestica ha esistita, agli :si smarrì ne'disor- 
dini della trasmigrazione. 



(I) Ghèmttra Boò^, PwtMm. c^p. V, Col. ((2, %. Kidu9ci»j capo lY, 
f(A, 71, 1. Il passo Pesachim è citato anche da Buxlorf, Lixic^tk Talmu^- 



-no UMIO SECORDO 

I Paralipomeni ci hanno conservata la discendenza di 
Jeeonia; ma dalle lacune che vi sono, ben si vede sopra 
quali documenti imperfetti hanno dovuto lavorare i com- 
pilatori di quelle cronache, che pv vivevano molti secoli 
prima degli Evangelisti. 

I rabbini continuarono la serie di quella discendenza da 
cui fecero derivare i Nassi o presidenti del sinedrio ; ma 
supposto che abbiano usata la massima diligenza nel rac- 
cogliere le vecchie tradizioni, forza è pur sempre di con^ 
fessure che la confusione e le lacune abbondano a. tal se- 
gno da far dubitare deir esattezza di quella storia genea- 
logica (1). 

É vero altresì che, secondo una tradizione di rabbi Levi, 
al tempo di Erode il Grande fu scoperta a Gerusalemn^ 
la Meghillat Juchasin^ o libro delle famiglie, da cui ritro- 
va vasi fra gli altri che Hiliel discendeva da Davide, dalla 
linea de^flgliuoli ch'egli ebbe da Abitai (2). 

Ma chi potrebbe credere airautenticità di quel trattato? 
Hiliel era Un oscuro e molto povero giudeo venuto da Ba- 
bilonia a Gerusalemme, ove tanto si appassionò per lo stu- 
dio che superò in fama tutti i rabbini; fu il fondatore di 
una celebre scuola che prese il suo nome, e il capo di una 
dinastia di *principi 4el sinedrio che governarono 350 anni 
la sinagoga. Essendo una fissazione fra i Giudei che i Nassi 
del sinedrio dovessero essere della stirpe di Davide (3), 
quando Hiliel fu innalzato a quella dignità fu pure forza 
d'inventare una genealogia che comprovs^se l'illustre sua 
origine. Ha siffatte genealogie fantasticate dalla vanità o 
dalla ambizione, si può ben crederle non più autentiche di 



(1) Meyer, Seder Olam, pag. 106 e seq. Amsteraedami, 1699. 

(2) Ghèmara ttieti^i, Taanit IV » B» nel Thetavaru» di iJgoUoi, tomo 
XVIU. col. 780. 

(3) Vedi la mia Storta degli Ebrei, durante U seconda Umpio, pig. 59« 



GEREALOGIA DI GESÙ. HÌ 

quella che l'imperatore Francesco d'Austria mandò a Na- 
poleone suo genero, per provargli che egli discendeva dai 
duchi longobardi del Friuli, 

Il padre di Gesù era un umile artigiano di un borgo 
ignoto della Galilea , e tanto ignoto, che non trovasi mai 
nominato una volta né nell'Antico Testamento, né in Fla- 
vio Giuseppe, né nel Talmud (2); era di quella Galilea, i 
cui abitanti, mescolati coi Gentili, passavano per essere di 
men puro sangue che non gl'Israeliti della Giudea propria. 
É quindi problematico oltremisura eh' egli potesse aver 
conservato un regolare ed autentico registro della sua di- 
scendenza, e tale da mettere fuori di controversia la no- 
bile prosapia a cui apparteneva. I poveri non tengono gran 
conto di queste per loro affatto inutili vanità aristocrafi- 
che, e se sanno il nome del proprio padre, succede non 
di rado che ignorino come si chiamasse il loro avo. 

Se gli Evangelisti avessero attinto a documeh ti originali, 
^ naturale che anche nella traduzione si sarebbero conser- 
vati i caratteri di tale originalità , e se ne troverebbero 
traccie nelle loro genealogie. 

Tutti convengono che l'Evangelio attribuito a Matteo fu 
scritto in ebraico, e poscia tradotto in greco; ma è certo 
che i testi ebraici conosciuti dagli antichi non avevano la 
genealogia, e quella che vi leggiamo al presente si dichiara 
manifestamente da sé stassa una manipolazione greca^ stan- 
techè l'ortografia de' nomi propri sia precisamente quella 
che vedesi adottata nella versione greca attribuita ai LXX. 
Cosi Phares, Aram, Nasson^ Booz, Salmon^, lesse in luogo 
di P^res, Barn, Nachson, Bohaz, Salmah, Isai , e via via. 
Matteo dice : < Salmon generò Booz da Rachab • . — Nel 
testo parallelo del libro di Ruth , da cui fu ricopiata questa 
parte della genealogia, la frase da Rachab non vi é; né 

(i) Raumer, PalitUna, p^g. I3S, seeonda ediz'òM. 



H% UBW> SSCOffDO 

in alcun altro luogo del Vecchio Testamento si rinviene 
che Baab, la locandiera di Jerico^ si fosse maritata con 
Salmon o Salmah, a tal che questa addizione debb'essere 
stata desunta da qualche tradizione o favola popo/are. I 
Talmudisti ne rammentano alcuna : dicono gli uni che 
Baab si fosse disposata ad Asbeah discendente da Sela, fi- 
gliuolo di Giuda (1); pensano altri che fosse stata menata 
in moglie da Giosuè medesimo (2): sostengono i più che 
da lei discendessero Geremia, Holda ed altri celebri pro- 
feti (3). 

Matteo soggiunge poco dopo: lesse generò David re • 
— Nel testo ebraico di Ruth vi è semplicemente: « Isai 
t generò David e omesso il qualificativo re che l'Evangelista 
prese dalle versioni greche. 

Lo stesso dicasi della genealogia di Luca , la quale da 
Adamo a Davide è copiata letteralmente dalla versione 
dei LXX, come lo provano T identica ortografia de* nomi 
propri e la generazione di un Cainan^ intersecata fra Ar- 
phaxad e Sale, rammentata dai LXX, e che non si trova 
nel testo ebraico né masoretico, né samaritano. 
, Da Nathan poi a Giuseppe è una genealogia fatta a ca- 
priccio, infilzata di riomi raccozzati per reminiscenza, come 
a cagion d^esempio la serie (44 a 41) di Levi , Simeo» , 
Giuda^ Giuseppe^ che ti richiama immediate quest'altra dei 
Paralipomeni (I, II, 1) Simeonj Levij Giuda ^ Giuseppe; 
altrove (60 e 59) sono ripetuti consecutivamente i nomi 
dei due patriarchi Giuseppe e Giuda; un po^più abbasso 
(67^ 66) quelli dei due profeti Amos e Naum; e così di 
altri che confrontar si potrebbero col ViBCchio Testamento, 

(1) Sipari, col. i62, nel Thesaurus di Ugolini, tomo XV, confr. 1, Pth 
ralip., IV, 21 (testo ebraico). 

(t) Megillah, fol. 14, 2, in Scheidii Loca talmttdka [Novum Tettamela' 
tum ex Talmude illustraìtkmj pag. 40. 

(3) Siphri e MegiU^h miìm^i ciUti. . . ' 



GEXEALQOIA DI .6CSU. i 1 ^ 

Persino la bizzarria di far discendere Giuseppe da un 
ramo cadetto ed oscuro delia casa di Davide, sembra stata 
suggerita dal bisogno di sottrarsi ad ogni controllo di ^ge- 
nealogie davidiche , vere o supposte , che correvano fra i 
Giudei all'epoca in cui furono compilati gli Evangeli. 

Notiamo finalmente che la genealogia di I^ca, da Gesù 
salendo ad Adamo, negli esemplari di cui si serviva san** 
t' Ireneo alla fine del II secolo contava 72 generazioni; in 
quelli conosciuti da Giulio Africano, mezzo secolo dopo, 74; 
e negli esemplari correnti, 76, * le quali varianti provano 
Je interpolazioni a cui soggiaquero i Vangeli, e quanto poco 
sia da fidarci nelF autenticità delle genealogie, 

CAPO QUARTO. 

CONTINUAZIONE, 

Essendo pertanto dimostrato che le due genealogie noa 
sono documenti storici^ rimangono ora da indagarsi i mo- 
tivi interiori per cui furono compilate e lo scopo che se 
ne proposero i compilatori. 

Fino dai primordi della Chiesa varie sètte cristiane tras- 
portarono la scienza dogmatica nei campi di una metafisica 
trascendentale che aveva per base le dottrine panteiSttico- 
emanative dell'Oriente. Esse ammettevano un Ente inco- 
gnito, infinito ed imperscrutabilmente avvolto neU'ai'Gano 
della sua esistenza^ Il quale volendo manifestarsi^ per for 
qualche cosa, emanò un suo attributo, poi un altro; da 
questi, altri attributi emanarono, e. cosi successivamente : 
a tal che quelle moltiplici emanazioni si svolsero in una 
lunga genealogia di Eoni {Olamim in ebraico) o periodi 
indefiniti e personificanti i vari attributi open^tivi dell^ di' 
vinità; uno di essi era il Cristo. 



414 LIBRO SECONDO 

Furono pertanto celebri le genealogie di Valentino che 
dalla plenitudine (Pléroma) dell'esistenza divina, faceva sca- 
turire la Profondità ed il Silenzio, (chiamati in greco Bitsos 
il primo principio o il primo Padre, e Sigè il pensiero e la 
grazia del padre — l'Amore della teologia Orfica), prima 
coppia di Eoni, donde si generarono la Mente e la Verità 
{Niàs^ Tunìgenito e Aletheia); da questi il Verbo e la Vita 
(Jjogos e Zoe); e da loro emanarono l'Uomo e la Chiesa 
{Antropos e Ecclesia\ e vlii proseguendo fino al compi- 
mento di quindici coppie o trenta Eoni , dalla collazione 
di tutti i quali fu composto o generato il Salvatore Gesù. 

Valentino non fu l'autore di questo sistema, e lo fu 
neppure Simon Mago, come pretende sant'Ireneo, essendo 
esso più antico di loro; tanto che al nascere del cristia- 
nesimo egli era per siffatto modo diffuso, e gik talmente 
s'impossessava della parte speculativa del cristianesimo, 
che san Paolo ammoniva i suoi discepoli a guardarsi di 
coloro che sì appigliavano a favole e genealogie intermina- 
bili e si smarrivano in questioni astruse e senza utilità (1).. 

In opposizione alle genealogie metafisiche dei Gnostici 
furono composte le genealogie evangeliche affin di dimo- 
strare che Gesù Cristo non era una prolazione emanativa 
od una incarnazione fantastica; ma che era stato realmente 
generato nella carne e che discendeva dalla stirpe di Da- 
Tide, come dai profeti era stato annunziato. E vuoisi per- 
tanto che Cerinto e Carpocrate sieno stati i primi a far 
uso della genealogia attribuita a Matteo onde provare che 
Gesù era nato dalla fisica unione di Giuseppe con Maria (2). 

All'incontro Marciona, rigettando ogni origine carnale di 
Gesù, sosteneva ch'egli era disceso immediatamente dal cielo 
ed apparso a Cafarnao, ove incominciò la sua predicazione. 

(1) I. Timot. I, 4 ; Tito, IH, Q. 

(2) Epiphanii., Haeret., XXX, % li, pag. iS8. 



coifTimiÀZioifE. 415 

Egli appoggiava la sua dottrina all^Evangelio attribuito 
a Luca^ che nel suo testo incominciava a qqesto modo : 

t Nell'anno XV dell'impero di Tiberio Cesare, essendo 
« procuratore della Giudea Ponzio Pilato, Erode tetrarca 
€ della Galilea, Filippo suo fratello tetrarca deiriturea 
ce Traconitide, e Lisania tetrarca dell' Abilene ; sotto i 
€ principi de^ sacerdoti Anna e Gaifa, il Signore discese a 
€ Cafarnao, città della Galilea, ed ivi insegnava ne' sabati ». 
Di modo che il suo esemplare non conosceva i due primi 
capi dell'Evangelio di Luca, cominciava coi versi 1 e 2 
del capo IH, proseguendo eo^ verso 3i e seguenti del 
€apo IV. 

É poco verosimile che Un uomo cotanto pio ed austero 
qual era Marcione volesse farsi reo di mutilazioni tanto 
enormi, in un secolo in cui erano ancora vivi i discepoli 
degli Apostoli, ove i brani da lui omessi si fossero trovati 
concordemente in tutti gli esemplari e fossero stati fuori 
di controversia; e piuttosto che accomodare gl'Evangelio 
di Luca al suo sistema è assai più supponibile che il sud 
sistema sia scaturito dalla sua maniei'a di interpretare 
l'Evangelio di Luca, qual era negli esemplari meno inter- 
polati; e che i frammenti estranei alia sua edizione siano 
stati sopraggiuntì, non solo per impugnare le idee di lui 
che negava l'incarnazione di Gesù, ma per impugnare ezian- 
dio quelle degli Ebioniti e di altri primitivi cristiani, i 
quali sostenevano essere Gesù nato da commercio carnale 
come gli altri uomini, e che il Cristo era disceso in lui 
air atto del battesimo. Il posto che occupa la genealogia di 
Luca, collocata subito dopo il racconto del battesimo, se 
da un tato tende a smentire la dottrina di Marcione, sem«* 
bra dall'altro che favorisca quella degli Ebioniti. 

Altri motivi intrinsecii che si sono verosimilmente pro- 
posti gli autori delle genealogie, o quelli che un po' per 
volta le raffazzonarono al modo che si trovano adesso, si 



di 6 LUMtO SEOOniK) 

potrebbero desumere dal misticismo ^mbolico degli Orien- 
tali e dalle teorie speculative de' cabalisti, che nei numeri 
e nelle loro combinazioni pretendevano trovare misteriosi 
rapporti colla vita morale dell'universo (1). 

Si osserva infatti che in entrambe le genealogie predo- 
mina in sommo'grado la divisione per sette, numero saero 
appo gli antichi (2), e di cui occorre frequente menzione 
anco nella Biblia (3). 

La genealogia di Matteo si divide in tre quattordenart 
che si riferiscono a tre memorabili periodi della storia 
ebraica. Da Abramo principio della rivelazione, a Davide 
principio del regno; da Davide alla trasmigrazione di Bà* 
bilonia o fine del regno e princìpio dell'esilio, dall'esilio 
al Messia, or principio della ristaurazione del nuovo regno 
davidico die debb' essere eterno. 

Il Sohar, o corpo delle dottrine gìudeo-cabalistiche, ha 
incirca una eguale divisione: « Da Àbramo a Salomfone 15 
€ generazioni, e la luna fu nel suo pieno (fu k) splendore 
t d'Israele); da Salomone a Sedecia altre 18 generazioni, 
« e la luna si eclissò ed a Sedecia furono cavati gli oc^ 
« chi (4) >. 

In luogo delle 28 generazioni di Matteo qui ne abbiamo 30; 



(i) Vedi il mio DizUmario deUa Bibbia, Art. Getìi, toin. Il, pag. iOft e 9e%, 

(2) M^tcrotni, De jomnto ScipUmit, ì, 6. Pbilonis, Ik opifUio mmkdi^ 
pag. 2i e seq. in Opp,, tomo I, edit. Maogey; e il trattato di Giovaoni 
Yander Vaeyen, De numero uptenario, Franequerae, 1609. 

(3) Mio Diiùmario dilla Bibbia, art. Conteggio, 

(^) Synopii» Sokar io Kabbala dmudalà a Knor a Roseneoth, tomo ll^ 
P^. 132, D. 18. t Zimz ha provato che il Sobar la compilato oel 1300; a» 

• non è il lavoro ori^^nale di un sol nomo, é beasi una coUesione di estratti 
« di scritti mistici antichi e moderni e perduti per noi. Malgrado la sua. 

• novità si pnò considerarlo con ragione iiomé una fonte delle dottrina 
« mistiche al tempo di GesèCriVto* . Gfitirer, GtichkMe de» U>iréhiitentkum$, 



covnsvAZioiiE» ut 

ma abbiamo parimente due perìodi distiati gc^ egaal nu- 
mero di geoeraziom e la medesima applicazione a due epo- 
che identiche della storia ebraica. 

Clemente Alessandrino discutendo in linea cronologica 
intorno all'adempimento dette settimane di* Daniele, os* 
serva che la storia ebraica ha tf e grandi periodi : da Mosà 
a Davide; da Davide alla distruzione del tempio sotto Vespa* 
siano; e da quest'epoca alFanno decimo dell'imperatore 
Antonino : in cui le sei settimane di Daniele rimangono c(Hn« 
piute. Indi conchiude chei tre quattoirdenari dell'Evangelio 
di Matteo raffigurano i tre mistici intervalli in cui si com- 
piono le dette sei settimane (2): 

Seguendo la tradizione rabbinica, il mondo deve durare 
seimila anni, cioè tante migliaia di anni quanti furono i 
giorni In cui fu creato, e che sarebbe distrutto nel settimo 
millenario e succederebi)e il regno del Messia (3). 

La scuoia di Elia, rabbino che deve avere fiorito avanti 
l'era vulgare, divideva la durata de) mondo in tre eguab 
periodi di duemila aimi ciascuno. U primo lo chiamava 
Tohu^ cioè un^ epoca vuota e deserta, perciocché la legge 
non era ancora stata rivelata ad Abramo; l'altro era il 
periodo Torà^ o della legge che cominciava da Abramo; è 
l'ultimo quello dei Messia (3) *. 

(i) Clementis Alex., Stromata, ì. 21, pag. 409, edit. Potter. 

(2) Sotà, fol. 49, 2; in Novum Tesiamentum ex Talmude illustratum 
(SàneiàH Loca to{mtk2t>a), pag.. 16; coofr. Fabrìci, Codex p$eudepigraphu$ 
\et Test., tomo I, pag. 33. 

(3) Avodà Sarà fol. 9, 1 e 2 nei sopracìtati Loca tedmudica. Altre aato- 
rità nella mia Storia degli Ebrm durante il secondo tempio^ pag. 316. 

• Sant'Agostino nella risposta alla questione di Orosio (Quaestione LV) 
diee che Tetà di 600 anni data a Noè quando avvenne A diluvio significano 
le sei età- del mondo: la 1.^ da Adamo a Noè; la t.^ da Noè ad Abramo; 
la 3.* da Abramo a Davide ; la 4.* da Davide alla trasmigrazione di Babi- 
lonia ; la 5.* dalla trasmigrazione a Gesù Cristo ; la 6.* V età corrente. 
Nel secentesimo anno di Noè fu fatto il diluvio, si riforma V uomo nella 
c(^nizione di Dio pel battesimo. E si torna Omnium op§rum, T. A. An- 
gostioi, parte II, pag. 218. 



US LORO SECOKDO 

Questa opiatone che il mondo sarebbe durato seimila 
anni, perchè sei furono i giorni della creazione, era cosi 
divulgata nella Palestina al tempo di Gesù Cristo, che fu 
adottata senza restrizione dai primi cristiani, e san Bar- 
naba la espresse in termini schietti, dicendo: < I sei giorni 
i in cui fu creato il mondo corrispondono ai seimila anni; 
e dopo di che i mondi saranno consumati. Il settimo giorno 
e in cui Dio si riposò significa la venuta del Figliolo di Dio 
e che abolirà il tempo iniquo, giudicherà gli empi, muterà 
e il sole e là luna e le stelle, e riposerà placidamente il 
e settimo giorno, e nell'ottavo avrà principio un altro 
• mondo (1) > . 

Dunque i tre quattordenari della genealogia di Matteo, 
ciascuno diviso in due settenari, stanno in rapporto coi tre 
periodi ciascuno di duemila anni in cui si divideva la du- 
rata del mondo ; i sei settenari che suddividono i tre quat- 
tordenari corrispondono ai seimila anni di vita che si 
attribuivano al mondo, ed alle sei settimane di Daniele, in 
capo a cui doveva apparire il Messia; e ciascun settenario 
di generazioni, si riferisce tanto alle sei settimane di Da- 
niele quanto ai sette giorni della creazione ed ai settemila 
anni della durata del mondo. 

Origene ha trovato un tipo anco pel totale deHe 42 ge- 
nerazioni ch'ei vide simbolizzate e predette in figura nelle 
42 mansioni degli Israeliti nel deserto (2). 

Il numero sette predomina egualmente nella genealogia 
di Luca, che tal quale l'abbiamo al presente conta da Gesù 
salendo sino a Dio 77 generazioni ; cioè da Dio , autore 
e padre del primo uomo, sino a Thare padre di Abramo 21 
generazioni, e questo sarebbe il periodo ex-lege o Tohu. 



(i) D. BarDabae, EpistoUiy § 15, in Gallandi, Bibliotheca Vetirum 
Patrum, tomo I. 
(2) Orìgenes, Ad Numero$, Omiija XXVm, 8. 



CONTllfUAZlOlfE. H© 

Da Àbramo^ principio della legge a Davide fondamento dei 
regno, 14 generazioni; da Natban figlio di Davide a Sa- 
lathiel, od al pieno esilio ed estinzione del regno, 21 ge- 
nerazioni; e da Zorobabel, o dalla fondazione dei secondo 
tempio a Gesù, altre 21 generazioni- 
Di modo che se Matteo conta sei settenari da Abramo a 
Gesù, Luca ne conta altri tanti da Natban a Gesù, per cui 
egli avrebbe posto come principio e fide di questi sei sette- 
nari, Davide fondatore del regno temporale d'Israele, e 
Gesù fondatore del regno eterno. 

Anche il 77 era un numero sacro, e sembra che fosse 
richiesto in certe occasioni di voto solenne; od almeno si 
può raffrontarlo coi 77 seniori di Soccoth che Gedeon fece 
flagellare per punirli del negatogli soccorso contro i Ma- 
dianiti ed in adempimento al voto che aveva fatto nel di- 
scostarsi da loro (1); ed ai 77 agnelli che insieme con altre 
vittime furono offerte in olocausto da Esdra (2). Quanto 
poi alle undici settene di generazioni^ esse stanno in rap* 
porto cogli undici figliuoli di Giacobbe, le undici stelle 
vedute da Giuseppe (3), le undici tend^ che coprivano il 
tabernacolo (4), e le undici tribù, ossia le undici linee di 
generazioni umane che dovranno essere rassegnate nelFin- 
cominciare del grand'anno settenario (5). 

Anche sant'Ireneo ha ravvisata in questo senso allegorico 
la genealogia di Luca ; se non che in luogo di 77 genera- 
zioni egli non ne trovò che 72, e le mise in rapporto colle 
72 nazioni e le 72 lingue, tra le <juali, secondo i rabbini, 
fu diviso il mondo. 
Ei dice pertanto che Luca contando 72 generazioni da 

(1) Jiidic., vili, 14. 

(2) Esdra, VUI, 55. 

(3) Genesi, XXXVII, 9. 

(4) Esodo, XXVI, 7, XXXVI, li. 

(5) Apocalme, VII, b e seq. 



f so LIBRO SECONDO 

Gesù ad Adamo ha voluto congiungere il fine col principio 
e significare che Gesù ha riunite in sé tutte le nazioni di- 
scese da Adamo e tutte le lingue, e si è fatto il rappre- 
.sentante di tutta la specie umana e dello stesso Adamo (1). 

Gli ebrei al tempo Ìì Gesù Cristo ammettevano la tras- 
migrazione delle anime, e i rabbini argomentando dalla 
parola Adam, che in ebraico si scrive colle tre lettere ADM, 
che sono le iniziali di Adam, David e Messia, pretendevano 
(Jhe l'anima di Adamo fosse trasmigrata in quella di Davi- 
de, e che dovesse poscia trasmigrare nel Messia; opìnione^ 
che con qualche piccola diversità fu ricevuta da alcune 
fra le primitive sètt« cristiane, gli Bbioniti per esem- 
pio (2). 

Potrebbero alltidere a questa dottrina i tre periodici 
quattordenari di Matteo, e la ricapitolazione genealogica di 
Luca in cui le generazioni umane cominciate da Adamo 
vanno a finire in Gesù, che generato fin dal principio da 
Dio, passò a traverso delPumanità, finché venne il tempo 
di manifestarsi. • 

Per ultimo l'ascendente genealogia di Luca che da Gesù 
sale fino a Dio corrisponde alle qualificazioni di alfa ed 
omega, di principio e fine, o di primo ed ultimo che Dio 
stesso si dà (3)- 

Alfa ed omega sono la prima e Tultima lettera dell'alfa- 
beto greco e traducono Talef e thau dell'alfabeto ebraico, 
colle quali si scrive il vocabolo caldeo ATh (segno) di cui 
si servono i cabalisti per designare Jastid (il fondamento) 
la nona fra le dieci Sefiroth (sfere o luci) che emanano 



(1) Ir'enari, Adversus haeres., IH, i2, S 3. 

(2) Klee, Storia dei dogm, pag. 22. Cfr. R. Elia nel Titbl , oilato da 
Slevogt, De metempsycosi hebraeorum, pag, 289 nel Thetaurui di Ugolini» 
tomo XXII. 

(3) Apocali$ie,l, 8; XXI, 13, baia, XLI, 4; XLIV, t; XLVHI, t^. 



CORTINUAZIOIIE. i2i 

dall' loflnito e che simboleggia in Dio l'attributo della vita, 
ossia la sua manifestaziooe nelle opere dell'universo. 

Quindi l'Apocalisse in questo ATh od alfa ed omega raf- 
figura il misterioso Antico de'Giorni, Tessere senza princi- 
pio e senza fine, e la sua manifestazione in Gesù, come 
redentore, signore e giudice del mondo. 

A ,w& tanto lontani dai tempi ed educati sopra un or- 
dine affittte diverso dldee, questa tropologia può sembrare 
o di soverchio ricercata, o troppo difficile; ma non era tale 
quando quelle idee, quei simboli, quelle allegorie formavano 
parte delle dottrine ed opinioni teosofiche, e che ciascuno 
le sapeva cogliere o interpretar^ senza fatica ; quando ai 
numeri si attribuivano proprietà mistiche ; quando in ogni 
parola dei libri sacri si vedeva un mistero; quahdo tutto 
sì voleva spiegare od esprimere per via di allegorismi. Noi 
abbiamo gii veduto eome tre fra i più antichi e più illu- 
stri Padri della Chiesa inclinassero ad interpretare le ge- 
nealogie evangeliche in senso figurativo; nel che non fa- 
cevano che obbedire allo spirito predominante e al carattere 
dei tempi; anzi questo carattere è cosi pronunziato nel 
primo Evangelio, che quantunquevolte fa citazioni del Vec- 
chio Testamento, lo cita ognora nel senso tipico, che sta 
quasi sempre in aperto contrasto col vero e ietterai senso. 

Ne concludiamo pertanto che le genealogie degli Evan- 
gelisti non hanno alcun valore istorico, ma che piuttosto 
sono accQmodamenti, aggiustati forse un po' per volta, 
onde epilogare in essi i tipi simbolici, le dottrine mistiche, 
o le credenze morali che si riferivano al Messia. 

É anche assai probabile che la primitiva origine di quelle 
genealogie non fosse affatto ortodossa, ma che tali sieno 
diventate in forza di successivi accomodamenti. Cosi per 
esempio Matteo dice : « Giacobbe generò Giuseppe marito 
« di Maria, dalla quale nacque Gesù » . E Luca dice anco- 
ra: « Gesù, come si dkevay figliuolo dì Giuseppe >. Vìn- 

CriU degli Ev.yoUl. IO 



'iSS LIBRO SECOIIDO 

terciso come si diceva di Luca sembra essere stato aggiunto, 
4opo che prevalse ropinione che Gesù fosse stato concetto 
in modo sopranaturale; e lo stesso motivo può avere in- 
trodotto una lieve, ma importante variazione in Matteo, 
ove a dai quali si sostituì dal qiMle^ onde mettere quel 
passo in armonia colla susseguente relazione, che contra- 
dice del tutto lo scopo istorico della genealogia. 

CAPO QUINTO, 

GENERAZIONE DI GESÙ. 



Se la storia di Gesù ci fostse stala tramandata dal solo 
Evangelio attribuito a Marco, noi non potremmo concepire 
altra idea di lui, tranne quella di un nomo nato al modo 
comune, ma straordinariamente favorito dalla divinità. Im- 
perocché queir Evangelista non solo, non dice eh' egli na- 
scesse da una vergine, ma per converso ci lascia supporre 
che Giuseppe e Maria fossero i naturali suoi genitori, e 
che Maria fosse anco la madre di quattro altri figliuoli 
maschi, e di due o più femmine , i quali con Gesù avreb- 
bero composta una iSgliuolanza di sette o più individui; 
e il biografo medesimo fa intendere che tale fosse anche 
la sua opinione. 

Se egli avesse creduto diYersamente,''perchè avrebbe egli 
omessa una particolarità che è della più grave importanza, 
ed il fondamento dogmatico della religione cristiana? Per- 
chè avrebbe egli taciuto la nascita sopranaturale del gran 
profeta di cui esponeva le dottrine e le gesta? Certo , se 
Marco è veramente V autore di queir Evangélio , se egli 
scrisse dietro le notizie stategli comunicate dalF apostolo 
Pietro, è impossibile che ignorasse quella circostanza, e non 



GErnSRAZlOIfE DI GESÙ. i23 

ignorandola non sì sa comprendere perchè la sottraesse alla 
cognizione de' suoi lettori. 

Io non trovo altra soluzione a que^a difficoltà, tranne 
quella di ammettere, che quando fu o tradotto o compilato 
il secondo Evangelio, non era ancora invalsa, l'opinione che 
Gesù fosse nato da una vergine y o che quell'Evangelio sia 
una traduzione più fedele di alcuno fra gli Evangeli pri- 
mitivi scritto in ebraico o in siro-caldeo, nei quali non si 
era peranco nulla Introdotto che avesse relazione colla na- 
scita del Gesù. 

Non meno sorprendente è il silenzio del quarto Evan- 
gelio ancorché venga attribuito a Giovanni , al più caro 
fra i discepoli di Gesù, a quello che più degli altri godeva 
la sua confidenza. Veramente questo biografo ci porge una 
idea del suo maestro che non è quella di un puro uomo; 
ma la generazione del medesimo ci è raccontata da lui col 
tenebroso frasario de'Gnostici. Il Cristo, dic'egli, è l'uni- 
genito di Dio, il suo Logos o Verbo, il quale con Dio è 
Dio egli stesso, esisteva nel pHncìpio (Arche) ossia nella, 
plenitudine (Pléroma) di tutte le esistenze; ei fu prolato 
da Dio , quando col suo mezzo creò le cose i egli final- 
mente si fece carne ed abitò fra gli uomini. Ma non dice 
come siasi operaia questa incarnazione del Verbo di 'Dio. 
Giovanni dice espressamente che Gesù era figlio di Giu- 
seppe di Nazareth e lascia intendere che fosse un figlio 
nato al nfK)do naturale, o che tale per lo meno fosse l'o- 
pinione pubblica (1). Anch'agli dà a Gesù dei fratelli, i quali, 
cosa sorprendente da vero , non credevano^ in lui (2). Il 
che prova come essi non avessero di Gesù veruna idea so- 
pranaturale ; ma cosi non avrebbe potuto essere se i me- 
desimi avessero saputo, e dovevano ben saperlo, che so- 



(2) u>id., ynjf, 5, e iO. 



i2i LIBRO SEGONDO 

pranaturale fosse stata la sua nascita. fu essa un mi- 
stero che Marta tenne celato in sé , e che non manifestò 
se non dopo la morte del figlio? Questa ipotesi vien di- 
strutta da cima a fondo dalla narrazione di Matteo e di 
Luca, seguendo i quali, la nascita prodigiosa di Gesù di- 
venne sino da' primi istanti un fatto pubblico e notorio. 

Raccontano questi due Evangelisti (1), che Gesù fu con- 
cetto da una vergine, per opera dello Spirito Santo, e nacque 
senza che la verginità delle madre ne patisse detrimento. Fin 
qui vanno entrambi d' accordo , si accordano altresì nel 
dire che il padre (putativo) di Gesù si chiamava Giuseppe^ 
e Maria la madre; ma discrepano in ^ tutto il rimanente. 

Seguendo Matteo, il soggiorno abituale dei due coniugi 
era Betlemme in Giudea; seguendo Luca, Nazareth nella 
Galilea. 

Matteo racconta che Maria era stata fidanzata a Giu- 
seppe^ ma che innanzi la consumazione del matrimonio ella 
si trovò essere incinta dallo Spirito Santo. Giuseppe accor- 
tosi della gravidanza di lei , e non volendo accusarla, si 
avvisò di rompere gli sponsali senza strepito; ma che un 
angelo apparsogli in sog^o, lo informò di quanto era suc- 
cesso, e lo consigliò a dimettere ogni sospetto intorno alla 
sua sposa, ed a prendersela senza scrupolo, conciossiachè 
da lei doveva nascere un figliuolo che si chiamerebbe Gesù 
(Salvatore) perchè salverebbe il popolo da' suoi peccati. 
Giuseppe obbedì, ma si astenne dall' usare colla moglie 
fintanto che ella non ebbe partorito il suo figlio primoge- 
nita; e questa qualificazione di primogenito fa necessaria- 
mente supporre che in seguito Maria ne abbia partoriti de- 
gli altri, generati da Giuseppe. 

Luca dice parimente che Maria era stata fidanzata a 
Giuseppe, ma degli scrupoli di quest'ultimo, e dell' angelo 

(1) Maueo, I, i8 e »eq. Luca, I, 26 e seq. % 



GEI! fiRAZIONE DI GESÙ • i 25 

che apparsogli in sogno glieli dissipò, non ha una parda; 
ed aggiunge invece un cumulo di particolarità che rimasero 
sconosciute al primo Evangelista e che si trovano ripetuta 
nel Protevangelio. 

Abbiamo già veduto come Tangelo Gabriele fosse andato 
ad annunciare a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista. 
Lo storico aggiunge che sei mesi dopo lo stesso Gabriele 
si recò a Nazareth, ed entrato da Maria le fece un com- 
plimento che la turbò e la tenne sopra sé stessa a pensare 
ciò che significar voleva. Ma l'angelo continuando il suo 
discorso, la rassicurò e le disse ch'ella avrebbe coacepito 
e partorito un figlio a cui porrebbe il nome di Gesù, il 
quale sarebbe grande e chiamato figliuolo dell' Altissimo, 
e che regnerebbe in eterno sulla casa di Giacobbe. 

Sembra che Maria abbia conosciuto a prima vista che chi 
parlava non era un essere comune ; altrimenti come mai 
una zitella^ modesta e riservata, avrebbe potuto trattenersi in 
discorsi di questo genere con uno sconosciuto senza ri- 
sentirsene? D'altronde non si scorge che Fangelo abbia do- 
vuto dichiarare il suo nome e dare delle spiegazioni, come 
fare dovette con Zaccaria. 

Ma in questo caso Maria, che era una vergine cosi santa 
e piena di fede, e tale da essere prescelta dall'Altissimo 
per compiere un* grande mistero, come ha potuto promo- 
vere un dubbio contro la promessa dell'angelo, e un dub- 
bio che, per dire il vero, sente l'assurdo? « €ome, dis- 
c s'ella^ potrò io concepire se non conosco uomo? > Ella 
era dunque istrutta abbastanza per sapere quale concorso 
di circostanze le fosse necessario per diventare incinta; 
ma sapeva altresì di essere fidanzata a Giuseppe e pros- 
sima alle nozze : era perciò naturale ehe le prime sue siàp- 
posizioni si riferissero agli effetti dell'imminente suo ma- 
trimonio^ e che per ritrarla da tale erronea supposizione 
l'angelo la informasse del mistero che stava per compiersi 



J26 LIBIO SECONDO 

in lei. Laddove il suo dubbio e come potrò io concepire, 
« se non conosco uomo i è affatto irragionevole e fuor di 
proposito. Se ella non conosceva ancora V uomo , di li a 
qualche settimana, a qualche mese, lo doveva conoscere 
dacché ella era già promessa a Giuseppe, né ella per fermo 
lo ignorava. 

' Convien credere che questa obbiezione sia antichissima, 
perchè i più antichi fra gli Evangeli apocrifl hanno tentato 
di scioglierla, ponendo innanzi che Maria avesse fatto voto 
di verginità, e che Giuseppe fosse un vecéhio vedovo e 
padre di molti figliuoli a cui ella fu affidata come in tutela. 

Che Giuseppe fosse vecchio e vedovo come narrano gli 
apocrifl , e che anzi si trovasse nella decrepita età di 80 
anni come vuole sant'Epifanio (1), é asserzione pienamente 
gratuita. Al contrarlo gli Evangeli canonici ci lasciano il 
diritto di credere ch'egli fòsse giovane quando si ammogliò 
con Maria, che da lei ne avesse molti figliuoli, e che quando 
Gesù, verso i trentanni, cominciò la sua predicazione egli 
non fosse .più tra i vivi. 

Anche del voto di verginità che si attribuisce a Maria 
non havvi il minimo indizio negli Evangeli canonici, i quali 
costantemente suppongono che fra lei e Giuseppe abbia esi* 
stito un vero matrimonio, seguito da numerosa prole; ol- 
trediché quel voto sarebbe stato sommamente strano io 
una zitella ebrea ed ancora' più strano negli usi degli ebrei, 
appo i quali sventurata era la fanciulla che moriva prima 
di andare a nozze (2), ed obbrobriosa la sterilità. É vero 
che a quei tempi si era formata nella Palestina la sètta de- 
gli Esseni, una società di mistici che vivevano nel celibato, 
ma era una opinione di pochi, una esclusività contro l'o- 
pinione dominante. Arrogi che gli Esseni , oltre all'essere 

({) Haeres, LI, 40 et LXXVm, 8. 
(3) Giudkij XI, 37. 



GEHEEAZIORE DI QUO. i27 

pochi , vivevano cosi ritirati e cosi fuori d'ogni ingerenza 
nei mondo che in tutto il Nuovo Testamento non se ne 
trova mai cenno, benché si parli assai frequentemente delle 
due altre sètte più celebri, quelle dei Farisei e dei Sadducei. 
Gli Esseni poco conosciuti nella Giudea, lo erano anche 
meno nella Galilea; è chiaro, e dagli Evangeli e dallo stesso 
loro tenore di vita, che Maria e Giuseppe u^ appartene-. 
vano a quella sètta cenobitica, la quale d'altronde disap-. 
provava un matrimonio quale lo vorrebbero supporre gli 
Evangeli apocrifl, seguitati eziandio da un gran numero di 
espositori cristiani (1). . 

Risalta pertanto che V Evangelista non è stato molto 
destro nelP ordinare il dialogo fra l'angelo e Maria; e 
die il dubbio esternato da questa contro la promessa di 
quello, dubbio che è in sé niente affatto naturale, fu in-, 
trodotto a bello studio onde servire di transizione alla sue* 
cessi va risposta di Gabriele, il X|uale soggiunge: e Lo Spi- 
« rito Santo verrà sopra di te, e la virtù (dynamis) del- 
c l'Altissimo ti adombrerà, e quel Santo che nascerà da 
< te si chiamerà Aglio di Dio»; e per meglio confermarla 
le adduce in prova che Elisabetta di lei cognata, quantun- 
que vecchia e riputata sterile, era già incinta da sei mesi: 
e imperocché nissuna cosa è impossibile a Dio » : conclu- 
sione che per molti riguardi potrebb' essere erronea. 

Non è rigorosamente vero che a Dio nissuna cosa sia 
impossibile, imperocché tutto ciò che è matematicamente 
impossibile é impossibile anche a Dio che è l'artefice ma- 
tematico di tutto ciò che^esiste, e che avendole fatte esistere 
a quel modo e sotto quelle date condizióni^ Aon può più 
volere che esistano in modo e sotto condizioni diverse. 



(i) Sulle istitazioni degli Esseni , vedi U mtft Storia degU Ebrei du- 
ranU U Homdo tempio , lib. IV, cap. 6. Ali» pag. 384; si parla d«gli £s- 
•eoi amnqgliati e del noTìiiato dàìt donne. 



iS8 UBRO SECONDO 

Cosi Dio non può fare che il passato sia presente; che il 
quadrato sia circolo e conservi le proprietà del quadrato; 
che i fluidi sieno densi, i densi diventino fluidi, conser- 
vando le reciproche proprietà primitive di fluido odi 
denso; che i corpi gravi sieno agili, conservando la gravità, 
e cose simili. Adunque l'universo essendo stabilito sopra 
leggi eternamente neoessarie, per restringerci net limiti 
più ortodossi si concede che Iddio possa variare ciò che è 
fenomenale neir universo; ma si può dubitare se, suppo- 
nendo lo stesso riguardo a quelle leggi sempiterne, non vi 
sarebbe una contradizione matematica^ una infrazione della 
eterna e sempre mai immutabile volontà del Creatore^ in- 
somma una assoluta impossibilità. 

La generazione appartiene a questa categoria di leggi, 
e fu invariabilmente statuito che per sorUre il suo effetto 
sia necessario il concorso dei due sessi così negli animali 
come nelle piante; e un miracolo che escluda questo con- 
corso, se può essere digerito con facilità da un teologo, 
non, può incontrare là stessa facilità in un filosofo, che 
prima di crederlo ha il diritto di esaminare se una tanta 
infrazione ai privilegi inalienabili della natura sia un acci- 
dente fisicamente possibile alla volontà di Dio. 

Preso dal lato metafisico vi sono altre difficoltà. Am- 
messo il sistema ortodosso, che Iddio sia un essere astrat- 
tamente infinito e nondimeno fuori del mondo materiale, 
spoglio di ogni materialità e nella impossibilità di potersi 
materializzare giammai, non si sa concepire come egii» 
conservando quièlle sue divine e tutto metafisiche perfe- 
zioni, possa infondersi nell' utero di una vergine, conver* 
tirsi in germe spermatico il quale, materialmente svilup- 
pandosi, si vesta di vera carne, di vero sangue, di vere 
ossa e finisca a diventare un vero uomo. 

Propriamente l'Evangelista non dice che la concezione 
di Maria sia stata operata da Dio, bensì dallo Spirito Santo, 



GEKERAZIOKE DI GEéÙ. ^tO 

Spirito di Santità, sotto il qual nome s'intendeva una 
specie di diriadazione divina e di emanazione angelica, che 
aveva la proprietà di santificare, ma che non era Dio; e 
quindi ognun sa che questa non è più T opinione della 
moderna teologia ortodossa : e quando lo fosse, si potrebbe 
tuttavia disputare sulla precisa natura di quello spirito, e 
se fra le sue proprietà vi* sia anco quella di materializ- 
zarsi. In ogni ipotesi noi siamo sempre da capo per ciò 
che risguarda la possibilità di romper^ anco un solo anello 
di quella gran catena di leggi che vincolano immutabil- 
mente tutte le operazioni della natura. 

L'incarnazione o di Dio o di una divinità ma seconda 
causa è metafisicamente assai più verosimile nel sistema 
de' panteisti. Imperocché Dio essendo egli stesso un infinito 
universo, e la materia non essendo che una modiflcazione 
fenomenale di lui in conseguenza di tin' azione eternamente 
continua che si opera in Dio, se l'incarnazione non pò* 
trebbe appartenere all'ordine dei fenomeni consueti sa- 
rebbe almeno una fra le tante emanazioni o trasformazioni- 
divine delle quali la natura e gli effetti ci sono occulti. 

Ora il concetto dell'Evangelista è panteistico non solo, 
ma le stesse espressioni di cui si serve, rivelano ad evi- 
denza ch'egli applicò al suo proposito, ma con un lin- 
guaggio più semplice, i dogmi filosofici dei cabalisti, che 
rabbi Simone Ben Jochai, il primo che si adoperasse a scri- 
verli, es];Hresse con un frasario astrusissimo per non dire 
tenebroso. 

L'Evangelista fa dire dall'angelo a Maria: < Lo Spirito 
« Santo scenderà sopra di te , la virtù dell'Altissimo ti 
« adombrerà, e da te nascerà il santo che sarà chiamato 
€ figliuolo di Dio. > 

Secondo i cabalisti, dall'Antico degli Antichi, dall'An- 
tico delle Faccie» ovvero da Dio senza principio e senza 
fine ed origine deUt universalità delle cose che sono al» 



J30 LIBRO SECOflDO 

trettantesimilitudinìdilui modificate sotto varie forme (i), 
emanò 11 Giovane delle Faccie: o in altri termini, Dio si 
manifestò nel proprio attributo che dà la vita agli esseri; 
il quale vivificò il corpo santo della femmina una, vergine 
celeste in cui scese lo Spirito Santo, o, come i cabalisti 
lo chiamano, la Scéchina, cioè la presenza e la coabitazione 
di Dio quale era presente e coabitava nel santuario di 
Gerusalemme- ElU si congiunse collo spirito del Giovane 
delle Fame, spirito procedente dal trono altissimo della 
divinità, e mercè di una Ghébara o virtù o potenza della 
divinità medesima che s'insinuò nel di lei utero e la rese 
feconda, ella, rimanendo sempre vergine, generò il re Mes- 
già, santo e figlio di Dio (2) *- 

Quantunque Simone Ben Jochai fiorisse soltanto nel II 
secolo, non è perciò da inferirsi cho 1q esposte opinioni 
egli le prendesse dai cristiani, coi quali i rabbini antichi 
non avevano alcuna comunicazione, come lo prova il si- 
lenzio costante dei Talmudisti; elle d'altronde si trovano 
sparse più o meno in tutti gli apocrifi d' origine giudaica, 
e sono pienamente conformi alla Gnosi orientale, che 
precedette di molti secoli il cristianesimo e da cui deriva- 
rono i caballisti le loro dottrine. 

Proseguendo il racconto di Luca, dopo che l'angelo ebbe 
annunciato a Maria che avrebbe concepito e partorito un 
figlio e che lo chiamerebbe Gesù, soggiunge: «Questi sarà 
«gramle e sarà chiamato figlio dell'Altissimo; e il Signore 
« Dio darà a lui la sede di Davide suo padre, e regnerà nella 
« casa di Giacobbe in eterno e il suo regno non avrà fine. » 

(0 Idra Bahbà, Sect. XXXIXI, % W>, in Kaorr a Rosenroth, Kabbaìa 
denudata, tomo IL 

(2) R. SÌBftoae Ben Jocbai, presso Galatino, Arcaf^OL eatholiecs verità- 
«»«. ni, i, pag. 74 e yn, 14, pag. 297. Basilea 1561. 

* Ora Luca è come se avesse detto : La Seéehina scenderà sopra di te , 
la Ghèbora dell* AUiMimo ti adombrerà e da te nasoarà il Hesna. 



Gmntkoom di cesò. ioi 

Le quali parole, omesse al tutto da Matteo, sono una imi- 
tazione di queste altre di Daniele (VII, 14) ove allude al 
Messia, t a cui fu data la potenza e la gloria e il regno; e 
e tutti i popoli, le tribù e le lingue lo serviranno ; la sua 
e podestà sarà una potestà eterna né mai si corromperà il 
€ suo regno. » 

Era una credenza giudaica che il Messia dovesse essere 
UD re molto potente, e il terzo Evangelio ce lo presenta 
sotto questo aspetto: avvegnaché tal cosa non si possa dire 
di Gesù senza ricorrere ad una allegoria molto forzata ; 
perchè, letteralmente parlando, non solo Gesù non regnò 
sulla casa di Giacobbe, ma i discendenti di qaesta casa, che 
vivono tuttora, fanno una protesta perlnanente contro lo 
scisma che la religione fondata da Gesù fece in danno della 
religione ch'essi tengono da Mosè e da Davide. 

Quindi l'angelo che, seguendo il primo Evangelista, 
parlò a Giuseppe, gli presentò il futuro neonato sotto un 
aspetto più modesto. Egli non dice che sarebbe un gran 
re^ ed omette affatto l'idea di una universale monarchia 
giudaica; ma si limita a caratterizzarlo come un ristaura- 
tore morale, un santo che salverà il suo popolo dai pec- 
cati, lo che si acconcia meglio col successo della missione 
di Gesù. 

Noto qui per incidenza che Giustino Martire^ il quale 
cita gli Evang^i non col nome degli autori quali si hs^nno 
al presente, ma col titolo generico di Commentari deglp 
Apostoli, riferisce un passo che ha qualche simiglianza con 
quello di Luca^ ma che non é il medesimo: < Tu conce- 
c pirai nel tuo seno per virtù dello Spirito divino e par- 
e torirai un figlio che chiamerai Gesù. Egli sarà grande, 
e si chiamerà figliuolo dell'Altissimo, e verrà per riseat* 
e tare il suo popolo dalle sue iniquità (1). » 

(i) Giustiab IL, Apologia, l, | S3. 



439 LIBRO SECOHDO 

Iq quésta citazione non vi è tutto il passo di Luca, e vi 
è qualche co^ di quello di Matteo ; Ina non si può dire 
che Giustino abbia abbreviati i due in un solo^ perchè da 
altre citazioni si vede benissimo che i Commentari degli 
Apostoli, de'quaK non accenna mai Fautore, erano una 
compilazione non identica cogli Evangeli che ora posse- 
diamo. 

Il Protevangelio (capo 14) che è pure antich ssimo, ri- 
pete l'esposizione di Matteo e lascia credere di avere igno- 
rata quella di Luca, da cui differisce eziandio ove racconta 
l'annunziazione e la nascita del Battista; le quali differenze 
fra diversi narratori sono un criterio sufficiente per farci 
diffidare intorno alP autenticità delta narrazione. 

Le differenze fra i due Evangeli canonici'sono le seguenti : 

Matteo ha due angelofanie. Luca una sola e tutte sono 
diverse. 

Matteo fa comparire due volte un angelo a Giuseppe ; e 
Luca non ne parla. 

Luca fa comparire un angelo a Maria^ e Matteo non ne 
dice niente. 

Matteo nomina un angelo in genere senza dargli atcua 
nome proprio, e Luca lo chiama Gabriele. 

Del dialogo che Luca fa^ tenere tra V angelo e Maria, 
Matteo non ha alcun indizio. 

Stanco a Luca, V angelo promise a Maria ^he il suo nato 
sarebbe un gran re; stando a Matteo, l'angelo promise a 
Giuseppe che Gesù sarebbe un riformatore della vita mo- 
rale delle nazioni. 

Secondo Matteo, l'angelo che apparve a Giuseppe fu da 
esso veduto in sogno; secondo Luca, l'angelo apparve a 
Maria quand'era desta. 

Fa quindi meraviglia come nel racconto di un episodio 
tanto sustanziale nella vita di Gesà i due biografi abbiano 
ad essere cosi dissenzienti. Matteo, il quale^ se è T autore 



GENERAZIONE DI GESÙ. 433 

dell'Evangelio che ne porta il nome, aveva conversato 
personalmente con Gesù, colla di lui Qiadre e co' di lui 
fratelli, non è credìbile che abbia ignorate le circostanze 
tanto interessanti di cui Luca si fa Fautore. 

E Luca che aveva conversato cogli Apostoli, che debbe 
avere conosciuto la madre e i fratelli di Gesù, e che d'ai* 
tronde. come lo dice nel proemio, si era proposto di scri- 
vere il suo Evangelio con diligenza di ricerche e dieti:o le 
.memorie più autentiche, come può avere ignorate le cir- 
costanze accennate da Matteo? 

Gli Armonizzatori per conciliare i due Evangelisti sup- 
pongono che l'angelo da prima si rivelasse a Maria, che 
essa non tenesse parola al suo sposo, per lo che l' angelo 
dovette poscia mostrarsi anco a Giuseppe* Ma questa è 
niente più che una ipotesi, ed una ipotesi anco poco vero- 
simile; perocchò come supporre che una giovane sul punto 
di andare a nozze trovandosi incinta per un atto soprana- 
turale e conoscendone te eausa per la rivelazione espressa 
di un angelo npn voglia subito renderne consapevole lo 
«poso, non fosse altro che per sottrarsi alla pubblica igno- 
minia? 

Si potrebbe credere che Maria tornata dal suo viaggio 
in Giudea quand' era già incinta da tre mesi, manifestasse 
a Giuseppe la cagione di quelte gravidanza e che per vie- 
più convincerlo gli riferisse quanto aveva udito da Elisa- 
J>etta; ma che Giuseppe riputando tutto questo una fin- 
zione per occultare un falle, fosse necessario air angelo di 
rappresentarsegU in sogno per certificargli la verità. Ma 
questa ipotesi, la sote che possa spiegare in qualche modo 
le due angelofanie, è resa inammissibile dal testo letterale 
dei due autori. Infatti perchè Matteo avrebbe detto tanto 
seccamente: < Prima che Maria fosse condotta a nozze, si 
€ trovò che era gravida dallo Spirito Santo? » Come seppe 
ella dr essere gravida per opera dello Spirito Santo?* E 



^34 LIBRO SECONDO 

posto che ella Io sapesse , Io storico poteva agevolmente 
immaginarsi che quella sua frase gravida dallo Spirito Santo 
gettata lì cosi gretta gretta e senza alcuna spiegazione, era 
tale da dar Luogo a più di un dubbio malizioso^ molto più 
che trattavasi di un fatto straordinario, e di cui la stessa 
«"Biblia, cosi doviziosa di miracoli, non ci offre alcun altro 
esempio. É quindi naturale di credere che se avesse cono- 
sciuto Taneddoto raccontato da Luca, il quale spande tanta 
luce anche sulla sua narrazione, non avrebbe trascurato 
di accennarlo. 

Come d'altra parte ò incredibile che Loca volesse tacere, 
ove non l'avesse ignorata, la rivelazione dell'angelo fatto 
a Giuseppa che veniva cosi acconcia a completare la sua 
Dai*razione, la qusde appunto mancando di quella circostanza 
se ne rimane tronca e lascia l'adito a non pochi dubbi: 
omissione tanto più notabile in lui che è cosi minuzioso 
nel raccontare la concezione e nascita del Battista e nello 
aggiungere più altri particolari meno rilevanti sopra la 
nascita di Gesù. 

Sembra pertanto che le due relazioni contengano lo svi- 
luppo di una medesima leggenda, ma in diversa maniera. 
Dacché si cominciò a parlare della virginità di Maria e 
delia concezione sopranaturale di Gesù, si cominciò a chie* 
dere come si era saputo che tale concezione era stata opera 
dello Spirito Santo? In un'epoca in cui i miracoli non 
erano fra gli avvenimenti i più incredibili, e che l'ingegno 
pio e superstizioso degli uomini ricorreva facilmente alle 
intervenzioni degli esseri sopranatarali, la risposta fu facile, 
e si disse che un angelo era venuto a rivelarlo. Volendosi 
poscia sapere a chi l' angelo avesse fatta quella rivelazione, 
si suppose da alcuni che egli fosse apparso in sogno a Giù* 
seppe; altri invece trovando questa spiegazione o un po' arìda 
o non troppo soddisfacente, si appigliarono al mito, e pren- 
dendo ad imitare l'apparizione degli angeli ad Àbramo che 



GEHER AZIONE DI GESÙ. 135 

gli promisero la nascita d'Isacco, o quella dell'angelo a Manne 
per annunciargli la nascita di Sansone, immaginarono l'ap- 
parizione dell'angelo a Maria. E come si solevano già dare 
dei nomi propri a diversi angeli, quello di Gabriele fu tro- 
vato il più acconcio, siccome quello che nella lingua ebraica 
o caldea ha una radice comune colla Virtù delPAltissimo 
che adombrò la Vergine (1). Ambi gli Evangelisti asseri- 
scono che quel fanciullo doveva essere'chiamato Gesù (sal- 
vatore); Matteo ne dà per motivo, ch'egli salverebbe il suo 
popolo dai peccati; e Luca tralasciando questa ragione eti'- 
mologica, soggiunge invece ch'egli sarebbe un gran re e 
^6 regnerebbe id perpetuo. 

Secondo i profeti, il nome del Messia doveva essere un 
nome nuovo e dichiarato dalla bocca del Signore (2). Bla 
il nome di Gesù[era tanto comune fra gli ebrei quanto quelB 
di Francesco o di Carlo fra i cristiani. Josuè, Jesu, Jesse, 
Isai sono tutti derivati da Jesciuà o Jeosciuà (salvatore), 
come Cuccio, Riguccio, Rico, Enrico, Arrigo sono deriva- 
tivi del nome germanico Heinrik. Fra i personaggi del 
Vecchio Testamento se ne incontrano almeno sette che por* 
tano quel nome - sopra settanta sommi sacrificatori che si 
succedettero dalla fondazione del primo tempio alla distru- 
zione del secondo, sette ebbero nome Gesù, sei Simone, 
cinque Onia, e sono i nomi più spesso ripetuti in quel- 
l'elenco, come i nomi idi Giovanni e di Gregorio lo sono 
nell' elenco de' papi. Nella storia della guerra giudaica di 
Flavio Giuseppe vi sono non meno di otto personaggi col 
nome di Gesù; almeno due altri se ne hanno nella genea- 

(1) Ghehar, nomo nel senso del vir latino, o Gkibbar potente ; £1 Dio; 
Gabriel nomo di Dio o potente di Dio; Ghihorà potenza, è Ghiborà SI 
Elùm potenza o virtù dell'Altissimo. Nel libro di Enoch., XL, 9, è detto: 
« Gabriele, T angelo che presiede alla potenza * : e XX, 7, si soggiunge 
ch'egli presiede al paradiso e ai Cherubini. 

(2) Isaia» LXXII, 2. 



-136 UBftO SECONDO 

logia di Cristo secondo Luea; Gesù aveva nome il padre 
del mago Elimas, accieeato da san Paolo; vari antichi Io 
danno anco al malfattore Barabba (Gesù Bar-Rabba); lo 
stesso nome portarono molti dotti rabbini, dal Talmud 
sono citati Gesù figliuolo di Levi, Gesù figliuolo dì Pera- 
chia e più altri: per lo che essendo quel nome uno dei 
più usitati fra gli ebrei, non corrisponde al nome nuovo e 
straordinario che abbiamo testé accennato. 

Si pretende di trovare quel nbme in un passo d'Isaia 
^VII, 14), al quale fanno allusione ambedue gli Evangelisti 
nelle parole che mettono in bocca dell'Angelo; ma Luca 
e con esso gli apocrifi si contentano di quella indiretta 
allusione ed evitano di citarlo apertamente, perchè il con- 
fronto non era 9enza difilcoltà. Invece Matteo soggiunge 
immediatamente : « Tutto ciò avvenne alSnchè si adempisse 

< quello che era stato detto dal Signore per lo profeta; 
e ecco la Vergine sarà gravida e partorirà un figliuolo il 
e quale sarà chiamato Emmanuel ». Ma questo vaticinio 
riscontrato nell'originale e messo in relazione col contesto 
bisogna confessare che non ha miglior rapporto colla na- 
scita di Gesù, di quello che ne abbia il non^e di Gesù col 
nome di Emmanuel. U fatto sta come segue : Rasin re della 
Siria e Facea re di Samaria si erano alleati per far guerra 
ad Acaz re di Giuda* Isaia va a trovare quest'ultimo e a 
nome del Signore lo conforta a non temere, perocché 
que' suoi nemici non potranno fargli alcun male. < Il Signore 

< aggiunge, te ne dà questo segno: la donzella (Alma) 

< ingraviderà e partorirà un figliuolo, e lo chiamerà Im- 
€ manu-El (Iddio è con noi); e prima che sappia ripro- 
c vare il male ed eleggere il bene, que' due re tuoi nemici 
€ saranno conquistati dai re di Assiria ». 

Qui il profeta parla di un fatto naturale e presente, e la 
differenza tra il nome di Immanu-El e quello di Gesù, cosi 
nel. suono come nel significato di ciascuno di essi^ è fuori 



GENERAÉtÒm M (^felÙ. ^ 

di controversia. Si concede che il nome dTtnmanu-El 
sia nuovo ed inusitato fra gli ebrei; ma tutti sanno che 
Gesù non ha mai portato un shnil nome, e le allegorie a 
cui ricorsero i mistici per applicarglielo, se giovano ai pre- 
dicatori, non sono una buona pròva per uó critico. 

Ma il gran punto della quistione sta sul vocabolo A\mà^ 
che è il perno di tutto quel vaticinio d'Isaia. É vero che 
Àkiba nella Ghèmara sembra attribuirgli il significato as- 
soluto di Vergine, come i traduttori cristiani; ma tutti gli 
esempi che si adducono concordano a dargli il significato 
non pnypriamente di una vergine, sibbene di una donna 
giovane. La quale osservazione è antichissima, imperocché 
Celso la mette in bocca al Giudeo che fa parlare contro i 
cristiani, e Giustino martire al Giudeo Trifone (1). 

Ma Giustino causa la difficoltà appoggiandosi alla tradu- 
zione greca da lui attribuita ai LXX, ed accusando i Giu- 
dei di avere adulterato le Scritture. Ed Origene rispon- 
dendo a Gelso si difende asserendo che nel Deuterono-- 
mio (XXII, 22) la parola Alma è adoperata nel senso asso- 
luto di Vergine. Masi è ingannato, perchè nel Deuteronomio 
al luogo citato si legge Nahherd betulah (ragazza vergine); 
e non vi è apparenza che allora si leggesse diversamente, 
perchè le parole medesime si hanno nel testo de' Samari- 
tani e nella parafrasi caldea di Onkelos. 

Il dotto Wagenseil fa una discussione di quasi 60 pa- 
gine in-4 per provare al rabbino Lipmannó (2) che Alma 
vuol significare una vergine; ma in ónta ad un grande 
sfòggio di erudizione riesce assai male nel suo proposito e 
finisce a provar nulla. 

(I) Orifene, CotOro €kko, ì, 34 6dSti<§e De 1* Une; aiutino. Dialogo 
am Trifone, J 67 e leq. 

(S) Confutatio earminit R. Lipmaimi nell'opera intitolata Tela ignea 
S^àanet, di Wagenseil. Amsterdam, 1681. 

Crii éegli Bv. Tol. I. Il 



198 UBBO «coroo 

Fra le molte autorità egli cita san Gerolamo sopra Isaia 
ove dice che per quanto si ricorda non ha mai trovato 
Alme nel senso di una donna maritata, si solo in quello di 
una vergine giovinetta; ma nella Cantica VI, 8^ è detto: 
e Sessanta sono le regine, ottanta le concubine, e te almoik 
« senza numero t . Fra le regine e le concubine di Salo- 
mone non pare che fosse molto in sicuro la verginità; ed 
ivi Almoth non significa già vei^ini, ma puramente dami- 
gelle: a un di presso come le odalische nell'Aar^m del Gran 
Signore. 

Cita altresì i Proverbi (XXX, 18) « Tre cose mi sono 

• occulte e non conobbi la quarta: la strada del serpente 
« sulla rupe, la strada della nave in mezzo al mare, e la 

• strada dell'uomo nella donna (Ve daerek gOevaer behaìr 
mah)\ e intende probabilmente la strada che tiene il feto 
umano nell'utero della donna o gli errori dell'uomo che 
tien dietro alla vaga Venere. Ei verrebbe per conseguenza 
a dire che la generazione è cosa più occulta che non la 
strada dell'aquila ecc.; ovvero che l'uomo che vagheggia 
il sesso procede per vie o si abbandona a traviamenti ine- 
splicabili: e Gesenius ha provato>he Alma, ne' dialetti se- 
mitici, è adoperato anche nel senso di una ragazza da pia- 
cere (i). Ma tradurre la strada deWuamo netta tergine 
non ha senso. 

Il Wageuseil riporta e^andio i versi in lìngua punica citati 
da Plauto nel PoenfjAm^ dove a suo credere Alma significa 
propriamente una vergine; ma dalla istessa interpretazione 
che ne dà non si può tirare questa conseguenza; e quan- 
tunque il Bythym del quinto verso di Plauto si abbia a 
correggere in Bethulim, come pensa il Wagenseil, non ne 
verrebbe, cbe esso sia il sji^animo iì Abnotb nel secondo 

(1) Gesenius, Commentar, ùbenden Jesaia,. tomo l, pag. 247 ove disdite 
con molto apparato di scienza filologica il significalo di; qn^la parola. 



GEHERAZIOUE DI »SU. 439 

verso; tutto al più l'uno e l'altro vocabolo sarebbero ado- 
perati per significare ragazze y ovvero SU almoth signifi- 
cherebbe due ragazze, e Bethulim che erano vergini. 

Il Munstero ribattendo le obbiezioni degli ebrei mo- 
derni (1) cita la Genesi XXIV, ove si parla di Rebecca; ma 
il testo è precisamente contro di lui , perchè se al verso 
42 per dire la ragazza o la giovine l' autore si serve del 
vocabolo Alma, al verso 16 ow vuole esprimere una ver- 
gine dice Betulah. Vedi pagina 4t5. 

Ciò posto, il senso del vaticinio d'Isaia è questo : « La 
« giovane (ed allude forse a persona conosciuta, o ad una 
« sposa concubina del re, che era una giovane di circa 
« 20 anni) la, giovine ingraviderà e partorirà un figliuolo^ 
« il quale prima che sappia distinguere le buone dalle cat- 
« tive cose, cio^ prima che giunga alla età di tre o quat- 
« tro anni, i regni di Samaria e di Damasco saranno con- 
« quistati dagli Assiri ». 

Infatti due anni dopo Teglat-Fal-Assar re di Assiria, ve- 
nuto in soccorso di Acaz re di Giuda, vinse ed uccise Ra- 
sin re di Damasco, devastò il regno di Samaria e condusse 
via un gran numero di prigioni : nel frattempo Facea re 
di Samaria fu assassinato da Osea che usurpò 11 regno e ' 
si fé' tributario del re dì Assiria. Ma Ì5 anni dopo essen- 
dosi ribellato, Salman-Assar venne ad assediarlo ih Sa- 
maria, prese la città, uccise lui e condusse in servitù il 
popolo, 718 anni avanti Gesù Cristo. Tutto questo ha nulla 
a fare coir aspettato Messia. 



s. 



(1) Sopra Matteo, nella Bibita critica, toma VJ» pag. ^.. 



no hiBM SfCOllDO 

CAPO SESTO. 

VERGINITÀ DI MARIA. 

La verginità di Maria, quantunque asserita da Matteo, 
da Luca e. dagli Apocrifi, è formalmente smentita dal te- 
nore di tutti quattro gli Evangeli canonici, che van di con- 
senso nel dare a Gesù fratelli e sorelle, e i fratelli ci sono 
indicati col nome di Jacop, Jose, Simone e Giuda (1). Anco 
san Paolo nomina i fratelli di Gesù, fra i quali uno chia- 
mato Jacopo, e così pure gli Atti apostolici (2). 

Il Protevangelio e alcuni fra gli antichi commentatori 
hanno creduto che fossero figliuoli a Giuseppe di un primo 
letto; ma san Gerolamo, gran campione del celibato, pre- 
tese che anco Giuseppe avesse conservata una integra ver- 
ginità, e che i fratelli di Gesù nominati dagli Evangelisti 
fossero suoi cugini chiamati fratelli dall' uso ebraico, che 
ammetteva talvolta questa denominazione (3); ma non ci dà 
nissun garante di cotal suo pensiero che viene un po'tardi 
(circa 400 anni dopo) per essere creduto sulla semplice 
sua parola. Egli è d'altronde poco probabile che Marco, 
Luca e Giovanni, i quali scrivevano pei Greci, volessero ado- 
perare una significazione così impropria, usata rarissime 
volte nelle Sacre Scritture, e tanto acconcia a scandalizzare 
quelli cui volevano convertire, promovendo questioni sui 
dogmi importantissimi della verginità di Maria e della nascita 
divina di Gesù; è infine contraria al testo letterale degli 



(1) Matteo XI, 46, XU, 55, e i luoghi paraUeli. 

(%) L Óarinth., IX, 5; Gaht., I. 1»; AtU apoit, I, i4. 

(3) Gomm. in Mattb., lib. L 



VERGINITÀ 01 MARIA. 141 

Evangelisti che parlano positivamente di fratelli in casi ove 
è al tutto inammissibile la sostituzione di cugini. 

Ma che Giuseppe fosse stato vedovo e che i fratelli di 
Gesù non fossero che i suoi fratellastri , è opinione più 
antica e che veste un tal che di maggior verosimiglianza; 
non per questo non è meno ipotetica della antecedente . 
Possiamo ammetterla per accomodazione, ma uissun buono 
argomento ci obbliga a crederla, ed anzi le sono sfavorevoli 
tutte le induzioni umane che fare si possono. 

1. Nissuno dei <iuattro Evangelisti lascia luogo alla sup- 
posizione che Giuseppe fosse- vedovo e padre di figliuoli 
di un primo letto; anzi Matteo e Luca^ che parlano delle 
sue nozze fidanzate con Maria, lasciano piuttosto credere 
che anch' egli fosse un giovane di età non diseguale a quella 
della sua sposa. 

2. Marco e Giovanni che dicono niente della verginità 
di JAaria e lasciano sussistere come un fatto indisputabile 
che Gesù sia nato carnalmente come gli altri uomini, no- 
minando la madre e i fratelli di Gesù non possono avere 
inteso se non se di una vera madre e di veri fratelli uterini; 
e per attribuir loro un'altra intenzione bisogna violentare 
il testo e al fatto naturale sostituire l'ipotesi. 

3. Gli Evangeh'sti parlando dei fratelli e sorelle di Gesù, 
dai modo pomtivo con cui si esprimono, appalesano la convin- 
zione che fossero fratelli e sorelle di Gesù nati dallo stes9o 
padre e dalla stessa madre. 

Giovanni Io chiama esplicitamente Gesù figliuolo di Giu- 
seppe, di Nazareth^ e più innanzi dice: e Gesù andò a Gafar- 
« nao con sua madre, i suoi fmielli, i suoi discepoli {^) i . 
Qoi per fra^tdti noA si possono intendere che i Agli della 
stessa madre. Questo Evangelista afferma che i fratelli di 
Gesù non volevano credere alla.sug missio^ messiacd;, 

(l)Joan.l,45, VI,4SeII,i3. 



442 UBio SEGmoo 

quindi Gesù dopo risuscitato dice alla Maddalena : « Va 

< dire a^miei fratelli che io ascendo al Padre mio e Padre 
vostro, mio Dio e Dio vostro (1) ». Si concilii questo pas- 
saggio coil'antecedente e si confermerà la conseguenza che 
TEvangelista intende di veri fratelli. 

Luca dice (2): « Vennero la madre e i fratelli di lui^ 
e ma non potevano awicinarsegli per la gran moltitudine, 
e e taluno disse a Gesù: tua madre e i tuoi fratelli stanno 
« là fuori e vogliono vederti » . Come la madre di Gesù è 
qui accompagnata dai fratelli di Gesù, in buona logica non 
si può separare questo fatto dalla naturale sua conseguen- 
za, elle i fratelli di Gesù erano figliuoli nati dalla stessa 
Biadre. 

Ma più chiaramente ancora si esprimono Matteo e Mar- 
co (3); Matteo fa dire ai Nazareni: t Forse non è questi 
€ il figliuolo del fabro? Forse che sua madre non è la 

< Maria? e i suoi fratelli non sono Jacopo e Giusejgpe, 

< Simone e alluda? Non conosciamo noi forse tutte le sue 

< sorelle? e Marco fa dire ai medesimi: < Non è questi il 

< fabro figliuolo di Maria e fratello di Jacopo, di Gioae^ 
« pe, di Simone e di Giuda? Non conosciamo noi anco le sue 
sorelle? » 

In questi due passaggi è giuotoforza riconoscer^* che i 
fratelli di Gesù sono i figliuoli di Maria, e qùmdi aon'cu- 
fini, non fratellastri, ma fratelli germani ^d uterini dello 
^stesso Gesù. 

Infine la perpetua verginità di Maria non è ammessa- nep- 
pure dai due Evangelisti che narrano la conceano&e sopra- 
naturale di Gesù, della nasdta del quale parlando Matteo 
e Luca dicono che Murta partorì il suo figliuolo jMT'Moyemlo; 

(i) Joann. VII, 3, 6 e IO e XX, 17. 

(J)Luca, Vin, i9. ..-. . 

(8) Matteo, XIII, 55; Marco, Yl, Z. 



terginitI di haru. i43 

dunque se Gesù fu il primogenito, debb'esservì stato per 
lo meno un secondogenito. 

Matteo va anco più innanzi asserendo che Giuseppe non 
conobbe sua moglie /iwcAé non ebbepartorito Gesù suo figliuolo 
primogenito; dunque la continenza dei due conjugi si ri- 
strinse ai solo tempo in cui Maria restò incinta di Gesù; 
ma dopo la di lui nascita ella non fu più vergine e Giu- 
seppe esercitò i diritti di un marito, e quindi ne avrà avuto 
i figliuoli e figliuole nominate dagli Evangelisti. In qliesto 
senso pare che sia stato inteso dal VI concilio ecumenieo 
tenuto a Costantinopoli nel 681^ nel quale Jacopo, primo 
vescovo di Gerusalemme, è chiamato fratello del Signore 
secondo la carne, e questa decisione fu anco registrata nel 
diritto canonico (1). 

La verginità di Maria e la nascita divina di Gesù furono 
ignote ai contemporanei. Quelli di Nazareth, dove Gesù era 
stato allevato e dove pareva dover essere più finabnente 
conosciuto, lo* tenevano per figliuolo del fabro Giuseppe e 
di Maria sua Hioglie; né gli Evangeli ci offrono indizio che 
ii'pubblico ne pensasse diversamente. San Pietro nel par- 
lamento "tenuto ai Giudei il di della Pentecoste disse 
puro e schietto che Gesù era un uomo favorito da Dio (2). 

Il dislbepo}o Cleopa ragionando coir incognito scontrato 
sulla vfa- di Emaus lo chiama uomo profeta (3). 

San Paolo nella sua aringa al popolo di Atene gli dà il titolo 
di uomo predestinato (4). Da alcuni luoghi delle sue lettere, 
sembra che lo ritenesse disceso carnalmente dalla stirpe 
di Davide (J^; né havvi luogo w'égli accenni di avere co- 



(4) Graziano, Dixt. l, de comecr, 32 Gan. Jaeoku$, 
(%) Atti apo9t., U, tt. 
(8) Lnea, XXIY, i9. 

(4) Atii apost, XVn, 31. 

(5) Ihmam, I, 3e V; OC, 5; O^Oati, IV» 4. 



144 * LIBRO SEOK^OO 

nosciuta la verginità di Maria: della quale, tranne i due 
passi di Matteo e di Luca che abbiamo esaminati, non si 
rinviene più niemòria in tutto il Nuovo Testamento; abben- 
che Gesù o gii apostoli abbiano avuto tante occasioni per 
parlarne. 

Si aggiunga che i primitivi cristiani, quelli che uscivano 
dalla sinagoga, che erano stati catechizzati immediatamente 
dagli apostoli e da loro discepoli, come gli Ebioniti. 
Cerinto e Carpocrate, non riconoscevano quella verginità di 
Maria* (1), che pure era un dogma difficile ad essere negato 
ove fosse stato generalmente conosciuto e dagli apostoli 
medesimi insegnato. 

Il primo documento di questo mistero, a cui si possa 
assegnare una data istorica, si trova nella epistòla che 
sant'Ignazio vescovo di Antiochia scrisse agli Efesi Tanno 
107, intanto che veniva condotto a Roma per essere dato 
alle fiere ; il quale dice che restarono ignoti al principe di 
questo mondo (al demonio) la verginità di Maria, il di lei parto 
e la morte del Signore: tre misteri che Dio volle consu- 
mare in silenzio; e che egli, Ignazio, rivelava queste cose 
perchè molti cristiani de' suoi tempi non le credevano (2). 

Pai*e pertanto che Ì9^ Chiesa di Antiochia sia stata la 
prima ad insegnare cotai dogmi, e che nel 107 fossero 
ancora poco diffusi. San Gerolamo dichiara anch'egU che 
Maria si era disposata a Giuseppe per un occulto consiglio 
della divina sapienza, la quale volle impedire al deoionio 
di ^ver notizia dell' incarnazione del Salvatore (3); e san 
Giovanni Crisostomo sembra voler dire che il mistero 
della verginità di Maria non fu rivelato al pubblico affine, di 
rimuovere le mali sospizioni (4). 

(1) Ireneo, Adv. hceres. I, 15 e 26. 

(2) Ignazio agli Efesi, $ 19 in Gallaiidi Biblioth, Vf4$rtìm.Patnim, tomo I. 

(3) Hieronimns, In ifoià. L 

(4) CrìsosUMno^ In Math. .Oml, T, a ' . . . 



TERGUflTÀ U HàRIA. 445 

Ad ogni modo questi dottori confessano che^la verginità 
di Maria non fu conosciuta dai contemporanei. 

Questo dogma ebbe la prima sua colb nell'Asia centrale, 
donde si diffuse nelle Indie, natia Persia, in Egitto e nella 
Sìria. . 

n Buddismo, che sembra essere stata la fonte da eui 
derivò il Bramismo, è molto più antico dei cristianesimo; 
e quale sistema di religione di o filosofia non era ignoto ai 
dotti di Alessandria , come lo attesta san Clemente ales- 
sandrino (i). Al dire dunque dei Buddisti^ Budda oSciaka 
volendo redimere gli uomini dai peccati ed indirizzarìi sul 
sentiero dell^ eterna salute, nella quinta età del mondo 
. s'incarnò nel seno della vergine Lamòghiuprul, discendente 
di una stirpe illustre di re e fidanzata ad un altro re per 
nc»ne Sezan. Kiacin, il Dio della luce^ fu quello che la fe- 
condò infondendo in lei una copia infinita ^e'suoi raggi (2). 
Da questa iiM^arnazione Buddistica derivarono le numero^ 
Avatara o incarnazioni di Yisnù. 

Il citato Clemente alessandrino dice, che oltre i Bi^ch- 
fiaani o Bramini, andie gli Odrisii e i Ceti (pOfiioH di razza 
scitica o tartara che abitavano le regioni del Danubio infe- 
riore) credevano nella incarnatone delle loro divinità; il che 
vuol dire che il Buddismo era sparso dal Danubio al Gange 
molti secoli prima di Cristo. 

I libri sacri dell'antica religione persiana dicono che 
Sosiosc, generato da una vergine, verrà alla fine del mondo 
ad operare la risurrezione e la purificazione degli uomini (3). 

Quindi i Giudei che tornarono da Babilonia o dalla Persia 



(i) StrimaU^ l, 15, pi«. 339, ediz. Potter, e pag, 305 ediz. Paris e coofr. 
Bairamm, citato nelle note di Potter. 

(3) Georgi, Alphahetum Tibetanum. Prsef. pag. X. seg. Un estratto di 
qnesta curiosa prefazione f bo io riHwito Bella Chiaife al Poema Tartato 

del Casti, $8. • 

£(3) An^ietil, Zend^Aveitaf tomoiIL Vfadfi Zor^m^^» Wk ^^ 



446 LIBI») SECONDO 

dalla Media o dalle regioni tra il mar Caspia e il Ponto 
Eusino, e che avevano avuto relazioni con quei popoli, 
portarono nella Palestina una parte delle loro idee religiose 
e sopra di es^e formularono le proprie idee sul Messia. 
Noi abbiamo già riferito come i Cabbalisti, sotto l'emblema 
di una vergine, parlino di una divina emanazione , che 
fecondata dallo spirito del Giovane delle Faccie, il quale 
abita il paradiso, deve partorire verginalmente il re Messia. 

Abbiamo detto altresì, come quello spirito del Giovane 
delle Faccie fosse una prolazione del Vecchio delle Faccie 
di Dio prima sua manifestazione; e ch^egli stesso è il 
paradiso, ossia II grembo, la plenitudine, ove genera ed ove 
abitano lo spirito del Giovane delle Faccie e la Vergine una. 

Un'altra setta di pabbalisti o Gnostici semi-cristiani, 
originaria della Siria, ammetteva una vergine chiamata 
in siriaco Bar-Bel , o Figlia di Dio , emanata dal Psdre 
Incognito Dio occulto nella sua esistenza, e nella quate 
si era incorporato un Eone, che nascendo da lei divenne 
il Messia o Cristo (1). Da questi elementi diffusi nella Siria 
e nella Palestina, ed insegnati in vario modo nelle scuote 
dei teosofi, derivò anche il dogma della incarnazione di 
Gesù nel seno di una vergine. A cui contribuirono altresì 
le dottrine degli spiritualisti sparse in tutto l'Oriente, e 
die attribuivano una idea d'impurità al congiungim^to 
dei due sessi; e . posto che in Gesù si fosse incarnato il 
Cristo o Verbo di Dio, si trovò sconcio ch'egli avesse a na- 
scere da osceno connubio. 

Del resto l'idea di un Dio o di un uomo divino nato da 
una vergine non era per quei tempi una singolarità. Mitra, 
Oro, Adone, simboli di culto eliaco neilt Persia, in Egitto 
e nella Siria, si dicevano nati da vergini incinte dalla di- 
vinità che si espanse sopra di loro. Dicevasi parimente che 

(1) Imoeuf» Àdv, hmri$, I, » 



TEROimrÀ Bt MàXik. itti 

ApistoDe padre tli Piatone fa da una celeste voce ammo- 
nito di non toccare la sua sposa finché non concepisse da 
Apollo e partorisse un figlio. La qual tradizione sembra 
che fosse quasi contemporanea perchè ne parlano Speosìp- 
pò discepolo di Piatone, nipote e figlio di sua sorella Po- 
tona, e Clearco, e dicono che fosse l'opinione (»>rrente in 
Atene (1). 

Se crediano all'autore delle Ricognizioni attribuite a 
san Clemente, che scriveva prima di Origene , Simone 
samaritano si vantava nato da Rachele ancora vergine e 
prima che avesse commercio con suo marito Antonio (8), 
Filostrato spacoiò lo stesso di Apollonio Tianeo, ed Asole- 
piade di Mendes narra, che Atìa madre di Augusto fu in- 
gravidata da Apollo sotto la forma di un drago (3). Simili 
racconti die sarebbono assurdi a' di nostri, erano credibi- 
lissimi in una età piena di mistidsmo e quando Timmagina- 
zìone si compiaceva di trovare il meraviglioso negli aed- 
denti anco più semplici della natura. 

CAPO SEniMO. 

CENSIMENTO DI CIRINO. 

Racconta Luca (II) che dopo nato il Battista, e quando 
la gravidanza di Maria era presso alla maturità, usci un 
editto di Cesare Augusto che comandava il censimento 
di tutto il mondo; che quel primo censimento fu fatto da 
Cirino governatore della Siria; e che tutti i giudei auda- 
ci) Apalei, De 4t^fmaU PlaUmit, I sub initio; Ori|ene, Contro C$Uo, 1, 37» 
e là note di Spencer. Biogenit Uertii* HI, !• 
(1) RUofnixùmi, Q» 14. • 
(3) SveUMiio, in Àuputo^ cap. 9L - 



. 148 UBM UCMDO 

vano a farsi iftscrivwe tribù per tribù, eiaseuiH) nella pro- 
pria città originaria; per cui anco Giuseppe , che abitava 
a Nazareth nella Galilea, si trasferì a Betlemme , piccola 
dtià della Giudea dove la casa di Davide , da cui egli di- 
seendeva^ av«va tirata la sua orgine. 

Né Matteo, né Marco, m Giovanni fanno cenno di questa 
notabile particolarità; e Matteo, il solo, oltre Luca, che 
parli della nascita di Gesù, lo fa nascere in Betlemme senza 
altre premesse, e tutto il suo contesto lascia necessariamente 
supporre che ivi fosse l'ordinaria dimora dei genitori di lui. 
Il medesimo sileozio troviamo in Tacito), in Svetonio e 
negh altri autori profani, ahbenché quel censimento fosse 
un articolo da non doversi omettere. 

Quella frase tutto Vmniversóy resa- nell' antica versione 
Mriaea per quest'altra tutto il popolo del suo impero^ è cosi 
esplicita che non lascia lu^go a credere l'Evangelista avere 
Voluto intendere . un censimento particolare della Siria o 
della sola Giudea; ma volendo pur limitarla a questo senso 
ci troveremmo impacciati da altre difficoltà. Da prima Flavio 
Giuseppe, che ha raccontato cosi a minuto gli avvenimenti 
di quell'epoca, non ne parla; poi attenendoci alla versione 
di Matteo, quando nacque Gesù^ la Palestina del monte Li- 
bano sino alle frontiere dello Egitto, e da quelle dell'Ara- 
bia sino al Mediterraneo, formava un regno tributario 
de'Romani, ma.gpvernato liberamente da Erode il Grande. 
É pertanto poco ammissibile che Augusto volesse prescri- 
ver leggi alla amministrazione di un regno che non entrava 
nel novero delle provincie romane. 

Svetonio dice che durante il lungo impero di Augusto 
furono fatti tre censimenti; ma se non si ristringono alla sola 
Italia, è fuor di dubbio che si limitavano alle sóle città 
che godevano la cittadinanza romana (1), come iì rileva 

(l) Svetonio, t» 4iv«i<9> ctp. 17. * , 



cENsnmo DI «Moro. iJ&' 

dalie cifre delle persone censuate e dal testo espresso dì 
Dione (1). Oltre a ciò nessuno di que'tre censimenti eoP' 
risponde all'epoca di cui abbiamo bisogno; imperoeehè 
il primo fu fatto Tanno 726 di Roma^ il seoowio l'anno 
740 e il terzo Tanno 767, ultimo di Augusto; vale a dire 
che il primo fu fatto 24 anni, TaHno 10 anni innanzi che 
Gesù nascesse, e Tultimo i7 anni dopo die era già nato (2). 
Luca soggiunge che ciascuno si recava alla sua città 
per essere rassegnato , lo che accenna un censimento 
alla maniera levitica; ma questa maniera era al tutto 
estranea al sistema de' Romani^ e senza frut^re alcuna 
utilità , sarebbe anco stata sommamente incomoda* af^i 
individui , cui soggettava a dispendiosi viaggi , ed al 
fisco che si esponeva" al rischio evidente di una rassegna- 
zione inesatta. Oltre dì che non si sa concepire come po- 
tesse aver luogo un censimento per tribù e per famiglie, 
quando la distinzione delle famiglie più non esisteva. Anco 
prima delT esilio le tribù di Giuda e di Beniamino si erano 
confuse in una sola, e le dieci tribù d'Israele si erano 
mescolate o fra di loro o cogli stranieri. Venne poi Nabuk- 
Odon-Ossor che spopolò la Giudea, massacrando o menando 
via le persone principali o più agiate, e non lasciandovi 
che i più miserabili, molti de' quali non trovando più da 
vivere in patria fuggirono in Egitto. DalT esigilo di Babi- 
lonia non tornarono se non se 42,360 individui d'ogni età 
e sesso, con 7337 altri di ceto servile. Da quel tempo le 
frequenti rivoluzioni della Giudea, balestrata da una ad un^ 
altra conquista, e le continue emigrazioni de' popoli avevano 
disperso i registri pubblici, sovvertiti i retaggi, confuse le 
caste per la promiscuità de' matrimoni e la variazicme deite 



V*} Dione aU)reviato da Xifilino, LY, pag. 70, ed anco al libro USL 
(2) Vedi le esattissime oompataziooi del TiUemoat, Storia degU impera- 
tori^ tom. I, f» Aìigum. 



i60 verno wsKmw 

léggi, di modo che era oramai impossibile ad un uomo il 
poter accertare a quale tribù appartenesse^ Di ventiquattro 
famiglie sacerdotali, come la già avvertito altrove, sette 
sde tornarono da Babilonia^ e tre di esse non poterono 
giustificare la loro genealogia^ furono private del sacerdo- 
zio; di maniera che il numeroso ordine sacerdotale fu ri- 
dotto a sole quattro famiglie* 

La vanità aristocratica di qualche opulente od ambizioso 
poteva forse vantare una discendenza illustre, ma difficil- 
mente avrebbe potuto provare quella sua pretesa. 

Anco gli originari di Betlemme tornati dall' esilio di Ba- 
bilonia appena sommarono a 123^^ anime; le quali è impos- 
sibile che non si siano smarrire nella generale confusione 
portata dalle vicende cui andò soletta I& Giudea sotto Ales- 
sandro che trasportò molti ebrei nello Egitto; sotto Tolomeo 
Lago che ne trasportò altri; sotto i re di Siria quando 
andò a soqquadro tutta la Palestina; e nelle continue guerre 
ed invasioni che la travagliarono sotto gli Asmonei e fino 
al regno di Erode. 

Trova contradizione anco quel Cirino o Quirino governa- 
tore della Siria, la quale, quando nawjue Gesù era governata 
da *Senzio Saturnino. Tertulliano per levare quest'anacro- 
nismo si allontana da Luca, ed attribuisce a Saturnino il 
censimento (1); né perciò la storia profana cammina di ac- 
cordo colla storia evangelica. Flavio Giuseppe, contempora- 
neo degli apostoli, e storico diligentissimo quando parla del 
suo secolo, racconta che Augusto avendo esiliato nelle Gallie 
Archelao figlio di Erode e ridotta la Giudea a provincia 
romana, mandò a fome il censimuento Publio Sulpiz^ Quirino 
uomo consolare, al quale aveva conferito il governo di tutta 
la Siria, 37 anni dopo la battaglia di Azio, vale a dire 7^ 



(1) Tertulliano, Contro MarcUme, IV, i9. 



ceusherto m cmiio* i51' 

anni dopo la nasctta di Gesù. Un censhnento, nella opinio- 
ne dei Giudei, era un sacrilegio orribile; e narrano le loro 
storie che quando Davide volle farne uno, Iddio ne fu cosi 
sdegnato che per castigo lasciò a Davide a scegliere o sette 
anni di fame^ o tre mesi di guerra sempre infelice, o tre 
giorni di peste (1). 

Dispiacendo pertanto quella novità a' Giudei, molti si 
sollevarono concitati da Giuda Gaulonite, della qual sol- 
levazione parlano anche gli Atti degli Apostoli (2). 

Questi avvenimenti, cotoe ancora la successione crono- 
logica dei presidi della Siria, furono eruditamente esamina* 
ti e discussi dal cardinale Noris ne' suoi Cenotafl pisani (S). 

I critici hanno immaginato quale Tuna, quale l'altra 
conghiettura onde togliere le riferite contrarietà; altri 
hanno creduto di appianarle tutte dicendo che le parole di 
Luca « questa prima descrizione fu fatta da Cirino gover- 
c natore della Siria > fossero in origine un glossema posto 
in margine, e poscia per imperizia di amanuense introdotto 
nel testo. L'ipotesi, altamente disapprovata dal cardinal 
Baronio, n^a sostenuta dal cardinale Noris e dal padre Pagi, 
è molto verosimile, anzi probabilissima, ed è appoggiata 
dall'Evangelio dell'Infanzia arabico e dal Protevangelio ova 
Girino non è nominato. Ma restano ancora: 1. Il dubbio 
di quel censimento universale di cui non si ha notizia 
d'altronde; 2. La difficoltà di conciliare un censimento 
qualunque col tempo, in cui nacque Gesù, ove sia vero che 
nacque l'ultimo anno del regno di Erode; 3. La difficoltà^ 
di conciliare un censimento comandato da un editto ro- 
mano ed eseguito secondo le antiche istituzioni giudaiche. 



if) Uftei XXIV, 18. . 

(2) Giaseppe, Antichità XVm, 1 e %; Atti apùttoL \, 37« 

(3) Disi. U, Gap. 16, nelle Opere^ Tom. HI, pag; Ì3A ese§i t ptg.* 401 
e seg. .*' ..■,'"'/....'..-. 



i82t Limo snooDo 

li citato Evaatpelio dell'Infanzia arabieo dide: L'aaoo 
t 309 dell' èra di Alessandro, Augusto -ordinò cké ciascuno 
« fosse rassegnato nella sua patria. Ed allora Giuseppe si 

< levò, e prese Maria sua sposa, andò' a Gerusalemme, e 

< venne a Betlemme per esstre rassegnato colia sua fami- 
t glia nella città sua patria. » Qui, a quel che vedesi, il 
censimento è ristretto alla sola Palestina, ed abbiamo di 
più l'anno preciso in cui avvenne. 

L'èra di Alessandro o l'èra dei Seieucidi è la medesima 
che i rabbini chiamano Mnc^n Sc&tarit^ o èra de' contratti 
che incominciava 312 anni e nove mesi innanzi l'èra vol- 
gare (*). 

In questa guisa l'anno 309 cadrebbe verso T ultimo anno 
del regno di Erode, nel quale si suole collocare la nascita 
di Gesù, quattro anni innanzi l'incominciàmento deirèra 
volgare. 

Intorno a quel tempo Erode aveva ingiunto a tutti i 
Giudei suoi sudditi di prestare, ciascuno nella propria città, 
il giuramento di fedeltà ai Romani, alla qua! cosa si rifia- 
tano 6000 Farisei (2). Quest'avvenimento, secondo le com- 
putazioni di Freret, accadde in primavera, un anno avanti 
la morte di Erode (3). Posto ciò, si rileva che l'Evangelio 
delia Infanzia, o i documenti primitivi sopra cui fu com- 
pilato, hanno confuso la prestazione del giuramento sotto 
Erode coi catasto fatto eseguire da Quirino 11 anni dopo, 
Il Protevangelio è più esplicito : •€ In quei tempi, egli dice, 

(1) Sigonii, De t^epub, Jiebrceor,, III, p. 114, inualis OpR,, lom. IV. • Dodici 
« anni dopo la morte di Alessandro, Seleuco sopranominalo Nicatore otten- 
« ne la signorìa sopra Babilonia, e tono Tlrao ed il Chm'asaa sino aU'Iodim. 
« Dal principio del sao regno ìncomìDcià l'èra detta di Alessandro, di cui 
t si servono i Siriaci e gli ebrei. • Abulfaragb, Hi$t. d^na»t., VI, piag. 98.— 
Quest'era incomincia il i ottobre dell'anno 313 avanti G. G; Noris, op. 
cit. Ideler, Lehrbuch der ChromOogk, pag. fóO e «eg. 

(1) Gtne^Q, AntìMtà, XVH, % % k. 

(3) Freret, OEmre, t. XIV, p. 31$ e 317. Pari» 1796. 



cENsiùRTo'm ainio. 153 

1 usci un editto di Augusto che comandava fosse fatta la 
1 descrizione di tutti quelli che erano nella Giudea i (1) 
Allude senza dubbio al censimento di Quirino > e parla di 
un censimento comune e non di un fatto alla maniera le- 
vitìca; lo che si accorda col suo racconto, nel quale seb- 
bene veggasi che Giuseppe e Maria abitavano lontani da 
Betlemme, non si dice giammai che abitassero a Nazareth, 
e l'intiero contesto lascia supporre che il loro domicilio 
fosse nella Giudea, e si potrebbe anco dire a Gerusalemme. 

Adunque erano celebri nella memoria popolare il giura- 
mento comandato da Erode un anno prima della sua morte, 
eli censimento di Quirino undici anni dopo : i quali due fatti, 
conservati per tradizione, poterono benissimo confondersi 
in un solo, e far credere che il censimento di Quirino ebbe 
uogo quando Erode viveva ancora, e che in quella occasione 
tutti furono obbligati a recarsi nella loro città. 

Tutti sapevano che Gesù era di Nazareth ; eppure il 
Messia, secondo T opinione dominante, doveva uscire da 
Betlem di Giuda e dalla casa di Davide ; allora per conci- 
liare la qualità messìaca di Gesù colle esigenze profetiche, 
si suppose che Gesù fosse veramente di Nazareth, ma che 
i suoi genitori erano di Betlemme e discendevano da Da- 
vide, e che anch^egli nacque in Betlem in occasione che 
i suoi genitori si recarono nella originaria loro terra per 
farsi inscrivere nel catasto ordinato da Augusto. 

Propriamente quel catastro non risguardava che la sola 
Giudea ridotta in provincia romana, e niente vi entrava in 
Galilea lasciata aì giovine Erode. 

Per togliere questa difficoltà s^ immaginò che Teditto di 

(I) Secondo il codice vaticano e nelle varianti di Thilo t é un codice 
dell' XI secolo, e Thilo ne\Prolegomenij pag. LVI, dice che è raccomanda- 
bile per la bontà, dei suo tfisto; pure nel testo da lui adottato vi é tutto 
l'universo, come in Luca; altri cpdici riferiscono quel censimento ai s&li 
cittadini di Betlemme od anca ai «oli fancùiUi di Betlemme. 

CriU degli Ev. Voi. I. ' i2 



454 LIBRO segoudo 

Augusto era universale, e invece della frase primitiva de- 
scrizione di tutti quelli che erano in Giudea, fu sostituita 
l'altra frase descrizione di tutto l'universo, la quale si 
trova in molti codici del Protevangelio, e passò anco nel- 
F Evangelio di Luca. 

CAPO OTTAVO. 

NASCITA DI GESÙ. 

Il primo ed il terzo Evangelista sono unanimi nel far 
nascere Gesù in Betlemme, piccola città della Giudea, so- 
pra una eminenza^ sei miglia romane ad ostro-ponente da 
Gerusalemme ; ma nelle circostanze che accompagnarono 
quelF avvenimento non solo differiscono affatto , ma per 
sopraggiunta è anco sommamente difficile di conciliaVli. 

Matteo fa nascere Gesù qualche tempo innanzi la morte 
di Erode re della Giudea, il quale mori alcune settimane 
prima della pasqua dell'anno 750 di Roma (1); invece 
I^uca lo fa nascere all'epoca in cui Sulpizio Quirino fece 
fare il cen'simento della Giudea, dieci anni dopo la morte 
di Erode, qualche tempo dopo l'esilio di suo figlio Archelao, 
cioè nell'anno 760 di Roma. 

Altrove Luca (III, 23) dice che nell'anno XV di Tiberio 
(anno di Roma 781 e 782) Gesù non aveva ancora com- 
piuti i trent'anni, di maniera che bisognerebbe collocarne 
la nascita fra gli anni 752 e 753. Ad ogni modo, secondo 
I^uca^ Gesù sarebbe nato dopo la morte di Erode, e non 
prima. Invece quantunque Matteo non lo dica espressa- 
mente, pure, come vedremo, lascia inferire che Gesù na- 

(1) Giuseppe, AntUhità Giudaiche, X7II, 8, t t* eoafr. XIV, 14, % 5, 
XVII, 8, f 5. Sul tempo della morte di Erode vedi la diasertaxione di 
Freret nelle sue Opere, tom XIV, pag. 3ia. Parigi I7W5. 



NASCITA DI omo. 109 

scesse non meno di due aa&i avanti che morisse Erode : 
per cui da questo lato i due Evangelisti sono irreeonci* 
liabili. 

Non lo sono meno in ciò che segue. Luca asserisce che 
Giuseppe si recò a Betlemme colla moglie per fei*si rasse- 
gnare; ma che il pubblico albergo essendo tutto quanto 
occupato egli alloggiò in una stalla, e in quella nacque Gesù. 
In luogo di una stalla, gli Apocrifi e vari dottori della 
Chiesa dicono in una spelonca (i). 

Il medesimo Evangelista prosiegue a raccontare che, 
appena nato il fanciullo^ un angelo ne avverti alcuni pa- 
stori del vicinato, i quali corsara a verificare quanto 
udito avevano e lo divulgarono anche ad altri; che otto 
giorni dopo il bambino fu circonciso; che compiuti i ri- 
tuali quaranta giorni prescritti alla purificazione della 
madre (2), Gesù fu portato a G^rusalem^le per essere, 
siccome primogenito, presentato al tempio e riscattato col 
sacrifizio di due colombi o due tortori, come era pre- 
scritto ai poveri, perchè ai ricchi era prescritto un agnello 
di un anno; che in queir oecasione il neonato Messia fu 
riconosciuto da venerabili personaggi : e che spedite queste 
ceremonie, i genitori col loro figliuoletto se ne tornarono 
tranquillamente a Nazareth* 

Matteo air incontro lascia supporre che Giuseppe avesse 

(i) Già nel HI secolo si mostrava in Betlemme la grotta in cai nacque 
Gesù, e nella grotta il presepe ove fu deposto. (Origene, Coni. Celso, l, 9.) 
A di nostri in Roma si mostrano la calla ed altri annessi e connessi sopra 
l' autenticità de' quali il canonico Bianchini ha scritta una dissertazione 
nella sua edizione del ponteftcale di Anastasio, tom. I,pag. lOB t Tutti mèum 
che la casa ove alloggiava la Madonna in Naiareth fu dagli angeli traa- 
portata prima in Dalmazia, poi a Loreto non lungi da Àueona; e il car- 
dinale Lambertini, che fu poi papa Benedetto XIV, ha coluto far crederi 
agU altri quello che non credeva e^ ateito. (Feilt della B. Vetgime, 
«ip. M; De tammiMatìm^ Uh. lY, para. II, ia) 

(2) Uvitieo, Xn, I e seq. 



i86 Lumo sEGomio 

in Betlemme l' ordinario suo soggiorno, e fa nascere Gesù 
nella casa paterna; aggiunge poscia la visita de' Magi, la 
strage de' bambini di Betlemme e la fuga in Egitto, senza 
toccar neppure per ombra alcuna delle circostanze riferite 
dal terzo Evangelista. 

Le chiese cristiane consentono da lungo tempo nel com- 
memorare la -natività di Gesù ai SU di dicembre, ma non 
è certo che egli sia nato in questo piuttosto che in un altro 
mese. Sant'Epifanio computa che nascesse ai 6 di gen- 
najo, ed era 1? opinione seguita a' suoi tempi nell' isola di 
Cipro e nello Egitto (1). 

Ma due secoli prima, san Clemente Alessandrino accer- 
tava che alcuni ponevano la nascita di Gesù ai 28 del mese 
Pachon (%) maggio, altri ai 24 ó 25 di Farmuti (IQ o 20 
aprile) (2). 

Forse in relazione con qualche usanza religiosa in 
Egitto, Osiride, secondo Plutarco, nacque il primo de' giorni 
addizionali, ossia ai 24 agosto (di Iside ed Osiride § 12). 
Secondo Apòllidoro citato da Laerzio (III, 2) nacque l'Olim- 
piade 87 l'anno 3, secondo Atenea (vedi § 217; il 7 del 
mese di Targilione ^ il giorno stesso in cui i Delii s^ ap- 
ponevano essere nato Apollo. 

Secondo Ideler (Tandbuc der Chronologie, pag. 130) il 7 di 
Targilione nell'anno suddetto cominciava la sera del 24 
maggio. 

Secondo un dato di Dionigi di Alicarnasso (I, 63) il 7 
di Targilione (V8 fu la presa di Troia) sembra doverselo 
collocare 18 giorni avanti il solstizio di estate, quindi 
verso il principio di giugno; ma l'anno degli Ateniesi prima 
di Metone era assai incerto. 



(1) Epifanii, H(gre$, LI, 16* 

(2) Glemeot. Aless., Strem. i, pag. 407'edit. J^òUér^, Pag. 340 ediz. di 

Parigi. 



NASCITA DI M8Ò. 167 

Riferendoci alla circostanza accennata da Loca e digli 
Apocrifi/ che non lungi dal luogo ove nacque Gesù, e nella 
notte medesima, alcuni pastori vegU^avano a custodire il 
loro gregge, se ne inferisce che fosse ancora la stagioifó 
de' pascoli; la quale durava dalia Pasqua sino ^Ue prime 
pioggie di inverno tra 1' ottobre ed il novembre, come si 
costuma anche adesso nel Levante; dunque non poteva 
ei^ere in dicembre (i). 

Il curato Baldini, non dotto, né poetico, ma pio viag< 
giatore che. si trovò a Betlemme e ne.^ suoi contorni sul 
finire del dicembre 1815, accerta che vi faceva un caldo molto 
vivo e che il verde dei campi vi era cosi bello quasi come 
in primavera: lo che avviene non di rado anche nei paesi 
meridionali d' Italia. 

Burckardt, che dall'ottobre al cominciar di dicembre 1810 
percorse TAuranitide di là del Giordano, l'antica Galilea 
de' Gentili, parla di forti pioggie, di freddo intenso e di folte 
brine, e ricorda specialmente die la notte 1 dicembre fu 
cosi rigida che né egli né i suoi compagni poterono chiu- 
der occhio. Certamente l'Auranitide é più vicina al Libano 
che non Betlemme, ma ordinariamente qui ancora alla fine 
del dicembre la stagione è rigida e il freddo si fa sentire. 

A Gerusalemme il mese più freddo è il mese di gennaio, 
ma di rado ih termometro R. scende a zero. Nel 185*, co- 
me anche da vari an^i anteriori, la temperatura più bassa 
fu 1 1 R. Petermatm luogo ecc. 



(1) Tosaphtà Bezah., IV, 6. Ghem., hieros. Bezah., V, 5, nel lom. XVIIl 
di Ugolini. Lighfoot Borce, pag. 496. « Durante Vestóte nella Palestina e ad 

• Al^po il tempo è assai costante e per alcuni mesi le pioggie mancano 
« afbtto; odmindaiie alquftnl!» in. seneobre, ma poehd e di co^a durau, 
*, indi il delo si rasserena ancora per 30 giorni, dopo di che vengono pioggie 
« copiose e permaneQ^; fimto. ^^Mste» non yì sono più pioggie mo alla fine 

• di marzo. • V^Tamekros, De firtilUaU PakttincB, S 25. Nel Repertorium 
di Eichora, tam* XV, p»g^i9d. 



458 uno siooudo 

Il bisogno di transigere colle usanze degli Etnici o di 
ImitaFle, o di asnrpare ciò che avevano di più onorìflco, 
Ila obbligato i crìstitni a portare la natività di Gesù ai 
86 di dicembre; come lo dice chiaramente san Massimo 
vescovo di Torino (1). 

Ne) qual mese gli Etnici celebravano 1 Saturnali, le 
maggiori e più solenni delle loro festivitii. 

Secondo Macrobio essi incominciavano ai 15 di dicembre 
e duravano sette giorni compresi i quattro delle feste Si- 
pllarie. In quel feriato erano chiusi i tribunali, sospese 
le industri ed ogni ufficio della vita civile; gli schiavi ri- 
cuperavano la dignità d'uomo, erano lautamente trattati 
dai loro padroni ; una perfetta uguaglianza in tutti i ceti; 
le porte delle case ornate di ghirlande verdi e di fiori; » 
facevano visite, conviti, donativi, si davano mancie; e le 
figurine di terra cotta dette Sigillariey di cui era gran 
commercio in quei giorni, ed erano o portate per le case 
od esposte sulle piazze od offerte ai templi o regalate ai 
fanciulli, passarono in usanze eonsiipili che durano an- 
cora in più luoghi dltaiia: tali sono le figurine di carta 
di legno o di pane o di zaccaro messe a spaccio la set- 
timana prhna e dopò di Natale. 

I Saturnali finivano adunque ai 21 di dicembre; al- 
cuni li fanno incominciare ai 19 e finire ai 95. In que- 
st' ultimo giorno, neir Occidente e segnatamente a Roma, 
si s^ennizzava con pompa di spettacoli e con luminarie 
il Natale del Sole Invitto, cioè il Natale dì Mitra (2). Da 
qui i vescovi dell' Occidente presero occasione di festeg- 
giare nel medesimo giorno il Natale di Cristo : che in 
faccia ai cristiani assunse gli attributi mistici di quel sole 
nuovo di cui i Pagani celebravano la risurrezione (3). 

(1) Homit, V., de Kaìendii, :In MabiHon, lftiM€iiift IfàUcum, tomo 1» 
pars a. 
{%) Nataìit Soli» Invkti, e nelle Iscrìzioni 8oH Invieto Mmrae. 
(3) Kreiuer, SimboUk md Mithologie, tOBOfl, pag. 761-6S, seoonda edix. 



9àSfiITA DI «fi6IJ. iSO^ 

La natività di Cristo portata ai 25 di dicembre cominciò 
a Roma prima del 354, perchè si trova notata nel ca- 
lendario di Bucherio, che appartiene a quel tempo. Tren- 
t'anni dopo era già passata nella Siria, e dopo il 432 anco 
in Egitto. Ma prima di quest'epoca, a Cipro e nell'Egitto 
il Natale di Gesù si celebrava ai 6 di gennajo, corno k) 
dice sant'Epifanio citato di 'sopra. E questo pare era un 
imprestito fatto al paganesimo. Ai 7 del mese di Tybi 
Iside tornò dalla Fenicia in Egitto,, e pochi giorni dopo, 
verosimilmente 1' 11 di Tybi (6 gennajo), incominciava là 
festa del ritrovamento di Osiride (1). 

Matteo dice niente dei pastori avvisati dall'angelo, ma 
oltre Luca ne parlano gli Apocrifi, .e la leg;genda apparen- 
temente fu suggerita dalla necessità di applicare a Gesù 
come Messia, salvatore e dominatore del mondo, tutte le 
tradizioni popolari che correvano in Oriente sopra la na- 
scita di un Dio; almeno il racconto di Luca ha molta 
conformità con uno di Plutarco. Secondo l'Evangelista^ 
subito dopo nato Gesù l'angelo si mostrò ai pastori^ e 
disse: e Io vi annuncio una grande letizia che rallegrerà 
« tutto il mondo, perocché oggi è nato il Salvatore, il 
« quale è il Signore Messia. » 

Plutarco dal canto suo riferisce che quando nacque 
Osiride fu udita una voce che diceva, essere nato il Si- 
gnore di tutto il mondo; e che una donna per^ nome 
Pamiglia, intanto che andava ad attigner acque al tempio 
di Giove, nella città di Tebe, udì quella voce che le co- 
mandò di proclamare altaniente, essere nato il gran re 
e benefattore Osiride (2). 

Non vi ha dubbio che una simile tradizione non fosse 
sparsa anco nella Siria, ove Osiride era adorato sotto il 



(i) Emuer, SifuèoHk.uni Mithofoffie, tòmo I, pog. 763. 
(3) Plmmok Soprf i|Mf ed OitrM«» | 7. , 



460 t2Mo sEQOima 

nome dì Adone (il Signore); quindi TE vangelista debbe 
averne profittato per dar risalto alla nascita di Gesù. 

Oltre a questo scopo ve ne fu forse un altro, quello 
d'impugnare i Gnostici, ì quali ponendo una distinzione 
fra Gesù e Cristo, negavano che quest' ultimo fosse nato 
da] donna, ma Io dicevano disceso dal cielo in forma di 
colomba. Tornava quindi necessario di trovare dei fatti 
che dimostrassero il contrario. Sopra tai fatti sant'freneo 
(in, 10) fa grande appuntamento nel combattere quegli 
eretici. 

Il terzo Evangelista aggiunge che quando i genitori di 
Gesù si trovavano nel tempio per adempiere ai riti della 
legge, venne là Simeone, uomo giusto e pio, che aspet- 
tava la consolazione d'Israele, e sopra di cui era lo Spi- 
rito Santo. Simeone riconobbe nel fanciullo il promesso 
Messia^ se lo prese in braccio, ed esclamò che era omai 
contento di morire, posciachè aveva veduto la salute di 
Israele; indi rivoltosi alla madre disse: e Costui (Gesù) 
t è posto alla rovina e pel rialzamento di molti in Israele; 
t ed una spada ti trafiggerà l'anima, acciocché i pensieri 
t di molti sieno rivelati. » Venne ancora una profetessa, 
Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aserm, vecchia 
di 84 anni e tedova, la quale serviva nel tempio di giorno 
e di notte e non ne partiva mai; e questa non pure ri- 
conobbe il bambino Messia, ma ne parlò con tutti coloro 
che in Gerusalemme aspettavano la Redenzione : di ma- 
mera che la notizia di una tanta scoperta e tanto desi- 
derata dai Giudei si dovette rapidamente spargere per 
tutta la città. Finalmente i genitori, compiute che eb- 
bero le cose comandate dalla legge, tornarono a Nazaret 
in Galilea. 

Che Gesù sia statò circonciso non è da dubitarsi, es^ 
sendo la circoncisione un rito indispensabile a tutti gli 
ebrei; che sia stato presentato al tatt^iio, ò possila, se 



irASCITA DI GESV. i6i 

è vero ch^egli fosse il primogenito de' suoi fratelli ; ma 
le altre circostanze sono tutte speciali a Luca, e in con- 
tradizione con Matteo. 

Io non so quali servigi potesse una donna prestare al 
tempio, cosi che fosse un gran merito il non uscirne 
giammai né di giorno né di notte; mentre tutti i ser- 
vigi pertinenti al tempio erano affidati ad uomini a ciò 
destiiràti specialmente, ma ignoro se fosse permesso di 
alloggiarvi anco le donne. Dubito quindi che l'Evange- 
lista, il quale scriveva dopo la distruzione del tempio, e 
che era certamente forestiero a Gerusalemme, abbia di- 
pinto la stia profetéssa Anna sul modello di una diaco- 
nessa della primitiva Chiesa. 

Sicuramente gli ebrei devono avere rimproverato più 
volte ai cristiani che quel loro Gesù Messia fosse un per- 
sonaggio sconosciuto, specialmente a Gerusalemme; ma 
col racconto di Luca si rispondeva col fatto che Gesù sino 
dalla prima sua infànzia era statQ riconosciuto nel tem- 
pio da due personaggi rispettabili, che poi notificarono a 
più altri la loro scoperta. Altrove non si ha notizia di 
una profeftessa Anna, figlia di Fanuele della tribù di Aser; 
quest' aggiuntivo della tribù di Aser è cosi arbitrario 
che basta da sé solo a gettare il sospetto sulla storica 
esistenza del personaggio. Imperocché, come abbiamo os- 
servato altre volte, la distinzione delle tribù era scom- 
parsa affatto molti secoli prima di Gesù Cristo ; in guisa 
che ai suoi tempi nessun Giudeo avrebbe potuto provare 
di discendere dall'una più che dall'altra tribù. Persino la 
divisione territoriale per tribù, quale esisteva avanti l'e- 
silio, era caduta in obblio, e si erano addottati altri scom- 
partimenti al tutto diversi. Quindi la circostanza che Anna 
fosse della tribù di Aser é affatto gratuita. Anna chia- 
mavansi la nad^e di Simile e quella del giovane Tobia^ 
e secondo gli Apocrifi anco la madre di Maria Vergin«f. 



d€0 UBRO SECOIVDO 

La madre di Tobia, dopo la disgrazia di suo marito an- 
dava a lavorare ne' ginecei , cioè negli harem o apparta- 
menti delle donne; la madre di Samuele andava a pre- 
gare fervorosamente nel tabernacolo di Silo. 

Di profetesse si parla alcune volte nell'Antico Testa- 
mento, e furono tali: Maria sorella di Mosè, Debora giu- 
dicessa d'Israele; ma principalmente Holda od Hulda, che 
fiori ai tempi del re Josia, e che è più volte celebrata dai 
Rabbini (1). Hulda era nK>glie di Sallum, personaggio di- 
stinto di Gerusalemme, ed abitava o interveniva nella Mi- 
sene, cioè nell'accademia dei sapienti, che doveva essere 
un locale annesso al tempio (2). 

Queste diverse oozioni, riunite in una sola, hanno ve- 
rosimilmente contribuito a formare il personaggio ideato 
dall'Evangelista. 

Incirca lo stesso si può dire, de IP altro personaggio che 
insieme colla profetessa Anna concorde a riconoscere, nel 
bambino Gesù, l'aspettato Messia. 

Nel numero dei dottori misnici lasciarono un gran no- 
me Simeone il Giusto tre secoli avanti 1' era volgare e 
Simeone Ben Scetah che fiorì circa 90 anni innanzi Gesù 
Cristo e che non bisogna confondere, come fece Lightfo'ot, 
con Simeone figliuolo d^Hillel che fioriva a un dipresso 
quando nacque Gesù (3). Ora io credo che il Simeone del- 
l'Evangelista sia stato modellato sopra l'uno o l'altro,* od 
anco sopra ambedue i citati rabbini del medesimo nome. 

Di Simeon Ben Scetah si racconta che trovandosi in giudi- 
zio contro uno imputato di omicidio, dicesse < Che io possa 
t vedere la consolazione (il Messia) come vidi costui che 

(i) Megilìah, M. i4, %, la Scheidii, Loca Talmudica ( Novum Teita- 
mentum ex Talmude illwtratum), pag. 40. 

(3) IV, B$, XXn, i4. 
^) 6. H. OttlMiitt, BktffHm Ihck^tmm Mitnkarm. ad Themvurm 4i 
.1%oM, ionio XXL 



NASCITA DI «$V. I6J 

« inseguiva quelP altro colla spada , e gli correva dietro per 
t un luogo deserto: andai anch'io in quel luogo, trovai 
t Puomo morto e incontrai l'altro che tornava colla spada 
t insanguinata. Che io possa vedere la consolazione come 
€ è vero che costui lo ha ucciso. Ma che posso io fare ? 
« Io non ho potestà sul suo sangue, e colui che conosce i 
t pensieri vendichi la morte di quell'uomo •. Il Talmud 
aggiunge che l'omicida , subito uscito dal giudizio che non 
ebbe prove sufficienti per condannarlo , fu morsicato da 
un serpente e ne mori (1). Questa testimonianza di Ben 
Scetab bisogna che fosse molto, celebre se fu conservata 
dalla tradizione, e non è improbabile che l'Evangelista l'ab- 
bia presa e addattata al suo scopo. 

Il Talmud fa dire a Ben Schetah: Che io possa vedere 
Ja consolazione d'Israele; del suo Simeone dice l'Evange- 
lista: che aspettava la consolazione d'Israele, Secondo il 
Talmud, Ben Scetah attesta di avere veduto un uomo 
che correva dietro di un altro con una spada per trafig- 
gerlo; l'Evangelista prende questo testimonio sotto una 
forma profetica e lo applica a Maria colle parole una spada 
ti trafiggerà l'anima. Nel Talmud Simeone dice: colui che 
conosce i pensieri vendichi quell'omicidio; e nell'Evangelio 
si prende il contraseuso dicendo che Maria sarà trafitta 
dalla spada acciocché sieno rivelati i pensieri di molti 
cuori. 

Dunque Luca dichiara apertamente che la nascita del 
Messia era stata riconosciuta, per rivelazione di un angelo, 
da alcuni pastori de'contorni di Gerusalemme, i quali lo 
propagarono fra molti altri; che inoltre ella era stata ri- 
conosciuta a Gerusalemme, nel tempio, da due rispetta- 
bili vecchioni , 4 quali devono naturalmente avere divul- 
gata fra molti al^ri quella faosta notizia. 

(I) SmMrml^mtd, IY,^li» nel 79W<«iinii.d*l%olui^ tosio XXY. 



ÌM LIBBO 9EG0IfI>0 

Aggiunto che l'incontro dì Simeone ed Anna coi geni- 
tori di Gesù , in un luogo ove eravi sempre concorso di 
gente, debb'essere stato un fatto pubblico, accaduto alla 
presenza di molti, a tal che la scoperta di un Messia, tanto 
aspettato e desiderato dai Giudei, debb' essersi dal tempio 
divulgata in poche ore per tutta la città; ma questo rac- 
conto d'un Evangelista é da cima a radice smentito da 
un altro. . 

CAPO NONO, 

I MAGI. 

Infatti la narrazione di Matteo ha niente a che fare con 
quella di Luca, e l'angelo che apparve ai pastori, la pre- 
sentazione al tempio, Pincontro di Simeone e di Anna, 
sono ignoti a lui; che invece parla di altri fatti che rimasero 
ignoti al terzo Evangelista. 

Al dire di Matteo, dopo che nacque Gesù in Betlemme e 
ristando egli tuttavia nella casa paterna, i Magi vennero dal- 
rOriente in Gerusalemme chiedendo ove fosse nato il re 
de'Giudei , di cui avevano veduto la stella. Erode turbato 
a quella nuova adunò i principi de'sacerdoti e gli scribi 
del popolo e gli interpellò del luogo ove dovesse nascere 
il Messia, ed eglino risposero: e In Betlemme di Giuda, 
t imperocché fu scritto dal profeta: E tu Betlemme terra 
« di Giuda non sei punto la minima fra i principi di Giu- 
« da, perciocché di te uscirà il duce che pascerà il mio 
e popolo d'Israele » . Allora Erode avviò a Betlemme i Magi 
pregandoli che al loro ritorno gli riferissero quello che 
trovato avessero, volendo egli pure adorare il Messia. Quelli 
andarono, trovarono Gesù tuttavìa nella casa paterna , lo 
adorarono, f li offersero oro, intenso e mirra; ma arrisati 



I UàQU 465 

in sogno piedettero per altro cammino. Allora il tiranno, 
trovandosi deluso, comandò che fossero ammazzati tutti i 
fanciulli bienni di Betlem, pensando di avvolgere nel nu- 
mero anco il temuto re de'Giudei; i genilori del quale, 
ammoniti dall'angelo , lo trafugarono in Egitto. 

Il vaticinio citato dall'Evangclteta è di Michea (V,-2), e 
quantunque anco i rabbini più aDtJchi; lo tengano per mes- 
siaco, esaminandolo coll'intiero contesto non è difflcile av- 
vedersi che Fautore non parla dì un lontano Messia, ma 
di un prossimo duce d' Israele che debbe sconfiggere l 
Caldei; intanto, aggiunge egli, i Giudei continueranno ad 
essere in balia de'loro nemici , finché venga il tempo nel 
quale partorisca colei icbe debbe partorire. Allora i fratelli 
condotti in servitù ritorueranno alle loro case, allora 
quel duce governerà con forza, respingerà gli Assirii quando 
verranno a calpestare la terra d'Israele , entrerà nel loro 
paese , lo mieterà colla spada e lo . sottometterà colla 
lancia. 

Michea era contemporaneo d'Isaia e viveva sotto i me- 
desimi re di Giuda ; e se confrontiamo ciò che profetizzò 
Isaia della giovane che doveva partorire , colle parole di 
Michea fin che venga il tempo che partorisca colei che debbe 
partorire y e ne paragoniamo L contesti, siamo indotti a 
credere che ambiduei profeti accennino un medesimo fatto 
vale a dire un vaticinio sopra una sposa di Acaz re di Giuda, 
e sopra il figlio ch'ella avrebbe partorito. Forse quella giovane 
sposa ;era di Betlemme, onde Michea adulando la principessa 
dal suo luogo natio, fece l'apostrofe: tE tu Betlemme- 
€ sei pur piccola fra le mille città di Giuda;, ma da te 
€ mi uscirà colui che sarà il dominatore d' Israele, e la 
€ cui uscita fu predestinata fino dal principio del mondo. » 
Indi i due profeti, secondo il gusto rispettivo o la dr- 
costanza che li fece scHvere , predissero cose grandi di 
quel bambino che ^^eveva nascere, e che forse o non nacque 



^166 LIBRO SEaOITDO 

mori in fasce e smentì le profezie, come accadde al figlio 
di Asinio Politone che mandò in fumo le predizioni ma- 
gnifiche del cortigiano e poeta Virgilio. Ma rimase la pro- 
fezia; e gli ebrei non veggendo comparire quel dominaiore 
d'Israele, stimarono che non era nato, ma che seguendo 
la predizione sarebbe nato ia Betlemme. 

Essendo questa opinione affatto comune , non è molto 
credibile che Erode per conoscerla convocasse il sinedrio. 
É credibile che Erode si turbasse adendo esser nato il re 
de'Giudei ; ma è affatto incredibile che lo stesso disgusto 
provasse l'intiera città, posciachè il Messia era ansiosamente 
aspettato; ed è non meno incredibile che Erode, principe 
cosi scaltro, si dovesse fidare di stranieri ignoti, mentre 
gli era cosi facile di spedire a Betlemme, lontano una 
passeggiata da Gerusalemme, una persona accorta onde 
informarsi in sul luogo di cotesto frescamente nato re 
de'Giudei. , 

E que'Magi chi erano? Quale fu il paeàe deirOriente donde 
venivano? Origene e san Gerolamo appoggiati anche da 
alcune espressioni di sant'Ignazio pretesero che fossero 
veri maghi, cioè stregoni che avevano patto col demonio^ 
ma che a1 nascere di Gesù avendo cessato le arti diabo* 
liche, es$i, facendo i lori esperimenti indarno, si accorsero 
che doveva esser nato qualche cosa di straordinario al 
mondo, e che osservando la stella singolare e conoscendo 
il vaticinio di Balaamo> inferirono che fosse nato l' uomo 
che una stella doveva prenunciare (1). Tertulliano sembra 
voler credere che fossero alcuni re dell' Arabia o della Per- 
sia (2). I Commentari degli Apostoli citati da Giustino mar- 



(I) Origene, CmUra Cibo, l, 60. Hieronym., Inlioiam, XIX e XLYII. Si 
T«laBo anco i ooanmeuuri di Zeger e Drusio, sopra Matteo, II, neUa BibUa 
critica, tomo VI. 

(«) TertunSani. Adv. Màrcim^ ni, 13; M IfidddOè, | •. 



I Màgi. 167- 

tire dicono positivamente che venivano dall'Arabia (1); e 
sant*Epifanio adottando questa opinione pretese che fos* 
sero i discendenti de'flgliuoli di Abramo e di Cetura che 
discacciati dal padre si erano ritirati in quel paese, ed 
aspettavano l'avvento del Messia (2). L'Evangelista cano- 
nico non indica il loro numero; che fossero tre è accennato 
vagamente dall'Evangelio della natività di Maria e della in- 
fanzia del Salvatore: il libro apocrifo di Seth ne annovera 
dodici, altri quattro; infine prevalse Fidea ricevuta gene- 
ralmente al tempo di san Leone, che fossero tre re, due 
bianchi ed uno moro, simboleggianti le tre parti del mondo 
conosciute allora. 

Vi sono anco delle difficoltà sulla stella. I Magi dissero 
ad Erode che la videro nell'Oriente e riconobbero essere 
la stella che annunciava la nascita del re de'Giudei. Da quel 
che soggiunge più sotto l'Evangelista, cioè che Erode fece 
ammazzare tutti i bambini dai due anni all'ingiù secondo^ 
il tempo che aveva rilevato dai Magi, sembra che questi 
abbiano detto ad Erode che la stella l'avevano osservata 
già da due anni. Ma brillò essa per due anni consecutivi? 
o brillò una so! volta, in un modo straordinario, e dopo 
di allora i Magi visto cessare le operazioni magiche si per- 
suasero^ che la stella annunciava la nascita del gran re dei 
Giudei? La prima ipotesi è inammissiLIle , si perchè nis- 
suno storico parla di quel fenomeno durato cosi lungo 
tempo, e si perchè non si accorda col testo delPEvange- 
tìsta : secondo il quale la stella era sparita , e pare anco 
da lungo tempo, quando i Magi vennero a Gerusalemme ; 
e partiti da questa città la rividero ancora che li prece- 
deva indicando loro la strada, e giunti alla casa ov'era il 
bambino, ivi si ari'èstò. 

(I) Giustino, Dialogo €<m Trifime, % 78. 
if) Ephifanii, ExpoiUio Fidei, cap. VÌII. 



i98 UBEO SECOBDO 

Non si sa concepire come una stella possa camminare 
innanzi ad alcuni viaggiatori, e a guisa di lucerna indicar 
loro la via da un paese ali' altro , nella breve distanza di 
sai. miglia; e molto meno come potesse indicar loro la casa 
nella quale dovevano entrare. Per vederla, bisogna altresì 
che i Magi partissero di notte , il che non sembra vero- 
simile. 

Origene toglie la difficoltà credendo fosse un astro di nuova 
specie che aveva niente di comune colie altre stelle o pianeti, 
ma incirca dellastessa natura delle comete e degli altri fuochi 
ebe appariscono di tempo in tempo (i); insomftia era un 
fuoco celeste, come, seguendo Topinione di Origene, erano 
anco le comete. Ma siamo sempre da capo: se quel fuoco 
splendeva dalle regioni siderali, ad un'immensa distanza 
(tella terra, sussiste sempre anche a suo riguardo V obbie- 
zione che testé accennavamo parlando di una stella, cioè che 
potesse servir di guida ai viaggiatori per condurli in un 
luogo che essi ignoravamo, ed additar loro il paese e il vil- 
laggio e perfino la casa ove dovevano fermarsi ; perchè per 
adempire a quest' uffizio non pure quel fuoco doveva es- 
sere al disotto dell'atmosfera, ma fin' anco al disotto della 
regione più bassa delle nuvole; ma una meteora di tal ge- 
nere non si potrebbe chiamarla una stella, come stejla non 
si chiamò la colonna di fuoco che servi di guida agli Israe- 
liti nel deserto. Avvi inoltre che questo concetto non si 
accorda con quello dell'Evangelio, sia che intenda parlare 
di una vera stella o di altri siderei fenomeni, e non di 
un fuoco aereo. 

Ritenuto pertanto che fosse una stella, come accadde che 
ella apparisse all'oriente di Gerusalemme, in Persia, in Ara- 
bia e non a Gerusalemme? L'Evangelista ci lascia chiara- 
mente intendere che Erode ed i Gerosolimitani non avevano 

(1). Origene, Cantra Celso, I, 58. 



I BUGI. ^169 

cognizione di quel fenomeno. E «perchè la stella fu guida 
ai Magi da Gerusalemme a Betlemme quando omaì non ne 
avevano più bisogno, e non adempì lo stesso ufficio dal 
loro paese sino a Betlemme, nel qual caso avrebbero evi- 
tato quel cattivo incontro con Erode? 

La prima obbiezione ci sembra insolubile; ed alla ^conda 
si potrebbe opporre, che cosi avvenne affinchè si adem- 
pissero le profezie sulla strage e sulla fuga di Gesù in Egitto, 
de'bambini a Betlemme, e> suir andata di Gesù a Nazareth. 

Ha queste ragioni accomodative lungi dallo sciogliere le 
difficoltà: le rendono più intricate; imperocché per ragio- 
nare in quella guisa, bisogna credere che la divina prov- 
videnza sia fatalmente obbligata a condizioni inevitabili da 
cui ella non può prescindere. Ella poteva fare apparire un 
astro in Oriente per avvisare alcuni osservatori che era 
nato il re de'Giudei, ma non poteva farlo apparire ai Giudei 
per illuminarli sul loro aspettato Messia; ella potea far ri- 
comparire quell'astro per guidare i Magi da Gerusalemme 
a Betlemme, ma non poteva impedire che Erode nutrisse 
sospetti tirannici, che Gesù fosse costretto fuggire in Egitto 
e che accadesse una strage d'innocenti* Insomma la divina 
provvidenza non può sempre fare il bene , e deve spesse 
volte obbedire alla necessità del male. Credo che ogni let- 
tore troverà questo raziocinio molto assurdo , eppure è il 
raziocinio di quasi tutti i teologi ed espositori cattolici. , 

Con molto miglior senno si potrebbe dire che l'Evange- 
lista ha ordito egli stesso i racconti in quella guisa, tirato 
dal bisogno di applicare i vaticini messiaci a Gesù. Balaam 
profeta dei Moabiti , contemporaneo di Mosè, per impulso 
dello spirito, aveva profetizzato che uscirebbe una stella da 
Giacobbe a recare la salute e la potenza al popolo di 
Israele (1). Anco i Targumisti alludevano quel vatici- 

(i) Numeri, XXIY, 17. 

Crii, degli Ev. Voi. I. 13 



no LIBRO SECONDO 

nio al Messia, e nel Zohar è detto chiaramente che al tem- 
po dei Messia la stella cometa risplenderà (1). onde il 
celebre Barcozbi , che nel 136 sollevò tutta la Palestina , 
si fece chiamare Bar-Còcheba^ o figlio della stella, a fine 
di far intendere ch'egli era la stella preconizzata dal pro- 
feta di Moab, e per joonseguenza il Messia (2). Ma di quella 
tradizione i cristiani si erano già impadroniti prima dì 
luì; imperciocché sant'Ignazio nel 107 diceva che i misteri 
delia nascita di Gesù erano stati manifestati al mondo da 
una stella che apparve nel cielo, di luce cosi inefifabile che 
superava tutte le altre stelle; che tutti ne restarono am- 
mirati; che le arti della mafi^ furono rotte ^ aboliti i vìn- 
coli della malizia infernale, e conquassato l'antico regno 
delle tenebre (3). 

Ma bisognando addurre anco i testimoni di questo fatto 
e delle sue conseguenze, alcune sètte gnostiche inventarono 
ristoria de' Magi che vennero dall' Oriente , cioè dalla 
Persia, all'oriente della Giudea, e delia stella che li guidò 
e che aspettavano già da molti secoli (4). 

Forse a questa leggenda porse argomento un passaggio 
d'Isaia ed uno dei salmi (K). Isaia vaticinando a (rerusa- 
lemme ì giorni in cui l' imperio giudaico sarebbe il po- 
tentissimo fra gì' imperii, e la sua religione la dominante 
fra le religioni, esclama fi Sorgi e t'illumina, perocché 

(1^ Sohar , nella Kabbala denudata di Koorr de Rosenroth, tomo I, pa- 
gina ili. Altre autorità che stabilisooDO questa opinione giudaica dominante 
nel secolo di Gesù, sono indicate da Strauss, Das Leben hiu, S 35, e neUa 
traduzione francese, tomo I, pag. 278. 

(2) Ghem. Hiesasal, Taanith. Vili, col. 796-798, in Ugolini, tomoXVIIL 

(3) Ignazio, Agli Efefi, % 19; in Gallandi, Biblioth. Vet P«fmm, tomo I. 

(4) Libro di Seth, in Opp.Joh. Ghrysostomi, tom. VI, pag. XXYin, edit. 
Parisiis 1724; e in Fabricio, Codex P$eitdepigraphtu Vet, Tett., tom. I, 
pag. 153. 

(5) Salmo LXXI, (ebraico, LXXU), SO: ÌMhìh, LX, 1-6; e i Parafrasti 
caldaici. 



I MAGI. Ì7Ì 

« venne la tua luce^ e la gloria del Signore è nata sopra 
« di te. Imperocché ecco le tenebre che copriranno la terra 
« e la caligine che coprirà i popoli ; ma sopra di te si 
€ leverà il Signore, e vedrai sopra di te la sua gloria. E le 
« genti cammineranno nella tua luce , e i re nello splen- 
« dorè del tuo levante.... stuoli di cameli ti copriranno; 
« dromedari di Madian e di Efa ; quelli di Saba verranno 
« tutti quanti, porteranno oro ed incenso e predicheranno 
« le laudi del Signore. > Davide invocando le benedizioni 
celesti sopra Salomone, dice che per esse quel suo figliuolo 
diventerà un re illustre e potente : • I re di Tarsis e delle 
« Isole gli pagheranno tributo, i re di Etiopia e di Arabia 
€ gli porteranno doni; e tutti i re l'adoreranno e tutte le 
e nazioni gli serviranno > . Gli antichi rabbini al paro dei 
teologi moderni applicavano questi passaggi al Messia, e i 
cristiani supposero come accaduto in effetto, quello che 
non era se non un vaticinio allegorico. 

Quindi il re di Tarsis, che si crede essere nelle Indie, 
e quello delP Arabia o Saba, e quello dell' Etiopia furono 
i re venuti dall' Oriente a prestare il loro omaggio al 
Messia. 

L'Evangelista non dà i loro nomr, de' quali non si trova 
fatto alcun jcenno prima del XII secolo ; Pietro Comestore 
(Histor. Evangel. cap. VIII) pare sia stato il primo a no- 
minarli poco dopo che si pretese di averne scoperti 'i corpi 
a Milano nel 1156: furono indi nascosti per la venuta di 
Federico Barbarossa; scoperti dì nuovo e trasportati a 
Colonia, Roberto del Monte presso il Pagi, (Critica ad 
ann. 1180^ N. 3)^ e il Casaubono nelle Esercitazioni sul 
Baronio, crede che sieno stati inventati dagli adepti di 
scienze occulte per adoperarli ad uso n^gico ; un residuo 
della quale superstizione è ancora nel volgo in certe scon- 
giurazioni che si fanno ai Magi per ottenerne i numeri del 
lotto. Nel secolo XVI i loro nomi si solevano scrivere so- 



ili UBRO SECONDO 

pra pezzi di pergamena benedetti da tre segni di croce e 
porta vansi al collo quai preservativi contro le malattie (1). 
Dae di quei nomi sono certamente ebraici, né è in- 
verosimile che sieno stati derivati da una qualche tradi- 
zione gnostico-teurgica. Mekhi-hor significa il re della 
luce; Baal-zar Baal-sachar ^ il Signore del meriggio o 
il Signore dell'aurora, e Gaspar , ove non derivasse da 
ChuS'peTy potrebbe essere un vocabolo persiano portato in 
Europa da professori di scienze teurgiche, il diadema 
dell'Etiopia e figurativamente il principe dell'Etiopia. I 
doni in oro ed incenso erano già indicati da Isaia, 
l'oro il rediTarsis, P incenso quello di Sèba; man- 
cava P omaggio del terzo , e fu trovata la mirra nel sal- 
mo XLIV, 10, in un versetto creduto messiaco. Per vero 
la mirra nasce più particolarmente nell'Arabia; ma il no- 
me di Etiopia, di un significato molto vago, appo gli anti- 
chi , fu pure esteso a quella parte dell' Arabia che guarda 
in faccia all' Abissinia. 

Per ciò che concerne il nome di Magi, fu certamente 
attribuito a que' viaggiatori dalla opinione eh' ci venissero 
dalla Persia; quando non si voglia crederlo derivato da 
una alterazione o da una cattiva variante nel testo ebraico 
d' Isaia, ove invece di leggere Efah, paese delF Arabia, si 
fosse letto Asfim o Safi, che si tradurrebbe appunto Magi 
contemplatori degli astri. 

Venendo alla strage dei bambini betlemmiti , l' Evange- 
lista pretende che sia stata predetta da Geremia (XXXI, 15) 
colle seguenti parole: t Una voce fu udita in Rama di 
« assai lamentevole pianto; è Rachele che piange i suoi figli, 
e e non vuol essere consolata perchè non sono più i . Ma 
il profeta parla della strage che fecero i Caldei quando pre- 
sero Gerusalemme e non di quella che doveva fare Erode. 

(1) Teodoro Beza, in Matt., II, nella Bibita critica, tomo IV. 



I MMU i73 

Altronde Betlemme era nella tribù di Giuda figliuolo dì 
Giacobbe e di Lia, e Rama «era in quella di Beniamino fi- 
gliuòlo di Giacobbe e di Rachele; ed è per ciò che il pro- 
feta introduce figurativamente Rachele a piangere la strage 
de' suoi pronipoti, la.qilale figura sarebbe impropria par- 
lando di Betlemme (1). 

Non so perchè Giustino Martire ponga ìRama nell' Ara- 
bia; forse perchè un tal luogo esisteva al suo tempo ed 
anco molto tempo dopo, come si ha da Ebn-Al-Asif poeta 
arabo (2) ; ma a ragione un postillatore anonimo scrisse 
nel margine di Giustino : Forse che Betlemme era situato 
nell'Arabia? 

Sebbene la chiesa cattedrale di Magonza e quella di 
san Giuseppe a Ferrara pretendano di conservare le ossa 
de' bambini di Betlemme, come la chiesa cattedrale di 
Colonia conserva i corpi dei tre re Magi che l'arcive- 
scovo Rainoldo portò via da Milano; di quella insigne 
strage non si ha veruno indizio nella stona profana, ed è 
anche poco verosimile. Quale bisogno aveva Erode di .far 
massacrare un centinaio di bambinelli, lo che poteva su- 
scitare una terribile rivolta, quando gli era cosi facile di 
scoprire quello di cui voleva disfarsi? Betlemme era nulla 
più che un borgo murato, con un mi^iaio di anime a 
dir molto, lontano da Gerusalemme sei miglia romane che 
si fanno a piedi in un'ora e mezzo di cammino. L'appa- 
rizione di alcuni illustri personaggi, strani per l'abito e 
la lingua, con seguito di cavalli, cameli, servi, che si fer- 

(i) « Perché Giacobbe Bostro padre seppeili Rachele nella via di Efrat? 
« Perché vide che i di Ini posteri sarebbono per quella strada condotti in 
• servitù. Quindi la seppellì colà perché pregasse Dio per loro » . Bere^tk 
Rabbah, scet. 82, fol. i26, citato da Yoisin , ohtervatùmes in Prcemium 
PugUmis fidei. pag. 306 nel Thesaurui di Ugolini, tom. I. 

(2) Giustin. Dialog, con Trif:, % 78, Silvestre de Sacy , ChrestonkathU 
Arabe, tem. DI, pag. iHf, sec. ediz. 



ili LIMO SECONDO 

mano ad una casa, vi entrano e rendono culto ed omag> 
gio ad un fanciuUUno, e gli lasciano oro, incenso e mirra 
in tanta quantità da costituire un regio donativo: lutte 
questo circostanze dovevano senza fallo eccitare la curio- 
sità dei betlemmiti e trarli ad affollarsi intorno a quegli 
stranieri, e a cercare chi fossero, donde e con quale scopo 
venissero. Erode, che come racconta Flavio Giuseppe, te- 
neva una polizia vigilantissima e gran copia di spie , sup- 
posto che i Magi fossero partiti da Gerusalemme la mat- 
tina, egli prima di mezzogiorno doveva essere informato 
e del neonato re de' Giudei e de' suoi genitori e della 
casa ove sì trovava, ed. essere in tempo per farlo rapire 
la seguente notte. Gli avvisi dati dall'angelo in sogao ar- 
rivavano forse troppo tardi; ad ogni modo, per quanto 
l'angelo si affrettasse ad eccitare Giuseppe alla fuga, i mezzi 
umani non parevano dover essere sufficienti a salvarlo. I 
satelliti di Erode non trovandolo più, e sentendo che Giu- 
seppe era partito colla sua famiglinola da due o tre ore, e 
che aveva presa la tale direzione, inseguendolo a cavallo in 
altre poche ore lo avrebbero raggiunto; o non raggiun- 
gendolo, tornava inutile un'atrocità bestiale, commessa 
per involgere nella strage il temuto bambolo che si sa- 
peva essere stato sottratto colia fuga: atrocità oltre mi- 
sura odiosissima, e che ben meritava di non essere di- 
menticata dallo scrittore quasi sincrono, e che aveva tanto 
interesse a denunciare i misfatti di Erode. Ma Flavio Giu- 
seppe, della casa degH Asmonei, a' quali Erode rapi il 
trono ed anco la vita, non ne fa cenno; e dopo quell'u- 
nico passo di Matteo, contradetto dal silenzio degli altri 
«vangelisti, non se ne ha più memoria fuorché negli 
pocrifl. Era questo passo di Macrobio: t Augusto avendo 
! f^ffi ""^^ ^''^ ^ ^'"^^^ ^^^ ^'•^^^^ »•« dei Giudei, aveva 

disse^i!!^^'^^'*' '^'^'^ ^^'^'' ^''^^^ ^'^«be ^^ di i«i Aglio. 
. Megho essere il porco che ilifylio di Erode ^. . Erodi 



I KAOI. 175 

tolse di vita tre suoi figliuoli^ due che ebbe da llarianna 
AsmoDea, ed Antifatio: quelli circa uuaniio avanti la sua 
morte , e questi soli cinque giorni prima^ tutti tre non 
bienni , ma in età adulta ed ammogliati. Il motteggio di 
Augusto si riferiva senza dubbio alla morte dei due primi ; 
se non che i cristiani l'accomodarono a loro modo e vi fe- 
cero entrare anche la strage degli innocenti, che vi aveva 
nulla a che fare. Macrobio, sebbene pagano, prese quel 
frizzo quale correva in bocca dei cristiani, e come autorità 
istorica egli viene troppo tardi, essendo che Macrobio vi- 
vesse in Roma sulla fine del VI secolo. 

Al motto di Augusto corrisponde quest' altro di Dio- 
gene, che passando da Megara e veggendovi pecore ben 
lavate e fanciulli ignudi, disse: < Meglio essere pecoro che 
bimbo di Megaresi, t Diogene, Laert. VI, p. 41. 

All' incontro da uno scrittore contemporaneo, da Fla- 
vio Giuseppe, abbiamo che quando Erode giaceva in- 
fermo dell' ultima sua malattia, essendosi, sparsa la nuo- 
va della sua morte, un certo Mattia, fariseo zelante e 
di gran seguito, eccitò i suoi discepoli ad abbattere 
un'aquila d'oro che Erode, a testimonio della sua reve- 
renza ai Romani, aveva fatto mettere sul frontone del 
tempio, e che i devoti consideravano come una profana- 
zione idolatrica. Ouei giovanetti fanatici corsero di pien 
meriggio, e con ^cale ed ascio strapparono l'uccel romano, 
e lo frantumarono a vista di numerosi ed attoniti spet- 
tatori. Ma il re che ne fu avvisato spedi sul luogp un 
polso di soldati, e quei giovani in numero di 40 furono 
presi col loro maestro e il di seguente abbruciati vivi. 
Ad accrescere il terrore, nella notte successiva la luna 
si eclissò, il che da' Giudei si considerava, come un segno 
di ominoso augurio. Erode mori un mese dopo (1). Come 

(1) Giuseppe, Antichità, XVII, 6. QaeU'eclisse accadde alle 3 ore dopa 
la mezza notte del 13 marzo, anno IV avanti Péra volgare. Ve4i mia Storia 
degli l^ei durante il eeeondo Tempio^ p«g. SS3. 



i76 LIBRO SECONDO 

dissi poc'anzi, un anno prima Erode aveva fatto morire 
due suoi figliuoli perchè ultimi avanzi di sangue Asmoneo 
tanto caro al popolo, poi un'altra figliuola cinque giorni 
prima avanti la sua morte. Durante l' ultima sua malattia 
aveva comniesso più altre crudeltà. E questi vari casi atro- 
cissimi li uni vicini agli altri imbastarditi dal tempo, dalla 
volgare ignoranza e da un male applicato vaticinio di Ge- 
remia, è assai probabile che siano stati sfigurati nella 
strage dei bambini. 

Né so se vi abbia contribuito un'altra tradizione rife- 
rita da Giulio Marato (1), il quale racconta che pochi mesi 
avanti che Augusto, nascesse, segui in Roma un fenomeno 
che fece meraviglia, e per cui si conghietturò che la na- 
tura si disponesse a partorire il re del popolo romano. 
Per questo il senato ordinò fossero uccisi tutti i bambini 
i quali nascessero nell'anno; ma chi aveva la moglie in- 
cinta, sperando che quella fortuna di dominare il mondo 
sarebbe toccata a suo figlio^ ciascuno si affaticò perchè si 
rigettasse Teditto, che in fatti fu posto in oblio. Se que- 
sta fantasia popolare da Roma sia passata nell'Oriente, o 
se dall'Oriente sia passata a Roma, è cosa incerta; ma 
è certissimo che esisteva e correva per le bocche del volgo 
sino dai primi anni del cristianesimo^ quando viveva Giu- 
lio Marato; e come si trattava di un signore del mondo, 
i Romani l'applicarono ad Augusto^ e i cristiani al Mes- 
sia Gesù. 

Conciliare questo racconto di Matteo con quello di Luca 
è impresa assai malagevole e che sfugge a quante ipotesi 
si possono immaginare. Torna inutile il ripetere che Luca 
fa andare Giuseppe con Maria da Nazareth a Betlemme; 
che non trovando alloggio nel pubblico diversorio sono 
raccettati in una staHa ove Maria partorisce; che la 

(1) ^yetomo. In Augusto, cap. 94. 



I KAGI. 477 

nuova del nato Messia si sparse tutt' aiP intorno per 
opera di alcuni pastori avvisatine espressamente da un 
angelo; che Maria, il marito e il loro bambolo rimasero 
a Betlemme per ben 40 giorni, cioè fino alla purgazione 
dei lochi nella puerpera ; dopo di che si recarono a Ge- 
rusalemme per dar compimento ai riti legali; che ivi pure 
il bambino fu riconosciuto da due venerabili personaggi, 
i quali non devono aver mancato di propagarne la nuova 
dappertutto; e che finalmente, soddisfatto al precetto della . 
legge, la sacra famìglia tornò a Nazareth; donde l'evan- 
gelista non li fa più partire, se non per recarsi a Geru- 
salemme una volta all'anno in occasione della Pasqua. 

Se ciò è vero, è necessariamente falsa l'esposizione di 
Matteo; e per quanta indulgenza vogliasi usare, non si 
sa trovar verso per mettere d'accòrdo la narraajione dei 
due Evangelisti. 

Se pognamo l'arrivo de' Magi avanti la purificazione^ 
ci troviamo avviluppati in un ginepraio di difficoltà. Quanto 
tempa stette Erode prima di accorgersi di essere ingan- 
nato dai Magi? Sicuramente pochi giorni; da Gerusalemme 
a Betlemme non essendovi niente più che la passeggiata 
di un'ora, Erode non veggendo tornare i Magi nella gior- 
nata nel giorno seguente, gli fu assai facile di sapere 
ch'essi avevano preso un'altra strada; quindi l'ordine del 
macello dei bainbini dovette succedere immediatamente. 
In questo caso come si salvò Gesù ? 

Si potrebbe dire che i Magi arrivarono a Betlemme 
verso il quarantesimo giorno, che subito dopo la loro par- 
tenza Maria andò a Gerusalemme a compiere i riti, e che 
nell'andarsene da questa città, comparve l'angelo a Giu- 
seppe oi»le ammonirlo che fuggisse in Egitto ; avvenimenti 
ehe si possono comprendere in due o tre giorni. Ma non 
si trova modo di accordare questa ipotesi col testo cosi 
esplicito di Matteo. Il quale dopo di aver, detto che i Magi 



478 LIBBO SECONDO 

oflfrirono a Gesù oro, incenso e mirra, continua: « Ed 
€. avendo essi av.uto una rivelazione divina di non tor- 
« nare ad Erode, per un'altra strada si ridussero nel loro 
« paese; e dopo che si furono dipartiti, un angelo del 
« Signore apparve in sogno a Giuseppe, dicendo : Destati^ 
< prendi il fauci ullìno e sua madre, e fuggi in" Egitto. > 

Qui ben si vede che fra la partenza dei Magi pel loro 
paese e la partenza di Giuseppe e Maria per l'Egitto, noa 
vi è intervallo alcuno per poter collocare l'andata a Ge- 
rusalemme. Secondo la Biblìa le visioni in sogno o le 
apparizioni in sogno succedono ordinariamente nell'orror 
della notte. Sembra adunque che i Magi si siano fermati 
almeno una notte a Betlemme, e che in quella notte fu- 
rono ammoniti di prendere un'altra strada; essi ubbidi- 
rono e partirono subito; e nella stessa notte dopo la lora 
partenza l'angelo andò a destare Giuseppe. Ma se fra una 
notte e l'aJtra vuoisi anco frammettere l'intervallo di un 
giorno, il testo di Matteo non lascia luogo alla supposi- 
zione che in quel giorno Maria andasse a Gerusalemme a 
compiere i riti puriflcatorii: e se si volesse addottarla 
nondimeno, ci troveremmo obbligati a cozzare col testo^ 
di Luca. 

Matteo dice che Tarrivo dei Magi e la nuova portata da 
loro turbò grandemente il re Erode, e con lui tutta Ge- 
rusalemme; e Luca dice che quando Ge^ù fu presentato- 
nel tempio fu riconosciuto da Simeone e da Anna^ che co* 
manicarono la loro scoperta anco ad altri. Tanta pubbli- 
cità in momenti di tanta perturbazione è impossitnle che 
non giugnesse all'orecchio del re, che non eoci^sse la 
sua attenzione, e solamente un miracolo avrebbe potuta 
sottrar Gesù alle indagini di Erode. Ma non si devono*, 
tuppor miracoli dove non ve ne sono, e in questo caso 
sarebbe anche contrario alle vie seguite dalla Provvidenza, 
^e per non intaecare i privilegi della natura con fatti so» 



. I MAGI. ^9 

pranaturali si contentò di mandare in sogno un angelo a 
Giuseppe e consigliarlo di fuggire immediatamente in 
Egitto. 

Alcuni libri apocrifi seguiti da sant'Epifanio (1) collo- 
cano l'arrivo dei Magi due anni dopo la nascita di Gesù, 
al che si presta benissimo il testo di Matteo, il quale: 
i.° non dice quando venissero i Magi e lascia libertà di 
supporlo quando si vuole purché sia sotto il regno di 
Erode; 2.^ lascia sempre supporre che Betlemme fosse il 
domicilio ordinario dei genitori di Gesù; 3.° dicendo che 
Erode fece ammuzzare i bambini di due anni ed al dis- 
sotto, seguendo le informazioni che aveva avuto dai Magi, 
pare che i Magi gli riferissero che il re dei Giudei poteva 
contare incirca due anni, tanto essendo il tempo da che 
avevano cominciato ad osservare la meravigliosa stella. 

Ma l'Evangelio di Luca, non che prestarsi ad alcune di 
queste spiegazioni, ci offre dei dati che distruggono tutto 
quanto il racconto del primo Evangelista. Imperocché se 
Matteo fa nascere Gesù sotto il regno di Erode il Grande, 
seguendo la cronologia di Luca egli debb'essere nato o 
dieci anni dopo la di lui morte, cioè l'anno medesimo in 
cui il preside Quirino, dopo la deposizione e Tesilio di Ar*» 
chelao, ordinò il censimento della Giudea; o per lo meno 
due anni dopo la detta morte di Erode, come appare dai 
calcolo seguente. 

Luca assegna il battesimo di Gesù all'anno XV di Ti- 
berio, e dice che allora Gesù era quasi sul cominciare dei 
30 anni; lo che si può interpretare in due sensi: o cba 
non avea ancora trent'anni, o che gli mancava poco a com- 
piere i ventinove anni^', e quindi ad entrare nell'anno tren- 
tesimo. 



(1) Epifao., Ere$, XXX, S9; libro M 8eth dUKO a pftg. 3Si; £')Mifelio 
della nalùftlà, m Thiio^ Codex apteriphm iVott TeHm»u tomo I» p« 3^8. 



i90 UBRO SECONDO 

L'anno XV di Tiberio cominciava ai 19 agosto dell'anno 
78i di Roma , o dell'anno 28 dell'era volgare. 

Per testimonianza di Flavio Giuseppe, Erode mori pochi 
giorni prima della Pasqua, Tanno ventesimo settimo dopo 
la battaglia di Azio. 

La battaglia di Azio fu pugnata ai 2 settembre dell'anno 
di Roma 723, per cui Tanno ventesimosettimo dopo quella 
battaglia incominciava ai 2 settembre dell'anno di Roma 
749. La Pasqua ebraica cadendo in quell'anno ai 3 di aprile 
si conchiude che Erode mori verso la fine di marzo del- 
l'anno 750; per lo che ai 19 agosto dell'anno di Roma 781, 
principio dell'anno XV di Tiberio, compivano i 31 anni 4 
mesi ed alcuni giorni dacché Erode era morto. 

Ma se il battesimo di Gesù accadde Tanno XV di Tibe- 
rio in novembre come vuole sant'Epifanio, o in gennaio 
come era l'opinione più antica seguita da Clemente Ales- 
sandrino, da Origene e da san Gerolamo (1); e se a quest'e- 
poca Gesù era vicino a cominciare i 30 anni, bisogna cre- 
dere che egli fosse nato tra Tanno 7S2 e 763 di Roma, 
circa due o tre anni dopo la morte di Erode. 

Infatti ai tempi di san Clemente Alessandrino, cioè verso 
Tanno 190, l'opinione corrente era che Gesù fosse nato 
ai 26 di Pachon dell'anno 28 di Augusto corrispondente 
ai 20 maggio delTanno di Roma 762 (2). 

I cronologi moderni collocano la nascita di Gesù ai 
26 dicembre delTanno 749 di Roma, XXVII dopo la bat- 
taglia di Azio, e a 4 anni innanzi T èra volgare fissata da 
Dionigi il Piccolo: ma convengono che Erode mori tre mesi 



(1) TillemoDt, Mémoirei pour iervir à VUittoire Ecckiiastique,tom. i, 
pag. 216. 

(8) Glement. Aless. Strom. I, pag. 3i0^iz. Paris. L'èra degli Augusti 
in Egitto cominciava col 89 agosto dell'anno di Roma 784, quindi l'anno SS 
di Angusto iloveva cominciare al 99 agosto deiranno di Roma 75i. 



I MAGI. i81 

dopo. In questo sistema, seguendo l'opinione di coloro 
che pongono il battesimo di Gesù Panno XV di Tiberio, 
in novembre^ Gesù quando fu battezzato avrebbe avuto 
30 anni e 10 mesi abbondanti, e ne avrebbe avuto 31 com- 
piti seguendo quelli che trasferiscono il battesimo a gen- 
naio. Ma né Puna né l'altra cifra corrìsponde alla frase tli 
Luca era quasi per incominciare li anni trenta^ che tutt'al 
più si potrebbe interpretare era sui 30 anni appena co- 
minciati. 

Sant'Epifanio computa che avesse 29 anni e 10 mesi, 
ma confesso di non capirlo e mi pare eziandio che si con- 
tradica. Laddove mi sembra aritmeticamente dimostrato che 
Gesù, secondo l'Evangelio di Luca, nacque dopo la morte 
di Erode; e che l'opinione contraria è fondata unicamente 
sopra l^episodio dei Magi nell'Evangelio di Matteo, episodio 
che a patto ninno si può ricevere come un fatto storico. 

Del resto, anco nel sistema de'modenii. Gesù sarebbe 
nato niente più che. tre mesi avanti la morte di Erode; 
conseguentemente la visita dei Magi, la strage dei bambini 
e la fuga in Egitto occorse, secondo l'Evangelista, sotto 
il regno di Erode, non sì possono più trasferire due anni 
dopo che Erode era già morto. 

Tranne questo luogo unico di Matteo, nel Nuovo Testa- 
mento non avvi più alcun cenno che Gesù sia stato tra- 
fugato in Egitto; la qual leggenda fu sicuramente formata 
assai tardi, perché non si trova nel Protevangelio, ove pure 
si parla dei Magi e della strage dei bambini, e dove invece 
di far fuggire in Egitto Gesù, si dice che la Maria lo na- 
scose nel fieno della greppia.. Quindi io non so se l'inven- 
zione primitiva sia da attribuirsi ai Giudei od ai cristiani. 
Gli antichi Giudei parlano molto di quel viaggio di Gesù 
in Egitto, ma le loro tradizioni diventano assurde quando 
dicono che colà imparò i secreti della magia onde si valse 



i8S LIBRO SBOOlfDO 

per operare! suoi miracoli (1). E come gli Egiziani erano 
in voce di essere stupendi staumaturghi, ossia grande- 
mente esperti in giuochi di magia, cosi può ben essere 
che se i Giudei per ispiegare ì miracoli di Gesù suppo- 
sero che ne imparasse 1' arte dagli Egiziani, TOristrani al- 
rincontro infingessero un'altra leggenda per confutare i 
Giudei e spiegare diversamente quell'immaginario viaggio 
di Gesù in Egitto. D'altra parte essendo fuor di dubbio 
che più d'uno fra i racconti evangelici sono invenzioni 
fantastiche derivate da qualche passo tropologico del Vep- 
chio Testamento, parie che lo stesso ne sia di questo^ 
ove ^Evangelista a prova del viaggio di Gesù ^ambino in 
Egitto cita un verso di Osea (XI. I), che nel testo origi- 
nale risguarda gli ebrei usciti dall'Egitto, e non Gesù che 
vi era andato. 

Se alla narrazione di Matteo iu)n sì può attribuire alcun 
carattere istorico, non più istoriea si può dire che sia quella 
dì Luca, la quale all'incontro si distrugge da sé mede- 
sima. 

In primo luogo è fuor misura improbabile che trovan- 
dosi Maria cotanto prossima al compimento della gesta- 
zione, Giuseppe le volesse far intraprendere un viaggio^ 
di buone tre giornate di cammino (90 miglia romane), 
pigliando la via più corta, che era quella della Samaria; e 

(1) Quelle tradizioni giadaiche già in voga avanti il 140 d furono con- 
servate da Origene, Cantra Celso, I, 28 e 32. Si confronti col Talmud Babi- 
lonico trattato CaI2a/i presso Baxtorn, Sinagoga Judaica, VII, pag. 132, e trat- 
tato, Sanhedrin presso Wagenseil^ Confutatio Khrii Toledot hseiù, pag. 10, 
nell'opera intitolata Tela ignea Satanae, AUorft 1861; un altro testo dei 
Tokiót lemik diverso da qneUo del Wagenseil fa stampato da G. G. Hol- 
ric, in-8, licida 1708. Queste due pretese vite di Gesù si riducono a due ma- 
nipolazioni di un testo solo, scritto verosimilmente prima del IX secolo, ma 
il fondo principale è molto più antico, e rìsale alla prima metà del II secolo, 
come appare dal discorso dei Giudd che Celso introduce a parlare contro i 
cristiani. 



I MAGI. i83 

di cammino anche non agevole, massime per una donna 
incinta, giacché qualunque fosse la via da scegliersi, vi 
erano sempre distretti montuosi da passare. Giuseppe do- 
veva ben prevedere il pericolo di una sconciatura, o quello 
che la moglie potesse essere colta lungo il viaggio, come 
infatti successe, dai dolori del parto. 

Si aggiunge che per Maria, oltre che il viaggio era im- 
prudente, era anco inutile; giacché se tratta vasi soltanto 
di andare a farsi iscrivere sul catastro dei cittadini ori- 
ginari di Betlemme, bastava che vi andasse Giuseppe, molto 
più che gli antichi nei loro censimenti non contavano che 
i maschi usciti dalla pubertà. 

Supposto che quel viaggio sia stato intrapreso per an- 
dare da Nazareth a Betlemme, bisognava necessariamente 
passare da Gerusalemme, che, come l'ho già detto, n'è 
distante sei miglia romane o poco più di quattro miglia 
italiane. 

Ora Luca (II, 44) ci fa sapere , che Giuseppe e Maria 
avevano nella capitale giudaica dei congiunti (syn-genèsi) 
e dei conoscenti, appo i quali sembra che alloggiassero 
quando si recavano a Gerusalemme per celebrarvi la 
Pasqua. Ciò ammesso, non si sa capire perché Giuseppe 
non lasciasse Maria in Gerusalemme presso i congiunti, 
piuttosto che trarla a Betlemme, ove T affare per cui era 
chiamato colà poteva essere sbrigato da lui solo e in tre 
o quattr' ore fra andata, fermata e ritorno. 

Come ancora se Giuseppe e Maria erano originari di Be- 
tlemme, e. se vi avevano conservato il loro patriziato e i 
loro titoli di famiglia, è quasi incredibile che non vi avessero 
o casuccia o piccolo podere o per lo meno parentele o 
conoscenze come ne avevano a Gerusalemme, molto più che 
appo gli ebrei le parentele si tenevano molto unite anco nei 
gradi più lontani. Quindi è ben naturale che recandosi i due 
coniugi a Betlemme dovessero cercare ospizio o in casa prò- 



i84 UBRO SECONDO 

pria fra i loro prossimi ed amici, anziché in un pubblico 
diversorio ossia in uno di quelli che gli Orientali chiamano 
Han o Hanè o Caravan-serai^ ove vanno ad alloggiare le 
carovane, giacché in Oriente non si conosceva V uso dei 
nostri alberghi venali, e lo si conosce neppure adesso tran- 
ne in (Juei luoghi ove gli Europei li hanno introdotti. 

A' tempi di Geremia (XLI, 17) esisteva in fatti un Ca- 
ra van-serai nelle vicinanze di Betlemme verso la strada 
che mena in Egitto; e siccome tali ospizi si conservavano 
con molta cura, massime sulle strade più praticate dai 
negozianti, cosi é probabile che esistesse anche molti se- 
coli dopo. Ma, come ho detto,, ivi alloggiavano per 1' ordi- 
nario quei soli che viaggiavano per carovana con traino 
di cameli , cavalli ed altre bestie da soma ; perché pei 
viaggiatori isolati l'ospitalità orientale suppliva alla man- 
canza di locande. 

Con tutto ciò r Evangelista dice che Giuseppe non trovò 
alloggio nel pubblico diversorio; e soggiungendo che il 
bambino Gesù , appena nato , fu ipvolto ne' panni e de- 
posto in una mangiatoia, lascia supporre che i suoi geni- 
tori si fossero ricoverati in una stalla. 

Possibile che nella propria loro patria e frammezzo ai 
loro concittadini non avessero trovata una migliore ospi- 
talità? Possibile che una donna giovane e tanto avanzata 
nella gravidanza avesse trovate tutte le porte chiuse , in 
un paese ove l'ospitalità era considerata come un sacro 
dovere, dove tanto rispetto si aveva per le donne incinte? 

Questo fatto tanto poco verosimile fu adottato da Luca 
dietro il presupposto che in Betlemme vi fosse grande 
affluenza di forestieri venuti per farsi rassegnare, a tal che 
tutti gli alloggi erano occupati. Ma se questa, come pare, 
fu la sua intenzione, il fondamento sopra cui si appoggia 
non é meno inverosimile del rimanente. 

Betlemme^ distrutto al tempo di Nabucodònosor, fu ri- 



' I K&fiL iSH 

popolato circa 70 anni dopo da 123 Betlemiti che torna- 
rono dall'esilio (1), e non prese mai nìssuna ragguarde- 
vole importanza^ a tal cl>e anco ai tempi degli Erodi più 
che città era un borgo di forse un migliato di abitanti a 
dir mollo. E siccome i Betlemiti, per la stessa posizione 
montuosa del loro territorio, erano quasi tutti o contadi- 
ni, pastori, quindi non è credibile che tanto numerosi 
fossero gli assentì, e che tutti fossero cosi istranieri da 
non avervi né casa, né congiunti, né amici, e che ricor- 
rendo per .farsi iscrivere sul cadastro dovessero 4utti 
alloggiare nel div^rsorio- 

Gli Evangelisti apoorifl hanno fatto meglio dell'Evange- 
lista canonico; perché, secondo loro, Giuseppe e la sua 
sposar alioggiarono in una grotta, vale a dire in una casa ; 
conciOBsiacbé quasi tutte le case di Betlemme siano co- 
strutte dentro grotte^ o in. altri termini, le grotte servo- 
no di casa (1). 

Maria dimorò a Betlemme per ben 4Q giorni, e l' Evan- 
gelista non dice che cangiasse di alloggio, onde lascia sup- 
porre che dimorò sempre nella medesima stalla. Anche 
questo è incredibile non solo per le cose già discorse, ma 
anco perchè )a notizia che il Messia era nato, annunciata 
dall'angelo ai pastori e dai pastori a tutti gli altri, doveva 
essersi sparsa per ti^tti i contorni ed avere eccitato un 
gran romoriq, e quindi anco un gran concorso di divoti, 
di credenti, di fanatici, di curiosi che correvano a vedere 
il prodigioso bambino, e ad offerire ai felici di lui geni- 
tori alloca e sussidii finché potevano desiderarne. Ma né 
V Evangelista lo dice, né lascia luogo da inferirlo. 

Anche qui gli Evangelisti apocrifi si mostrarono più ac- 
corti e più conscguenti dell'Evatgelisia canonica, dacché, 



(i) Esdra, n, il./ ' ' 

(H^ GcUnvioÌM prmo Kanmer PilSétina, pag. 506. 

CriU degli Ev. Voi. L i4 



i86 LIBRO 3BC0RDO 

al dir loro, la sacra famiglia è ovunque là ben venuta e 
festeggiata. 

Qui ricordo un'osservazione che ho fatta altrove, ed è 
che Zaccaria ed Elisabetta, congiunti di sangue con Maria; ed 
a cui Maria un mezz'anno avanti aveva fatto una visita, essi 
che aspettavano con ansietà il di lei parto divinò, ohe abita- 
vano o nei contorni di Betlemme o a non gratìde distanza: 6i 
meraviglia che nello spazio di 40 giorni, durante i quali la 
notizia che nato era il Messia doveva essersi propagata per 
tutti* ì monti della Giudea, non ne abbiamo saj)Uto nulla; 
e che gli angeli, le cui apparizioni furono così frequenti, 
abbiano dimenticato di portarne l' annunzio a quei due 
buoni vecchi, e che nemmeno ne siano stati avvisati da 
qualche divina inspirazione, come ne firrono avvisati i Magi. 

Supposto che i genitori del Battista abitassero ad Ebron 
nei monti di Giuda, quella città «ra lontano solo (6 miglia 
da Betlemme, o 5 a 6 ore di viaggio. Come dunque igno- 
rarono la nascita del Messia, mentre essi avevano dato la 
luce al precursore di esso? Come tanti miracoli «uccessero 
e nella generazione del precursore e nell'incontro fra Ma- 
ria ed Elisabetta, e tutto ad un tratto cessarono ì por- 
tenti quando era necessario che continuassero, se non al- 
tro per istabilire nei fatti una perfètta correlazione? Al- 
l'incontro Zaccaria -ed Elisabetta scompariscono affatto 
dàlia scena, essi non si mostrano più né a Betlemme né 
a Gerusalemme; e in» quest'ultima città il Messia è rico- 
nosciuto da due molto diversi personaggi. 

Anche questi due personaggi danno una grande pubbli- 
cità alla nascita del Messia, puM)licità che è smentita dal 
fatto successivo; imperocché' riesce strano come dopo tanto 
scalpore suscitatosi è a Betleniraie e a Gerusalemme, sia 
succeduto tale un silenzio ed una dimenticanza del pas- 
sato che quando Gesù incominciò la sua prediciazione riu- 
scir dovesse al tutto nuovo non pur^ fi Giuclel» h» Ji^n 



1 Kàcnt. iW 

anco ai suoi conditadioi di Nazareth, fra i quali era 
cresfciuio e che non potevano ignorare le ciroofttaiHse me- 
ravigliose della soa nascita* 

Non meo nuovo egli riusciva a Gerusalenftme ; , né si 
scorge che quei di Betlemme, ove era liato, Q¥e gli angeli 
k> aveano antiiiiiciato, ove era stato visitato dai Magi, ove 
per cagion sua si eira comauBssa ooa orribile sta*age di 
bambineUi, abbiano giammai manifestata per lui una spe- 
ciale ammirazio&e o simpatìa.. 

Finalmente i due Evangelisti, ai quali jiamo debitori, di 
tanti particolari ^uttauaseita. di Qttìà, si sono dimemticati 
Hi coordinare quei particolari cogli avvenimeati della suc- 
cessiva sua vita. Nel lamo di trent^anni, Elisabetta. e Zac- 
caria, Simeone ed Anna dsélrono di vita semsa dubbia Ma 
rimanevano più altintteatimoiii 4i quanto era succeduto, e 
che dovevano aVer .tenuto «dietro ai dentini di quel mera- 
viglioso fanciullo^ anzi la sna siofpja era diventata un fatto 
pubblico, e gli occhi di tutti dovevano ' essere costante- 
mente sopra di lui , e seguire con ansìstà it progresso 
della &ua vita e delle toro più Gàve sperao^ ; dacché egli 
era il Messia, l'asjiettato Salvare d'Israele. Né si dica 
cbe fieoù emendo stato fin da* bambino triapportato a Na- 
zaretb',. la sua vita giovaoiie si {lardette n^l' oscurità , e 
i fatti della sua fan^uUe^sa passati in oblio non furono 
raccolti se jion dopc^ la su^ m^H^ daUa diligeoza de' duoi 
discepoli; imperocché coma ho detto. egU aveva parenti a 
'Gerusalemme, e doveva av^ra^ anco a Betlemme» nfi aveva 
attre^ nella città dovB ora natjo il B&iUi^ta; oltr^ ai -parenti 
aveva e^osoenti e(l amici, tuttUl^wali^^no troppo inte- 
ressati: per non di^eattc^fe le i^ej^vì^i^ 4^11a sua infan- 
m, ed an^i per pi^pai^te e fa^le conpsoere a paranti ed 
aflotiol cbe tc^vauo iieQa Ga|p^ 

Aifipgi ch^ i'as^^aw^^e d| uà W^s^ia ^pn troppo viva 
ed intensa fra gli ebrei; essi che c^pi^vano dietro ad ogni 



iS& UBBO SECONDO 

impostore spaccìantesì per tale, come avrebbero potuto 
lasciarsi sfa^re di vista il varo Messia, la cui nascita era 
stata pubblicamente riconosciuta ed autenticata da tante 
meravìgtie? 

Lo ripeto, gli Apocrifi sono più conseguenti che non gli 
Evangeli etnoniei ; knperoc^ò se non hanno saputo scio- 
gliere intiefamente qseste diMeoUà, hanno cercato per lo 
meno di soddisfarvi in parte coUo. stabilire un quaJche 
rapporto fra la storia deirinfiinm di G«sù e quella della 
sua vite pubUicft, e quindi ancora, unfideatìtà ne' personaggi 
che figurarono in entrambe. F^ tutte le quali cose sem- 
brami dimostrato che il raceonto di. Lm%, destituito di 
storica autenticità , fu snHkia(^nftio ' òol solo se<^o di far 
nascere in Betlemme Gesù e di far intendere che fino dalla 
nascita egli eira stato rìoonosoluto pel promesso Messia; 
abbenchè questa ultima asserzione non sia poscia oonfer- 
ìnata dagli avvenimenti sutees»vi* 

Invece lo scopo del ra<iconto di Matteo^ è quello di ap- 
plicare a Gesù il Tatìdnio dalto stella e di rìferire alle 
circostanze della sua nascita una tradizione popolare intorno 
ad una famosa crudeltà commessa da Erode qualche tempo 
prima della sua morte. Veramente quei 40 giovanetti fu- 
rono abbruciati vivi a Idrico oda Gerusalemme; ma FE- 
vangelista, che scriveva ottanta o cento anni do^, ne 
trasportò la scena a Betlemme, giovanti e del sepolcro 
di Rachele tihe stava in vicinanea di quel borgo, e di un 
passo profetico allusivo al franto di quella donna sull'eo- 
cidio de' suoi pronipoti. Del resto Ibtteo o cbiuncpie sia 
l'autore di quelF episodio ritiene sempre che Betlemme 
non solo fosse il luogo natio di Gesù, ma che fino alla 
sua naséita fosse anche il soggiórno abitiate de^ suoi §^ 
nitori; e il loro traslocaihènto a NatasiBth lo attribuitoe 
alla heòèssità di un vaftiéiftio prMMioo <he dovera -raggiun- 
gere il suo compimento, i^ . ; * L 



I H4GI. 

Conciossiachè dopo di avere fktto fuggire Gesù in Egit- 
to, soggiunga, che, essendo morto Erode, l'angelo apparve 
di nuovo a Giuseppe, e gli comandò che ritornasse nella 
terra d'Israele. Ma Giuseppe, udendo che nella Giudea 
regnava Archelao figliuolo di Erode, ebbe timore di recarsi 
nella sua giurisdizione; ma che ammonito in sogno passò 
nella Galilea ed abitò nella città di Nazareth affinchè fosse 
adempiuto quanto era stato predetto dai profeti: « Ch' ei 
sarebbe chiamato Nazareno. » 

Omettiamo l' incongruente di veder saltare (in Dio da un 
paese all'altro onde sottrarsi alle persecuzioni di un uomo, 
e i deboli ripieghi della Provvidenza per salvarlo^, i quali 
hanno tutto il carattere dei consueti ripieghi umani : 
omettiamo, dico, un tale incongruente, perchè le idee della 
teologia moderna intorno alla divinità di Gesù Cristo erano 
tuttavia sconosciute a quegli antichi; ma pigliando il rac- 
conto dal mero lato istorico, non sì sa capire come Giu- 
seppe, malgrado l'assicurazione dell'angelo che gli disse 
esplicitamente, sono morti quelli che volevano uccidere il 
fanciullo^ avesse paura di andare in Giudea perchè ivi re- 
gnava Archelao figliuolo di Erode; e non avesse paura di 
andare m Galilea, ove regnava Erode Antipa altro figlio 
del medesimo Erode. 

La quale contradizione riceve maggior risalto se il citato 
passaggio di Matteo lo confrontiamo con un altro di 
Luca (II, 41), ove è detto che Giuseppe e Maria, e senza 
dubbio anco il loro figliuolo, andavano tutti gli anni a Ge- 
rusalemme in occasione della Pasqua. Se dunque intra- 
prendendo tutti gli anni questo viaggio non ' temevano di 
essere scoperti e riconosciuti, perchè non potevano cre- 
dersi tanto sicuri in un villaggio oscuro della Giudea o 
della Samaria sottoposte ad Archelao, quanto nell^ picciola 
città di Nazareth nella giurisdiuone di un di lui fratello? 
Per ciò che tocca il citato passaggio de' profeti, tutti con- 



-raO UBRO SECORDO 

vengono ehe non si trova ne' libri del Vecchio Testamenio. 
Aleuni vorrebbono dedurlo da quel verso d'Isaia (XI, 1): 
« Uscirà la verga dal tronco d' Isal, e crescerà ii nezer (il 
« ramo) sopra le sue radici. » 

Il passo è messiaco anco per consenso de^ parafrasti cal- 
daici, ma ha niente che fare colla citazione dell'Evangeli- 
sta; perchè nezer significa un ramo e bisogna violentare 
1' ortografia del vocabolo e più ancora il contesto per leg- 
gere Nozri Nazareno; conciossiachè il concetto: « Uscirà 
e la verg^ dal tronco d'Isai, e crescerà uno della città di 
< Nazareth sopra le sue radici i, sarebbe passabilmente 
ridicolo. 

Gian Davide Michaelis ha preso un'altra via. Secondo lui 
molti profeti avevano predetto che il Messia sarebbe trattato 
come un impostore e rigettato, e pretende che ai tempi 
di Gesù Cristo il nome di Nazareno fosse una ingiuria, 
fondandosi sopra il proverbio popolare: Da Nazareth può 
egli uscire qualche cosa di buono? (1), e che la profezia 
citatij dair Evangelista si abbia a intendersela in questo 
senso (2). 

La spiegazione, per quanto si voglia ingegnosa, non 
tralascia di essere molto stentata, e poco verosimile. Forse 
a torto il dottore Strauss sospetta che il citato proverbio 
sia stato inventato dopo Gesù; e parmi più evidente che 
le frasi da Nazareth può egli uscire qualche cosa di buono? 
siano una celia piuttosto che una ingiuria; una celia di 
quelle che soglionsi affibbiare a vicenda una città contro 
r altra. 

Il curato Baldini, che era ben lungi dal possedere l'eru- 
dizione di Michaelis o di Strauss, e che nel 1815 fece per di- 



(1) GioTaDni, !, 47. 

(S^ Miebaelis, EinMimg mdU Sckriftm dei Npven Bundes, % 35, 



I iiAai« 191 

YQzione peUegrioaggia in Terra Santa, osserva che con molta 
ragione gli ebrei potevano dire facetamente che da Nazareth 
vien nulla di buono, staif teche quel villaggio sia tuttora 
diffamato siccome un luogo infesto da rospi, da serpi, da 
pulci e da zanzare. E come la natura non canina, così noìoi 
v'ha dubbio che tale non dovesse esser anco diciotto secoK 
addietro. Si potrebbe aggiungere che essendo Nazareth 
una cittaduccia oscura, senza celebrità e probabilmente di 
fondazione assai moderna, taluno al sentire che il Messia 
era di Nazareth, potè benissimo farsene le meraviglie ed 
esclamare: Da quel paese può mai venire un personaggio 
di tanta importanza? Ha uissuno vorrà ammettere che 
r essere nato in un taf pae^ possa essere un titolo infiei- 
mante. Per esempio i Guasconi in Francia sono l'argo- 
mento di assai motti satirici , e guascone o guasconata 

. valgono smargiasso o smargiassata. In Germania si prover- 
biano gli Svevi con dire occorrere dieci di loro per pigliare 
una lepre , onde significare che mancano di coraggio. A 
Milano è comunissimo il dettato Ei vien da Bergamo per 
signiiicare un gonzo, e i Bergamaschi se ne vendicano con 
un sopranome che danno ai Milanesi (Bazàn)^ che ha un 
senso^non molto dissimile; ma chi ha mai pensato che i 
Gu^coni siaBO smargiassi, codardi gli Svevi, gonzi i Ber? 
gamaschi e baggiani i Milanesi ? 

Render ragione di simili proverbi è assai difficile, per- 
chè ordinariamente non hanno . altro appoggio, se non 
se le consuète mordacità che si ricambiano i popoli ani- 
mati da rivalità municipali^ e posto che esistesse Tadaìgio 
Da Nazareth può venire niente di buono^ esso non poteva 

. inferire una ingiuria contro i Nazareni ; e dire che Gesù 
sarebbe chiamato Nazareno, cioè un impostore, un mal- 
fattore, un ciarlatano, come intende Michaelis, è una pue- 
rilità. Anzi è cosi vero che il titolo di Nazareno aveva in 
se niente di offensivo, che gli stessi apostoli lo diedero più 



i92 UBBO SlCQlfDO 

volte al loro capo, e lo assunsero come ini qualiflcatiro i 
primi cristiani fino dai tempi di san Paolo (1). 

Era più presto necessario di provare che Gesù fosse di 
Betlemme in Giudèa, perciocché pare che i contempora- 
nei tenessero ferma opinione che fosse nativo di Nazareth. 
Anco gli Evangelisti dicono sempre che questa era la sua 
patria, e sempre è chiamato Nazareno o Gesù Galileo. 
Marco e Giovanni io spacciano come veramente nativo di 
Nazareth, e cosi anco gli Atti apostolici; come Galileo è 
mandato da Pilato ad Erode, e il titolo di Nazareno gli 
fu apposto nella sentenza , è gli fu dato per molti anni 
dai primi suoi seguaci , senza che nissuno ricordi mai 
che ei fosse di Betlem nella Giudea. Si vede che suo pa- 
dre, sua madre, ì suoi fratelli avevano l'abituale loro do- 
micilio in Nazaret; si vede altresì che di Nazareth o di 
Cafarnao o de' contorni erano pure tuti i suoi parenti; e 
tranne i due luoghi di Matteo e di Luca , ìiei quali sono 
così poco d'accordo e contradicono alla successiva loro 
narrazione, non si trova indizio negli Evangeli né negli 
scritti degli apostoli che Gesù fosse nato in Betlem, o che 
i suoi genitori appartenessero a questa città. Anzi racco- 
gliendo tutti i dati più formali che si hanno, siamo obbli- 
gati a conchiudere ch'egli nascesse in Nazareth; e che sol- 
tanto il bisogno di provare che Gesù nella sua qualità di 
Messia usciva dalla casa di Davide ed era nato nella patria 
di quel re, secondo la predizione dei profeti, obbligò i poste- 
riori Evangelisti a supporre la leggenda che fosse nato in 
BetJcanme di Giudea. ^ . 



<*) Mix opottoKct, XXIV, 5. 



msmtk WKL i«i#io. 493 

CAPO DECIMO. 

DISPUTA NEL TEMPK). 

Dopo la nascita di Gesù e le circostanze che immedia- 
tamente la susseguirono , Matteo non ha più nulla sopra 
la sua infanzia e sua educazione, e salta a dirittura 
ai pritni fatti della sua vita pubblica; ma ugualmente 
ignorata cosi da Matteo come, dai due altri Evangelisti. 
Invece il terzo Evangelio vi pone tra mezzo un episodio, 
che troviamo ripetuto ed amplificato negli Evangeli apo- 
crifi. Ei narra pertanto (II, 42-49) che Gesù toccando 
all'età di 12 anni fu dai suoi genitori condotto a Ge- 
rusalemme durante le feste della Pasqua; che poi tor- 
nando loro a casa, egli si rimase senza che il padre o la 
madre se ne accorgessero per tutto il primo giorno, dac- 
ché lo credevano con altra brigata; ma che alla sera cono- 
sciuta la sua assenza^ indietreggiarono, e cercatolo in Ge- 
rusalemme tre giorni, lo trovarono alla fine nel tempio a 
disputare coi dottori della legge. 

Eccita sorpresa che un fatto cosi importante non solo 
sia stato omesso dagli altri Evangeli canonici, ma che nep- 
pure se ne trovi altro indizio nello stesso Evangelio dì 
Luca. Egli assicura che il precoce ingegno di quel ragazzo 
avevi eccitata la meraviglia db tutti: e quindi naturale che 
alcuni, anzi molti di quei rabbini s^ informassero chi fosse 
il ragazzo, e che venissero a scoprire, cosa facile, esser 
«gli il medesimo la cui nascita era stata annunciata con 
tanto strepito dodici anni prima. I pastori eccitati dal- 
1^ angelo, la stella, i magi, la strage de' bambini, Simeone 
ed Anna, e lo scalpore che fecero per lo scoperto Messia, 
era tal cumulo di avvenimenti, ainche strepitosi, accaduti 



i94 im»0 6BCQRDO 

in Gerusalemme o nelle vicinanze, da non dovere essere 
dimenticati : eppure lo sono da quello stesso che li aveva 
poc'anzi raccontati j e questa incoerenza tra un racconta 
e V altro, questa specie d* implicita contradizione, dimostra 
che non sono tutti d' un medesimo autore, ma che mani 
diverse interpolarono quale V una quale V altra cosa senza 
badare se vi era accordo o no. Che che ne sia è chiaro 
almeno che anche in quest'aneddoto gli Apocrifi sanno 
tirarsi meglio d' impiccio che non l'Evangelista canonico; 
imperocché nel raccontare che i dottori fecero le più vive 
congratulazioni coi genitori di Gesù, aggiungono che al- 
cuno di essi, ammirando la di lui prodigiosa scienza, volle 
essere fino di allora suo discepolo. 

Venendo al racconto di Luca, fa specie coinè due teneri 
genitori i quali assumono un viaggio di quasi cento mi- 
glia per recarsi in una popolosa capitale, a que^giorni so- 
pramodo gremita di forestieri, potessero cosi leggermente 
lasciarsi scappare di vista un loro fanciullo di 12 anni, e 
partire dalla città e camminare tutto un giorno senza 
avvedersi di averlo perduto. Una tale spensieratezza sup- 
pone un grado di spensieratezza che supera quasi il cre- 
dibile. 

Le disputazioni si tenevano nelle accademie o scuole dette 
della investigazione (Bet-a-Midriise), e dal Talmud nel trat- 
tato Sanhedrinsì ha che tali scuòle si costituivano almeno di 
due professori, i quali insegnavano la legge, e di uno ascol- 
tante, cioè di un uomo versato nella tradizione e capace 
di rispondere a tutte le questioni che gli venissero pro- 
poste. 

Trovasi altresì che gli scolari usavano di propor dubbi 
ai maestri, ma non che disputassero con loro. 

Seguendo il Talmud, i medésimi maestri fin a Gamaliele 
(morto dopo Gesù Cristo) insegnarono stando in piedi» 
poscia s'introdusse Fuso di sedere su cattedre elevate, in- 



DISPUTA NCL TUmO. i^ 

tanto che gli scolari sedevano sopra stuore distese sul 
pavimento, e i semplici uditori stavano fuori dei can- 
celli (1). 

Comunque sia, non pare molto verosimile che un ra- 
gazzo di 12 anni, straniero ed attaccato a nissun maestro, 
fosse ricevuto alla disputa. É vero che la Misc'na dice : 
« A cinque anni il ragazzo sia applicato alla Micra (cioè 
€ alla lettura dei libri sacri), a 10 anni alla Misc'na (alla 
« tradizione 'orale), ai 13 studii i precetti , ai la il Tal- 
< mud cioè la Ghemara, ossia 1 commenti dei rabbini so- 
« pra la Mi$c*na (^, » Ma vuol dire che è jin età sufficiente 
ad assumerne lo studio e non ad assumerne la discussione^ 
nelk quale i discepoli erano tutt'al più chiamati a leggere 
i testi sopra cui volevano esercitare lo ingegno i loro 
maestri, 

É ben vero che nelle sinagoghe, durante le lezioni del 
sabato, uno incominciava la lettura, indi invitava chiunque 
volesse fa^ne la spiegazione; ma questo non è il caso del- 
TE vangelista; e perciò tutti gli eruditi che hanno trattato 
deUe scuole ebraiche si sono visti impacciati non poco a 
render ragióne di quanto racconta Luca. 

É non meno inesplicabile il seguente passaggio. Maria 
rimbrotta il ragazzo e gli dice: < Io e tuo padre ti ab- 
« biamo cercato da ^r tutto, ed eravamo in gran trava* 
« glio per cagion tua. • A cui Gesù risponde per vero 
dire In tuono non molto rispettoso: « Perchè cercarmi) 



(1) Li|M^-» Borae hebr, el talmud., pag. tSOO. Gfròrer, GmhiehU det^ 
Ur$b)istmtwm, tomo I, ptg. i6d. 

(2) Pirkè AhoL^ cap. Y, 21, nell'edìziOQe di Sorenhasins, tomo lY, pagi- 
na 483. Ma è una sentenza di Juda Bea Tema, il quale vorrebbe, che la vita 
ibsse cosi distribnita, e prosegaendo il suo discorso aggiange: ai 18 anni pi- 
gli meglìe, ai 90 si applichi ai negozi, ai 30 esercili le forze, ai 40 la pnt- 
donsa,.ai 80 U coostglio, ai 60 é veoàk), ai 70 è canuto, Hgli 80 non ^ 
rìiMfi^ che la fortezza d'animo, ai 90 é sulla fossai ai 100 è come morto. 



496 LIBRO SECONDO 

t Non sapevate che mi conviene attendere alle cose del pa- 
« dre miot » 

Dopo la qual risposta TEvangelista fa osservare ehe 
Giuseppe e Maria non intesero le parole dette loro da Gesù. 
Dopo tanti precedenti, questa ignoranza reca non piccola 
sorpresa: Maria sapeva che lo aveva concepito celestiali 
mente; 'un angelo era stato spedito espressamente per in- 
formarla dell' essere portentoso che andava a portare nel 
suo seno, e di quello che sarebbe riuscito. Un altro an- 
gelo ne aveva avvertito Giuseppe; altri angeli i pastori; 
poi la venuta dei magi , le dichiarazioni' di Simeone e di 
Anna; la fuga in Egitto consigliata essa pure da un angelo, 
il ritorno in Palestina per avviso del medesimo, erano tutti 
cosi chiari da non lasciare il minimo dubbio nell'animo di 
Giuseppe e di Maria, sopratutto di questa, sulla natura so- 
vrumana del meraviglioso fanciullo ; e quindi le parole di 
Gesù dovevano tornare per loro chiarissime; se essi non 
le intesero, tali confessioni dell'evangelista distrùggono di 
pianta tuttociò che egli aveva detto precedentemente. 

Nemmanco si sa capire come potessero essere in tanto 
travaglio pel suo smarrimento, perciocché se sapevano che 
Gesù era un essere celeste, dovevano restar certi che po- 
teva correre nissun pericolo; ma se non lo sapevano. Luca 
è ili piena contradizione . con sé medesimo. 

Io dubito molto che questo fatto attribuito alla infanzia 
di Gesù, come vari altri raccontati negli Evangeli apocrifi 
della Infanzia, sia stato immaginato dal bisogno di opporsi 
a quei numerosi settari della primitiva Chiesa, i quali so- 
stenevano che il Cristo non nato da una donna, né pas- 
sato come gli altri uomini pei gradi dell'infanzia e puerizia, 
fosse anzi sceso in forma di una colomba nella persona di 
Gesù quando fu battezzato nel Giordano; o a quegli altri 
che, come Marcione, sostenevano che il Cristo, già uomo 
fatto e nella apparente età di circa 30 anni, fosse calato 



DisrtJTA nL nspio. i97 

direttamente dal cielo nella sinagoga di Ca&rnao. Almeao 
è questa l'opinione espressa chiaraoiente da sant'Epi- 
fanio (I). 

CAPO UNDECIMO. 

RIASSUNTO DEI IHJE PRIMI CAPÌ 
DI MAf TEO E DI LUCI. 

Noi abbiamo percorso r due primi capi degli Evangeli di 
Matteo e di Luca; cma quantunque si propongano entrambi 
di raccontarci la nascita di Gesù, è l'uno cosi discrepante 
dall'altro, che malgrado ogni industria torna impossibile ad 
una critica ragionevole dì poterli j^ondliare appena; né mai 
si potrà chiamare una conciliazione sensata e soddfs^oente- 
mente isterica quella varietà e moltitudine di supposizioni 
arbitrarie o gratuite, accumulate Puna sulKaltra, a tal che 
in faccia a loro sparisce totalmente l'originale narrariotìe 
evangelica, e se ne sostituisce una tutta irapsòdiata d'ipo- 
tesi, il cui migliore sostegno sta nelle prevenzioni degM 
armonizzatori. 

Luca fino dall'esordio ci mette in avvertenza che netto 
scrivere il suo Evangelio aveva procacciato di usare mag- 
giore diligenza degli altri; donde s'inferisce che gli Evaof- 
geli i quali esistevano al suo tempo non erano ttiolto esatH; 
la qual taccia colpirebbe anco quello di Matteo, se è vero 
che fu scritto prima. 

Infatti Luca discorda intieramente da Matteo neHa ^leella 
dei racconti; ci dà una genealogia appieno diversa; ci narra ì 
modi sopranaturali con cui fu annunciata a Zaccaria larttascita 
di Giovanni, e a Maria la nascita di Gesù; passa indi a raccon- 

(1) Epifon., Erena, LI, 20. • . i- 



i98 uno. aacoirDo 

tare la visita di Maria ad Elisabetta^ la nascita di Giovanni 
accompagnata da circostanze prodigiose, la nascita di Gesù 
accompagnata da circostanze simili , la sua circoncisione, 
la sua presentazione al tempio, la sua educazione infantile 
e la sua disputa coi dottori. 

Matteo non ha sillaba di queste cose, e ci racconta av- 
venimenti affatto dissimili, come il sogno di Giuseppe in 
cui gli apparve l'angelo; la nascita di Gesù che assume 
una grande pubblicità secondo Lvca, e che succède oscu- 
ramente secondo Matteo; la visita de'Magi, la fuga in Egitto 
€ il suo ritorno che a patto ninno si possono concordare 
con quanto riferisce Taltro istorico. 

Presi i due autori ^ parte, ciascuna narrazione offre per 
sé sola tali difflcoltà che ci costringono a non riceverla 
i^ome un fatto istorico. La genealogia di Matteo è inam- 
missibile per gli errori istrici che contiene; sono, inammis- 
sibili la visita dei Magi e la strag0 dei bambini; e la fuga 
in Egitto è un fatto coperto di dense tenebre, a traverso 
delle quali, per quanto si può penetrare, si scorge la leg- 
genda più che là storia; sono inammissibili Me varie cita- 
zioni di profezie che, o non si riscontrano nel Vecchio Te- 
stamento, vi hanno un senso diverso dalia interpretazione 
idpe ne dà l'Evangelista. Le quali cose hanno fatto dire 
aU'crudito Michaelis che i due primi capi di Matteo, mas- 
3ime per ciò che risguarda le citazioni del Vecchio Testa- 
mento, offrono es^i soli assai più indissolubili difflcoltà che 
non tutto il resto del Nuovo Testamento (1). 

Sembra infatti che quei due capi siano due aggiunte 
litte da mano posteriore; il cl^e principalmente si rileva 
dalle ragioni seguenti: 1. Tutto ciò che in quei due capi 

(1) Michaelis, Einleitung in die Schriflen des Hewh Bundes, % 138 pa • 
gina 1043, e OrientaUmfhe tendi exegHiwhe BihlioUk, n. 4, pag. SS. Nod si 
oonfonda quest'oHima opera oolU Neue Orimi, immì weget. Bièk- dsUo 
stesso autore. , • 



RUSSUITTO DBF DUE nmif CAPI^ ECC. 499 

si narra intorno alte verginità di Marta, al concepimeito 
divino di Gesù, alla sua nascita in Betlemme, e ai motivi 
per cui fu trasportato a Nazareth, e oirìamato Nazareno» 
sono !in contradirione col rimanente dell'Evangelio di 
Matteo, ove Gesù è rappresentato come veramente nativo 
di Nazareth e figliuolo carnale di Giuseppe e Mafia, gèfd^ 
tori di altra numerosa figliuolanza. 

2. Quei due primi capi mancavaiio ad tino dei più anti- 
chi Evangeli ebraici, a quello di cui si serttrano gli Ebi<x« 
niti, come appare dal principio di és^o Evangelio consef* 
vatoci da sanf Epifanio e dhe ho riferito altrove ; e la ge- 
nealogia per k) meno noancava nell^vangelio ebraico de*5la* 
zarei, a quello di Taziano e probabilmente anehe a quello 
dei XII Apostoli, che semb^ essere il medesimo che Giui 
stino martire cita col titolo di Commentari déjgli Apostoli. 
Anche il Protevangelio'che sale ad una grande antichità 
non ha alcuna genealogia, « seèhene. rfiiècontl l'awent* 
de'Magi in un modo che sembra essere stato, copiato ed 
abbreviato da Matteo, pu^e nulla dfee della fuga in Egitto^ 
e dioe invece che Maria sotti*asse il banbioo ddltn strage 
col nasconderlo in una mangiatoia. 

3. Finalmente quei due capitoli sono visibthnente di 
provenienza greca, come ìù dimostrano le varie citaziMii 
del Vecchio Testamento the sono prese dalle versioni gre* 
che, cosa che non poteva fere l'autore dell'Evangelio, eho; 
scrivendo in ebraico, avrebbe naturfthnente trascritte la 
sue dta^oni da! testo originale. i: 

Pare dunque fuori di dubbio che quei due primi capi 
non abbiano alcun rapporto col rimfanente dell'opera^ ^ 
che siano una compilazione di pezzi staccati, e ridniti l'uno 
dopo l'altro in varie occasioni e per diYcrst fiai. 

Colla genealogia, che si sospetta essere lavoro "diairére- 
tteò Cerinto, si volle dimostrare' la disoeMenza ckroàleidi 
6^ù dalla casa^ di Bavidèf e l'utìiana sti^l genenzkMi^ : 



8D0 UBM 8IQ0IIM 

L'episodio della ooneezioae di Maria e nascita di Gesù 
fu agguato in segaito per uno scopo coatrario, cioè per 
provare ch'egli nw era stato jienerato carnalmente; ed è 
degno di osservazione che l'autore di questo episodio, se 
dice che Maria concepì e partorì Gesù restando vergine, 
non ammette la verginità perpetua della medesima, come 
fu sostenuto dai posteriori teologi e statuito in dogma. 

Ifel capo II succede l'episodio dei Magi, il quale sembra 
esser stato immaginato al fine di a|>plicare a Gesù alcune 
tradizioni che correvano sul Messìa, il .^uaie doveva essere 
annunciato da una stella. La fuga in Egitto, di cui non 
parla il Protevangelio, fu forse immagipaia posteriormente 
per ópporla a dò che dicevano aleuni Giudei, i quali at- 
tribuivano i miracoli di Gesù Cristo ad un'arte ch'egli 
aveva Unparato dagli Egiziani. Ma gli Evangelisti, addu- 
cendo che Gesù non era mai stato jn, E^tto se non quando 
Ti fu trasportato bambino, ne venivano ad inferire che 
niente poteva avere imparato colà, e in pari tempo davano 
una spiegazione alla pretesa; dimora di Gesù in un paese 
ove sji può credere ch'egli non sia mai stato in alcun 
tempo. 

Che i genitori di Giovanni Battista si chiamassero Zacpa- 
Ha ed Elisabetta, e che fosserp di stirpe sacerdotale, si 
trova la prixm volta neirEvan^elio (iegli Ebioniti; ma 
Fautore di questo Evangetip s^^va cosi poco che il B^t* 
tteta fosse cugino di Gesù, che anzi nel nominarlo . dice 
un tale chiamato Giovanni; ed ai^ehe la sua origine sacer- 
dotale la dà. non come un fattO; c^Oy nya come una opi- 
nione che earre vn a's^oi tpmpi: Si dkepa che fosse deWi 
o^a di Aronne ^aeerdote $ figlinolo di Zo^^Qoria e di Eli- 
sabetta, sono le sue e^ressioni. 

Dappoi il IHsogno di conciliare la ^setta de'Nazareni oon 
quella de'Giovannitii e di dimostrare c^e Giovanni non 
era si^ilp^ U pffecijr^ore 4i G^ P (*e, lo s^veva ricjo^ 



RIASSUNTO DEI DBS FBIHI CAPI> ECC. 201 

nosciuto 6ome colui che doveva venire, fece immagiuare 
la narrazione dì Luca sopra l'annunzio portato dall'angelo 
a Zaccaria ed a Maria con tutto il rimanente. 

Gesù era notoriamente di Nazareth; eppure il Messia 
doveva uscire dalla casa di Davide e da Betlemme città di 
Davide. 

Per conciliare questa differenza furono seguite due op- 
poste vie. 

GPinterpolatori del primo Evangelio supposero che Giù* 
seppe e Maria soggiornassero abitualmente in Betlemme, 
donde poi si trasportarono a Nazareth onde sottrarre il 
loro figliuolo alla persecuzione di un tiranno. 

Invece grinterpolatori del terzo Evangelio ritennero che 
Giuseppe e Maria, ancorché oriundi di Betlemme, dimoras- 
sero a Nazareth e che G^sù nacque a Betlemme per un 
caso fortuito. A stabilire questa ipotesi concorse la ri- 
membranza del censimento ordinato da Sulpizio Quirino, 
che aveva lasciato radice nella tradizione popolare, cosi per 
la novità del fatto contrario agli usi de' Giudei, e cosi an- 
cora perchè diede luogo ad una sedizione nella Galilea e 
da quel tempo ebbe principio la troppo famosa setta dei 
Zelanti, che in mezzo secolo cresciuta di forvza^ e di po- 
tenza cagionò la ribellióne di Gerusalemme e la distruzione 
di quella città e del tempio fatta dai Romani. A quell'av- 
venimento si. aggiungevano .alcune confuse notizie sopra il 
giuramento di fedeltà ai Romani, a cui Erode aveva co- 
stretto i Farisei ed il popolo; e sopra la strage di quaranta 
giovanetti che per suo ordine furono abbruciati vivi a 
lerico. Questi fatti, ancorché succeduti in tempi diversi, 
ma alla distanza di soli dieci anni, coU'andare del tenl|^ 
si confusero in un fatto solo, e servirono all' Evangelista 
per ordire il suo racconto della gita di Giuseppe e di Ma- 
ria a Betlemme, e della nascita di Gesù. 
Alcune delle prime sette giudeo-crìstiane negavano che 

Crit. degU Ev. Voi. I. i5 



fi02 LIliBO SE<!X)NDO 

Gesù avesse mai avuto una infenzia; supponendo ch'ei 
fosse disceso dal cielo sotto la fonna di un uomo in età 
di circa 30 annidi), componendosi un corpo di vera carne 
e cavandone la materia dai quattro elementi (2); o che ve- 
ramente il Cristo era disceso in Gesù all'atto del battesi- 
mo (3); così, soggiunge sant^Epifanio, per distruggere queste 
false credenze era necessario di dire qualche cosa di ciò 
che Gesù fece nella sua infanzia, e questo fu appunto Pio- 
tendimento di Luca nel raccontare la disputa nel tempio (4). 

Da prima le genealogie non ebbero altro divisamente 
tranne quello di provare la discendenza carnale di Gesù. 
Poi, quando lo spiritualismo dei Gnostici cominciò a far 
breccia anche nel nascente cristianesimo; che in seguito 
ai loro principii il matrimonio venne consiàorato come 
una impurità, anzi tino stato di umana ftnperfezione, e 
che si cominciò a considerare il Messia, il .Cristo, TUnto 
come una emanazione o prelazione divina; allora si formò 
ridea che il Cristo non poteva altrimenti Incarnarsi che 
nel seno di una vergine e per opera di Spirito Santo ; per 
conseguenza fu d'uopo introdurre ncflle genealogie qualche 
lieve modiflcazionci E se prima nella genealogia di Matteo 
si diceva: Giuseppe che fu padre di Gesù^ dopo bisognò dire, 
Giuseppe marito di Maria dalla quale nacque Gesù. Come 
anco nella genealogia di Luca in luogo di Gesù figlio di 
Giuseppe, fu posto Gesù figlio, come si credeva, di Giu- 
seppe, 

Forse i primi conipilatori nelle genealogie non badurono 
a combinazioni numeriche; ma poscia i mistici o gli alte- 

Joristi pensarono d'introdurvi anco cpieste collo aggiungere 
togliere alcuni nomi che vi erano di più i) di meno. Di 

(i) Epifanio, Erètta XXX,*S. e I^Xtt, 4 é teq. 

(2) Idem, £:rMÙi XUV, 2, 

(3) Idem, Ere$ia LI, IH). 
<4) Idem, Eresia LI, 20. 



RIASSUNTO DEI DUE PRIMI CAPI^ ECC. &03 

questa maniera furodo levate le diverse combinazioni set- 
tenarie e furono applicate ai misteriosi rapporti che loro 
attribuiva la dottrina segreta de'teosofl sp^ulativi. 

Noi abbiamo dunque la successiva formazione di sei 
leggende : 

1. Le genealogie di Gesù, 

2. La vergirjità di Maria, 

3. Gli episodi sulla nascita del Battista, 

4. L'apparizione della stella, 

8. La visita de' Magi e la strage de'bambini, 
6. La fuga in Egitto. 

Abbiamo détto più volte che la genealogia di Matteo 
non esisteva nell'Evangelio ebraico di cui si servivano gli 
Ebioniti, e che essi attribuivano ail^apostolo Matteo; si ri- 
tiene che non esistesse neppure in quelli de'Nazarei, di 
Taziano e dei XII Apostoli, che sbno forse i Commentari 
degli Apostoli eitati da Giustino martire. 

Nemmanco etìsteva nei testi da cui furono tratti gli 
Evangeli di Marco e di Luca, perchè il primo la omette, 
il secondo ne dà una affatto diversa, ma era già conosciuta ai 
tempi di Cerinto, cioè verso l'anno 70, o in quel torno, e dal 
suo Evangelio debb'essere passata negli altri. Siccome egli 
era molto attaccato all'opinione di un regno millenario di 
Cristo sulla terra, dopo compiuti i sei millenari che deve 
durare il mondo, così è probabile che sua fosse anco l'al- 
legorica divisione in tre quattrodenari e sei settenari. 

La genealogia di Luca fu probabilmente compilata per 
opporla a quella di Cerinto; ma o non esisteva nei testi 
veduti da Marcione, o se egli l'ha eliminata, convien credere 
che non esii^tesse in tutti gli esemplari e che fosse già 
molto jospetta, perchè altrimenti non si sarebbe ak*riscbiato 
a proscrivere una parte dell'Evangelio che tutti ritenevano 
per autentica. 

La prima opinioRe sembra la più verosimile, perchè Giù- 



904 UBRO SECONDO 

stino martire che scriveva verso il 140, come si rileva dalle 
prime parole del suo dialogo (1^ avendo due volte occa- 
sione di citare o l'una o l'altra genealogia^ non ne fa punto 
menzione, abbenchè i Commentari degli Apostoli di cui si 
serviva contengano molte cose o identiche o simili a quelle 
narrate da Matteo e da Luca (2). Sembra pertanto che le 
due genealogie abbiano cominciato a diventare di un uso 
generale dopo di lui. Sulla fine del II secolo avevano en- 
trambe ricevuto un carattere autentico come lo attestano 
san Clemente alessandrino e sant'Ireneo. 

Fuori dei citati due episodi del primo e terzo Evange- 
lista, della virginità di Maria non si trova più alcuno in- 
dizio in tutto il Nuovo Testamento, come non la si po- 
trebbe inferire dal principio del quarto Evangelio. San 
Paolo, che pure ci rappresenta Gesù Cristo come una deifi- 
cazione, non parla del modo della sua nascita. Lo stesso 
silenzio in san Clemente romano e in san Barnaba. 

Ma si comincia a trovsn*ne un cenno oscuro nel Testa- 
mento dei XII Patriarchi, opera di un Giudeo-cristiano 
scritta verosimilmente verso la fine del I secolo, in cui si 
a dire a Giuseppe flgliuol di Giacobbe: e Vidi che da 
e Giuda era nata la Vergine cinta di una stola di bisso, e 
« che da essa usciva l'agnello immacolato > (3). 

Ma sant'Ignazio vescovo di Antiochia, che scriveva nel 
107, dice esplicitamente che Gesù era nato da una vergine 
per opera di Spirito Santo (4). Egli si serviva a quel che 

(1) Il Giudeo Trifone introdotto a parlare, dice che era cacciato dal suo 
paese in seguito airoltima guerra. Non può alludere che alla sollevazioM 
de* Giudei sotto Adriano nel 136, in seguito a cui furono cacciati i Giudei 
da Gerusalemme e dispersi in gran parte anco quelli di Alessandria, di Ci- 
rene e di altri lu og^ìi. 

(i) Giustino, Dialogo con Trifone, % 100 e ISO. 

(3) Testamentum Xn Patriareharum, XI, 19, in Gallandi, Biblioiheea 
veterum Patrum, tomo I. 

(4) Ignatiì, ad Smymtusos, { I; ad Bphèii9é, $ 18 d 19, in GaiUndi, 
tomo I. 



RIASSUIftO DEI DUE PRIMI CAPI, ECC. 80S 

pare dell'Evangelio de'Nazarei, i quali però noo tutti am- 
mettevano la verginità di Maria (1). 

Questo dogma sembra adunque avere incominciato ad 
Antiochia, ma dapprima se ne parlò in poche parole, come 
appunto si fa da sant'Ignazio e dall'interpolatore di Mat- 
teo. Ma poscia la curiosità volendo sapere come era suc- 
cesso queljfatto straordinario, e surta quindi la necessità 
di occuparsi di più ampi ragghiagli, furono aggiunti gli 
accessprii esposti da Luca; ma la prima fonte de' quali 
debb' essere nel Protevangelio, scritto, per quanto si può 
arguire, nei primi decenni del II secolo , cioè nell' inter- 
vallo corso tra sani' Ignazio e san Giustina martire , im- 
perocché questo secondo li narra, e li tace il primo. 

Sembra tuttavia che i due Evangelisti non si siano co- 
piati a vicenda ; imperocché se il vero o supposto Jacopo 
autore del Protevangelio .avesse attinto alla fonte dell'E- 
vangelista canonico, {non avrebbe omesso l'episodio re- 
lativo alla nascita di Giovanni Battista; e se 1' Evangelista 
canonico avesse copiato l'Apocrifo, non vedo per qual 
motivo avrebbe tralasciata la storia dei Magi e della strage 
di Betlemme. Pare per conseguenza che ciascuno di loro 
abbia desunte le sue notizie dalle leggende che già si 
erano formate fra cristiani!, e sceltele e sviluppatele alla 
propria maniera. 

Quando i cristiani, detti allora Nazarei, cominciarono a 
mostrarsi nella Palestina , erano assai numerosi i Giovan- 
niti discepoli del Battista. Era parimente universale l'o- 
pinione che la venuta del Messia dovess' essere preceduta 
dalla riapparizione di Elia. Quindi i Nazarei per conciliarsi 
i loro emuli e per dare ^ Gesù tutte le attribuzioni di 
un vero Messia, sentirono la necessità di mettere in uno 
stretto rapporto la missione del Battista con quella di 

(1) Epifanie, Eresie XXX, 7 e 9; Teodoreto, Ernie U, %. 



206 LIBIO SECONDO 

Gesù. A questo fine tendono molti passi dei Sinoptiei, ma 
pricipalmente il primo capo di Luca. 

Fin da quando fu scritto T Evangelio degli Ebioniti cor- 
reva una tradizione incerta che il Battista fosse della casa 
sacerdotale di Aronne e figliuolo di Zaccaria e di Elisa- 
betta» perocché queir Evangelio si esprime con un si dice. 
Nel Protevangelio la stessa cosa è ammessa con qualche 
maggiore sicurezza, senza però nulla dire dell'apparizione 
dell'angelo a Zaccaria, della nascita del Battista, e del 
viaggio di Maria per render visita alla cognata. 

Ma l'interpolatore del terzo Evangelio aggiunse queste 
altre nuove particolarità; e tirando una conseguenza dal 
nome di Giovanni, che in ebraico significa Misericordioso, 
suppose che quel nome gli fosse stato dato per ispirazione di- 
vina, come per divino comando il figlio di Maria fu chiamato 
Gesù (Salvatore), per alludere che il Battista era Elia, il pre- 
cursore di colui che doveva usare la misericordia e liberare 
il popolo giudaico. E per stringere viemeglio i rapporti dei due 
personaggi, l'È vangelista, suppose un altro fatto, cioè che 
Maria fosse consanguinea di Elisabetta, e per conseguenza 
ehe Gesù e Giovanni fossero cugini. Con ciò egli veniva 
ad attribuire a Gesù le due qualità di vei;o Messia, cioè di 
re come discendente dalla casa di Davide , e di sacerdote 
come discendente dalla casa di Aronne. Lo scopo della 
leggenda era dunque di convincore i Giovanniti che il loro 
Maestro, lungi dall'avere istittiito una Ssétta a parte e con- 
traria a quella de^ Nazareni, o che questi fossero refrattari 
della scuola di Giovanni Battista, le due sètte non eraoo 
che una soia, il Battista essere il vero Elia vaticinato dai 
profeti, e la sua missione essere stata nientemeno che il 
grand' atto preliminare della missione di Gesù Messia, cui 
egli riconobbe anco prima di nascere. 

Questa leggenda però non sembra essersi stabilita se non 
dopo Giustino martire. Anteriore alla medesima è l' appa- 



RIASSUNTO DEI DUE PRIMI CAPI^ ECC. 207 

rizione della stella, imperocché la si trova chiaramente 
accennata in sant^ Ignazio (i). il qaale ciò natidimeno nulla 
dice della venuta dei Magi e della strage dei bambini^ igno- 
rate eziandio da chi compilò i primi due capi dell^ Evan- 
gelio di Luca. Ma questi ultimi due fatti sono raccontati 
diffusamente e con molta vena poetica nel Protevangolio. 
É però notabile che il Protevangelio non ha la fuga in 
Egitto, perchè, secondo lui, Maria salvò il [bambino Gesù 
nascondendolo nel fieno della mangiatoia; ma anco quella 
fuga era già ricevuta al tempo di Giustino martire, perchè 
egli r ammette come un fatto fuori di controversia. 

Stabilite tutte queste leggende, ne veniva naturalmente 
la conclusione anco de!P uttimir, cioè quella del tr^sloca- 
mento a Nazareth al modo supposto da Matteo , il quale 
non sembra che /osse conosciuto ancora da fiiastino mar- 
tire, che segue a questo proposito un'opinione conforme 
a quella di Luca, senza nulla dire dell' altra, (1). 



(!) Ad Ephemi, \ 19. 

(2) Giustino, Diol. am Trif&M, | 7^ 



LIBRO TERZO. 

STORIA DI GESÙ DURANTE LA SUA PREDICAZIONE 



CAPO t^RlMO. 

PONTIFICATO SIMULTANEO DI ANNA E CAIFA. 

La vita di Gesù patisce un' ampia lacuna per lo spazio 
ctie corre dai 12 ai 30 anni; e che cosa egli facesse in quel 
lungo intervallo, è ignoto. Gli Apocrifi dicono che lavorasse 
da falegname con suo padre : i Commentari degli Apostoli 
seguiti da Giustino Martire specificano la qualità de' suoi 
lavori dicendo che faceva aratri e gioghi (1) , donde si 
arguirebbe che era un operaio di grosso. Marco (II, 4) sem- 
bra consentire cogli Apoorifi, ove introduce quelli di Na- 
zareth, meravigliati che Gesù volesse insegnare nella loro 
sinagoga, a dire : < Non è costui il fabbro flgliuol di Ma- 
t ria? » Forse alla maniera di quasi tutti gli uomini che 
hanno lasciato di sé un gran nome nel mondò ed hanno 
influito sulle sue sorti , V infanzia di Gesù fu avvolta di 
prodigi, e gii anni in mezzo furono abbandonati alla loro 
oscurità, perchè o troppo tedioso, o troppo arduo diven- 
tava il riempirne i vacui biografici con romanzi. Che che 

(f) Giustino, Dial con Trifime, | 88. 



PONTinCATO SIMULTANEO DI AWNA £ CAIFA. 209 

ne sia^ la prima comparsa di Gesù, come profeta, è quando 
si presentò a Giovanni per essere battezzato nel Giordano. 

Luca pone quest'avvenimento, t L'anno XV dell' im- 
€ pero di Tiberio Cesare, essendo Ponzio Pilato procura- 
€ tore della Giudea , Erode tetrarca della Galilea , Filippo 
€ suo fratello tetrarca dell' Iturea e Traconitide, e Lisania 
« tetrarca dell' Abilene, sotto i principi de' sacerdoti Anna 
t e Caifa >. ' 

L'Evangelio degli Ebioniti cominciava in questa guisa : 
t Accadde ai tempi di Erode re della Giudea, sotto il 
t principe de' sacerdoti Caifa, che un tale per nome Gio- 
A vanni battezzasse il battesimo della penitenza nel fiume 
t Giordano. Si diceva che fosse della casa di Aronne sa- 
« cerdote, figliuolo di Zaccaria edi Elisabetta, e tutti usci- 
« vano a lui (1). » 

Invece di Erode re della Giudea dovrebbe dire Erode 
tetrarca della Galilea ^ facendo lusso dì altre indicazioni 
cronologiche , l' esattezza di alcune delle quali soggiace a 
controversia; altrimenti vi sarebbe un massiccio anacro- 
nismo, essendoché Erode il Grande fosse già morto da 26 
anni quando Caifa fu assunto al pontificato. Quest'errore 
per altro potrebbe essere imputabile o al traduttore o ai 
copisti. S. Ignazio, ad SmyrncBOSy dice Erode tetrarca. 

Del resto si vede che Luca ha copiato ed amplificato 
quest'Evangelio. 

Ad alcuni pare un anacronismo quel Lisania tetrarca 
delV Abilene^ essendoché un règolo di questo nome e che 
regnava in una provincia dell'Arabia detta Abela o Abila 
era stato assassinato per ordine di Cleopatra circa 70 anni 
prima. Ma é fuor di dubbio che Flavio Giuseppe parla assai 
volte di cotesta Abila o Abilene chiamata anco lo stato di 
Lisa odi Lisania; e confrontando tutti que' passaggi, sembra 

(1) Epifanio, Erei., XXX, S i^ ^ ^3- 



210 LIBRO TEBZO 

credere ohe all'epoca di cui parla l'Evangelista la provincia 
di Abila fosse governata da un Lisania. Se poi non fosse, 
per essere quella provincia chiamata volgarmente lo stato- 
di Lisania, vi sarebbe nulla di più che un equivoco da 
parte dello storico, il quale suppose che un Lisania ne 
fòsse anco il principe reggente. 

Più erroneo è il pontiflcato simultaneo di Anna e Caifa. 
Il succitato Evangelio degli Ebioniti non parla che di Caifa, 
e fece bene; ma non sappiamo perchè Luca abbia voluto 
aggiungervi anche Anna; anzi questo metterlo il primo e 
Caifa dopo, supponendo l'esistenza di due pontefici in una 
volta, lo che è contrario ai fasti ponieficali lasciatici da 
Flavio Giuseppe, dove si parla sempre di un solo gran sacri- 
ficatore. 

Per tirarsi d'imbroglio il Baronio pensa che Anna fosse 
principe o presidente del gran sinedrio e capo di una fra 
le ventiquattro famiglie sacerdotali, per cui gli veniva confe- 
rito il titolo ad Aonor^m di sommo pontefice. Il Casaubono, 
che lo confuta, asserisce che i pontefici ebrei avevano un 
vicario continuo, e che Anna presso a Caifa occupava questa 
dignità. Il Yalesio e il Tillemont si oppongono coi testo 
di Giuseppe alla mano, nel quale non pure non si trova 
indizio di codesti vicari, ma si trova che il gran sacrificatore 
Mattia la notte precedente il gran digiuno avendo sognata 
di giacere colla moglie, e tenendosi immondo, avvenne il 
caso non più successo per Taddietro, che fosse creato ponte- 
fice per un sol giorno Giuseppe figliuolo di EUemo di lui cu- 
gino (1). I Ghemaristi rammentano questo fatto e ne ag- 
giungono un secondo, cioè che Simeone figliuolo di Camito* 
la vigilia di una festa trovandosi a colloquio con Erode, 
questi per caso gli sputò sulla veste, onde il pontefice re^ 



(1) Giiueppe, AnUchità, XVD, 6, | 4. 



porrriFiCATO simultaneo di anna e caifa. 21 1 
putandosi immondo, V ufficio sacerdotale fu disimpegnato 
da Giuda suo fratello (1). 

Il padre Lami e il Casaubono difendono l'esistenza di quei 
vicari e pretendono cavarne le prove dai parafrasti cal- 
daici (2); ma forse spingono troppo oltre il loro argomen- 
to, perchè il Talmud jerosolimitano noi trattato Sanhedrin^ 
concorde colla storia di Flavio Giuseppe, dice positivamente 
che non presiedevano due pontefici alla volta. Ben si trova 
che anco prima deiresilio babilonico vi era un Cohena-Roec 
Chohen-Misc'nè ossia un primo ed un secondo sacerdote (3). 
Lo stesso dicono Flavio Giuseppe ed Agrippa nella lettera 
a Caio Caligola (4). 

Questo secondo sacerdote si chiamava il Sagan, o Segen^ 
e pel grado era quasi eguale al primo; anzi i Talmudisti pre- 
tendono che nissuno potesse esser promosso regolarmente 
al sommo sacerdozio se non era stato Sagan. Egli vestiva 
e svestiva il sommo sacerdote (5), fissava l'ora in cui si 
dovevano uccidere le vittime e gettare le sorti per estrarre 
a cui toccava di ucciderle (6); ma non aveva il diritto di 
entrare nel Santo de'Santi riservato al solo gran sacrifi- 
catore per una sol volta ogni anno (7). 

Dunque per conciliare colla storia il testo di Luca si 
può ammettere, come pensa Lightfoot, che Caifa fosse il 
sommo pontefice ed Anna il Sagan; ma rests^ ancora da 



(1) Totaptà Jomà, IH, 19. HieroBol. lomà, pag. 210, e Megillah., pa- 
gina 896, nel tomo XTm di Ugolini. 

(2) TiiUmont^ Memoirei pour urvir à VBi$t. i$cle$*, tomo I, pagina 214 
« seq. 

(3) IV, Re, XXV, 18. 

(4) Giuseppe, Antichità, XI, 8, $ 2; Filone, Legazione a Caio, cap. 16. 

(5) Siphrà, pag. 949, nel tom. XIV di tgoUni. 

{ay Inehasin, preaso L.ì;htf«ot, Heroé, pag. 501 • 068. 
(7) Fitone, loe. àu salle attribuzioni del Sagnot vedi le note di Ugolini 
•opra Rabbi Chija nel suo The$aurui, tomo I, pag. 69. 



213 LIBRO TERZO 

spiegare perchè Anna, quantunque di grado inferiore, do- 
vesse essere nominato il primo e come il più autorevole 
di.Caifa pontefice. 

Il Casaubono conghiettura che coloro i quali erano stati 
pontefici una volta ne conservassero sempre il titolo e che 
Luca abbia voluto nominare Anna con Caifa, e nominar 
quello il prfmo cosi per la grande autorità che aveva fra 
i Giudei, come perchè era suocero di Caifa. Ma quest'ul- 
tima circostanza è appoggiata alla sola autorità dell'Evan- 
gelio secondo Giovanni (XVIII, Ì3), ed ha contro di lui 
il silenzio dei tre altri, e segnatamente di Luca, che non 
avrebbe trascurata quella circostanza se Favesse saputa. Si 
può eziandio sospettare che il versetto 13 del capo XVIII 
di Giovanni sia stato manomesso; ei dice: t Prima lo me- 
c narono ad Anna, suocero di Caifa ^ il quale era sommo 
« sacerdote di quell'anno, ed Anna lo rimandò legato a 
« Caifa sommo sacerdote; > passo imbrogliato e non senza 
ambiguità, perchè lascia inferire che Anna fosse il sommo 
sacerdote in uffizio. Forse in origine dicieva semplicemente: 
€ Prima lo menarono ad Anna, ed Anna lo rimandò a 
t Caifa sommo sacerdote: » e le altre frasi ove la quali- 
ficazione sommo sacerdote vi è ripetuta inutilmente, ed 
anche con mal suono, hanno tutta l'aria di essere un glos- 
sema postillato in margine, indi passato nel testo. L'Evaa- 
gelio di Giovanni ha moltissime di simili interpolazione 

È nepp^r vero che i sommi sacerdoti fossero annui, come 
lascia supporre il citato passo del quarto Evangelio; airin- 
contro la loro dignità era a vita, abbenchè dopo la domi- 
nazione degli Erpdi essendo ella divenuta un monopolio 
della potestà politica, quelli che n'erano insigniti siano 
stati eletti o deposti a capriccio dei principi o dei gover- 
natori romani, o dietro, l'impulso della corruzione o delio 
spirito di parte. Solamente dopo la deposizione di Caifa 
si può dire che i sommi pontefici fossero quasi divenuti 
annui. 



POin'inCATO SmULTAITEO DI ÀlfNÀ E CAIFA. 213 

É però vero che Anna godesse di una grande riputa- 
zione fra i Giudei; è vero altresì, che chi era stato pon- 
tefice una volta continuava a portarne il titolo, come si 
ha da più luoghi di Flavio Giuseppe ; ma non ne deriva 
perciò che Anna fosse pontefice in carica, e lo fosse in 
modo così legale da servire di punto cronologico ad uno 
scrittore inspirato colà ove determina l'epoca di un avve- 
nimento delle persone che avevano il maneggio della cosa 
pubblica. 

Chi ha pratica dei paesi ove le prime dignità dello Stato 
sono elettive, e conosce gl'intrighi con cui si conseguono 
e le nimicizie che nascono tra le famiglie pretendenti, 
stenterà ad ammettere la grande intimità che fra Anna e 
Caifa vogliono far supporre gli Evangelisti e i loro com- 
mentatori: intimità spinta al segno, che Caifa, quantunque 
vero pontefice in carica, non lo sarebbe stato che di nome, 
intanto che Anna ne avrebbe condivisi gli onori ed eser- 
citatane intiera l'autorità. 

All'incontro appare dalla storia che Anna e Caifa fossero 
i capi di due potenti fazioni rivali che per vari anni si 
disputarono la somma sacrificatura, la quale appo i Giudei 
non era pure la suprema dignità, ma che fruttava ezian- 
dio ingenti ricchezze a chi la copriva. 

Anna o Annan (in ebraico Channan) primo di questo no- 
me fu creato pontefice da Sulpicio Quirino l'anno VII del- 
l'era volgare, e tenne quella dignità per circa 15 anni. Fu 
poi deposto da Valerio Grato, il quale lasciandosi corrom- 
pere dai donativi, trasmise il sommo sacerdozio prima ad 
Ismaele figliuolo di Jabo che appena il tenne un anno, poscia 
per un anno ancora ad Eleazaro figliuolo di Anna, indi per 
un altro anno a Simone figliuolo di Camito, finalmente 
a Giuseppe sopranominato Kaipha o l'atticciato. Quest'ul- 
timo fu assunto al pontificato l'anno SW dell'era volgare, 



214 LIBRO TERZO 

e vi si mantenne per tutto il tempo che Ponzio Pilato fu 
procuratore della Giudea. 

Verso Panno 38 o 36 Pilato ebbe ordine da Vitellio pre- 
side della Siria di andare a Roma onde giustificarsi delle 
accuse appostegli dai Giudei e Samaritani, ed in quella oc- 
casione essendosi egli stesso trasferito a Gerusalemme de- 
pose Caifa e gli sostituì Gionata, altro figliuolo di Anna. 

Da questa alternativa si può vedere quanto la fazione di 
quest'ultimo fosse potente; ma d'altra parte si rileva che 
il simultaneo pontificato di Anna e di Caifa è un manife- 
sto errore di Luca; che non bene avverata è la parentela 
tra quei due pontefici accennata dal quarto Evangelio; e 
che quantunque, durante il pontificato di Caifa, Anna co- 
prisse la dignità di Sagan, è nondimeno affatto inverosi- 
mile, perchè contrario all'uso giudaico, che esercitassero 
di conserva la dignità pontificale. 

Ho molte ragioni per credere che Anna o Channan fosse 
il rabbi Chanina Sagan de'Sacerdoti, le cui decisioni ca- 
noniche sono citate con molto rispetto dai talmudisti (1). 
Infatti questo celebre dottore era contemporaneo di Ga- 
maliele nipote d'Hiliel e Nassi o principe del sinedrio quando 
appunto viveva Gesù (2). Ciò posto, Anna era infallibilmente 
delia sètta de' Farisei, perchè i talmudisti si sarebbero fatto 
scrupolo di citare un Sadduceo. Sembra nondimeno certo, 
anche per la testimonianza di Flavio Giuseppe, che i suoi 
figliuoli, i quali furono tutti successivamente pontefici, 
seguitassero quest'ultima sètta; e che anche Caifa appar- 
tenesse alla medesima, abbenchè gli Evangelisti ce io di- 
pingano come il capo de' Farisei. 



(i) Mucina P^aehim, I, 7 o8, col. 703; e 714 nel Thetawrui di Ugo- 
Imi, tomo XYII» e nett^edizioDe di Sarenhosios, tomo II. 

(2) Hi€ro§,B0raehot, fog. 94; in Otho, Lexicon rabbimeo-philologieum, 
P. i4. 



porrriFicATo sibiultaneo di anna e caifa. 215 
Infatti a quel tempo quasi tutte le persone opulenti e i 
principali dignitari di Gerusalemme seguivano i principii 
di quella sètta aristocratica, laddove i Farisei costituivano 
quella che ora si chiamerebbe la democrazia o fazione del 
popolo. Che che ne sia di ciò, è pel rimanente fuori di 
dubbio che Anna finché visse, o pontefice o Sagan,.e pa- 
dre di altri pontefici, ebbe una parte rilevantissima nel 
maneggio della cosa pubblica e godette di una grande in- 
fluenza in Gerusalemme. Nello stesso credito si manten- 
nero i suoi figliuoli sino all'anno 67 in cui il pcfnteflce 
Anano, l'ultimo di Qssi, fu assassinato dai Zelanti, e con 
lui giacque oppresso il partito dei nobili. Ciò fu che pro- 
babilmente trasse Luca in errore , e gli fece credere 
€he il potente Sagan condividesse con Caifa V autorità pon- 
tificale. 

CAPO SECONDO. 

BATCE8IM0 DI OfiSÒ. 

Tutti quattro gli Evangelisti consentono neli^ attribuire 
a Giovanni l'uffleio di precursore del Messia; ma seguendo 
i Sinoptici il Battista è Elia, il quale, secondo ia tradi- 
zione giudaica^ deve comparire alla Èm del mondo e pre- 
•cedere di poco Tavvento del Salvatore d'Israele; al con- 
trario Il quarto Evangelio afferma che il Battista essendo 
«tato interrogato se era Elia, rispose esplicitamente di no; 
•e fa dire al Battista cose ahe non sono nei Sinoptici, come 
•questi gliene fanno dire altre che non sono nel quarto 
Evangelte (I). 

I pinoptici ed anco gli antichi Evangeli siro-caldaioi vanno 

(i) Gir. M^t«e,ni, e acq^ llareo, i, 1 eacq; Uca lU^ id e seq.; Gio- 
vanni, I, i9, 25 e seq. 



216 UBRO TERZO 

sostanzialmente d' accordp in ciò che riguarda la predi- 
cazione del Battista; e le differenze che vi sono in più o 
in meno, esaminate in via filologica, potrebbono sommini- 
strare Ja prova della varietà delle tradizioni, ma non di- 
struggere il fatto principale. Noterò soltanto un errore di 
Marco (I, 2) ove attribuisce ad Isaia queste parole/. « Ec- 
€ co, io mando 11 mio angelo (messaggero) innanzi alla tua 
e faccia, il quale parerà la strada innanzi a te. ^ La voce 
« che grida dal deserto, raddrizzate i sentieri di lui. > li 
secondo verso La voce ecc. è veramente d'Isaia (XL, 3); 
ma il primo è di Malachia (Ili, 1), e ben si vede che da 
prima l'Evangelio di Marco diceva: t Siccome è scritto in 
t Isaia profeta : la voce che grida nel deserto ecc. » e che 
una mano posteriore v'incastrò fra mezzo il verso di Ma- 
lachia senza correggere la citazione. 

La predica che i sinoptici pongono in bocca a Giovanni 
è identica in tutto, ma variano gli accessori. In Marco è 
la più breve e la più semplice, ed è forse anche il testo più 
antico, dicendo: « Vien colui che è più forte di me, cui 
t io non son degno chinandomi di sciogliere le corregge de' 
e calzari. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà 
t con lo Spirito Santo. » Matteo v'interpola altre sen- 
tenze , come sarebbe V invettiva che altrove mette in 
bocca dello stesso Gesù , in cui chiama i Farisei razza 
di vipere, e il detto che l'albero che non fa buon 
frutto è da recidersi e gettarsi al fuoco. In Luca la 
predica è anche più diffusa ed eleborata, a tal che nella 
compilazione della medesima si vede il progresso fatto 
dagli Evangelisti nello aggiungervi ciascuno qualche cosa 
di nuovo; ma la diversità più notevole si riferisce al dogma 
del battesimo. Marco fa dire semplicemente a Giovanni, 
eh' egli battezzava colP acqua , ma che V altro del quale 
verrà dopo lui, battezzerà collo Spirito Santo. A quest'ultima 
fi^se, collo Spirilo Santo, Matteo e Luca aggiungono e col 



BATTESIMO m GES^. 217 

fuoco. Ha quale è cotesto battesimo di fuoco^ ignorato da 
Marco ed accennato dagli altri due, e di cui non si trova 
più indizio negli Evangeli? Sarebbe un' allusione al mito 

£ esteriore dello Spirito Santo che in forma di lingua di 
oco discese sugli apostoli? Ma esso non potrebbe dirsi 
I battesimo, perchè fu speciale ai soli apostoli. Bisogna 

quindi che vi sia qualche altra opinione, die poi non 
ebbe seguito e si smarrt neir obblio. 

Luca dice semplicemente: e Quando Giovanni battez* 
« zava tutto \\ popolo, fu battezzato Gesù. > Marco ag- 
giunge che Gesù era venuto appositamente <la Nazareth di 
Galilea per «ssere battezzato da Giovanni. Matteo omette 
la specificazione di Nazareth, dice soltanto venne dalla Ga* 
lilea, ma prosegue con una circostanza tralasciata dagli 
altri due e che si legge neirEvangelio degli Ebioniti; cioè 
che Giovanni non voleya battezzare Gesù dicendo : « Io 
t debbo essere battezzato da te, e tu vieni a me? A cui 
t Gesù rispose: Su via, a. noi si conviene adempiere ogni 
cosa giusta; ed allora lo battezzò. » 

Tutti gli Evangeli canonici ed apocrifi consentono nel- 
Tasserire che dopo il battesimo discese sopra Gesù lo Spi- 
rito Salato in forma di colomba ; ma variano alquanto i 
raggu^gii- I Sìnoptici e TEvangelio degli Ebioniti dicono 
che! appena Gesù usci fuori dell'acqua si aprirono i cieli 
e vide lo spirito di Dìo discendente in forma di colomba 
e veniente sopra di lui od in lui^ ed una voce dal cielo 
disse: e- Questo è il mio figlio diletto nel quale mi com- 
• piacqui. » Il quarto Evangelista parla dello Spirito Santo 
disceso in forma di colómba, ma nulla aggiunge della voce 
sentita dal cielo. Ha invece un fatto molto simile e che 
trasferisce ad un'epoca posteriore. Ei racconta che Gesù 
trovandosi a Gerusalemme cinque giorni prima della Pa-, 
squa, e quattro prima della sua fhòrte, parlando al popolo 
Crii, degli Ev. Yol. L A^ ' 



2(8 . UBIO TEKZO 

idisse (1): < Padre, glorifica il tao nome. Allora una voce 
e fu udita dal cielo: Vho glorificato e lo glorificherò ancora. 
e Laonde la moltitudine ch'era presente ed aveva udito, 
f diceva essersi fatto un tuono. Altri dicevano, un angelo 
f g^ ha parlato. E Gesù rispose e disse : Questa voce noè 
e si è fatta per< me, ma per voi; ora si fa il giudizio di ' 
.€ questo mondo; ora il principe di questo mondo (Satan) 
€ è cacciato fuori. » Come i Sinoptici nulla dicono di que- 
sta seconda voce^ e il quarto Evangelio nulla dice della 
prima, cosi siamo tratti a credere che il mito sia il me- 
desimo in tutti, ma che il quarto Evangelista, sempre di- 
scorde da^i Evangeli di una sorgiva giudaica, lo ha modi- 
ficato e variato a norma delle sue opinioni. 

Un'altra esposizione abbiamo nell'Evangelio del Naza- 
ret (2): « E quando il Signore usci dalPacqua discese tutta 
e la fonte dello Spirito Santo, e riposò sopra di l^i e disse 

< a lui: Figlio mìo, in ciascun profeta io aspettava che 
t tu venissi per riposarmi in te, perciocché tu sei la mia 
e requie, tu sei il mie figlio primogenito che regni in 

< sempiterno. » Più conforme coi Sinoptici era TEvange- 
lio degli Ebioniti (3): < Battezzato il popolo^ venne Gesù, 
j( e fu battezzato da Giovanni. E quando usciva dalF acqua 
e si aprirono i cieli, e vide lo Spirito Santo di Dio in 
€ forma di colomba discendente ed entrante in lui. E una 
e voce fu udita dal cielo dicendo: Tu sei il mio figlio di- 
c letto, in te mi compiacqui. Io oggi ti ho generato. E su- 
^ bito una gran luce rifulse in quel luogo, la quale essendo 
« veduta da Giovanni, cosi parlò a Gesù: Chi sei tu, o 
« Signore? E di nuovo la voce dal cielo: Queisti è il mio 

< figlio diietto in cui mi compiacqui. Allora Giovanni si 

(1) Giovanni, XII, 28. 

(«) Hieronym., IV, CommenU in liai., XI. 

(3) Epifanip, £rej..XXX, J i3. 



BATTESUIO DI GESÙ. S19 

e gettò a' suoi piedi e disse: Ti prego, o Signore, tu mi 
s battezza. Ma queiio lo proibiva dieeodo: Lascia, impe- 
e rocche cosi conviene che si adempia ogoi cosii. » 

Adunque l'Evangelio di Matteo si vede che fu elucubrato 
sul medesimo fondo, che servi air Evangelio degli Ebioniti ; 
e r episodio di Giovanni che vuol essere battezzato da Gesù 
omesso da Marco e Luca^ è probabile che non esistesse 
nei documenti che copiavano, perciocché si trova neppure 
nei Commentari degli Apóstoli citati da Giustino martire, 
e fu verosimilmente suggerito dal bisogno^ già nQtato al- 
trove, di far sentire ai Giovanniti che lo stesso loro mae- 
sjtro aveva riconosciuta la superiorità di Gesù. La frase: 
In oggi ti ho generato^ che è nel testo degli Ebioniti e nei 
Commentari degli Apostoli (1), sebbene cavata dal salmo II, 
fa espunta dai Sinoptiei probabilmente perchè se ne ser- 
vivano alcuni settari per provare che il Cristo era stato 
generato in quel giorno medesimo in cui Gesù fu battez- 
zato, e che era disceso in Gesù soltanto all'atto del bat- 
tesimo, come chiaramente lo esprime l'Evangelio degli 
Ebioniti colla frase anteriore discendente ed entrante in lui. 
TiUtavolta è da avvertire che se Matteo e Marco dicono 
cbe lo Spirito Santo in forma di colomba discese sopra 
Gesù, Luca più conforme air Evangelio degli Ebioniti e al 
lora dogma dice che discese in Gesù. Noterò fra poco al- 
cune altre coincidenze fra Luca e gli Ebioniti. 

Pare incredibile come dopo un testimonio cosi evidente 
in ifavore di Gesù, e che in un popolo divoto e in tanta 
aspettazione del suo Messia doveva produrre i più mera- 
vigliosi effetti, abbia egli incontrato tanta difficoltà nella 
sua missione, e in tutto il corso della sua vita non sia 
riuscito a persuadere alcuno, tranne pochi barcaiuoli ed 
altre persone deirinflmo volgo (2). Perciò, io dubito ass^^i 



(!) OiasUiio, DUlsgo «oh Trifim, % 88* 
(i) Origene» Centra Celio, n» 46 



fSO UBRO TEBZO 

che qaella voce discesa dal cielo non sia un mito imma- 
ginato per applicare a Gesù alcune tradizioni che correva- 
no fra i Giudei. 

Gli antichi rabbini raccontano che dopo la' morte degli 
ultimi profeti Aggeo, Zaccaria e Malachia lo Spirito Santo 
fu tolto da Israele e che invece gli fu sostituito la Figlia- 
voce Figlia della Voce (Bath-Kol) molto celebre nel Tal- 
mud. Aggiungono che una volta i dottori stando seduti 
nella casa di Goria a Jerico, si udì la Figlia della Voce ve- 
nire dal cielo che disse: t Questi è colui sul quale è degno 
e che riposi la gloria di Dio, siccome sopra Mosè; ma il 
t suo secolo ne è indégno: * ed allora tutti i sapienti 
gettarono gli occhi sopra il vecchio Hillel (1). . 

Questo celebre rabbino fondatore della più famosa scuola 
de'tradizionalisti, rivale e rimasta pòi superióre alla scuola 
di Sciamai, era contemporaneo. di Gesù Cristo, e mori 
verosimilmente dopo di lui; il suo amico Ben-Gorion passa 
per uno tra i più opulenti cittadini di Gerusalemme. Quanto 
alla Figlia Voce udita a Gerico i lettori non stenteranno a 
persuadersi essere un mito inventato dai discepoli d'Hillel, 
onde vieppiù accreditare la fama del loro caposcuola , ma 
un mito che divenne tanto popolare quanto Io era la cele- 
brità del rabbino a cui si riferiva. 

Si noti la grande conformità fra cotesta Figlia della Voce, 
e la voce udita dalcielo degli Evangelisti; fra le parole della 
Ghèmara e quelle degli Evangeli che ne seml)rano una imi- 
tazione; e la circostanza, che i Ghemaristi pongono il fatto 
a Jerico; — e sulle rive del Giordano, poco lunge da Je- 
rico, pongono 41 fatto anche gli Evangelisti. Siccome la 
traduzione de' Ghemaristi è di formazione anteriore agfi 
Evangeli e trova vasi già molto divulgata' quando questi 



(1) Excerpta Sqnhedrtn, ì, i8 n^ld (^re éì Qv% QKceào, umo VII, 

pag. 63. .....> 



BATTESIMO DI GESÙ. 921 

furono compilati, cosi si può benissimo conchiuderne che 
gli Evangelisti si siano appropriati quell' aitro mito rabbi* 
Dico, che faceva discendere lo Schechina ala santifica- 
zione sopra un uomo prediletto, come discese sopra Mosè» 
e l'applicarono a Gesù. Se la tradizione dei Ghemaristi 
appartiene veramente a quella antichità eh' essi dicono, 
bisognerebbe conchiudere che ella esisteva ai tempi di 
Gesù, e che gli Evangelisti, vollero mostrare essersi veri- 
ficato in lui quello che per V immaturità de' tempi non 
9i potè verificare nel rabbino Hillel. 

L'idea di attribuire allo Spirito Santo la forma di una 
colomba ha il suo fondamento nel culto sacro che tutti i 
popoli della Siria rendevano a quel volatile e che non è 
del tutto estinto fra i Musulmani (1). Se ne ignora l'ori- 
gine, ma sale alla più remota antichità. Fu opinione di al- 
cuni ohe la Der della Siria (Venere o la Natura) nascesse 
dall'uovo di una colomba (2), ed è forse la ragione primi- 
tiva per cui quel volatile fu dedicato a Venere. Stando ad 
una antica ed oscura favola greca, derivata da qualche tra- 
dizione teologica dell'Oriente, Giove si trasformò in co- 
lombo per giacere colla vergine Ftia (3). Altri vogliono 
che Semiramide figlia di Derceto o Atergatis fosse stata 
Dodrìta dalle colombe; altri, che posciachè fu uccisa dai 
figlio, volasse al cielo trasmutata in colomba, e sotto quella 
forma l'adorassero i popoli come una divinità (4). 

Nella Genesi la colomba è la messaggiera di pace a Noè; 
nella legge mosaica occorrono spesse volte i sacriflzii gra- 



di) SaiQt-c|oiz» Rich^reheg tur k$ my$ièrei du Pagmiime, tomo II» 
pag ii% e Silvestre De Sacy, ivi, e nella Chrhiomatie Arabe, tomo Ut 
ptg. 464, fleeodd» edii. iS36. 

(S) Bayle, DieL Métonqm^ art. Àrima$^ rem. A. 

{é^ AeliaDiy Varia Eiitoria, l, 18. 

C4) Diodoro SicvL, I, 4» « U, aC^ Ateoagora, Liy«fiofSi pei critUa^ 
I 30. 



222 LIBRO TERZO 

tulatorii od espiatorii di una o di due colombe ; Salomone 
per esaltare la sua amica la compara più volte ad una cor 
lomba; in Isaia essa è il simbolo di una pia e patetica me- 
ditazione (1); ed altrove compara a colombe i popoli che 
correranno a Gerusalemme per adorare il Signore (2). In 
Geremia la spada della colomba è la spada delPira di Dio (3). 
Celso rammenta una tradizione esistente fra gli ebrei, e 
che passò anco ai cristiani, secondo la quale Iddio sareb- 
be disceso in figura di colomba ed armato di fuoco per 
distruggere il mondo (4); ed un apocrifo di origine giudaica, 
ma anteriore al cristianesimo, dice che Iddio fra tutti gli 
uccelli uno solo ne santificò (Vulgata, elesse), la colomba (5). 
E persino i rituali etruschi riservavano ai Te, nella loro 
qualità di pontefici e capi della religione , il privilegio 
di trarre augurio delle colombe (6). 

Insomma quest'uccello nella Siria e nella Palestina era 
un'emblema sacro (7), e gli Evangelisti seguitarono Fopi- 
hione popolare simboleggiando in esso l'immagine visibile 
dello Spìrito Santo. Si osservi per ultimo che in ebraico 
Jenah (colomba) e Rovah (spirito) sono egualmente di ge- 



(1) Isaia, XXXVm, i4; eLlX, H. 

(2) Isaia, LX, 8, cosi anche Osea, XI, I. 

(3) Jcremia, XXV, 38, XLVI, 11, e L, 17, secondo la Vulgata, perchè il 
testo ebraico può offrire uq altro senso» 

(4) Origene, Cantra Celta, IV, li. 

(5) IV, Esdra, IV, 33. Versione daU'Etiojàca di Lanrenee e AelU Vnl^ata, 
V,36. 

(6) Serviut in Aeneid. VI, v. 190. 

(7) « Una Tolta che io andava a portare preghiere e sacrifizi al tenqpio 

• dei padri nostri (In Gernsalemme)» passando per Aséalona città marittima 

• della Siria, fni maravigliato del numero quasi -inibito di colombe dio 
« vedeva per le strade e«a tutte le case; ed aveudooe diiesio la. cagione mi 
« tn risposto, essere cosa illecita il prenderie^ e che i dtta^ni se ne erano 
« interdetto Taso da tempi antichi. » rHone, #» Ufe^ I, presao Bttsdbk)^ 
Preparaz. EvangeUca, VHI, 14, pag. 398. edix. di Parigi, 1038. 



BATnsav) DI caso. 223. 

nere femminino^ e ehe gli antichi Giudei, come i primitivi 
GristiaDi^ sotto il nome di Rovah Akkadose (spirito santo o> 
spirito di santità) non intendevano già una terza perscMia 
della Trinità come i moderni teologi cristiani, ma una in-> 
suflazione o emanazione di aura divina, o una specie di^ 
calore . divino che riempieva o avviluppava un, essere 
umano. 

Si può dunque ritenere come un fatto storico che Gesù 
fa battezzato, e che per qualche tempo sia anche stato 
discepolo di Giovaniu^ e for^ fino all' epoca in cui questi. 
fa imprigionato ; naa le parti edorite ^sopranaturali che 
accompagnarono il battemmo ci è forza di classificarle tra 
le finzioni poetiche, co^ nel ninno accordo nella deseri-' 
zione tra quelli ehe le raccontano, e pel ninno efiTetto a^Q 
produssero sulla mente di coloro che si vogliono ess^e 
stati testimoiii. Secondo un dogma posteriore, il battesimo- 
laihi dal peccato originale; ma gli Evangelisti nulla ne di^ 
ooiio^.ed anai vi sono contrari, in quanto che anche Gesù si 
fece battezzare, ei^mre, secondo i teologi^ egli era esente da 
quel pe^»Lto. Giovsòini lo predicava come un battesimo di 
penitenza, cioè ^me un rito di pùrificazioiie esteriore e 
embolo d' una pxErìficazione iatema. 

CAPO TERZO. 

jU TGNTATIpICB NEL DESERTO. 

n q«trto StiiieMt pone U battesimo di Gesiii in un 
dato giorttef;; il fierao seguente (o ahoeno poc^ gioj^ 
&po^ Terdò rara deciiM pone la VofeaziOne di Andrea, che, 
seécHida liU , f m' im diaed|ioié del BaWstt ; poi quella di 
Simon Pietro suo fratello ; la domane, terzo giorno^ Gesù 
mole andare inetta Gidika ed ineontra Fil^n[)o di B^saida 



SS4 UBM 

e eompitrioU di Andrea e di Pietro, che aggiange al na* 
Biero de' suoi seguaci; e di II a poeo fa Io stesso eoa Na- 
tanele; qaindi yanno tutti Bella Galilea, un viaggio di cir- 
ca 70 miglia italiane, e tre giorni dopo, cioè il quinto 
dopo la vocazione di AAdrea, che può essere il sesto, o 
tutto a più Tettavo od il decimo dopo il battesimo, Gesà 
si trovò alle nozze di Gana, ove fece il primo suo mi- 
racolo. 

Da Gana, secondo lo stesso autore, Gesù passa a Ga* 
fhmao colla madre, i fratelli e i discepoli ; ivi restano pò- 
chi giorni, ed essendo vicina la pasqua. Gesù va a Geru- 
salemme. Da ciò hassi a conehiudere che il battesimo di 
Gesù accadde te primavera, tre o quattro settimane avanti 
a pasqua, ossia tra il febbraio ed il marzo. 

Per converso, i Sinoptici, subito dopo il battesimo , di- 
cono che Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per 
essere tentato dal diavolo, ove stette 40 giorni e 40 notti (1). 

Anco qui gli Armonizzatori per conciliare tanta disparità 
sappongono che Giovanni ahbto trascurato il racconto 
della tentazione per narrare, a guisa di riempitivo, alenai 
fatti omessi da'suoi antecessori; ed è sempre con si fatte 
ipotesi che fa mestieri travagliare il cervello per mettere 
in accordo narrazioni evidentemente discordi. 

E vaglia il vero, i racconti, di Giovanni sono cosi legati 
fra di loro per uoa esatta designazione dei tempi, che non 
si può, senza violentare il tèsto, collocare fra il battesimo 
e le nozze di Gana l'episodio della tentazione. 

Rigettando adunque V improbo sforzo di concordare i 
Sinoptici col quarto Evangelio, e fninaBdoci al racconto 
dei primi, 4 oscuro che cosa intendono per quello Spirita 
che trasporta Gesù nel deserto. Luca dice: f Gesù, pieno 
di Spirito Santo, tornò dal Giordano ; e fu condotto Mlfai 

<1) MMleo rv. 1 sef. ; Utrao I, Ù • ieq.; Uoa lY, I e teq. 



lek TERT4ZI0RE NEL DESERTO. SS^ 

spirUOj nel deserto. » La frase del testo greco di Luea 
m tò pniwna che io traduco letteralmente nello spirito, fu 
dalla Volgata e da altri antichi interpreti tradotta dallo 
spirito; ma se non erro furono indotti a cì& da nissun' 
altra ragione fuorché dalla necessità di volerla concordare 
colle espressioni dei due precedenti Evangelisti. Eppure Io 
stesso Luca alquanto più abbasso (lY, 14) spiega chiara- 
mente quello che intende di dire, imperocché dopo com- 
l^ute le tentazioni soggiunge : e E ritornò ^esù nella virtù 
« (djfHomis) dello spirito nella Gaiflea. » Egli é dunque 
evidente chci secondo Luca, Gesù fu condotto nel deserto 
pop una pressione dello spirito da cui era invaso, cioè 
4ello S{Hrìto Santo, e che per una preissme eguale del 
medesimo spirito fu ricondotto neUa Galilea. Questa idea 
4i Luea co{ndde a cappeUo colla idea che di Gesù si 
«raiio firtta ij^i Ebiomti, cioè di un uomo in cui all'atto del 
ktttesimo s'immedesimò lo Spirito Santo. Ella è quindi in 
^eoiitradizione con quanto il medesimo Evangelista aveva 
necontato precedentemente intorno alla concezione e na* 
jeita di Gesù. 

Ma tale non* sembra essere V intendimento di Matteo e 
■tfco. n primo si esprime cosi : « Allora (dopo il batte- 
« irimo) Gesù Ai condotto nel deserto per |essere tentato 
4 dal diverto. » -*- E P altro : « E subito (dopo il batte- 
« Simo) lo spirito lo sospinse nel deserto; ed ivi era nel 
^ deserto per guaranta giorni tentato da Satana. > — Il 
firimo àiofìaio che fu condotto, non aggiunge da chi, ma la 
ftassa saia frase lascia sottintendere dò che è spiegato 
de|^ altri e pare per conseguenza che accennino entrambi 
ad ano spirito mafefloo; e si osservi altresì che nulla di- 
cono dello Spirito Santo, di coi fu ripieno Gesù e che lo 
liceva muovere. 

La lingua ebraica deir Antico Testamento non ha un 
vocabolo che traduca V idea da noi intesa col vocabolo 



SB UBM TEIZO 

greco DiùbtOos (calunniatore, detrattore) ; e Satan (avrèr- 
sario), a cai i traduttori alessandrini sostituirono diavoìOj 
appo gli anticbi ebrei significava nulla più che un uomo 
nemico o di cui si temeva nemicizia. Soltanto verso i tempi 
deir esilio babilonico o dopo di esso la parola satan fu 
adoperata per significare l^angelo o il genio del male (1). 

Questa dottrina gli ebrei la portarono dalla Persia ; ed 
anche la dottrina su^ spiriti essi non cominciarono a co- 
noscerla se non dopo che si trovarono in prossimo com-^ 
mercio cogli Arabi, i Siriaci, e i popoli di là dell'Eufrate* 

Nel libro o poema drammatico di Giobbe (I e II) che ha 
un' origine evidentemente araba, troviamo Iddìo seduto a 
concilio, e innanzi ajui i gei|ii buoni e mateici efae ren* 
dono conto delle loro azioni. 

Nel libro dei Re, libro terzo^ si rappresenta Iddìo che, sédu- 
tofiul suo trono ó dreondato à destra e a sinistra daii^eserdto 
celeste, interpella ehi vorrà sedurre Accabbo acòiocdtè votàà 
in battaglia e vi miu^. Cii^cuno propone il suo parere; 
per ultimo usci fuori uno spirito che, pres^t^osi davanti 
al Signore , gli tlisse : lui essere capace d' ingannare Ac-^ 
cabbo col fiarsi siHrito di menzogna nella booea de' àuoi 
profeti (2)* L' idea fòndamentale è precisamente la st^flÉ 
cosi nel mito ebraico , cotte nel mito arabo , c(»ifennata 
anco nel mito cristiano^ laddove Luca (I, 10) ùl dire a 6a» 
briele: Io sono Oubrièk the sia difmtvA a Diq^ di maniera 
che ci viene a raffigurare Iddio cotte un gran re cìrcbnp^ 
dato dalla sua corte. EU'era dunque un' opinione stabilita 
trsL i Giudei al tempo di Gesù eb# Dio si dreòndi di spi- 
riti benefici à malefici, i quali operano sc^conik) bt ridpetUvt 
loro natura ; ed uno di colesti spiriti malefici doveva es*^ 
sere quello eie sospinse Gèaù nel deserto» 

(1) Gir. Simonis, Lexicon manuale h^hraicwn et ealdakwnf edit. Eic- 
born, pag. 1030. 
(1) m^ Re, XXH, 10. 



LA TENTATORE lOBL DESERTO. 2St 

Anche la scelta del teatro ove doveva sacceBere la tén- 
ta2iotie staili rapporto colle opinioni o creAenze allora do- 
minanti: t Anche prima delP esigilo (4) ^i ebrèi d^edet* 
e tero nella esistenza di certi Seirim (fauni, satiri) che àbi« 
t tavano le solitudini o tra le rovine di diroccati edifizl; 
e Sembra quindi molto antica l'idea giudaica che attri-' 
e buiva a Satan la f(n*ma caprina, a un di prèsso come 
t Greci F attribuivano ai loro Dei bosciierecdj e i nostri 
€ pittori al diavolo. Ma f(^se l'idea de' Giudei fu sogge-* 
I rita da un sentimento di avversione allo strano culto 
e che quei di Mèndbs iii E^to rèndevano ad un capro^; 
e Altri demoni Citatóri dei deserti erano- forse Azazel/ al 
e quale si miMidavi^ ógni anno il capro emissario, ed Asmo- 
e dal che l'angelo Raffaele confinò nei desertidélla Tebaide t 
Del rimanere sembra eifó fòsse popolare l'opinione che* 
gli spiriti maKgBt errano per J^upghi deserti ed inaquosi; 
perchè duo tra gli Evangelistì pongono in bocca di Gesù' 
questa opihioné,^ come se fbsse una comune credenza (2). 

6H Bvangefijrii non ispiegano lo scopo djslla tentazione, mdf 
si yede chì|3iro che' Sataii era tormentato dalla curiosiSit 
di conoscere cki fasito quell' uotno sópra euì si erano ma- 
nifeiteti fanti protigi. Infoiti sant'Ignazio nel 107 diceva 
che la V6rpfnt& di Maria, U suo parto e la^orte del Si*^ 
gnoré rastarono oecUU tt deiÉoìua (S)^ cioè «he quéi misteri 
si adempitrbno sensa eh' egli potesse avvedersene. Circa 
treni' anni doposant'Ignazio^ san <}iuifiiio martire pensava 
die il demofiiòi^^n sapeva se eolni eha doveva venire fossQ 
flgte # Dia o fi(tto di un uòmo , e se doveva restare in 
terra o aseeiùlei^e in cielo {^), 

(i) Mia Stmia^itgU Sbni émrmkil Mfoncto itm^ pégi. Sea e U aa* 
tariti ivitUirte. 
(i) Maueo, XU, 43; Luca, XI, 24. 

(4) Ginstino/I» Apologia, 1 54. 



SH uno TERZO 

Forse o V ami o l'altra, o un misto di ambidue, era an- 
che l'opinione dei^' Evangelisti. Un'altra opinione stabilita 
fra i Giudei al tempo di Gesù Cristo e che derivava dalla 
teologia persiana era questa: Nel prìmo giorno della crea- 
sene Iddio creò Samael, Pangelo della morte a cui affidò 
r impero su tutto il mondo materiale, tranne la Palestina 
che, come Tèrra Santa, Iddio la riservò per sé. Samael è 
perciò chiamato il principe del mondo (Sar-ha-Olàm), o il 
principe di tutti i demoni (Rose col ha-Satanim) (1). 

Questa istessa mitologia campeggia da capo a fondo in 
tutti 'e tre gli Evangeli e nelle epistole di san Paolo, da 
cui rilevasi che la potesti delle tenebre, ovvero $ia di Sa- 
maele o di Satan, avrebbe cessato col principiare del re- 
gno del Messia. 

Dicono gli antichi rabbini che anco i 4emoni conoscono 
il futuro, perdiè lo spiano stando ad ascoltare dietro il 
velo del santuario celeste (f)« 

^ L'opinione espressa di sopm da sant'Ignazio e da Giustino 
qiartìre di cntU primo può avere conosciuto alcuno de- 
gli apoi^toli, e l'altro i più prossimi loro discepoli, si può 
senz'alcuna esitanza ritenerla come un' opink>ne sparsa firt 
gli apostoli e fira i primi discepoli del ^cristianesimo ; 
di maniera che si potrebbe inferirne che Satan sentendo, 
per mdti segni, awidnarsi la fine del -suo regno, e mm 
avendo, mai potuto scoprir pulto intorno a a>lui che doveva 
venire, rimase perc^ attonito aUorehè suite rrve del Gior* 
dano si fece udire una celeste voce che parittdo di Gesà^ 
disse: QnesU è U^mi» fylia diletto, nel^Mle nUéén^fUtid; 
ma volendo accertarsi se Gesù era qi^l figlio di Dio ebe 

(I) Ve^gaasi le Mrtorità lalmodidie presto Liddlboi; Hotm kebHtkm et 
Idlffitidtecr, pag. 562 e W6, ove eommento i pam <fi Luca XXII» 53, e fi 
(Hovanni XII, 3i. ^ 

(S) SanhedrmBab^l X. eoi. 386, In UgoUai, loa. lOLV. Cfr. Tertallìaai, 
Apoìog. XXn. 



LA TEIfTAZIOllE RKL DESERTO. 

doveva rovesciare il suo regno, lo spinse nel deserto per 
trarlo alla prova. 

Tale sembra essere stato l'intendimento degli Evangeli- 
sti nel raccontarci il mito della tentazi<me, il quale per 
altro è in piena contradizione colla grande pubblicità dipro« 
digi che precedettero e accompagnarono la nascita del 
Battista é di Gesù. Imperocché infatti come Satan che ha la 
scienza degli angeli, e tiene a sua disposizione miriadi <tt 
spiriti sparsi in tutto l'universo, avrebbe ignorato che un 
angelo annunziò a Zaccaria la nascita del Battista e la con- 
statò con un miracolo che ebbe un effetto pubblico: che un 
altre angelo annunziò a Maria la concezione di Gresù? Come 
avrebbe ignorato V incontro, di Maria con Elisabetta, e il 
resto de' fatti meravigliosa che concomitarono la nascita di 
Gesù? e che tutti lo facevano conoscere per l'aspettato 
Messia? Marco non ia parda dei mezzi adoperati da Satan 
per tentare Gesù e dice semplicemente òhe Gesù stette 
e 40 giorni nel deserto per. esser tentato da Satan, ed 
e abitava colle fiere, e gli angeli lo servivano-». Questa 
laconica espiosizione si divide in tre momenti: che Gesù 
stette iO 'giorni nel deserto; che abitava eolle fiere; che 
durante qaeì soggiorno gli angeli lo servivano. 

Pel primo, Marco è perfettamente d'accordo con Luca, 
ed aache con Matteo, se non che quest'ultimo ai 40 giorni 
aggiùnge 1^ 40 notti , lo che per vero dire non importa 
alcuna variazione. 

Il secondo manca a Matteo e a Luca, ed è perciò una 
eincostanza tutta specis^ al secondo Evangelio, il quale 
sombra alludere al passo dlsaia (XLIII, 19):. « Ecco io fo 
€ unat cosa nuova, che or ora si mostrerà; non la rìco- 
« Boscerete voi? Io metterò ancora una via. nel deserto 
« e de?flumi nella solitudine. Le fière sthestrij i draghi e 
« gli struzzi mi glorificheranno perchè avrò messo delle 
€ acque nel deserto. » 



180 XIMO TERZO 

. U terso floUmeate è omesso da Luca; e Matteo lo pone 
dopo la partenza del diavolo. 

Marco noD dice che in quei 40 giorni Gesù mangiasse 
niente. Matteo dìee che digiunò, ma lascia inferire ci» 
fosse un digiuno molto rigoroso; e Luca dice esplicitamente 
Cbe in tutti quei giorni mangiò niente. Queste progres- 
sione fa vedere che l'idea del digiuno^ poi di una astinenza 
HBsolute di cibi furono introdotte l'una dopo Faltra, in via 
4i aumenteùone, negli Evangeli, ove in origine non vi era 
uè l'una né l'altra. Arrogi che §e Gesù colla natura umana 
ne indossò anco tutte le afSizioni e le caducità, come è 
dogmaticamente insegnato dai teologi, è impossibile che 
potesse tollerare una cosi lunga e cosi assolute astinenza 
di cibi; e se l'ha tollerata, uopo è credere che vestisse 
un corpo fantastico, come era l'opinione dei Doceti; nel 
^uale caso non vi sarebbe steto più nessun miracolo. 

In quanto agli iq>edienti usati da Saten per giungere al 
conoscimento che desiderava, Matteo e Luca narrano che 
dopo i 40 giorni Gesù ebbe fame. Se il digiuno lo pati in 
qualità di un ente sopranaturale ed alieno dai bisogni umani, 
come lo pati 40 giorni poteva patirlo 4S, 80, 100, 1000; 
ovvero dopo i 40 giorni cangiò egli di natura si clie in* 
cominciasse solo allora a provare la fame? Se poi la pati 
come uomo, «doveva sentir la fame anco prima, essendo 
incredibile die un uomo, in fi^to di sanità, possa tolle- 
rare un digiuno cosi lungo e cosi assoluto; e anmiesso 
CbQ sia possibile, bisogna pur sempre convenire che gii 
effetti della fame dovevano incomiiiciare a far^ sentire pò- 
c^i giorni dopo l'a^nehza. Torse gli Evangelisti vollero 
dire che al compiere dei 40 giorni egli non poteva più 
sopporterò quali' astii^naa? In questo caso bisognerebbe 
concedere che le facoltà sopranaturali di Gesù erano li- 
imitate. 

Che che ne sia, tosto che Gesù ebbe fame Satan gli disse: 



LA TEifTAnon hl deserto. 

e Se tu sei figlio di Dio, di a queste pietre che 3i con- 
c vertano ia pane. > Dalla quale proposta Gesù si tira con 
una risposta evasiva. Ma il demonio cosi scaltro nelle cose 
umane e divine, per convincersi che Gesù era il figlio di 
Pio, aveva egli bisogno di un miracolo, che in [verità non 
era il non plus uUra dei miracoli raccontati e creduti fino 
allora? Hosè, Giosuè, Elia e tutti gli altri proleti ne aveva* 
no fatto di ben più straordinarì; era già un miracolo ab* 
bastanza stupendo quel digiuno assoluto di 40 giorni, e 
oonvertire poche pietre in pane era poca cosa a petto 
degli altri portenti che avevano preceduta ed accompagnata 
la nascita di Gesù, e che dovettero far sapere al demonio 
assai più di quello che desiderava; o per avere una prova 
che Gesù supiirava tiitti gli altri profeti, il demonio chiese 
quel miracolo, forse perchè non si trovava esempio che 
altri avesse convertito le pietj*e in pane? 

Gesù rispose : « Sta scritto che l' uomo non vive di solo 
e pane, ma d^ogni parola che procede dalla bocca di Dio » . 
Questa sentenza del Deuteronomio (Vili, 3) jiel testo ebraico 
e come segue: e Ed ioti afflissi (è Dio che parla al popolo 
e d'Israele) ed io ti afflissi e ti feci patire la fame, e ti 
e feci mangiare il Man, perchè tu non lo conoscevi né lo 
€ conobbero i tuoi padri, ,^d io volli fartelo conoscere: 
€ perchè V uomo non vive di solo pane, ma vive V uomo 
e di ogni cosa che esce dalla bocca del Signore ». Cioè, 
cbe r uomo non vive di solo pane, ma di tutte le produ* 
zioni che Dio ^eó colla sua parola e rende commestibilL 
Ma Gesù, secondo i due Evaingelisti, dà a queste parolq 
un senso m(H*ale; e la sua sentenza è vera, se si parla 
della vita intelletti va:, ma parlandosi della vita fisica è as- 
soiittainente néce^uirìo il pane od altra cosa che lo sur- 
roi^i; e se ad un uomo che dice di aver fame, invece di 
dargli da mangiare gli si dasse il consifi^io di studiar la 
parola di Dio o di aspettare un miracolo ohe soddisfi al suo 



appetito, ei sarebbe un consiglio discretamente comico^ e 
la risposta di Gesù coincide al medesimo punto. 

Svanito il primo esperimento, il diavolo, secondo Matteo,. 
trasportò Gesù sul ptnacolo del tempio a Gerusalemme,, 
dicendogli: e Se tu sei figliuolo di Dio gettati abbasso; 
« imperocché sta scritto, che Iddio comandò a' suoi ao* 
• geli di tenerti sollevato colle loro mani , acciocché 
e il tuo piede non si offenda contro i sassi ». La citazio- 
ne di Satana si trova nel Salmo XC, 11, e Gesù gli rispo- 
se con un'altra sentenza cavata dal Deuteronomio (VI, 16): 
e Non tenterai il Signore Dio tuo * . Ed é curioso che 
Gesù e il diavolo citino la Legge ed i salini dietro la ver- 
sione grec^ e non secondo Toriginàle ebraico. É non meno 
curioso che il diavolo si tenga soddis&tto di quella risposta, 
invece che avrebbe dovuto abbandonare Gesù sulla guglia 
del tempio e starsene ad osservare come faceva a discen- 
dere. Invece lo trasporlo sopra un monte alto assai, e 
mostrandogli tutti i regni del mondo e la loro gloria, 
promise di darglieli se volesse adorarlo. Ma Gesù Igli 
rispose: e Vanne, o Satan, imperocché sta scritto: Adorerai 
e il Signore Dio tuo, e quello solo servirai » : sentenza 
del Deuteronomio (VI, 13) cavata anch'essa dalla versione 
greca, come le antecedenti. Questa maniera df citare fai 
versione greca piuttosto che l'originale ebraico é una 
prova che il riferito episodio drammatico fra Gesù e Satan 
è posteriore alla formazione dei primitivi Evangeli siro- 
caldaici e deve la sua Invenzione ai cristiani-greci. Infotti 
non è in Inarco, il cui Evangelio é il più . semplice 
e il più conforme agii antichi originali. Luca ha le stesse 
cose di Matteo^ ma colloca la trasportazione sul monte 
prima di quella sul piaacolo .del tempio, il che non 
sembra conforme alla naturale sucee^ione d^ aweiki- 
nienti. Qui si vede che ambi i narratori attributseojiìo al 
demonio ed agli angeli un <;orpo palpabile^ altrimenti come 



LA TENTAZIONE NEL DESERTO. S!S5 

supporre che Satan potesse rendersi visibile, articolare 
una voce umana e trasportare per aria Gesù vestito di 
carne e di ossa come gli altri uomini? e come supporre 
che gli angeli potessero sostenerlo colle loro mani? 

Rispetto ai demoni, pare che quella fosse J' opinione dei 
contemporanei, e se ne hanno traccie in più luoghi degli 
Evangeli. Secondo i rabbini antichi i demoni hanno sei 
proprietà, per tre delle quali somigliano agli angeli e per 
tre agli uomini. Come gli angeli hanno le ali, come gli 
angeli volano da una estremità all'altra del mondo, e come 
gli angeli hanno cognizione delle cose future. Ma come gli 
uomini mangiano e bevono, si congiungono e moltiplicano 
come gli uomini, e muoiono come gli uomini (1). 

Racconta Flavio Giuseppe che tutta la copertura del 
tempio era iitta minutamente di aghi d^oro, acciocché non 
vi annidassero gli uccelli o si fermassero ad imbrattarla (2); 
in tal caso, come Satan potè collocarvi Gesù? Difficilmente 
un uomo avrebbe potuto tenervisi. 

Lightfoot pretende che il diavolo mostrasse a Gesù e gli 
promettesse l'impero romano e la sua pompa; e lo prova 
— 1. Perchè quei solo impero poteva essere chiamato tutto 
Vtmiverso; 2. Perchè tutte le città erano meschine a petto 
di Roma; 3. Per^chè Roma à la sede di Satan, come ap- 
pare dall^Apocalisse, ed è dove egli esercita la sua tiran- 
nide; facendo^ da buono anglicano, allusione al papa (S). 
Ma dimenticò di dirci ove si trova quella montagna tanto 
alta dalia cui cima si potesse dominare tutto ^impero 
romano. 

Hichselis pensa che nell'originale ebraico vi fosse Erez^ 

(i) lomà, fol. 69, in Boxtorf, Lexicon talmud, rahhinicum, pag. 2339. -» Cha- 
ghigà fol. i6. I, presso Eisenmenger. Entdeck tes ludenthum, tomo li, 
pag. 415 nella traduzione dì Hottinger, pag. 124. 

(2) Giuseppe, Guerra giudaica, Y, 6, § 6. 

(3) Lightfoot, Horce hebraicce et talmudiccB, pag. 277. 

Crii, degli Ev. Voi. I. 47 



334 LIBRO TERZO 

ohe può significare la terra o il paese; ovvero Tibel^ Vu- 
niverso^ e che poteva significare Vuniversa Palestina ; ma 
che il traduttore greco prese nel senso più esteso. più 
verosimilmente che nel testo fosse scritto: Kol mimlecot 
ha Zebì. — Tutti i regni nel paese egregio, — e che il tra- 
duttore abbia scambiato Zebì con Zabà^ che i LXX in più 
luoghi * tradussero Cosmos, il mondo. Cosi il tentatore 
avrebbe promesso a Gesù non tutti i regni del mondo, 
non tutto l'impero romano, ma tutti i regni della Pale- 
stina che si potevano vedere dal monte Nebo, sulla cima 
del quale Gesù sarebbe stato trasportato (IK Ma questa 
esplicazione, per quanto sia ingegnosa ed erudita, sente un 
po' troppo la ricercatezza, né corrisponde alla intenzione 
degli Evangelisti ed alle opinioni dominanti in quella età. 
Aggiunto che neppure dal monte Nebo sembra possibile 
che si possa vedere tutta la Palestina. \ 

Marco, Matteo e Luca si trovano perfettamente d' ac- 
cordo sul fatto principale, cioè che Gesù fu sospinto dallo 
spirito nel deserto per essere tentato. Ma il primo dicendo 
che Gesù abitava colle fiere (s'intenda, senza che gli faces- 
sero alcun male) e che gli angeli lo servivano, lascia in- 
ferire che Satan l'avesse riconosciuto pel figlio di Dio; il 
che si accorda con vari fatti susseguenti ove il demonio, 
per bocca degli ossessi, fa quella confessione. Invece al- 
cuni Greci che interpolarono l'Evangelio di Matteo tradotto 
nella loro lingua, o che lavorarono su quello di Luca scritto 
originalmente in greco, vi fecero delle variazioni. Il testo 
di Luca suppone che in quei 40 giorni Gesù si stette 
senza mangiar niente; quel di Matteo esprime incirca la 
stessa cosa, ma invece di dire semplicemente 40 giorni, 
dice 40 giorni e 40 notti^ per confermare il suo testo con 
altri luoghi analoghi del Vecchio Testamento. 



(i) Miohaelis, Einleitung in die Schrlflen des Neuen Bundes , § lo7, 
pag. 4000. 



LA TEITTAZIOlfE IfEL DESERTO. S35 

Come fu già osservato, Marco non ha le tre tentazioni 
che si trovano descritte nei due altri Sinoptici abbenchè 
con un ordine diverso; ma anco in questo sembra che 
da prima due soltanto ne siano state immaginate : quella 
di convertire le pietre in pane, e quella di promettere a Gesù 
tutti i regni della terra se voleva adorare Satan, che pas- 
sarono egualmente nei testi del primo e del terzo Evangelista. 
Poi gl'interpolatori dell'Evangelio di Matteo ne fecero tre, 
che disposte per ordine sono le seguenti: 1. di convertire 
le pietre in pane; 2. di gettarsi dal pinacolo del tempio; 
3. di adorare Satan mercè il compenso di tutti i regni del 
mondo. E come la seconda mancava nei testi di Luca, così 
qualcfce postillatore la notò nel margine, eà un amanuense 
la trasferi nel testo, ma fuori di luogo; di maniera che 
quella che è seconda in Matteo divenne terza in Luca, e 
viceversa. 

Le tradizioni mitiche già esistenti contribuirono alla for- 
mazione di questo mito. Il profeta Elia, le cui gesta erano 
sommamente popolari, soleva essere dallo spirito traspor- 
tato da un luogo all'altro (1); lo spirito trasporta egual- 
mente Ezechiele dal fiume Chobàr ove si trovava in esilio, 
a Gerusalemme (2'. Perchè il Messia Gesù doveva essere 
da meno? Si riteneva che nei deserti abitassero gli spiriti 
malefici, dunque in un deserto doveva essere trasportato 
Gesù. Abramo, il patriarca della -schiatta d'Israele, quando 
ricevette da Dio il comando di sacrificargli il figliuolo, e 
che si recò al luogo deserto per eseguire il comando, fu 
incontrato da Satan che lo tentò in varie maniere, e gli 
SUggeri varii sofismi onde indurlo adeludere il divino 
precetto; ma la fede di Abramo non si lasciò smovere (3). 

(1) in, Re, xvni, 2. 

(2) Ezechiele, XI, 1. 

(3) Ghémara, BahyL Sanhedrin, X, col. 8^ n^l Thesaurus di Ugolini, 
tomo XXV. 



^6 LIBRO TERZO 

Con qualche modiJBcazione questa antica leggenda rabbi- 
nica fu applicata anco a Gesù, che al paro di Abramo do- 
vette essere tentato dairavvèrsario. Il 40 era tra i numeri 
sacri degli ebrei: 40 giorni piovve a tempi del diluvio; 
Isacco aveva 40 anni quando prese moglie; 40 giorni fu- 
rono impiegati ad imbalsamare il corpo di Giacobbe ; Mosè 
visse 40 anni alla corte di Faraone, 40 anni nel deserto 
di Madian, e per 40 anni governò Israele; 40 anni erra- 
rono gli ebrei nel deserto; 40 giorni digiunarono i Nini- 
viti. E se dai libri sacri passiamo alle tradizioni talmudi- 
che, il celebre Hillel venne da Babilonia a Gerusalemme 
in età di 40 anni, insegnò 40 anni, e resàe la sinagoga 
40 anni (1); un altro celebre rabbino, Jochanan Ben Zaccaì 
esercitò la mercatura 40 anni; resse la sinagoga 40 anni; 
finalmente il non men celebre rabbino Akiba fu illetterato 
40 anni, e resse i Giudei altri 40 anni (2). 

Ma quello che più monta si è che i due più grandi pro- 
feti del giudaismo, Mosè ed Elia^ avevano passato 40 giorni 
e 40 notti a digiuno, Puno sul monte Sinai e l'altro in 
un lungo viaggio. 

Dunque per equipareggiare Gesù ad essi^ ed anco ren- 
derlo superiore, conveniva fargli subire una prova eguale 
più ardua. Cosi, come Abramo fu tentato da Satan, 
fu tentato anche Gesù; uno spirito trasportava Elia, e uno 
spirito sospingeva o trasportava Gesù ; e se Mosè ed Elia 
digiunarono 40 giorni e 40 notti, un altrettanto lungo di- 
giuno esperimentò Gesù. 

Lo spirito trasportò Ezechiele dall'Assiria alle porte del 
tempio, e Gesù fu pure dallo spirito trasportato sul pi- 
nacolo del tempio. 



(1) Siphri, col. 992, nel The$auru$ antiquitatum hebraicarum dì Ugo- 
lini, tomo XV. 

(2) Berescìt Rabbà, fol. 115, 3, presso Lightfoot. Sorse hehraietB et tal- 
mudkoe, pag. 714. 



LÀ TENTAZIOIfE NEL DESERTO. 237 

Finalmente la tradizione rabbinica ci ba conservato que- 
st'altro mito, cioè : che Dio avendo fatto salire Mosè gal 
monte Nebo, gli mostrò Funiverso mondo dal di che lo 
creò, fino al di della risurrezione de'morti (1); ma, dicono 
gli antichi rabbini, tutte le nazioni del mondo in faccia a 
Dio non valgono quanto la sola nazione d'Israele (2). Po- 
nendo Satan invece di Dio, lo stesso mito fu applicato. a 
Gesù. 

Senza dubbio più di una volta i Giudei opposero ai 
primi cristiani: Abramo, padre nostro, fece questo; Mosè 
ed Elia fecero quest'altro; che ha fatto il vostro Gesù? 
Ond'essi furono costretti ad imitare od inventare leggende 
o miti che dimostrassero essere Gesù non punto inferiore 
ad alcuno di quei tre celebri personaggi della storia 
giudaica. 

Questa necessità non contribuì per pòco alla formazione 
degli Evangeli, e ne abbiamo già accennato più di un esem- 
pio, ed altri ci occorrerà di notarne in seguito* 

CAPO QUARTO. 

NOZZE DI CANA ED ALTRI FATTI DI GESÙ 
NEL QUARTO EVANGELIO. 

Il fatto delle nozze di Cana, che l'Evangelio di Giovanni (II) 
dice essere il primo miracolo operato da Gesù,, abbiamo 
già veduto non essere ptinio conciliabile colla narrazione 
de'Sinoptici; e preso isolatamente, egli è un miracolo di 
una alquanto bizzarra natura, di cui si trovano bene altri 
esempi negli Evangeli apocrifi della Infanzia, ma nissuno 
negli Evangeli ortodossi, ove se ne [tolga il miracolo del 

(1) Siphri, col. 986, in Ugolini, tomo XV. 

(2) Ibidem, col. 656. 



338 ^ UBRO TfiEZO 

pesce in bocca a cur furono quattro dramme, e che tutta- 
volta è ancora meno bizzarra di questo. 

Tutti i miracoli di Gesù, ancorché operati sul fisico, 
hanno sempre uno scopo utile e morale; ma la trasmuta- 
zione dell'acqua in vino ad un convito di nozze, ove i 
convitati erano già ubbriachi, se Timmoralità non è nello 
scopo del taumaturgo, è almeno negli effetti delia sua 
azione. 

Egli è quindi incredibile che Gesù, cosi modesto e tem- 
perante, volesse con un miracolo promuovere P intempe- 
ranza altrui; e sarebbe stato più conveniente se veggendo 
i convitati già ebbri, avesse trasmutato il vino in acqua 
onde impedire che prevaricassero a peggiore -disordine e 
dar loro una lezione di sobrietà. Ood'io ne conchiudo. che 
questo miracolo, sconveniente al carattere di Gesù, è una 
fantasia popolare come tante altre che si leggono nei leg- 
gendari de^'santi, e poco giudiziosamente adottata dall^'E- 
vangelista. 

Sant'Epifanio pretende che a Cibira nella Caria vi fosse 
una fontana ove ogni anno l'acqua si cangiava in vino al- 
Tora medesima che Gesù aveva operato lo stesso miracolo a 
Cana: e attesta di avere egli stesso bevuto di quell'acqua (1): 
cosa che si può credergli senza difficoltà, ma non cosi che 
l'acqua della fontana si òangiasse in vino, ove» non vi fosse 
qualche sacerdotale furberia. 

Plinio attribuisce una proprietà simile ad una fontana 
delPisoIa di Andros, la quale ogni anno, agli idi di gen- 
naio (2; zampillava vino; e chi sa che il miracolo di Cana 
non sia che una immaginazione per mettere la taumatur- 
gia di Gesù a parallelo di queste credulità spacciate in 
molti luoghi e passate in fede appo i Gentili? 



^*^,?,f*'»^o»Haer, 11,30. 

W Plinio, Utor. natur,, m. 103. 



ROZZE DI <2AIfA, ECC. 239 

Subita dopo il miracolo di Cana, il quarto Evangelista 
manda Gesù a Cafarnao, indi a Gerusalemme per Pasqua^ là 
ove scaccia i mercanti dal tempio. 

Di quest'ultimo fatto, che. Giovanni colloca al principio 
della vita pubblica ^i Gesù e i Sinoptici alla fine, parleremo 
in altro luogo. 

Sempre discorde dai Sinoptici, il quarto Evangelista pro- 
segue a raccontare la conversione del fariseo Nicodemo^ 
uomo principale fra i Giudei, e quel medesimo che, seguen- 
do lo stesso Evangelista, aiutò Giuseppe di Arimatea a dare 
onorata sepoltura a Gesù. Un tal Nicodemo è completa- 
mente sconosciuto a Matteo e Marco; neppure Luca ne, 
parla, ma ha invece (XIX) la conversione del ricco publi- 
cano Zaccheo. Pure le circostanze sono diverse. La conver- 
sione di Nicodemo avvenne in sul bel principio della mist 
sione di Gesù, laddove quella di Zaccheo successe sulla fine 
e qualche settimana avanti la sua morte. La prima accad- 
de a Gerusalemme, F altra, ai Jerico. 

Nicodemo si converti in seguito, di un colloquio notturno 
con Gesù; Zaccheo invece si era arrampicato sopra una 
pianta per vederlo passare, e Gesù Io chiamò dicendogli 
che voleva desinare da lui. Il diverso modo tenuto dai due 
per conoscer Gesù indica che il primo era una persona 
civile, l'altro un plebeo. 

Con tutto questo vi sono dei punti di rassomiglianza. 
Giovanni ha l'aneddoto di Nicodemo e non quel di Zaccheo; 
Luca ha quel di Zaccheo e non l'altra Nicodemo- era prin- 
cipe (ArcQfi) de' Giudei, cioè membro del consiglio muni- 
cipale di Gerusalemme, o presidente di quel consiglio, Zac- 
cheo era principe de'publicani (Architelonis), viene a dire 
il magistrato che sopraintendeva alle pubbliche rendite od 
uno de' principali arrendatori. Oltre di che non tanto ci 
sorprende che i Sinoptici non abbiano la storia di Nicode- 
mo stante la perpetua disparità che è ft'a di loro e il quarto 



240 UBEO TEBZO 

Evangelista, quanto che Matteo e Marco non abbiano U 
storia di Zaccheo sebbene raccontino anch'essi il passaggio 
di Gesù da Jerico. 

É anco da non omettersi che questo Zaccheo, in un an- 
tico Evangelio citato da san Clemente alessandrino, e chia- 
mato Mattia (1); la quale varietà dì nomi non manca di 
gettare nell'oscurità od anche di rendere sospetta la fede 
storica del racconto. Ond'io m'induco a credere che Mattia, 
Zaccheo e Nicodemo siano nomi tolti a prestito per or<iirvi 
intorno un avvenimento, mercè del quale si aggiun- 
gessero nuova test^onianze alla missione messiaca di 
Gesù. 

Mattia è lo stesso di Matteo, il quale, come ognun sa , 
era un publicano, o per dir meglio l'agente subalterno dì un 
publìcano ossia di un esattore delle pubbliche imposte. 
Quindi ràneddoto fu forse trovato dapprima per ispiegare 
la sua convezione; ma -poscia essendo prevalsa una spie- 
gazione diversa, al nome di Mattia ne fu sostituito un altro, 
e si andò a cercarlo fra le popolari celebrità contemporanee. 
Celebri oltremondo erano Nicodemo figliuolo dì Goria e 
Giovanni figliuolo di Zaccheo, fioriti non molto tenipo dopo 
Gesù Cristo. 

Il primo stimavasi il più opulente cittadino di Gerusa- 
lemme, aveva un'unica figlia che portava in dote un milione 
di denari d'oro, e il suo lusso era proverbiale. Sembra che 
prendesse parte nella guerra giudaica (l'anno 67), dì cui 
la sua figlia fu una misera vittima; imperciocché caduta 
iu povertà, prigioniera dei Romani, divenne la schiava di 
alcuni beduini che la mandavano a custodire il bestia- 
me (2). 



(i) Clemente alesa., Stromtti, IV, pag. 579 ad Potter., confronU col trat- 
tato dallo Slesso Clemente, Qual rUeo $i iaherà % 13. 

(2) Siphri, col. 856, in UgoUni, tomo XV; Lightfoot, Horae, pag. 609; 
Scheidii, Loca Talmudica (Novum Tettamentum ex Talmude illustratum) 
pag. i47. 



NOZZE DI CARA^ ECC. 241 

Giovanni flgliuol dì Zaccheo (Jochanan Ben Zakai) si 
applicò da prima al commercio poscia agli studii, e diven- 
ne celebre rabbino contemporaneo di Nicodemo , per la 
cui figlia scrisse l'istrumento di nozze. Fu presidente della 
accademia di Gerusalemme^ poi di quella di Jabne. Durante 
la guerra giudaica prese parte pei Romani, fu onorato da 
Vespasiano e morì dopo la distruzione del tempio (1). 

Cosi, per una confusione d'idee, non è difficile che del 
raììbino Giovanni flgliuol di Zaccheo, principe dell'accade- 
mia, si sia fatto il Zaccheo principe de'jpublicani del- 
r Evangelio di Luca. Ma ir quarto Evangelista, coli' intento 
di dimostrare che gli uomini più celebri, ancorché in se- 
greto, avevano conosciuto e confessato il Messia in Gesù, 
andò a cercare una tale celebrità nel ricco Nicodemo. Noi 
troveremo in progresso altri indizii di si fatte applica- 
zìoni« 

Dopo la conversione di Nicodemo il quarto- Evangelista 
<III, 23) mena Gesù ed i suoi discepoli per la Giudea e 
dice che battezzava. Per io che i discepoli di Giovanni 
Battista se ne querelarono col loro maestro, il quale con 
11Q ragionamento mistico e molto ingarbugliato, come è 
sempre lo stile di quell'Evangelio, dichiara di non essere 
il Messia e rende una nuova testimonianza in favore di 
Gesù. Anco di questo i Sìnoptici hanno niente, e non 
dicono giammai che Gesù o ì suoi discepoli battezzassero. 
Ouindì lo stesso quarto Evangelio si corregge più abbasso 
<IV, 2), ove dopo aver detto che Gesù faceva molti discepoli 
e battezzava come Giovanni, aggiunge tra parentesi sebbene 
Oesù non battezzasse^ ma % suoi discepoli, il qual passo 
non è nel codice de' Templari ed è visibilmente una inter- 
polazione di uno che con una postilla volle emendare il 

(1) Slphri, col. 859, in Ugolini, tomo XV ; De Rossi, Delia lingua prò- 
•pria di Cristo, I, 44. 



242 LUAO TEIZO 

testo dell'Evangelista, e la postilla scritta nei margine passò 
poscia nel testo. 

Il medesimo autore (Capo IV) prosegue a narrare che 
Gesu^ nel tornarsene nella Galilea, passò per la Samaria, 
v'ebbe l'incontro colla Samaritana al pozzo di Giacobbe. 
Neppure di questo i Sinoptici- fanno parola^ ma vi sono anzi 
apertamente contrari, conciossiaehè nissun di loro io faccia 
mai passare per la Samaria, e fra le istruzioni che Gesù 
diede a' suoi discepoli, Matteo (X, 5) gli fa comandare for- 
malmente che non vadino nelle città de^ Samaritani. 

In fatti fra Giudei e Samaritani suissisteva un antico 
odio nazionale fondato sopra motivi politici e religiosi. La 
Misc'na conta i Samaritani nel numero de^li empi che 
non avranno parte nel secolo futuro, cioè nella risuire- 
zione de^ morti (1), e i Talmudisti asseriscono cha i Sama- 
ritani furono scomunicati dai Giudei in un congresso te- 
nuto da Ezra sacerdote, Zorobabele capo del popolo e 
Gesù sommo pontefice, — che fu proibito di mangiare con 
loro, di riceverne alcijino fra i proseliti e li esclusero dalla 
risurrezione de' morti; o se qualdie Samaritano voleva 
entrare nella comunione de' Giudei, lo obbUgavano a circon- 
cidersi un^ altra volta (2). 

Anco Luca ^IX, 52j dice che Gesù quando andò a Ge- 
rusalemme volendo passare per la Samaria fu respinto dai 
Samaritani medesimi. É vero che più abbasso (XVII, 11) 
afferma positivamente che passò in mezzo alla Samaria 
ed alla Galilea^ ma vi è senza dubbio un errore; perchè 
Gesù essendo nella Galilea, per andare a Gerusalemme 
dovea fluir di percorrere la Galilea, poi attraversare la 



(i) Mise'nà, Sanhedrin, X, 6; e 1q due Ghèmare su questo laogo. Questo 
capo X della Misc'na, nella Ghémara Baby le, è trasportato al capo XI. 

(2) Lightfoot, HwcB, pag. 614; Eisenmenger. Entdeektes ludenthum, to- 
mo I, p. 118. 



NOZZE DI càsa^ ecc. 345 

Samaria, e non attraversare prima la Samaria, poi la 
Galilea. 

La versione siriaca sembra correggere questo contro- 
senso dicendo che Gesù volendo andare a Gerusalemme 
passò dal paese de' Samaritani nella Galilea, e pare che si 
riferisca a ciò che è narrato di sopra, cioè che Gesù volen- 
do andare a Gerusalemme mandò avanti i suoi messi, i 
quali entrati in una città dei Samaritani non furono rice- 
vuti; di modo che Gesù trovandosi già sul territorio de' 
Samaritani, tornò indietro. 

Si vede in fatti dal medesimo Evangelista (XIX, 1) che 
Gesù non fece la strada della Samaria, ma quella della 
Perca di là dal Giordano, e che passato questo fiume 
venne a Jerico e da Jerico a Gerusalemme. 

Ma se gli Evangeli sinoptici derivati da uu^ fontei giu- 
daica professano la loro avversione ai Samaritani, il quarto 
Evangelio scritto evidentemente da un Samaritano spiega 
una tendenza opposta affinei di provare ai cristiani giuda- 
izzanti che Gesù avea predicato anco ai Samaritani, e va 
fino al punto di offrire a Gesù un asilo nella Samaria 
quand'era perseguitato dai Giudei di Gerusalemme (1). E 
sicuramente collo scopo di stabilire lo stesso principio, od 
sdmeno di sventare le prevenxionr sfavorevoli agli eretici 
di Samaria, furono scritte la parabola del Samaritano 
benefico e la storia dei dieci lebrosi guariti da Gesù, di cui 
un solo, ed era un Samaritano, andò a ringraziarne il 
suo benefettore ; Queste parabole si leggono nell'Evangelio 
di Luca e non si trovano in nessuno dei tre altri (2). 

Del resto nel racconto del quarto Evangelista vi è una 
contradizione ove fa dire alla donna: t So che deve venire 
e il Messia, t Una Samaritana poteva ella dire una cosa 



(1) Gtovanoi, XI, 54. 

(2) Luca, X, 30; e XVU, 12. 



244 uno TKftzo 

simile essendoché la idea di un Messia fosse tutta pecu- 
liare ai Giudei? È vero che Isaia, al capo XI, che i Tal- 
mudisti applicano tutto intiero alla istoria messiaca (I), 
dice che in que' giorni di universale prosperità non vi sa- 
ranno più nemicizie fra Efraim e Giuda. Ma i Samaritani 
rigettavano tutti i libri del Vecchio Testamento, tranne il 
pentateuco, dal quale non si può arguire niente del Messìa, 
ove il solo passo che vi fa qualche allusione (2) non sia 
interpretato secondo le tradizioni de' rabbini sconosciute 
ai Samaritani. Si vede altresì che l'Evangelista ha messo 
in bocca alla donna quelle parole : < So che deve venire 
e il Messia, il quale ci istruirà di ogni cosa; > onde far 
passaggio alla risposta di Gesù : < Quel desso sono io che 
e ti parlo , e ed alla implicita conclusione che il Messia 
era venuto anco pei Samaritani. 

CAPO QUINTO. 

GESÙ IN GALILEA. 

Tornado ai Sinoptici (}), Luca racconta che, compiute 
le tentazioni, il diavolo si ritirò da Gesù usque ad tem- 
pus (4), cioè fino ad una certa epoca in cui il diavolo farà 
l'ultima prova; e allude forse alla fine del mondo presente, 
con che deve terminare il regno del principe delle tene- 
bre; indi soggiunge che Gesù nella virtù dello spirito tor- 
nò in Galilea. Matteo e Marco dicono invece che passò in 
Galilea tosto che Giovanni Battista fu imprigionato, donde 
si ricaverebbe che sino a questo tempo aveva sempre di- 

(1) Excerpta SaDhedrin, XI, i5, nelle 6pp. di Gio. Gocceio, tomo VII. 

(2) Geneti, XLIX, 10. 

(3) Matteo, IV, 12 seq.; Marco, I, 14, seq; Loca, IV, 14 seq. 

(4) Cfr. Daniel., XII, 4 e 7. 



GESÙ IN GALILEA. 245 

morato Della Perea. Luca aggiunge che andò a Nazareth 
ove fu nodrìto, ed un sabbato si diede a spiegare Isaia 
nella sinagoga e ad applicare a sé stesso le predizioni mes- 
siache di quel profeta. I Nazareni indignati òhe egli, uomo 
volgare, ardisse alzarsi ^ tanto, lo trascinarono fuori della 
città, sul pendio di una rupe, onde precipitarlo; ma gli 
riusci di scappare e passò a Cafarnao. Marco dice niente; 
da Matteo ben si rileva che Gesù era stato a Nazareth 
prima di andare a Cafarnao, ma omette le altre circostanze 
di Luca: il quale al contrario suppone che (ìesù, prim'anco 
di venire a Nazareth, fosse sfato a Cafarnao , e vi avesse 
operato dei prodigi. 

Adunque secondo Marco dopo che Giovanni Battista fu 
messo in prigione Gesù va nella Galilea, gira le spiagge 
del lago di Tiberiade, chiama a sé Pietro ed Andrea^ Ja- 
copo e Giovanni, e in un sabato entra con loro in Ca- 
farnao. 

Secondo Matteo, dopo che Giovanni fu messo in pri- 
gione Gesù va nella Galilea, lascia Nazareth per andar ad 
abitare a Cafarnao, comincia la sua predicazione girando 
le spiagge del lago di Tiberiade, eìegge Pietro ed Andrea, 
Jacopo e Giovanni, percorre la Galilea con loro, tiene 'il 
discorso sul monte €;d entra finalmente a Cafarnao. 

Secondo Luca, finita la tentazione. Gesù è trasportato 
dallo spirito nella Galilea, fa prodigi a Cafarnao, passa ad 
insegnare a Nazareth, vi corre pericolo della vita, è co- 
stretto, a sottrarvisi, torna a Cafarnao, fa nuovi prodigi, 
guarisce la suocera di Pietro, e alcuni giorni dopo elegge 
Pietro, Jacopo e Giovanni fra i primi suoi discepoli. 

Che che si possa dire o lare, egli é molto difiQcile di 
mettere in armonia storica queste tre cosi discrepanti 
relazioni. 

Marco non ammette alcuna gita a Nazareth ; Matteo 
r ammette , ma anteriore a questa gita a Nazareth non 



246 UBIO TERZO 

ammette alcuna gita a Cafarnao. Luca invece io fa an- 
dare prima a Cafarnao , poi a Nazareth , indi ancora a 
Cafarnao. Secondo Luca, Gesù dopo la tentazione passa 
immediate nella Galilea. Secondo Matteo e Marco, Gesù 
dopo la tentazione resta nella Perca sino alP imprigio- 
namento del Battista; spazio di tempo che non possiamo 
determinare, ma che almeno è di alcuni mesi^ e forse 
anco di un qualcha anno. Luca ha particolarità ignorate 
dagli altri; e tutti tre, o nei fatti identici o che si rasso- 
migliano, variano neir ordine e nella successione. Il qual 
difetto doveva essere inevitabile a scrittori che compilavano 
i loro racconti sopra memorie incerte o tradizioni orali 
alterate col passare di bocca in bocca e manipolate da cia- 
scuno secondo il proprio gusto. 

Matteo, seguendo il suo costume di applicare una pro- 
fezia quasi ad ogni azione di Gesù, dice: < Gesù udendo 
t che Giovanni era stato imprigionato si ritirò nella Ga- 
€ lilea, e lasciata la città di Nazareth venne ed abitò in 
€ Cafarnao sul mare (1) di Tiberiade nei confini di Zàbulon 
< e di Nèftali, acciocché si adempisse quanto fu predetto 
€ da Isaia profeta : La terra di Zàbulon e la terra di Nèf- 
c tali, la via che mena al mare di là del Giordano^ la Ga- 
« lilea de' Gentili. Il popolo che giaceva nelle tenebre 
t vide una gran luce; e la luce spuntò a coloro che gia- 
€ ce vano nella regione dell'ombra di morte ». 

Qui pure abbiamo una citazione che non corrisponde col 
testo, e che è nemmanco tolta dall'originale ebraico, ma 
d8\lla versione greca ; lo che dimostra che essa non esisteva 
nell'Evangelio ebraico attribuito a Matteo, ma che è una 
interpolazione fatta dai traduttori. Isaia (Vili, 21) parla di 



(1) In ebraico iam significa egualmente acqaa, mare o lago; è perciò che 
i traduttori greci dei primi Evangeli ebraici invece di lago tradussero sem- 
pre mare di Tiberiade o di Genezaret. 



6E$d m GALILBA. 347 

Samaria che fra poco debb' essere desolata dal re di As- 
siria, e alludendo al popolo di Samaria, dice : « E passerà 
• per la sua terra indurato ed affamato, e quando sarà 
« affamato, s'irriterà e maledirà al suo re ed jà\ suo Dio e 
t guarderà in alto. E guarderà sopra la terra , ed ecco 
« tribolazioni e tenebre, oscurazione di angusti e di spinta 
< caligine. Imperocché non è intenebrato quello che viene 
€ ad angustiare la seconda volta; La prima volta alleggerì 
€ la terra di Zàbulon e la terra di Nettali, e P ultima volta 
€ fece essere grave la strada del mare di là del Gior- 
€ dano,*la Galilea delle genti ». In termini più chiari 
vuol dire, che il re di Assiria nella prima sua invasione 
danneggiò soltanto le terre di Zàbulon e le terre dì Nèf- 
tali, le quali alleggerì di abitatori; ma che nell'ultima spo- 
polò tutto quanto il paese, e il numero de' prigionieri fece 
grave la strada che da Samaria va verso il lago di Tibe- 
riade, e mena alle regioni di là del Giordano detta la Ga- 
lilea dei Gentili che era la strada per andare neir Assiria. 

Tre infatti furono le invasioni dei re di Assiria nello 
spazio di 16 anni, per l'ultima delle quali restò distrutto il 
regno di Samaria (i). 

Dopo di avere profetizzata la servitù (nel capo Vili), 
Isaia (al capo IX) comincia un nuovo argomento e profe- 
tizza la liberazione: « I popoli che camminavano nelle te- 
« nebre videro una gran luce, e la luce splendette agli 
€ abitatori dell'ombra di morte ecc. ecc.; » le quali parole 
con tutto quel che segue, Jarchi le allude ai Gerosolimitani 
dopo la disfatta di Senach^erib; ma altri rabbini le i|i tendono 
nel senso messiaco. Ad ogni modo nel testo ebraico i due 
argomenti sono distinti; ma gli antichi interpreti greci con 
quella libertà che si osserva in tutta la loro traduzione 



(i) Seder 'Olam.f cap, XXII, e il Commentario di Gio. Meyer sopra di 
esso a pag. 1120; Salomon Jarchi, Commentario sopra I$aia, Vili, a pag. 67. 



218 UBAO Tcazo 

unirono i' ultimo verso del capo Vili col primo dei capo IX, 
e lo tradussero licenziosamente nel modo riferito dall' E- 
yangelista. Ora quantunque T Evangelio attribuito a Matteo 
sia stato originalmente scritto in ebraico, è certo dalla testi- 
monianza di san Papias chjs le primitive traduzioni presen- 
tavano molte varietà, o che i traduttori non intendessero 
bene la lingua, o che vi facessero aggiunte capricciose. Cosi 
avvenne che uno di cotesti interpolatori trovando nella ver- 
sione greca d'Isaia" i due versi: < La terra di Zàbulon, la 
€ terra di Nèftali , la via che è al mare e di là del Gior- 
c dano, la Galilea de' Gentili, il popolo che camminava 
e nelle tenebre ecc. > , e giudicandoli confacenti a provare 
la missione locale di Gesù, stimò per bene di aggiungerli 
air Evangelio senza curarsi se erano o non erano conformi 
all'originale, o di riconoscere' quale fosse il vero scopo 
dell' autore. 

Questa superfetazione trovò probabilmente il sUo appog- 
gio in una tradizione giudaica rammentata nel Zohar^ che 
sale ai tempi di Gesù Cristo, se forse anco non è anterio- 
re; cioè, che il Messia sarebbesi manifestato primamente 
nella Galilea, per la ragione che i Galilei furono i primi 
ad essere menati in servitù (1). 

E il Talmud alludendo a quella tradizione dice : e II re 
< Messia che è posto dalla parte dell' aquilone . (la Galilea) 
e verrà a santificare la casa del santuario che è posta dalla 
e parte di mezzodì > {% ; ma questa tradizione giudaica era 
ignota al Samaritano autore del quarto Evangelio, il quale 
in una disputa insorta fra i dottori fa dire ad alcuni: 
« Forse che il Messia deve venire dalla Galilea? » E a Ni- 
codemo che pigliava le difese di Gesù altri rispondono: 



(1) Sohar, XI, 16, nella Kc^òaia denudata di Knorr de Roeenroth, 
tomo I, pag. 105 e liO. 

(2) Lightfoot, Horae, pag 499. 



GESÙ IN GALILEA. 249 

« Forse tu ancora sei Galileo? Esamina le scritture e vedi 
e che dalla Galilea non surse alcun profeta > (1). 

CAPO SESTO. 

VOCAZIÓNE DEGLI APOSTOLI. 

Secondo Matteo e Marco (2), Gesù passeggiando lungo il 
mare di Galilea vide Pietro ed Andrea fratelli che gettavano 
le reti e gPinvitò a seguitarlo volendo farne pescatori d'uo- 
mini. Poco lunge trovò Jacopo e Giovanni figliuoli di Ze- 
bedeo che rassettavano le reti, e fece loro lo stesso invito. 
Diverso è il racconto di Luca, ed anco più divergo quello 
di Giovanni. 

Secondo Luca (V, 1), Gesù seguito dalla moltitudine 
vjde sulla riva due barche e i pescatori che lavavano le 
reti. Montò in quella di Simone, la fece allontanare al- 
quanto da terra, ed egli sedendo ammaestrava il popolo. 
Dopo di che disse a Simone di vogare neir aitò e gettare 
le reti. Simone rispose : « Maestro, abbiamo faticato tutta 
t la notte senza pigliar pesce; ma ora getto sulla tua pa- 
t rola. » Ciò fatto, ritirò la rete tanto carica di pesci, che 
le maglie si rompevano; bisognò chiamare in aiuto i pe- 
scatori dell'altra barca, ed ambedue si trovarono così piene 
che poco mancava non affondassero. Tutti ne furono am- 
mirati, e Simone gettatosi a piedi di Gesù disse: t Vanne 
t da me, o Signore, perchè io sono. un peccatore. » Ma 
Gesù colse l'opportunità per tirarlo fra i suoi discepoli, 
con altri due che erano Giovanni e Jacopo figliuoli di 
Zebedeo. 

(1) Giovanni, VH, 41 e 62. ^ 

(2) Matteo, IV, 18; Marco, I, 16. 

Cri*, degli Ev, Voi. I. 13 



3S0 LIBRO TERZO 

Il quarto Evangelio (XXI) contiene un miracolo simile^ 
ma lo riferisce dopo la risurrezione, di Gesù. Narra adun- 
que che si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso, 
Natanaele, i figliuoli di Zebedeo, e due altri discepoli. Pie- 
tro disse: t Voglio andar a pescare. » E gli altri: « Ve- 
niamo anco noi. > Ma per tutta la notte non poterono 
pigliar niente. Alla mattina apparve incognito Gesù, e 
chiese se avevano qualche cosa da mangiare. Rispondendo 
essi di no, égli soggiunse che gettassero la rete dalla destra 
della barca; il che fatto, incappiarono tanta moltitudine di 
pesci che tutti iosieme appena bastavano a ritirar la rete 
dal lago. 

La qualità del miracolo e gli accessorii che Io caratte- 
rizzano fanno vedere che è il medesimo raccontato da Luca, 
ma trasportato ad un altro tempo. Pure gli Armonizzatori, 
tirati dalla necessità dì far sparire le contradizioni fra 
scrittori ispirati, vogliono supporre che siano due fatti 
distinti. È però singolare che il racconto di Luca sia igno- 
rato da Matteo, Marco e Giovanni, e quello di Giovanni 
sia ignorato da Matteo^ Marco e Luca; ed ammesso che 
un fatto tanto identico sia succeduto due volte; come Luca 
dice niente di quel di Giovanni, e Giovanni dice niente di 
quello di Luca, e Matteo e Marco dicono niente di ambidue, 
la sola cosa che resta è il dubbio molto fondato che non 
siano veri né l'uno né Taltro. 

Noi abbiamo veduto come i due primi Sinoptici espon- 
gano la vocazione di Pietro ed Andrea, e di Jacopo e Gio- 
vanni. Luca dice niente di Andrea, e veste di circostanze 
alquanto diverse la vocazione dei tre altri. Ad ogni modo, 
tutti tre gli Evangelisti la pongono in Galilea, lungo il 
lago di Tiberiade, e consente con loro l'Evangelio degli 
Ebioniti. Per converso, il quarto Evangelista (I, 35) tras- 
ferisce la scena nella Perca; e narra che un giorno il 
Battista, stando con due de'suoi discepoli e veggendo Gesù 



VOCAZIONE DEGLI APOSTOLI. 25i 

<3he passeggiava, disse: t Ecco Tagnello di Dio »; ed al- 
lora que'discepoli, fra i quali eravi Andrea fratello di Si- 
mone, andarono ad unirsi a Gesù. Dunque Andrea era un 
<ìiscepolo del Battista, Andrea tirò Simone, al quale Gesù 
appéna lo vide disse: t Tu sei Simone, figliuolo di Jòna; tu 
< sarai chiamato Pietro ». Poco appresso Gesù chiamò a 
sé Filippo di Betsaida e Filippo gli tirò Natanaele. 

Dunque giusta Matteo e Marco, con cui sembra d'ac- 
cordo l'Evangelio degli Ebipniti, i primi apostoli furono 
Pietro ed Andrea, Jacopo e Giovanni; giusta Luca, furono 
Pietro, Jacopo e- Giovanni; e seguendo lo stesso Giovanni, fu- 
rono Andrea e Pietro, Filippo e Natanaele, e non fa motto al- 
cuno della propria vocazione, né di q^uella di suo fratello. 
I Sinoptici pongono quella vocazione nella Galilea, il quarto 
Evangelio nella Perca; le circostanze assegnate da Matteo 
e Marco differiscono da quelle di Luca; e quelle del quarto 
Evangelio dissentono tanto dai Sinoptici che gli stessi Ar- 
monizzatori disperarono di conciliarle. Di più il Natanaele 
del quarto Evaogelio é un personaggio sconosciuto ai tre 
altri; alcuni lo credono Bartolomeo, perché questo nome 
significante in siriaco figliuolo di Tolomeo, è un nome 
proprio, uno dei consueti nomignoli usati dagli orientali; 
impertanto quelFapostolo non doveva mancare di un nome 
proprio; ma che fosse Natanaele od un altro nissuno può 
assicurarlo. 

Fra 1 cinque più distinti discepoli di Giovanni Ben Zac- 
cai troviamo nominato un Simeone figliuolo di Natanaele, 
il quale fioriva verso il tempo in cui furono compilati gli 
Evangeli, cioè un po' dopo la distruzione del tempio, e si 
era acquistato celebrità fra i moralisti popolari (i). Non 
so quindi se con questo rabbino potrebbe avere qualche 
rapporto col Natanaele del quarto Evangelio; come sem- 

(1) Pirkè Ahot, lì, 8, nella itfùctna, edizione di Sorenhosias, tomo IV. 



33S UBRO TERZO 

bra che li Nicodemo del medesimo e il Zaccheo di Luca 
stiano in rapporto col dovizioso Nicodemo figliuol di Goria 

col sopracitato rabbino flgliuol di Zaccheo. 

Nel primo Evangelio Gesù chiama a far parte del suo 
seguito un gabelliere per nome Matteo; nel terzo è chia- 
mato Levi; e nel secondo, Levi figliuolo di Alfeo, per cui 
potrebb'essere fratj^llo a Jacopo pure figliuolo d* Alfeo, 
come hanno creduto san Giovanni Grisostomo e san Teo- 
doreto vescovo di Ciro. Ma i detti Evangeli nel fare l'e- 
lenco degli apostoli consentono ad introdurvi un Matteo, 
con questa differenza, che il primo lo distingue coU'epiteto 
di publicano, che ci richiama essere il medesimo già men- 
tovato innanzi, ed è confermato dall'Evangelio degli Ebio- 
niti; ma gli altri omettono quell'epiteto, e ci lasciano in- 
certi se sotto due nomi abbiano inteso il medesimo indi^ 
viduo com'è il sentimento volgare, o se il Matteo apostolo 
sia diverso dal Levi publicano come pensano i migliori 
critici (i). 

Eracleone, della scuola di Valentino e teologo assai ri- 
putato^ in un frammento citato da s. Clemente Alessan- 
drino distingue chiaramente Matteo daXevi, e sembra es- 
sere l'opinione anco di san Clemente (2). 

Origene fa lo stesso, ed aggiunge che ninno a suoi 
tempi confondeva Levi con Matteo, tranne alcuni che se- 
guitavano certi esemplari dell'Evangelio secondo Marco, 
(capo III, verso 18) in cui invece di Taddeo si leggeva Le- 
vi (3), opinione adottata anco da alcuni moderni (4). 

Tutti quattro gli Evangelisti Consentono nel dire che 
Gesù si elesse dodici uomini e ne fece gli apostoli o mesr 



(1) Grozio, sopra Matteo, JX, 9, Mìchaelis Einleitung in da$ Neuve Te- 
stament, § 130, pag. 933. 

(2) Clemente Aless., Sirom, IV, § 9, pag. 398, ediz. Potter. 

(3) Origene, Contro Celso, I, 63. 

(4) Teodoro Hose, presso Midiaelis, loco citato. 



VOGAZKMiYE UEOU APOSTOU ^5S 

saggeri della sua dottrina; ma i soli Sinoptici ne danno 
l'elenco, che è poi copiato anco dagli Atti ApostoUcÌ4 



MATTEO 



1. Simooe , co- 
gnomin, Pietro. 

2. Andrea <tto fra- 
ielio. 

3. Jacopo di Ze- 
bedeo. 

4. Cviovanni tuo 
fratello. 



... sopra al N. 2. 

5. Fitippo.' 

^. . «otto al N. 7. 

6. Bartolomeo. 

7. Tomma». 

8. Matteo, publU 
eano, 

. . . sopra al N. 7. 

9. Jacopo di Al" 

10. Lebbeo, co- 
gnom, Taddeo. 

il. Simone Ca- 

nanita. 
. . . manca. 



MARCO 



LUCA 



1. Simone, che i, Simone, che 
( Gesù ) sopTj- I sopranom. Pie- 
nominò PieiTo. I tro. 

. . . sotto al N. 4. • 2. Andrea «tiofro- 
UUo. 



2. Jacppo di Ze» 
bedeo. 

3. Giovanni suo 
fratello; i quali 
nominò Bbnbi 
Rbghbsci, F*i^ 
gli del Tuono^ 

4. Andrea. 

5. Filippo. 

. . . «uUo al N. 8. 

6. Bartolomeo. 

. . . sotto alN.8. 

7. Matteo. 



8. Tommaso. 

9. Jacopo di Al- 
feo. 

10. Taddeo. 

11 Simone Catta- 
neo. 
. . . manca. 



12. Giada Iscar. 12. Ginda Iscar. 12. Giada Iscar. 



I. Jac<^. 
4. Giovanni. 



. . . sopra al N. 2. 

5. Filippo, 

. . . sotto al N.B. 

6. Bartolomeo. 

. . . sotto al N. 8. 

7. Matteo. 

8. Tommaso. 

9. Jacopo di Al- 
feo. 

. . . manca. 

10. Simone chia- 
mato Zelante. 

11. Giuda di Ja- 
copo. 



ATTI 

1. Pietro. 

. . . sotto al N. 4. 

2. Jacopo. 

3. Giovanni. 



4. Andrea. 

5. Filippo. 

6. Tommaso. 

7. Bartolomeo. 

. . . «opra alN. 6. 
8 Matteo. 

. . . sopra al N. (J. 

9. Jacopo di Al" 
feo. 

. . . manca. 

10. Simone il Ze- 
lante. 

11. Giada di Ja- 
copo. 

12. «tanca. 



L'Evangelio di Giovanni e quello degli Ebioniti dicono 
parimente che gli apostoli erano dodici; ma il primo, Tuno 
qua l'altro là, ne indica nove soltanto ; e l'altro, nel fram- 
mento conservatoci da sant'Epifanio, ne dà in catalogo 
soli otto^ cioè : # 



?64 



UMIO TERZO 



EVANGELIO 
1)1 GIOVANNI. 



1. Simone iopranominàto Pietro. 

2. Andrea. 

3. Jacopo. 

4. Giovanni. 

5. Filippo. 

6. Tommaso. 

7. Natanaele. 

8. Giuda. 



9. Giuda Iscariote, figlio di Simone, 



EVANGELIO 
DEGLI EBIONITL 



4. Simonei topranominato PietnK 

2. Andrea. 

3. Jacopo e 

4. .Giovanni, figli di Zebedeo, 



5. Taddeo e 

6. Simone il 2Mante, 

7. Giuda Iscariote. 

8. ìfatteo, che sedeva al banco. 



Matteo, Marco e Giovanni sembrano avere sconosciuta 
il fatto importante, rammentato dal solo Luca (X, 1), che 
oltre ai detti apostoli Gesù si elesse anco 70 discepoli, 
che mandò due a due avanti a sé pei luoghi che pensava 
di visitare (i). 

Fa nondimeno una gran sorpresa come fra tanti fedeli 
seguaci di iSesù, negli Atti Apostolici non si vedano figu- 
rare che. Pietro, Giovanni e i due Jacopì; e che tutti gli 
altri rammentati in quel libro siano persone nuove ed 
estranee alla storia evangelica. La qual cosa fa credere 
che veramente Gesù avesse un certo numero di seguaci, 
I quali dopo la sua morte si dispersero, tranne pochi che 
vollero tener sodo alla sua dottrina ; e che quel numero 
cosi preciso di dodici apostoli sia stato introdotto poste- 
riormente per allusione alle dodici tribù, come sembra 
dirlo Gesù medesimo nell'Evangelio degli Ebloniti: < Io 
« voglio che siate i dodici apostoli in testimonio d'Israe- 



(1) Tutti i codici greci hanno settanta discepoli , e cosi anco i Padri 
greci ed alcuni latini, e le versioni copta, gotica e siriaca. La Volgata ed 
alcuni latini hanno settanUdue discepoli. Vedi le varianti nel Novwm Te- 
•tamentum di Bengelio, pag. 531. 



YOGA^IOIIE DEGÙ APOSTOLI. 255 

e le. * Che indi per imitazione ai settanta seniori eletti 
da Mosè si siano immaginati anco i settanta discepoli. 
forse coi dodici apostoli e i settanta discepoli furono tro- 
pologicamente allegorizzate le dodici fonti e le settanta 
palme di Elim, presso alle quali accamparono gli ebrei nel 
deserto (1): Infatti rabbi Eliezer Amodai commentando le 
parole delF Esodo dice: « Quando Iddio santo e benedetto 
« creò il suo mondo, creò dodici fonti per rappresentare 
« le dodici tribù di Giacobbe, e settanta palme per rap- 
€ presentare i settanta seniori (2). » 

Quest'allegoria giudaica, adottata anco da s. Gerolamo, 
era sicuramente in voga nei primi tempi del cristianesi- 
mo; perchè il citato rabbino flori tra il I e II secolo, e. 
fu ucciso da Bar Còcheba, nel 136 (3). 

Il numero preciso dei dodici apostoli sembra che noà 
fosse ancora determinato generalmente quando viveva il 
Giudeo che Celso introduce a parlare, cioè verso i primìr. 
decenni del II secolo ; perocché quel Giudeo dice : « Gesù 
< chiamati a dieci od undici uomini screditati , fra i più?. 
« pessinii de' publicani o dei barcaiuoli, fuggiva con loro> 
€ di qua e di ìk ed andava accattando miserabilmente il 
€ cibo (4). » E quello dei settanta discepoli è un'aggiunta^ 
molto posteriore, perchè non se ne trova indizio fuorché 
in due luoghi di Luca (X, 1 e 17). Riguardo al primo» 
luogo, le parole di Gesù che Luca fa dirigere ai settanta 



(1) Eiodo, XV, 27, Numr. XXXIII, 9. Qnesto luogo epa indicato ab- 
oora da una pia tradizione verso il 380. Gli Arabi lo chiamavano Reith,. 
e nei contorni stanziavano molti monaci di quella nazione ; ancora sos- 
dstevano le dodici fontane, ma le palme erano aumentate assai, come è 
ben da credere. Tillemont, Mem. pour tervir à ì^hist, eccUi,, tomo Vili» 
yftg. 1007; Gombefis, Auciariwn, pag. 96. 

(2) Mechiia, col. 285, nel tomo XIV di Ugolini. 

(3) Taanith HUrotol, col. 798, nel tomo XVIII di Ugolini, 

(4) Origene, Contro Celto, I, 62. 



256 UBBO TERZO 

discepoli, Matteo e Marco nei luoghi paralleli le fanno di- 
rigere ai dodici apostoli; il secondo luogo non lo hanno, 
e Luca debbe averlo preso da quella stessa fonte a cui 
attinsero i commentari degli apostoli di cui si serviva 
Giustino martire, dove se ne vede citata una parte; ma 
ivi pure il discorso è rivolto agli apostoli e non ai disce- 
poli (i). 

Intorno ai dodici apostoli, alle loro missioni nella Per- 
sia, nell'India, nell'Etiopia, nell'Iberia ed in altre regioni 
barbare, furono scritte assai cose da autori che vennero 
tre quattro secoli dopo, e daUa leggenda del falso Abdia 
che passarono nei leggendari dei Santi e nei lezionari della 
Chiesa. Molte chiese vantansi di conservare i loro corpi, e 
non è di rado che vi siano tre o quattro corpi di un me- 
desimo apostolo, tre o quattro teste, od otto o dieci 
braccia; ma nel vero, di cotesti primi fondatori del cri- 
stianesimo si sa niente più che il nome, e neppur questo 
esattamente. Per «sempio, di quattro soli ci è notori! (ao- 
me, il sopranome e la paternità: 
Jacopo e 

Giovanni, figliuoli di Zebedeo e di Salome, soprano- 
minati Benei Reghesci^ o Figli del Tuono. 
Simone, figliuolo di Iona, sopranominato Kifò o Pietro. 
Jacopo, figliuolo di Àlfeo, sopranominato Katon o il 
Minore, e si direbbe meglio il Piccolo. 
Di due ci è noto soltanto il nome e il sopranome, e ci 
è ignota la paternità che fra gli orientali faceva le veci 
del cognome, e sono: 

Simone, sopranominato Kannah o il Zelante : 
Giuda, sopranominato Isc Carioth^ o uomo nativo di 
Garioth. 
n quarto Evangelio però lo quaiiica figliuolo di Si- 
mone, circostanza ignota ai Sinoptici. 

(3) Giustiiio, Dialogo con Trifim$, % 76. 



vocAziORE imeu apostoli. 357 

Degli altri sei ci è sconosciuto o incerto il vero nome. 

Luca e gli Atti Apostolici nel numero dei dodici con- 
tano un Giuda di Jacopo, di cui non parlano Matteo e 
Marco; quest'ultimo invece nomina un Taddeo, che il 
primo Evangelio chiama Lebbeo sopranominato Taddeo; 
resta quindi a decidere se il Giuda di Jacopo sia lo stesso 
personaggio del Lebbeo sopranominato Taddeo, o se siano 
due persone distinte. 

Matteo, in siriaco Mathai (accorciativo di Matatai o di 
Matitiah) in greco Mattia, abbiamo già veduto essere di- 
verso dal Levi figliuolo di Alfeo. Un altro Mattia è no- 
minato negli Atti degli Apostoli, il quale supplì il luogo 
lasciato vacuo da Giuda; per io che fra i dodici vi sa- 
rebbero stati due delio stesso nome. Sono essi due per- 
sone distinte, o tion furono che uno solo di cui una tra- 
dizione malcerta e l'ignoranza de' compilatori ne ha fatto 
due? É almeno sicuro che né l'uno né l'altro non si ve- 
dono più figurare nelle gesta degli apostoli. 

Abbiamo anco accennato che Bartolomeo o figliuolo di 
Tolomeo é un patronimico; e pertanto quest'apostolo do- 
vette avere un nome suo proprio, ma è ignoto qual fosse. 

Tommaso in siriaco Thumò, e lo stesso che in greco 
Dìdimo ed in italiano Gemello ; è dunque un sopranome 
derivato da un accidente delia nascita; ma quale era il 
suo vero nome? 

Se gli apostoli furono tutti Giudei nativi, non è ben 
probabile che l'uno fosse figlio di un Tolomeo e due altri 
sì chiamassero Filippo ed Andrea, nomi prettamente greci; 
e sebbene i Giudei ellenisti non abborrissero di usare si- 
mili nomi, quelli della Palestina, si per ignoranza delia 
Imgna greca e si per nazionale pregiudìzio, si mantene- 
vano costanti nell'adoprare soli nomi nazionali; e tranne 
i principi maccabei che avevano adottate le maniere gre- 
che, non credo che Flavio Giuseppe ricordi mai alcun 



S88 JLuno fERZo 

Giudeo della Palestina che si chiamasse Tolomeo; come 
tranne la casa di Erode straniera di origine e poco at^ 
taccata alle superstizioni giudaiche^ panni che lo stesso 
autore fra i Giudei che figurano nella prolissa sua storia 
nomini appena un solo, un Galileo, che si chiamava Fi- 
lippo. 

Gli Evangelisti fanno Andrea fratello di Pietro, ma quel 
vocabolo è greco affatto; vale in quella lingua un gio- 
vane ben disposto ed ardito, ed è la traduzione letterale 
del siriaco Ghevar ; adunque sarebbe niente più che un 
sopranome, e il nome ci resta tuttora ignoto. Dione (i) 
parla di un Andrea capo de' Giudei stanziati nella Cire- 
naica, i quali si sollevarono sotto Traiano^ massacrarono 
tutti i Romani e Greci, e spinsero la ferocia fino a divo- 
rarne le carni ; ma poi nella guerra e con vario genere 
di supplizi furono sterminati in numero di 200,000. Qui 
Andrea è un nome proprio; ma i Giudei cirenaici ersno 
ellenisti, e non si può credere che lo stesso fosse fra i 
Giudei della Palestina ed in una famiglia cosi arcigiudaica 
come quella di Pietro, 

L^uso de'sopranomi si era già da lungo tempo introdotto 
fra gli ebrei; ma è prova quanto volgari persone fossero 
gli apostoli, se erano conosciuti più pel sopranome che 
pel nome, a segno che quest'ultimo restasse incognito, 
Teodoreto dice infatti che erano la maggior parte delle 
tribù di Neftall e di Zàbulon nella Galilea; e san Giovanni 
Grisostomo osserva che gli uomini di colà erano grosso- 
lani e selvaggi, il che è confermato dalla storia; san Bar* 
naba aggiunge che tutti erano grandi peccatori^ e consen- 
tono Origene e san Gerolamo (2). 

Il padre di Jacopo e Giovanni si chiamava Zebedeo, in 

(i) Dione abbreviato da Xifilino, in Traiano, pag. 188. 
(2) Gli autori sono duti dal Tillemmt, Memoir pour iervir à Vhiitoiré 
teoìetiaitiqm, tomo I, p. 38, seq. 



VOCAZIOHE M6LI APOSTOU. ^9$ 

siriaco Zabdai o Zabdì, forse lo stesso che Saba: e quan- 
tunque i suoi figliuoli e sua moglie si fossero fatti seguaci 
ardenti di Gesù, pare che in quanto a lui abbia voluto 
rimanersi un ostinato incredulo. 

Negli Atti Apostolici (i) si parla di un Giuseppe o Giuda 
Bar-Sabba (figliuolo di Sabba) sopranominato il Giusto 
(Sadok), che nella elezione di un successore a Giuda tenne 
la concorrenza con Mattia. Alcuni fra gli interpreti lo 
credono un fratello di Gesù; altri vogliono che fosse Giu- 
sto, il terzo fra i vescovi della chiesa giudaizzante di Gè* 
rusalemme; ma se dobbiamo attenerci a conghietture, non 
è forse la meno verosimile quella di chi dicesse esser egli 
stato un terzo figliuolo di Zebedeo; né importa il silenzio 
degli Atti Apostolici che in fatto di precisione istorica.val- 
gono ancora meno degli Evangeli. 

Nella epistola attribuita a Giuda, l' autore si nomina 
Giuda fratello di Jacopo; il che ha fatto credere agli Ar- 
monizzatori che il Giuda di Jacopo^ rammentato da Luca 
e dagli Atti Apostolici, è fratello di Jacopo il Minore; ma 
poco fondamento si può fare sopra quella epistola, non si 
sapendo se abbiasi ad attribuirla a Giuda, o a Pietro, o a 
nissuno dei due ; e senza di ciò il Grozio sostiene^ e forse 
non a torto, che quella frase fratel di Jacopo sia stata in- 
terpolata. Per rispetto alla frase Giuda di Jacopo, usata da 
Luca e dagli Atti Apostolici, osserva ottimamente l'Hen- 
schenio essere regola costante fra gli Orientali che le per- 
sone si denominino dal padre e non dal fratello ; nò il 
Tillemont dimostra il solito suo giudizio quando si beffa 
di questo autore, la cui opinione pretende egli non es^ 
sere sostenuta da alcuna prova; mentre le prove si hanno 
abbondantissime in tutti gli scritti degli Orientali, nella 
stessa Bibbia, e persino nella nomenclatura degli apo- 
stoli. 

(i) ÀtU ApotU I, ss e XV, SI 



260 LIBRO TERZO 

Jacopo il Minore era figliuolo di Àlfeo, e di una Maria, 
la quale l'Evangelio di Giovanni (XIX, 25) fa sorella di 
Maria madre di Gesù; ma non par verosimile che due so« 
relle portassero lo stesso nome. 

Alfeo, in siriaco Chalfah o Chalfai o Chalef, forse lo 
stesso che Calep, è sicuramente lo stesso di Cleofa o Glo- 
pas (come ha il testo greco); imperocché le lingue semi*' 
tiche non usando vocali, le consonanti con cui si scrive 
Chalef per sé o con lievissime variazioni ortografiche 
possono essere lette Chaleaf, Chalfah, Cieofafa, Cleopah o 
Glopah. 

Tale anco era l'opinione di Egesippo o Giuseppe scrit- 
tore cristiano che fioriva poco dopo la metà del II secolo, 
e che per essere ebreo di nascita doveva conoscere la sua 
lingua. Ora Egesippo cita la tradizione de'suoi tempi che 
Cleofa fosse fratello di Giuseppe padre di Gesù; e non 
dice che Maria moglie di Cleofa fosse sorella di Maria ino* 
glie di Giuseppe (i). 

Gli Evangeli sogliono indicare Maria di Cleofa come 
madre di Jacopo e di José; ma di questo secondo^ che 
non è da confondersi con un altro José figlio di Maria e 
dì Giuseppe e fratello di Gesù, non si hanno che notizie 
congetturali^ cioè supposizioni avanzate gratuitamente dagli 
interpreti de'secoli posteriori. 

CAPO SETTIMO. . 

MVERSI mRAGOLI DI GESÙ. 
Più si va innanzi nella storta di Gesù, sempre più evi- 



(1) Eìiiebio, storia eeeUi., Ili, il. L'opinione di Egesippo fa adottau 
anco da «inl'Epifanio, Eresia, LXXVIII, 7, 



DIVERSI MlRAeOLI DI GESÙ. 36i 

dente si fa la contradizione ne' suoi biografi, e quindi più 
ardua diventa l'impresa di concordarli. 

Matteo dopo la vocazione dei quattro apostoli mena Gesù 
per tutta la Galilea, gli fa fare molti miracoli, e dice che 
la sua fama si sparse per tutta la Siria; indi lo fa salire 
sopra un monte ove tiene il celebre suo discorso. Disceso 
da quello guarisce un lepróso, poi va a Cafarnao, ove gua- 
risce il figlio del Centurione. 

Marco, dopo la vocazione dei medesimi apostoli, lo fa 
andare direttamente a Cafarnao, ove scaccia un demonio. 

Luca lo fa passare in una città innominata, ove accade 
la guarigione del leproso. 

Giovanni, in costante opposizione coi Sinoptici, dopo il 
colloquio colla Samaritana lo fa fermare due giorni a Sa- 
maria, donde passa nella Galilea, e va a Cana^ ove guari- 
sce il figlio d'un ufflziale del re. 

Egli è assai difficile di tener dietro a tutte queste va- 
riazioni, che non hanno alcun carattere istorico e che di- 
mostrano come gli autori degli Evangeli si fondassero sopra 
vociferazioni popolari, vaghe od Incerte, che ciascuno co- 
loriva secondo la propria immaginazione ; che in quanto 
ai tempi e ai luoghi, chi ne assegnava uno, chi un altro; 
in quanto alle circostanze, chi vi levava, chi vi ag- 
giungeva. 

Era pertanto impossibile che quei fatti, raccolti senza 
crìtica e non verificati giammai, potessero presentare un 
insieme di giudiziosa narrazione istorica. 

Noi dunque, lasciando ad altri il pensiero di cercare un' 
armonia fra i quattro Evangeli, ci limiteremo ad esa- 
minare isolatamente i fatti principali che contengono. 

Il discorso sul monte, che occupa tre capitoli nell'Evan- 
gelio di Matteo, non si trova nei tre altri; si soltanto 
Marco e Luca ne contengono alcuni frammenti, sparsi qua 
e là, e riferiti a diverse occasioni. Questo discorso, uno 



S6S LIBAO TBBZO 

dei più bei pezzi di morale pratica trasmessici dall' aatì* 
€hità, ha tutte le apparenze di essere stato elaborato 
posteriormente da uno che volle ridurre in un sol corpo 
le massime e sentenze morali di Gesù. Gii esegetici moder- 
ni rilevano che la traduzione non è seftipre fedele, e che 
il traduttore greco non ha sempre bene inteso il testo 
ebraico (1). ^ 

Pare eziandio che tal quale lo abbiamo al presente, non 
«orrisponda esattamente a quello che conoscevano gli anti- 
chi, come si ha confrontando col testo di Matteo i fram- 
menti citati dagli altri Evangelisti e quelli citati da san 
Clemente Romano, da san Policarpo e da san Clemente 
Alessandrino (2). 

Negli atti di Tecla abbiamo pure Un discorso sulle bea- 
titudini molto diverso da quello che è in Matteo (3). 

La guarigione del, leproso (i), sconosciuta al quarto 
Evangelista, è narrata in modo conforme -dai Sinoptici, 
tranne che il primo la pone subito dopo che Gesù discese 
dal monte, il secondo la trasferisce a Cafarnao dopo che 
Gesù ebbe guarita la suocera di Pietro; il terzo la fa suc- 
cedere in una città di cui non indica il nome, subito dopo 
la vocazione dei tre apostoli. Luca, più abbasso (cap. XVIII) 
ha la storia di dieci leprosi guariti da Gesù in una sol 
volta, dei quali non fanno parola Matteo, Marco e Gio- 
vanni. 

L'uno prima, l'altro dopo altri fatti, tutti tre i Sinoptici 
raccontano ad un modo che Gesù guari dalla febbre la 



(1) Vedi r analisi di Michaelis^ Einkitung in die Schr^n det Neuen 
Bwìdei, % 137 e 138, 

(2) Glement. Rom. I, EpiiU ai Corinti, § 4 ; Policarpo» Ep, ai Filip* 
pen,j % .2; Glement. Àless., Strom, rV>§ 6 apag. 583, ediz. Potter. 

(3) Atti di Paolo e Tecla, % 2; in Gallandi, Bibliothtca veterwn patrwn, 

(4) Matteo, Vm, 1 seq.; Marco, I, 40 seq.; Luca, V, 12 seq. 



DIVERSI MiaAGOLI m GESÙ • 9!S3 

suocera di Pietro (1); poi Matteo e Luca parlano uno del 
figlio, l'altro del servo di un centurione guarito parimenti 
da Gesù; e sola differenza è, che il primo Evangelista in- 
troduce alcuni discorsi che non sono nel terzo (2). Marco 
non ha quest'ultimo fatto; e Giovanni, nissuno dei due: 
ove pure nou gli abbia convertiti in un solo, quando rac- 
conta che un ufficiale di corte venne a pregare Gesù che 
volesse accorrere a restituir la salute ad un suo figlio am- 
malato di febbre e già in punto di morte (3). Gli Armoniz- 
zatori vogliono che siano tre fatti distinti: — eppure il 
silenzio di Giovanni sopra ciò che raccontano i Sinopttci; 
il silenzio dei Sinoptici sopra ciò che racconta Giovanni; 
il silenzio di Marco e Giovanni sopra ciò che raccontano 
Matteo e Luca; e l'intima s^nalogia che passa tra il rac- 
conto di Giovanni e la guarigione della suocera di Pietro 
e del figlio o servo del centurione; lo stesso personaggio 
che negli uni è un centurione , e negli altri un ufficiale 
del re; sono altrettante induzioni che ci persuadono essere 
un fatto medesimo narrato diversamente. 

Le guarigioni di persone possedute dal demonio hanno 
una parte principale nella taumaturgia di Gesù secondo i 
Sinoptici; il quarto Evangelio non ne parla, perchè il si- 
stema di quest'autore circa i demoni e la loro influenza 
sui corpi umani si distacca affatto dalle opinioni volgari 
sparse fra i Giudei, e in generale anco fra i Gentili. Secondo 
lui vi sono due qualità d'uomini, di cui gli uni, figli della 
luce, sono predestinatamente eletti, e neppur volendo pos- 
sono perire; e gli altri, figli delle tenebre, sono predestina- 
tamente dannati. Quindi sui primi gli spiriti malefici non 
possono esercitare alcuna autorità, e gli altri sono essi 
medesimi una genei*azione umanizzata di spiriti malefici* 

<i) Matteo, vili, 14; Marco, I, 50; Luca, IV, 38. 
(à) Matteo, VIII, 5; Luca, VU, ar, 
(3) Giovanni, IV, 46 seq. 



264 



LIBKO tERZO 



Contuttociò l'opinione comune ammetteva cbe i demoni 
potessero impossessarsi degli uomini^ e dappertutto si ve- 
devano taumaturgi e cerretani che vantavano di saperne 
liberare gli ossessi. Fra gli ebrei si riteneva che i sordo- 
muti, gli epilettici, gPippocondriaci, i maniaci, ed altre in- 
fermità, e persino i cani arrabbiati fossero iavasati da uno 
spirito maligno (i); e ^esò, nella sua qualità di Messia, 
dovendo esercitare un impero assoluto sopra quegli spiriti, 
ne veniva per conseguenza che dovesse guarire molti os- 
sessi; ma fra i racconti che ne danno gli Evangelisti, ci 
limiteremo a scegliere quello del demoniaco di Gàdara, 
che i Sinoptici espongono nel seguente modo: 



MATTEO Vili. 



28. E Tennto Gesù 
all'altra riva nella re- 
gione dei Gergeseni. 

Gli vennero incontro 
due indemoniati che u- 
scivano dai sepolcri , 
malvagi oltre modo cosi 
che nessuno poteva pat- 
sare por quella strada. 



MARCO V. 



ì. Vennero dall'altra 
parte del mare, nella 
regione dei Gadareni. 



2. E quando (Gesù) 
usciva tli barca uscì da 
un sepolcro un uomo 
posseduto da un spirito 
immondo. 

3. Egli abitava i se- 
polcri, e non si poteva 
tenerlo legato colle ca- 
tene; 

4. Perchè qualunque 
fossero i ceppi o le ca- 
tene con cui lo legavano, 

j spezzava le catene e 
I rompeva i ceppi, e nes- 
suno poteva domarlo. 



LUCA Vili. 



26. Navigarono e ven- 
nero nella regione dei 
Gadareni, che é dall'al- 
tra riva in faccia alla 
Galilea. 

27. E quando Gesù 
mise piede a terra gli 
venne incontro un uo- 
mo della città, già da 
molto tempo posseduto 
dai demoni, il quale 
non si copriva con ve- 
sti , né abitava nelk 
case, ma nei sepolcri. 



(1) Ghèmara Hieros. lomà, pag. 360, nel Thetawrus di Ugolini, to- 
mo XVIII. 



DIVERSI HHIACaOU BI GESÙ. 265 

MATTEO Vili. [ MARCO V. LUCA TIR. 

5. E in tatti i tempi, 
di «giorno e di notte, er- 
rava nei wpolcri o pei 
monti, gridava e si bat- 
teva con pietre. 



29. Ed ecco gridaro- 
no dicendo: Che vi é 
fra^ ncn e te, Gerà fi- 
gliuolo di Diot Prima 
dcd tempo sei ta ve- 
nato a croceiarci ? 



30. Or lungi da etti 
era una greggia di mol- 
ti porci che pascevano. 

31. E gli stessi de- 
nKHii lo pregavano di- 
cendo: Se ci scacci, per- 
mettici di andare nel 
gregge dei porci. 

32. Disse a loro Gesù : 
Andate 1 E subito uscen- 
do entrarono nei porci ; 
e tutto «lael gregge corse 



6. Tosto che vide Ge- 
sù da lontano, eorte a 
lui e lo adorò ; 

7. E con gran voce 
esctomò e m»: Che è 
fra me e te, Gerà, fi- 
glinolo del Dio Altis- 
simot Io ti soooginro 
per Dìo À non cruc- 
ciarmi. 

8. biperoechò diceva 
a lui : Spirito immondo, 
esci da queiruomot 



9. E lo interrogava: 
Qoal è il tuo nome? 
Rispondeva quegli : Il 
nostro nome è Legione, 
a cagione die siamo 
molt^ 

10. E lo privano 
assai acciocché non li 
scacciasse da quella con- 
trada. 

li. Or vi era colà sul 
monte una greggia di 
molti pòrci che pasce- 
vano. 

12. E i demoni lo 
pregavano dicendo: IfaQ- 
daci in que' porci , ac- 
ciocché entriamo in loro. 



13. E lo permise loro : 
Ed uscirono quegli 
spiriti immondi ed en- 
trarono nei porci. E quel 

Crii, degli Ev. Voi. I. 



28. Tosto d^ vide 
Gesù esclamò e m prò* 
stvò mnaui a lai, 

e con gran voce disse: 
Che è fra aie e te, Ge^ 
su, figihnio del Dio Al- 
tissimo? Ti prego .a non 
tormentarmi. 



29. Imperciocché egli 
comandava allo spinto 
immondo di uscir da 
oueiruomo perché già 
da lungo tempo se n*era 
impossessato ; e ben- 
ché fosse guardato le- 
gato con catene e con 
ceppi, rompeva i legami 
ed era trasportato dal 
demonio nei deserti. . 

30. E Gesù lo inteV- 
rogava: Qual é il tuo 
nome? Rispondeva q[ue- 
gli: Legione; a ragione 
che molti demoni fos- 
sero entrati in quel- 
l'uomo. 

31. E Io pr^avand 
prchò non comandasse 
toro di andar nell'abisso. 

32. Or vi era colà 
una greggia di molti 
porci che pascevano nel 
monte ; 

e lo pregavano che 
permettesse loro di en- 
trare nei porci : 



ed egli lo permise loro. 

33. E i demoni usci- 
rono dall'uomo ed en- 
trarono nei porci, e tutto 

19 






33. E i 



che 



Garà; 



^. ^ha lo videro lo 
e poi die *^^^^5|j^ SI 



«riatto cbe si. P»rti«« l ^ part»^ «^^o pr«« 



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uscirono ' "^^. ««- 



iJ^^to io prega;- « . -,„„o ^ -^^ 









DIVEBSI KtEACOU DI GESÙ. 267 

Tutti tre gli Evaagelisti consentono a mettere la sce- 
na vìcii^ ad ima città sulla sponda orientate del lago; ma 
nel designare il territorio , Matteo (testo greco) lo chia- 
ma il paese dei Gadareni, e così pure l'antico traduttore 
sirìaco, che cosi leggesse nel suo testo come lesse anco 
sant'Epifanio (1), o che abbia voluto accomodarlo con 
quello degli altri Sinoptid. La vulgata latina ha in tutti tre 
nel paese dei Geraseni « ciò che Andrea Qsiandro chiama 
una depravazione manifesta (2) e lo prova questo sempli- 
cissimo confronto; Luca nel testo greco dice: « Il paese 
de'Gadarent, di là del lago dirimpetto alla Galilea » •*- l'in- 
dicazione è esattissima, ma diventa uno sproposito se a 
Gadareni si sostitutese, come nel latino, Geraseni. 

Infatti Gèrasa era una città verso P Arabia al confine 
meridionale delta Perea, intanto che Polla m era il confine 
settentrionale (3); e secondo Procoplo di Gaza quelle due 
città -erano distanti 80 miglia romane (4). I viag^atori mo- 
derni hanno scoperti gli avanzi di Cerasa che tra gli Arahi 
conserva ancora l'antico nome (Geràsc) e dista dal lago di 
Tiberiade circa 20 ore di viaggio (5). Adunque essa non 
può a patto alcuno essere il luogo indicato dagli Evan- 
gelisti. 

Di là del Giordano vi erano due Gàdare ; la meno co- 
nosciuta stava nel paese degM AraM Galaaditi^ in una valle 
montuosa^ ma troppo lungi dal lago per essere quella degli 
Evangelisti (€). L'altra, molto più celebre neOa storia 
delta Palestina, era una città fondata da una colonia 

(1) Epifanio» ^^f XXX, 7. 

(2)0aiandrì, Barmania EoangtlicùtX ^9» nelle Axiaott^ìooi. 

(3) Giaseppe, Guerra Giudaica, III, 3. 

(4) Relandi, PaletHna, U, pag. 505. 

(5) Vtagytodi Bvrekardl» traéuzioae tadefca di Geaeaiss, tomo n,pag. 400 
e seq. e le osservazioni di Gesenins a pag. 530 e «eq. 

(6) Giuseppe, Antichità Giudaichs, XIII, i3, t ^* 



268 . UMiO TEESO 

di Greci, e godeva i privilegi delle città libere della Ionia 
e delP Asia. Era la capitale della Perea, situata sopra un 
monte e lontana da Tiberiade 60 stàdi o sette miglia e 
mezzo d' Italia. Ivi tutu gli anni si teneva una fiera di 
molto eoncorso^ e nelle sue vicinanze vi erano acque ter- 
mali assai frequentate dagli infermi di vario genere, i quali, 
dice' ^ant'Epi&mo, tirativi dalle astuzie del demonio vi 
andavano colla speranza di essere guariti (1). 

Ad Omkeis lontano cinque o sei miglia dal lago, preci- 
samente sopra Un monte, in vicinanza di sorgive termali 
che ai vedono ancora, i via^atori moderni scoprirono le 
rovine di una .tìUk che Burckardt sta ia dubbio tra Gé- 
mala e Gàdara, e pende per la prima» ma che gli altri viag- 
giatori ed eruditi dichiarano essere la seconda, concorrendo 
a farla riconoscere tutti gP indizi locali (2); e Gesenias 
crede persino che i sepolcri osservati in quel luogo pos- 
sano essere i medesimi ove andavano a nascondersi i de- 
moniaci degli Svangelisti. 

Veramente questi pongono il miracolo presso ad uaa 
città in riva al lago; ma non dicono che quella città fodse 
Gàdara, bensì nel territorio do'Gadareni; e la.frase j^o^sd 
nel territorio de' Gadareni vai come a dire passò nella 
Perea^ di cui Gàdara era la centrale. Ad ogni modo anco 
questa dttà era cosi pocolunge che con buone strade 
quali potevano essere a quei tempi potevano raggiungerla 
in pooo pia di un' ora. Al presente. Omkeis dista dal laga 
circa tre ore di cammino per cattivi sentieri. 

Rispetto all' unica lezione di Matteo , il citato Procopio 
di Gaza (3) dice che i Gergeseni abitavano anticamente 
Gàdara e tutta la regione finitima, col deserto che si estende 

(1) Epifanio, Iferei., XXX, 7. 

(2) Leake, Prefaxiem al Giomak di Bwrauurdi, tOBM h paf. 5, e le 
note di Gesenius a pag. 38. 

(3) Relandi, Palestina, II, pag. 5(8. . 



DITERSf MIRACSOLI DI GESÙ. 989 

in faccia al lago di Tiberìade; e sebbene qttei popoli fóssero 
scomparsi da dodici o più secoli, egli è probabile clie il loro 
nome fosse restato al paese ed adoperato ndP uso volgare ; 
massime che « per tutta la Siria, sebbene uKrite città portas- 
« sero un nome greco imposto lorcTad arbitrio dai fondatori 
e greci, ciò nuUadimeno non hanno perdutoli nome prìmftivo 
e in lingua assira dato alle medesime dai fondatori antichi 
e ed originari (t). « Quindi anco nella Ptle^tìna nulla di 
più frequente quanto Puso di dèe tùomì dati ad ttn me- 
desiiào sito, l'uno ebraico ed antico ed usato da'Oiudèi, e 
l'altro moderilo e pia comodo ai Greci; cosi loppe o Ce- 
sarea, Genesar o liberìade, Betsàide o GiuHade ed altre. 

Pare che Oergeseni fosse la vera lezione nel primitivo 
testo sipo^caMaico ; ma che quatelie amàniiense o alcuno 
di quelli die si occuj^vano a correggere gji EvangeH^ non 
intendendo fviel termine geografico o voienodone^ sostituire 
uno più inteso lo abbia scambiato colla parola Oudarehi. 
Altri o per eiroire ntóo scrivere o non sapendo ove fesse 
tm pa^se dè^ Gerg^Bésf, ed avendo noibSi di una città di 
Cerasa di là del Giordano, facendo sparire un g del voca- 
bolo ebrateo Gerganim (Crérgesoeiii> ne fece Crms^dm (Ge- 
raseni): e questa correzione dotette esistere nel codice di 
cui si servi il traduttore latino, se pure e^ stesso non ne 
fa Tintore. 

Ha neHa Siria ove il eristkBesifflo era diffuso più che 
altrove, e dove si scrivevano e si cofrfavano gli Evangeli, 
essendo abbastanza noto che Qènéà èl*a fvori di luogo ed 
essendo «fiàdaia h città più eonosciota « più vicina al lago, 
questa Istrione i^vtise Sópra le altre. 

Matteo dice <^ gl'ìndemeniati erano due; Marco e Luca^ 
uno solo. Michaelis sospetta che nella versione greca del pri- 



(1) ÀmmiaDi Marcellini, XIV, 8 nella collez. Hist. Rom, Script, Latini 
Veieres, tomo II, pag. 419. D. 



-STO LIBRO TBKZO 

mo Evangelio sia incorso un errore a motivo di uno sbaglio 
ortografico che poteva essere nel testo sirìaco^ ove quel- 
l'Evangelio sia stato scritto in siriaco; ma ove fosse stato 
scritto in ebraico, confessa cbe la sua ipotesi non sussi- 
sterebbe (I). 

A me piace un'altra congettura. 

. Prima di questo racconto; Marco e Luca pongono quelk> 

di un altro ossesi che era nella sinagoga di Cafarnao; ed 

all' a]:^ressarsi di Cesi i demoni si misero a gridare: 

«Lasciaci: che v'è di comune fra noi e te, o Gesd Ilaz- 

< zareno? Sei tu ventito a perderd? So che sei il Santo 
« di Dio ». Ma Geeù oosmndò all'im^mondo di tacere e di 
uidure da quel còrpo (2). Matteo non ha tal racconto, e 
in quello di Clàdara mettendo due demoniaci ove gli altri 
Evangelisti partano di uno solo, ben si scorge che ha riu- 
nite le due I^^nde In una intanto che gli altri le di- 
stinsero in due. 

Matteo b dire a) demonio : « Che c^ è di eooiune ff9L 

< noi e te, Fi^iiiolo di Diof Frima del t^npo sei tu 
« venuto a crucciarci? » 

Marco gli fa dire: « Che e' è di «ornane fra me e te, o 

< Gesù, flgliui^ del Dio AlUssimo: lo ti scongiuro per Dio 
« a non crucciarmi ». » 

In Luca è lo stesso, tranne che omette la frase p$r Dio, 
che sembra iilfatti poco teéonela in bocca del diavolo. 
Ambidue poi quasi la medesima cosa avevano posto in 
bocca al deomiib di Cafarnao. 

Ma una tale ooflfessicMEie per la quale il diavolo rieoao- 
sceva in Gesù il santo di Dio, il figHiiirta di Dio, contra- 
diee atta ignoranza di Satan supposta nel racconto della 

(i) Micbaelis, EinUitung in die Scriften dei Neuen Bundes, % tZ7 a 
pa«. 1000. 
(Jl) Marco, I, 24. seq.. Luca IV, 33 seq. 



DIVERSI MIOACOU m GESÙ • 271 

tentazione, e a tutte le ai-ti da lui messe in opera per sco- 
prire il vero essere di Gesù. Onde non sol se con^ la prima 
leggenda fu immaginata per mettere la vita ài 6^ in 
rapporto eolle tradizioni popolari rammentate di sopra, ed 
anco per ispiegare la sua nascita oiseura ordinata apposita^ 
mente dalla provvidenza onde occultare al demonio la ve- 
nata di edui cbe doveva sterminare il suo regno : còsi 
questa seconda sia stata introdotta per un motivo con- 
trario : cioè per rilevare la prova, che la qualità messiaca 
di Gesù fa riconosciuta e confessata anco dai demonio. 

Queste leggende it>rmandost a poco a poca, seoondo che 
il bisogno le suggeriva , i compilatori degli Evai^eli , che 
erano persone dei volgo e sciivevano pel volgo , appo il 
quale non ha luogo molta critica, le adottarono senza pen- 
sare se erano concordi o no. Dai parallelcy-dei tre Evan- 
gelisti, ben si vede ohe non vi è molto aoeordo fì*a Mat* 
teo e i due altri; Matteo dice che erano due indementati, 
Marco e Luca imo solo. 

l|atteo dice die erano cosi furiosi, che nessuno più si 
ardiva di passare per colà ;• Marco e lauca non notanaquesta 
eircostanza, ma ne hanno un'altra ignorata da Matteo, cioè 
die spezzavano ceppi e catene^ e ntssuno poteva domarli^ 

Matteo non dioe che i denoni fossero molti e si ehia- 
massero Legione, e secondo lui appena ebbero esclamato: 
* Che vi è fra noi e te Gesù, figliuolo di Dlot Prima del 
« tettipo sei tu vetittto a emcciarci? » .Senza porre altra 
cosa in mezzo pregio ed ottengono di passare nei porci, 
e Biente diee delle circostanze aggiunte dagli altri Evan- 
gelisti: 

Una stretta armonia esiste, neppure fra Marco cLttca, 
ancorché si veda •che ambidue hanno attinto ad una me- 
desima sorgiva. Luca, dice chi^ l'indemoniato era un uomo 
della città vicina, circostanza trascurata da Marca; t quanto 
questi aggiunge, tàoè die non tà poteva uè tenerlo legato^ 



S72 UBfto Tjnzo 

uè. domarlo, in Luqa è collocato fuori di luogo e sembra 
una iDteriH)lazioae fatta posteriormente. 

Secondo Marco, ii demoni pregavano Gesù acciocché non 
gli seacciasse da quella contrada; secondo Luea, lo prega- 
vano accioccbè non comandasse loro di andare neirabisso. 

Il primo nota la particolarità che i porci erano circa 
dmmila^ il che è omesso dal secondo; infatti quella frase 
circa duemUà è cosi slegata, che bisogna supporia un glos- 
sema scritto in margine indi passato nel testo. 

Domandano alcuni come in un paese ove il porco era 
animale immondo, ve ne fosse tanta abbondanza da man- 
darne a pascolare branchi* di mille o più mila? 

Ughtfoot vorrebbe persuadere che malgrado la le^e, i 
Giudei vedendo la ghiottoneria de^Romani per la carne di 
porco e di cignale, allettati dall'avarizia, non tralasciassero 
di nodrirne; ma i passi che cita sono contrari al suo as- 
sunto. Invero la Ghèmara di Babilonia racconta che alcuni 
avendo riferito a rabbi Juda èssere tra i porci una epkie- 
mia^ egli ordinò ijin digiuno per farla cessare; non però 
per riguardo ai porci, sibbene per la tema che il conta- 
gio si propagasse anco agli altri bestiami (1). Ma questo 
I>assaggìo conchiude niente, restando incerto se i porci 
appartenevano ai Giudei od ai ior^ vicini che non sefoi- 
tavano la stessa religione. 

É certa invece la maledizione pronunziata contri^ l'Israe- 
lita che aj^evava. porci (2), il qu^^ era messo a paro col 
falso testimonio, e ii falsatore di contratti (3). 

Altri ricordano che Gàdara era colonia greca; xo/à. qui 
non si parla della città, bensì di un territorio cont^ fra 

(i) Liightfoo^ Horae hebraicai et U UmM diea e , pag. 309, 
(1) Ghemara Bahil Menachot, pag^ 1030, nella collez. di Ugolini, to- 
mo X|X ; lo stesso in Babà KamOj TU, 7 : vedi anco in Job. Hen. Ottppis» 
Jffiflorta éMofimminiiéoriim,icn. Bim&h Ben Seèiak, % tk 
(a) n»aflà Su9eah^ U, 6, in UgoUiii, tomo XVIB. 



DIVERSI KtÀCOUDr GESÙ. 275 

le sue attiiieiize; ed oltre che in Gàdara vi erano moltis- 
simi Giudei, &>me Io dice chiaramente Giuseppe, tutte le 
presunzioni ci portano a credere che le campagne fossero 
abitate da tutt'aKro che da Greci. Le terre di là del lago 
erano quel paese che i Giudei chiamavano Qh^Uha-Crom^ 
o Galilea delle Genti, che tradotto alla lettera vuol dire 
terra di confine verso i GmtiU. 

Non per questo si può asserire che gli abitanti fossero 
propriamente Gentili ; imperocdiè discendendo essi da un 
miscuglio di Giudei e dì Arabi mescolati successivamente 
con Siriaci, Samaritani e Greci, se non tutti seguitavano 
la religione mosaica, almeno ne avevano conservato molte 
pratiche; la circoncisione era quasi universale, e il porco 
era animale immoaio tanto ai Giudei quanto agFi Arabi, 
ai Siriaci, ai Samaritani ed anco agli Egizkuu, 

Del resto, volendo accpnsentire che V Evangelista non 
abbia accennato ad uaa. circostanza tutt'affatto immaginana, 
rimane tuttavia da Sfktegare come i padroni di quei porci 
non abbiano mosso le pia gravi querele pel dannò recato 
loro da un miracolo che poteva essere bèllo, ma ch'^ li ro- 
vinava di un valore (Kmsiderevole. Ii«dtre, come Gesù ha 
potuto peraattere lo scempio dì tanto bestiaine e il foi^ 
pregiU(tizio ebe na toccava ai proprietari solo per dare gu- 
alco ad una legioiie di diav^? E i diavofi quale scopo o 
quale giovamento poteroifeo avene, se tosio dq)o essere 
{lassati nei porqi, di3trttfiserQ la vita di quegli animali? Se 
ci attenghiaM) aUe idea abetini haàfto al presente sopra la 
immortalità degli spiriti, essi distruggendo i porci, non 
potevano sperare di distrugj^ere sé stessi. Aggiunto che 
avevano chiesto di mettersi ne'porci, secondo Marco, per- 
^è portavano affezione a qoeUa contrada; e secondo Loca, 
perchè aborrivano d'essere sprofondati nell'abisso. Ma disfa- 
cendo quell'asilo, dovevano per necessità correre verso là 
^orte che volevano evitare. 



S74 LIBIO T£BXO 

Trasportandosi alle opiftioBi conteaiporanee, noi abbiamo 
già osservato aKrove essere una persuasione Ira ì Giudei 
che fi^i spiriti maleflci vagassero nei deserti o pei sepol- 
cri (i); ad essa alludono Marco e Luca facendo errare il 
loro indemoniato pei sepolcri, nei deserti e sui monti; e 
Ti alludono altresì Matteo e Luca (2X ove fanno dire a 
Gesù che lo spirito immondo uscito da un uomo erra pei 
luofi^ senza acqae onde cercarvi il riposo. 

Era parimente una ojHnione giodaica che i demoni aves- 
sero una generazione, una vita od una morte (3); infatti 
lo scopo de^i spìriti ohe entrati nei porci si affogano, 
sembra non altro Awer essore, tranne quello di togliersi 
da una vita infeUoe, e cercare una totale distruzione per 
la tema di essere tornEiantati ndl'abisso. 

Un'altra opinione ^udaica era finalmente, che le anime 
dei malvagi passassero negli- animali feroci ed immondi e 
continoiosero in quelle batiali trasoilgrazioni finché noa 
cominciassero a divei^tare miglioria La prevenzi<me speciald 
contro il porco suggeri forse il pensiero di farvi trasmi- 
grare i demoni. E probabiUaente vi era un altiN) scopo. 
Dei primitivi cristiani gli uni tenevano forte al givdaismo; 
gii altri usciti dal gentilesimo, non curavano le leggi mo- 
sakhe e mangiavano impunemente le carni vietate; quindi 
i giudaizztati voUero far intettdere al cristiAnf gentili, die 
il maiale doveva essere detestato e teftuto a schifo, perohè 
di tutte le bartte era il piò impuro, e quello nel quale 
entravano le anime più tristi e fin anco gtt spiriti dia- 
bolici. 

(i) Inta, Xin, Il 6 XXXIY, 14; Tebia, TIK 3; Akibft «liiideiido ad 
«MI opbdoiie ce«a«D^ Ùm: « i^a i|»rite énneod» abita la.c«i» dei ae- 
« pokrì. » Qhmwrababpl Sonhddrùhy YU^pa^^ 7IA, od tgmo XXY di 
Ugolini. 

(2) Matteo, Xn, 43; Luca, XI, 24. 

(3) Jomà, citato di sopra. 



DllVERSI MIRACOLI DI GESÙ. t75 

Ma che nell'azione di Gesù vi fosse un miracolo, pare 
che gli Evangelisti non ne convengano o che si contra- 
dicano; perchè finiscono il racconto diéendo, che 0i abi- 
tanti della città gli uscirono incontro e gF intimarono di 
sgombrare, perchè avevano paura di lui. Ma se vi fosse 
stato un miracolo cosi evidente, e se lo avessero attestato 
e chi lo vide e chi ne provò gii effetti, e il fatto istesso 
deirenergumeno guarito e condotto a mente sana; anzi 
che fargli una cosi brusca intimazione, l'avrebbero trat- 
tenuto e professatoci quell'onore che a gran taumaturgt> 
si conveniva. Forse tutta . la parte istorica di quella leg- 
genda si riduce a questo: che Gesù e suoi discepoli (bis- 
sarono nella Perca;- che ivi sulle colline pascolavano al- 
cuni porci, i quali per alcun caso spauriti, si sperpera- 
rono qua e colà, e alcuni si gettarono nell'acqua; e che 
Gesù, o in seguito di una lite, o per non incontrar liti 
cogli abitanti rinayigò verso la Galilea. 

Il miracolo del paraclito risanato. Marco e Luca lo ai- 
tribttiscoiKo a Gesà prima di farlo passalre nella Perca ; e 
Matteo glielo attribuisce subito dopo il suo ritorno (1). 
< Salito nella barca, ei dice, passò all'altra riva, e venne 
■ nella sua città. Ed ec^ gli presentarono un paralitico 
« giacente nel letto. E Gesù vedendo la Ic^o fede , disse 
e al paralitico : Confida, o figlio, i tuoi peccati ti sono ri- 
e messi* Ed ecco alcani degli Scribi eke dissero fra sé : 
€ Costui bestemmia. E Gesù vedati i toro pensieri disse: 
€ Perchè pensate male nei vostri cuori? Che cosa è più 
tL facile? il dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati; o il di-^ 
« re : Sorgi e cammina? Ma perchè sappiate che il Fi|^ 
€ deli' nomo ha ricevuto la potestà in terra di rimettere 
€ i peccati, disse al paralitica: Sorgi, piglia il tuo letto e 
• Tattene a casa. Ed egli sorse ed andò a iasa •. È dub- 

(I) Matteo, il, i 8eq.;,Maroe, II, 3 seq.; Loca, ?, lateq. . 



4R% LIIM TERZO 

i)io se per la sua città si debba intendere Cafarnao o 
Nazareth; i' espressione è più favorevole a quest'ultima, 
ma Marco e Luca dicono positivamente che fu Cafarnao, 
<ed aggiungono particolarità trascurate da Matteo; cioè, 
che Gesù predicava iu una casa, ove la gente era affolla- 
tissima sino alla porta, quando vennero quattro uomini 
{Luca dice semplicemente gli uomini) che portavano il 
paralitico, e non potendo passare dalla porta per la sti- 
vata moltitudine, salirono il tetto della casa, la scoper- 
chiarono e calarono abbasso l'infermo. 

Un'altra picciola varietà è che, secondo Matteo e Marco^ 
quei che mormoravano erano gli Scribi, ma Luca vi ag- 
giunge anco i FarlséL Secondo Matteo dicono : Costui be- 
stemmia; secondo i due altri : e Chi è costui che bestem- 
mia in questa guisa? « Chi è che può rimettere i pec^ti, 
^e non il solo Dio? » Si creda pure che Matteo abbia voluto 
essere più breve; ma perchè trascurare la più singolare 
drcostanza, massime che èra accaduta quasi sotto i suoi 
occhi mezz'ora od un'ora prima della sua locazione? 

Veramente quella circostanza non ò molto pkosibiler, 
perchè era molto più agevole di farsi lai^ in mezzo alla 
folla che non di salire sopra il tetto della casa, darsi l'im- 
proba fatica di levarne le tegole, tirar sti l'infermo per 
poi calarlo neUa camera. Né il padrone poteva starsene 
tranquillo veggendo andare a soqquadro la sua casa, an- 
corché fosse ui& povera stamberga. 

Come il fatto per sé stesso è molto inverosimile, e k> 
i molto più pel silenzio di Matteo, cosi convten credere 
•che sia un'imawginazione po^tarioFe introdotta per ia- 
grandire il successo ; e non è fonie i»ù vero il fitto so- 
stanziale in cui tutti tre consentono, Almeno a quel modo 
^e Marco e Luca vi fecero delle aggiunte, niente impe- 
disce di credere che non ne facesse anco Matteo „ all' JE- 
vangelio primitivo che gli servi di base; ed atteaendoei 



DIVERSI HllACOU DI GESÙ. 277 

al fatto naturale, si può dire che Gesù suggerisse al pa- 
ralitico alcuni rimedii; poi da semplici rimedii per gua- 
rirlo si aggiunse che era stato subitaiìiente guarito; e il 
miracolo fu addotto come una prova che Gesù, come aveva 
la facoltà di restituire la salute con una parola, cosi aveva 
la facoltà di rimettere i peccati ; Massime che neiropinione 
dei Giudei le infermità sono una conseguenza dei peccati 
propri dei genitori. 

Lo stesso racconto ha il quarto Evangelista, ma seguendo 
il suo costume ne cangia affatto le particolarità (1). I Si- 
noptici lo pongono in Galilea, e Giovanni lo trasporta a 
Gerusalemme ; e narra che vi era colà presso la Probatica 
(porta Probatica ^0 porta delle pecore) una fontana détta 
in ebraico (siriaco) Bethesda (vulgata, Bethsaida), con cin- 
que portici, della quale ad un determinato tempo un an- 
gelo n^ agitava le acque ^ e qualunque infermo il quale 
aveva la fortuna di bagnarsijl primo dopo queiragitamen- 
io, o cieco zoppo o rattratto che fosse, guariva imme- 
diatamente. Quando molti si trovavano colà radunati aspet- 
tando che l'angelo venisse, nella moltitudine vi era uno 
infermo da 38 anni, a cui Gesù chiese se voleva essere 
guarito, e Bene il vorrei, ma non ho alcuno che mi metta 
e nel bagno, e intanto che vo io , un altro più lesto mi 
* precederà. > Allora Gesù gK disse : t Piglia il tuo letto 
e e vattene; § e quegli risanato sul momento, esegui il 
comando. 

Gli Armonizzatori pretendono che questo miracolò sia 
diverso dall' antecedente : ma quantunque siano veramente 
diversi i particolari, egli ha tutti i caratteri di essere stato 
fabbricato sul medesimo fondo; o se fpsse un altro, per- 
chè i Sinoptici lo avrebbero taciuto, massime trattandosi 
di una circostanza cosi solenne, cioè accaduta in Gerusa- 

(1) Giovanni, Y, 8 seq. 



278 UBRO TERZO 

lemme, nei giorni della pasqua, e in mezzo ad un gran- 
dissimo conoorso? 

Si passi che Marco e Luca l'avessero omesso per non 
averlo saputo, ma non si può dire cosi di Matteo testi- 
monio oculare, secondo il quale Gesù non fece alcun mi- 
racolo a Gerusalemme; eppure era il luogo ove avrebbe 
4ovuto operarne di più, perchè ivi più abbondavano gl'in- 
creduli. 

CAPO OTTAVO. 

MORTI RISOSCITATL 

Dire che un morto è risuscitato sarebbe pei tempi no- 
stri un'assurdità risibile; ma per quei tempi era un fatto 
possibilissimo tanto quanto di chi dicesse che un medico, 
mediante una somma perizia dell'arte sua, è riuscito a ri- 
tornare in salute un uomo già sfldato e ridotto all' orlo 
più estremo del sepolcro. 

Al dire dei Greci risuscitarono Aristea di Praconneso 
ed Ermotimo Glazomenio (1); anche Policrate di Etolia 
risuscitò e si divorò il proprio figlio (2). Goethe descrisse 
in bei versi tedeschi la sposa di Corinto che risuscitò del 
paro per giacere colf amante: e Flegonte, narratore di 
questa favola, ebbe l' audacia di vantarsene testimonio (3). 
Apollonio Tianeo, come dirò più sotto, risuscitò una fan- 
ciulla, e l'egiziano Zadas, contemporaneo di Apuleio, ri- 
suscitò un uomo (4). Luciano ha scritto appositamente un 

(i) ÀtK>loni DiscoUs, Hi»toria, Comwuntita, cap. 2 e 3, nella oollezioDe 
di Gio vaimi Meornus» Hithr» mirahUiMm Anctorei QrtBci. Logd. Ba- 
tav. 1612. 

(2) PhlegoQtis Traliani, D$ mirahilibui, cap. i in MeursioSf ibid. 

(3) Phlegon, Op. eit., cap. 2. 

(4) Apulei, Metamorph. II, pag. 288, edìt. Nisard., Parigi, iS52. 



KOHTf BaacJsaiTATi. 279 . 

dialogo (I Bugiardi) per volgere in ridicolo la creduliti 
de' GentilL Non meno credali erano i Giudei ; e le loro 
storie ra(icontano di Elia e di Eliseo che lentramM risu^ 
scalassero morti; quindi era ben naturale che anco Gesù 
dovesse risuscitarne. Matteo e Ibreo non partano che di 
una risurrezione; Lucane ha due, una delle quali in co- 
mane cògli antecedenti^ Giovanni ne ha pur una, ma tutta 
sua particolare, cosi che in tatto sarebbei^ tré. 

Matteo (IX, 18) racconta die un principe, cioè uno dei 
notabili della città propria di Gesù (Cafarnao? Nazareth?), 
sen venne a Gesà, ed adoratolo, cioè postosi a ginocchio, 
gli disse: e Lt mia U^ìb, è morta or ora; ma vieni e im* 
« poni la tua mano sopra di lei e vivrà. » Gesù, dunque, 
e i suoi discepoli gli andarono dietro, e per la via, una 
donna che già da dodici anni pativa un flusso di sangue, 
gli tenne da costo, toccò il lembo della sua veste e fu guarita. 
Giunti alla casa trovarono adunai 1 suonatori e le altre 
genti mortuarie secondo era l'uso, a cui Gesù ordinò di 
uscire perchè la fanciulla non era morta, ma dormiva. Ed 
essi burlandosi di lui, uscirono; ma Gesù entrato nella 
camera pigliò la ragazza per mano e la fece rivivere. 

Marco e Luca (1) , senza specificare la città ove suc- 
cesso il fatto, aggiungono, die il padre della fanciulla 
si chiamava Jairo; il primo lo qualifica arci^sinagogo, .e 
r altro principe della sinagoga , che torna lo stesso^ Non 
dicono che la fanciulla era morta, ma vicina a mo- 
rire; e della emoroissa parlando aggiungono che aveva 
speso tutto il suo coi medici, che non l'avevano mai po- 
tuta guarire; anzi secondo Marco si trovò peggio, cosa non 
incredibile. Proseguono a raccontare che giunti vicino alla 
casa dell' arci-sinagogo, venne taluno a dire che la fanciulla 
era spirata, ed essere perciò inutile d' incomodare il Mae* 

(1) Mafco, V, «2 seq.; Luca, VUI, 41 seq. 



280 LllftO 1BZ0 

Siro, il quale disse all'afflitto genitore: «Non aver paara, 
e ma eredi soltanto. > Cesi nfoa volle avere altri testimoni 
se non Pietro^ Jacopo e Giovanni, e il padre e la madre 
della estkita, alla quale appressatosi e presala per nuno le 
disse: e FaneiiMn kvaH > : ed ella sorse, e Gesù comandò 
che le dessero da mangiare (1). Marco aggiunge che si mise 
anco a camminare, e che aveva 12 anni ; delle quali circo- 
stanze, la prima è sua particolare, e la seconda è da Luca 
indicata nel principio del »io raooonto, e in Marco è così 
slogata che sembra stata aggiunta da una mano posteriore. 
Rispetto alla differenza, che Matteo fo dire a Jairo, la 
sua figlia essere gii morta quando gli altri due fanno dire 
che era agli estremi, Michaelis la concilia supponendo un 
errore nella traduzione di Matteo, imperocché in ebraico la 
frase e$m è morta^ o essa sta per morire^ si scrive colle 
medesime lettere : hi diversità è nella sola pronunzia (2). 
Posto ciò^ bisognerebbe supporre cte il traduttore abbia 
eliso il resto, siccome inutile. Ma se l'Evangelio di Matteo 
non fu scritto in ebraico^ bensì in siriaco o in siro-caldeo, 
insomma nel dialetto arameo che usavasì a quel tempo? 
Allora l'ipotesi di Michaelis aon^regge più; anzi non regge 
in nessuna maniera, perchè Matteo suppone cosi chiara- 
mente che la fanciulla era già cadavere quando il padre 
andò a chiamare Gesù, che nomina persino coloro che fa- 

(I) • I rabbini ebiaBMfti a cvnn nn inferoio gU applicavano il rimedio 
« indi gli dicevano: Levati dal tm inale. Cfr. Marco» V, 41, SciabbaL» 
« f. ilO. Ritenevano altresk che gli ammalati quando prendevano cibo co- 
« minciavano a star meglio. Cfr. Marco, V, 43. Rabbi Chanina mandò i 
« suoi discepoli a visitare il figlio di Gamaliele, e quegli riferirongli cbe 
t egli stava bene percbò in quell'ora aveva chiesto da mangiare. Hieros 
« Beraekoit t 9, 4. » God Otbo nel Lexicon Rabbinieo-fhHologieum, pa- 
gina 13, Altboaae i757. L'operazione di Gesù sarebbe dunque stata una 
fra le comuni operazioni mediche dei rabbini. 

{%) Michaelis, Emleithìmg in die Scriften dei Netten Bvmde$, % 437, 
pag. iOOl. 



MORTI llSUSaiÀTI. 38t 

cevano il pianto i qiiali si trovavano già radunati nella 
camera. Ma questa circostanza non è rammeiìtata dai due 
altri Evangelisti appunto perchè, secondo loro, la zitella 
mori intanto che Gesù recavasi a visitarla. Impertanto 
convien credere che da prima la leggenda fu composta a 
un dipresso come sta in Marco e Luca, e che la ragazza 
si supponeva soltanto gravemente inferma; poi si passò 
ad aggiungere l'avviso di licenziare il Maestro perchè 
Finferma era già morta, infine si tralasciò la prima circo- 
stanza e si disse nel senso più assoluto che era morta fin 
da quando il padre andò a pregarne Gesù. 

É singolare che Gesù, secondo Matteo e*Luca, ingiunga 
ai genitori di dir niente a nissuno di quel miracolo; mja 
se la fanciulla era morta in effetto, se assai testimoni di 
vista, come i servi della casa, i tubatori ed altri molti 
l'avevano veduta morta; se Jairo era andato a pregarlo in 
pubblico, e se una moltitudine di curiosi stavano all'uscio 
per sentirne l'esito: a che doveva servire quel Qomando<? 
É naturale che tutti, in pochi minuti, dovessero essere 
consci del miracolo a dispetto del mistero con cui si vo- 
leva coprirlo. Questo comando di non dir niente a nissuno 
dopo l'effettuazione di un miracolo che doveva necessaria- 
mente essere saputo, si trova ripetuto spesse volte negl- 
Evangeli. A qaal uopo? 

Pare che i Giudei rimproverassero ai primi cristiani che 
Gesù non aveva operato alcun miracolo come avrebbe 
dovuto fare un gran profeta, e i cristiani per risposta ne 
raccontavano molti. 

Non per questo si aquetavano gli oppositori, ma chie- 
devano: Dove sono tai miracoli, se nissuno li ha saputi? 
Per tirarsi da questa difficoltà i compilatori degli Evangeli 
trovaroA il sotterfugio di 4ire die Gesù istesso eomandava 
di flon paflame. 

Crit. degli Ev: Yol. I. 5» 



^SS LIBRO T£KZO 

Frattanto per meglio accreditare la cosa, come il primi- 
tivo racconto era vago, si cercò in seguito di dargli mag- 
gior precisione collo indicare i luòghi e le persone ed ador- 
narlo di altre particolarità; il quale progressivo andamen- 
to si scorge dalla stessa diversità che passa fra i narratòri, 
Tuno più breve, l'altro più circostanziato secondo che 
più presto più tardi fu compilata la narrazione. 

Quella prima risurrezione era accaduta nei recessi do- 
mestici, e Gesù aveva comandato di non parlarne. Fc;ceva 
quindi mestieri di trovarne una più pubblica, ed è quella 
di Luca (VII, 11); il quale nai*ra che andando Ge§ù aNainai, 
città delia Galilea poco lontana da Nazareth, alle porte 
della città si incontrò in quelli che portavano a seppellire 
il figlio unico di una vedova, che piangendo seguitava il 
feretro. Gesù fermò il corteO;, e toccata la bara disse al gio- 
vanetto: Let?art, e quegli sì levò vivo esano, alla presenza 
di tutti i discepoli, di un gran numero di seguaci e di 
quanti altri ivi erano (1). 

Quantunque Luca ponga questo fatto prima dell'antece- 
dente, è chiaro che è di una data posteriore, perchè non 
si trova né in Matteo né in Marco, i quali appare che non 
abbiano ignorato persino quel viaggio aNaim, di cui noni 
fenno parola. Che l'abbiano omesso per brevità è poco 
probabile, trattandosi di un avvenimento cosi strepitoso 
e tanto onorevole, per Gesù, massime che hanno raccontato 
miracoli di molto minore importanza. £ anco nomno pro- 
babile che non l'abbiano conosciuto: in pritna perchè doveva 
essere famoso in tutta la Galilea; e L\ica dice anco, in 

(i) Filostrato, Vita di ApolUmio Tianeo, IV, 48, racconto un preteso 
inlFaM>lo ' simile operato in «na zitelia da Apollonio in Roma. Damide dì- 
acefalo di 4^p«UoDio pretendeva di eNerne itato spottocore Molare, lè- 
rocle opponeva questo miracolo a qaelli di Gesù GriatA. lA disposta ^ 
gU fa jEusebio (dmtra Hieroeimy XXX) poteva Jerocte ritorperU ooDtro 
di Ini. 



MORTI RISUSCITATI. 285 

tutta la Giudea e nei paesi confinanti; — poi, perchè Mat- 
teo, se fosse autore del primo Evangelio, nella sua qualità 
di discepolo doveva essere presente; e supposto che non 
vi fosse, doveva averlo sentito dagli altri; come è incredi- 
bile che Marco non lo avesse udito raccontare da Pietro 
se?_è vero che fu suo segretario. Per lo che resta luogo a 
conchiudere che questa seconda risuscitazione è un fatto 
cosi poco istorico quanto la prima. 

É anco meno istorica la terza raccontata da Giovanni 
(XI). Ei narra che Lazaro, fratello di Maria e éi Marta, nel 
castello di Betania, poco più di un miglio lontano da- Ge- 
rusalemme, era caduto infermo.» Le sorelle mandarono ad 
avvertirne Gesù che era di là del Giordano ; ma egli invece 
di affrettarsi indugiò due giorni, poi disse: « Lazaro, nostro 
« amico, dorme; ma io vado a risvegliarlo »: e si avviò 
a Betania coi discépoli. Ma Lazaro era già "morto e sepol- 
to da quattro giorni e puzzava il cadavere; con tutto ciò 
Gesù lo chiamò ad alta voce: t Lazaro vien fuora » — 
ed egli usci vivo e sano, tenendo ancora le mani e i piedi 
legati, e il panno mortuario che gli copriva il volto. 

Qui dobbiamo ripetere la nostra meraviglia chie un fatto 
co^i solenne sia stato omesso dai Sinoptici; e il più strano 
si è che un prodigio tanto clamoroso, e sui quale, am- 
messo il racconto dell' Evangelista, non si poteva movere 
il minimo dubbio, non sia statò creduto in Gerusalemme 
che pure era cosi vicina; che Gesù sia stato costretto a 
fuggire e ad occultarsi in un deferto della Samaria; e 
che Lazaro, sentendo che yolevano mettergli le mani ados- 
so ed ucciderlo, si salvasse colla fuga piuttosto che espor- 
sl all'evento di una seconda risurrezione. 

Luca (X, 38-40) parla di Marta e Maria che abitavano 
in un villaggio della (ìalilea, intanto che il quarto Evan- 
Ì^Usctaie iMtte a 9ftMii>ia w^^ Giudea, e ciò che raccon- 
ta Luca di quelle due sorelle ha niente a che fare con 
ciò che ne dice Giovanni. 



284 LIBRO TEBZO 

r due primi sinoptici nulla accennano di Marta, e nomi- 
nano bensì varie Marie, ma sembra che ninna possa essere 
quella rammentata da Luca e molto meno da Giovanni. 

Il Talmud ricorda una Marta, detta anco Maria figlia di 
Baito, vedova ricchissima, la quale si fidanzò in seconde 
nozze a Gresù figliuolo di Gamia, che Erode elesse a sommo 
pontefice, il quale consumò le nozze malgrado la legge che 
vietava al sommo pontefice di sposare una donna che non 
fosse vergine (1). 

Ei ricorda altresì una Maria, figlia di Eli, celebre corti- 
giana che colle impudicizie aveva guadagnato molte ric- 
chezze e che fu dannata all'inferno e appesa pel capezzolo 
delle mammelle (2). 

Parendo che gli Evangelisti tendano in più luoghi a con- 
tare fra i seguaci di Gesù i personaggi che godevano di 
tal quale celebrità nella tradizione popolare, io sospetto 
che dalla anzidetta fonte siano derivate la Marta e Maria 
dei due Evangelisti, e verosimilmente anco la cortigiana 
che unse di balsamo Gesù, e di cui parlerò in altro 
luogo. 

Anche Lazaro è un personaggio sconosciuto a Matteo e . 
^ Marco. Luca (XVI, 20 e seq.) ha la parabola di un Laza- 
ro, uomo povero e piagato da molte infermità, il quale 
mendicava alla porta di un ricco epulone, desiderando di 
potersi cavar la fame cogli avanzi che cadevano dalla mensa 
di colui, ma nessuno lo soccorreva. Vennero ambidue a 



(1) Ugolini, Thesaurus antiquitatum saerarum, tomo I, pag. S6.QQettA 
Marta, Mari o Miolora (Miriam) Aebb'essere stata itna donnamoito ealebre 
e madre di alcuni cdeèri rabbini, che presero il nome da lei piuttosto 
che dal padre; come Abba, figlinolo di Marta, o figlinolo di Miniom, o il 
rabbino figliuolo di Mari, ovvero H rabbino Isacco figlindo di Samuele 
figlinolo di Marta. 

(2) Ghemara meros. Chaghigah, H, pag. tMf» ia Ufoyel, temo XYifi; 
« Sanheérin VII, •, pag. 136, nel umo XX?* 



HOITI nSIOGITÀTI. 2S5 

morte, e gli angeli portarono il povero nel seno di Abra- 
mo, e il ricco fu dannato ài tormenti dello inferno: ove 
essendo arso dalla sete, levando gli occhi vide Abramo da 
lungi e Lazaro nel seno di luì; ond'egli gridando disse: 
< Padre Abramo, ^bi pietà di me e manda Lazaro aecio- 
c che intinga 1^ estremità del suo dito nell'acqua e mi re- 
€ frigeri la lingua. » Abramo rispose : « Ti ricordi tu dei 
e beni, e Lazzaro dei mali che aveste in vita? Ora questi 
« è qui consolato, e tu sei laggiù crucciato ». 

Lazarè lo stesso che Eleazar, ove, scrivendolo in ebrai- 
co, se ne ometta VAlef iniziale; forse Luca nella citata 
parabola voile alludere a qualche leggenda sopra l'Eleazaro 
che fu servo di Abramo (1). 

. Nella Ghemara abbiamo alcune parabole molto simili. Si 
racconta di un uomo che condusse una vita molto pia ed 
innocente nella povertà, e del figlio di un publicano che 
non fece mai altro bene fuorché avendo una volta prepa- 
rato il pranzo pei maggiorenti della città, e non essendo 
venuti, piuttosto che gettarlo via lo fece dare ai poveri. 

(I) Una di queste leggenda é nella Ghemara Babilonica, trattato Sa- 
nhedrin, XI^ nel tomo XXV di Ugolini, pag. 4070, ove si parla della ma- 
lignità dei Sodomiti. Eliezer, servo di Abramo arrivò a Sodoma: i Sodo* 
miti lo ferirono, e il giudice a cui ricorse volle obbligarlo a pagare chi 
gli aveva cavato sangue. Eliezer feri il giudice e dissegli : la mercede che 
ora tu devi a me dalla a quell'altro. Per gli otpiti i Sodomiti avevano 
letti alla maniera di Proooste; ma Eliezer evitò di coricarvist addncendo 
che dopo la morte di sua madre aveva fatto voto di non dormire più in 
letto. Ai poveri non davano mai pane, e se invitavano alcuno a pranzo 
solevano rubargli il mantello. All'ora del pranzo Eliezer si presentò, se- 
dette fra gli ultimi, ma non gli diedero del pane, e quando volle pigliare dei 
cibi, gli chiesero : Chi ti ha invitato? Egli rispose: Tu mi hai invitato; 
e preso il mantello di chi gli era più vicino, corse di fuori, indi fece lo 
stesso con tutti gli altri, e tutti corrono fuori a cercare i loro mantelU ; 
egli ne 'approfittò per mangiare. Una volta una fanciulla diede nascosta- 
mefite del pane a qvel povero» ma quando fu saputo, i Sodomiti la un- 
sero di miele ed espostala sul tetto la lasciarono divorare dalle vespe. 



286 LIBRO TEBZO 

Morti ambedue, un' uomo santa vide il povero passeggiare 
fra giardini e fonti di acque, e il ricco tormentato dalla 
sete attentarsi di beve ad un fiume senza che giammai 
potesse toccar l'acqua (1). 

Si narra altresì che un re fece un graa convito e invitò 
tutti i cittadini. Vi venne anco un povero, che stando alla 
porta diceva: t datemi qualche cosa » — ma nissuno si 
curava. Allora andò a presentarsi al re e disse: « re, 
€ del gran convito che tu preparasti ti è parso tanto dif- 
« flcile di dare a me un solo tozzo (2) »? 

Se la parabola di Luca non fu compilata sopra le due 
antecedenti, pare almen certo che le parabole di Gesù fos- 
sero maniere di apologhi popolari già in uso, a cui ì maestri 
insegnando al popolo, davano un vario contorno secondo 
il bisogno; come le favole indiane attribuite a Pllpai, sparse 
neir Arabia e in tutto l'oriente, furon tipo a quelle di 
Esopo, e queste a quelle di Fedro. Nei libri tradizionali 
de' Giudei è frequentissimo l'u^o delle ^parabole, e molte 
hanno una. grande simiglianza con quelle degli Evangelisti. 

Adunque il racconto del quarto Evangelio è inverosimile 
per sé stesso; urta colle notizie che Luca ci somministra 
sopra Marta, Maria e Lazaro; e gli sono contrari non pure 
il silenzio dei tre Sinoptici, ma un cumulo di circostanze 
che a patto ninno si possono concordare. 

La morte è una legge immutabile della, natura a cui 
ella sottopose tutti gli esseri organizzati, e tra la morte 
e la vita non essendovi legame alcuno né alcun modo per 
cui possano avvicendarsi, cosi, prima di ammettere anco 
in linea sopranaturale la risuscitazioné di un morto, biso- 



(i) Ghemara Hkro$. Chaghigah., II, 2, pag. 1056,. e Sanhedrin, VII, 9, 
pag. 138, in Ugolini, luoghi citaU. 

(2> 6hem. Babyl. Beraehoi, V, fol. 84, presBO Buxtorf, Tliesaurut, 
GrammaU, pag. 682. 



MORII RIMJ$C4TATI. 287 

gnerebbe considerare se questo fatto, fisicamente impossi- « 
bile^ possa essere metaflsicamente possibile; o se nou im- 
plicherebbe contradizione nella immutabilità che è in Dio , 
in forza della quale è egli stesso vincolato allo leggi che 
regolano immutabilmente la natura, o per dir meglio, egli 
stesso è quelle leggi : donde s'inferirebbe che la risusnita- 
zione di un morto entra nella categoria delle assolute in^- 
possibilità. 

E quando fosse possibile, per credere un fatto tanto 
straordinario vi vogliono tutte quelle prove isteriche o 
morali che esige la gravità del caso; ma tali non sono le 
prove che ci offrono gli Evangelisti; che anzi le loro nar- 
razioni inesatte, piene di incertezza, riferite dall'uno, ta- 
ciute dall'altro, contradette da circostanze di luogo, di 
tempo e di persone, contradette nelle conseguenze, non 
hanno alcuna fisionomia di storia ed hanno quella di una 
poco ingegnosa finzione popolare. 

Osserviamo Ja scala progressiva di quelle tre leggende 
evangeliche. La prima è la^ risuscitazione di una ragazza, 
operata secondo Matteo alla presenza di nessun testimonio, 
perchè il solo Gesù entrò nella camera; pure aggiunge 
che la fama di quel successo si sparse, per tutto il paese. 
Secondo Marco e Luca, fu operata alla presenza di cinque 
persone, ma sj seppe niente di quel fatto, perchè Gesù 
volle si tenesse secreto. 

La seconda è la risuscitazione di un giovinetto, e qui 
la leggenda, pigliando un aumento, suppone il fatto acca- 
duto in pubblico alla vista di spettatori innumerevoli. 

In questi due racconti l'immaginazione degli Evangelisti 
sembra che avesse in mira due fatti simili operati da Elia 
e da Eliseo; il primo risuscitò il fanciullo di una vedova 
appo la quale alloggiava (1); ma attenendoci al testo let- 

(1) ffl, Re, XVn, i7 e seq. 



288 uno TEE20 ' 

terale sembra ohe qael faneiallo non fosse ancora morto, 
sì soltanto ridotto a quello stupore insensato che annuncia 
il prossimo fine della vita. Invece Eliseo risuscitò il fan- 
ciullo di due sposi di Sunam, la madre del quale andò a 
pregarne il profeta quando il fanciullo era già morto (1). 
Ma i due profeti antichi operarono quel prodigio non senza 
qualche difHcoltà, e gli Evangelisti, per dimostrare Tincom- 
parabile superiorità di Gesù, lo fecero agire con una sem- 
plice parola. Si racconta ancora che Eliseo essendo gik 
morto e sepolto, avvenne una correria di Moabiti intanto 
che alcuni andavano a seppellire un morto; i quali sor- 
presi cosi all'improvviso, gettarono il cadavere nella sepol- 
tura e fuggirono. Ma il cadavere appena toccò le ossa di 
Eliseo, risuscitò e venne fuori (2). 

Un miracolo simile, più meraviglioso dei due antecedenti 
bisognava bene che Io operasse Gesù, ed anco in un grado 
più superlativo; tale fu la risuscitazione di Lazaro. Nelle 
due precedenti si trattava di una ragazza e di un giova- 
netto appena morti, e grincreduli potevano sospettare che 
non fossero morti davvero; ma Lazaro era già morto da 
quattro giorni, sepolto ed in istato di corruzione; quindi 
la sua morte non poteva essere più dubbia, e il portento 
era eminentemente superiore ad ogni- altro. 

Si noti ancora che il miracolo operato dalle ossa di Eli- 
seo accadde nella Samaria, ove la tradizione si era conser- 
vata viva nel popolo ; e il quarto Evangelista che, secondo 
tutte le apparenze, scriveva nella Samaria, ne cavò IMdea 
primitiva per formare il suo racconto di Lazaro: se pure 
non si era già formato in parte nella immaginazione dei 
cristiani samaritani che poscia, per discrepanza di principii 
teosofici, fecero setta a parte; ed è forse per questa di- 



(I) IV, Re, i8 e seq. 

(%) nr. Re, xm, ao. 



HORTI RISUSCITATI. 2S9 

versa orìgiDe che la leggenda del quarto Evangelista nop 
si trova nei Sinoptici, i quali ebbero una origine tutta 
giudaica. 

CAPO NONO.* 

CIECHI E Mun GUAlUn. 

Dopo la risuscitazione della figlia di Jairo, Marco, senza 
frappor tempo^ in mezzo, fa andare Gesù a Nazareth'; il 
quale viaggio da Luca è posto molto tempo dopo (1). 

Secondo Luca (IX), subito dopo quella risuscitazione, 
Gesù convocò i dodici apostoli e conferiti a loro ^ i pieni 
poteri di operar miracoli, li mandò a predicare il regno di 
Dio. Matteo (X) dice lo stesso ; ma fra la risuscitazione e 
il fatto accennato da Luca interpone la guarigione di due 
ciechi e di un muto. Quattro in tutto sono le guarigioni 
di ciechi particolarizzate dagli Evangelisti. 

La prima è quella accennata da Matteo ed accaduta 
nella città medesima ove Gesù risuscitò la ragazzina, che 
come abbiamo già osservato è incerto se sia Cafarnao o 
Nazareth. 

La seconda è riferita da Marco, che la pone a Betsaida. 

Una terza da Giovanni, che la trasporta a Gerusalemme. 

Finalmente la quarta è comune ai Sinoptici, chela fanno 
succedere a Jerico. 

Cokninciando dalla prima, l'Evangelista (2) racconta, che 
uscito Gesù dalla casa ove risuscitò la zitella, s'incontrò 
in due ciechi che gli corsero appresso gridando: t Figliuolo 
€ di Davide, abbi pietà di noi. » Ciò nondimeno Gesù 
senza badare a loro s' indirizzò alla sua casa, seguitato 



(1) Marco, VI, i seq., Luca IV, 16, Matteo, Xm, 54. 

(2) Matteo, IX, 27. 



290 UBRO TfiBZ9 

contiDuamente dai due ciechi, ai quali rivoltosi disse: e Gre- 
t dete voi che io possa darvi la vista? » Si, risposero. 
Allora egli toccò gli occhi loro che si aprirono, ma comandò 
che non ne facessero motto con alcuno. 

Il secondo miracolo è. da Marco (Vili, 22) narrato cosi : 
Trovandosi Gesù a Betsaida, gli fu mostrato un cieco af- 
finchè lo toccasse; ed egli presolo per mano^ lo guidò 
fuori delPabitato, e sputandogli sugli occhi, vi pose le mani 
e lo interrogò se vedeva qualche cosa. Il cieco rispose : Lui 
vedere gli uomini simili ad alberi che camminino. Gli 
pose di nuovo le mani sugli occhi e la vista divenne per- 
fetta. Indi lo licenziò colla solita raccomandazione di non 
dir nulla ad alcuno. 

Il terzo miracolo è raccontato da Giovanni (IX, 1) nel se- 
Iguente modo : Gesù essendo a Gerusalemme s'imbattè in un 
cieco nato. Gli apostoli lo interrogarono quale peccato avesse 
commesso o colui o i suoi genitori, perchè dovess^egli na- 
scer così: Gesù rispose: Che né colui, né i suoi genitori 
avevano peccato, ma che cosi era avvenuto affinchè si ma- 
nifestasse la gloria di Dio. Indi sputò in terra, fece un 
empiastro di polvere e di saliva, lo fregò sugli occhi al- 
l'infermo, e gli comandò che andasse a lavarsi nellai fon- 
tana di Siloè. La qual cosa il cieco avendo eseguita, ottenne 
la vista. 

Il quarto miracolo accadde quando Gesù passò da lerico 
per andare a Gerusalemme insieme coi discepoli ed una 
grande moltitudine che lo seguiva* Un cieco mendicante 
se ne stava sulla strada, ed udendo che passava Gesù Na- 
zareno, si fece a gridare : Figliuolo di Davide, abbi pietà 
di me. Moki lo sgridavano perchè tacesse, ma egli alzava 
più forte la voce. Gesù si fermò^ lo fece chiamare a sé, e 
interrogatolo che potesse egli fare per lui, il cieco rispose: 
Dammi la vista. E Gesù gliela diede (1). 

(1) Matteo, XX, 30; Marco, X, 46; Luca, XVHI, 35 e seq. 



. aECHI E MUTI GUARITI» 291 

Tranne qualche particoJarità in più o in meno, il rac- 
conto è identico nei. tre Evangelisti, ed esposto in modo 
che ben si vede che l'uno copiò l'altro, o che tutti tre 
copiarono un medesimo originale, giacché il racconto ha 
le medesime proporzioni ed è fatto quasi colle stesse parole. 

Vi sono però alcuae differenze. Matteo e Marco asseri- 
scono che il miracolo successe quando Gesù era uscito da 
Jerico : Luca invece lo anticipa prima del suo ingresso in 
q^iella città. Marco e Luca non parlano che di un cieco 
solo; Matteo ne ha due, e. questa tendenza a duplicare le 
persone la abbiamo già osservata nel racconto dell' inde- 
moniato di Gàdara, e lo si ravvisa anco in quello dei. due 
ciechi rammentati di sopra. Marco poi dà il nome del cieco, 
che è omesso dai due altri. Ei lo chiama Bar-Timeo figliuolo 
di Timeo, nel che vi è un pleonasmo, imperocché in siriaco 
Bar-Timeo (Bar-Thimai) corrisponde precisamente a figliuolo 
di Timeo; ond' io penso* che nel testo vi fosse semplicemente 
Bar- Timeo; che un postillatore abbia scritta nel margine 
la spiegazione di quel vocabolo, e che un ignorante copista 
rabbia incorporata nel testo, commettendo l'incongruenza 
di ripetere due volte la stessa frase, cioè: figliuolo di Ti- 
meo figliuolo di Timeo. 

Dunque Matteo ha due volte il miracolo de' ciechi a cui 
fu donata la vista; in entrambe i ciechi sono due, in en- 
trambe la loro preghiera a Gesù è la medesima, sola- 
mente cangiano il tempo e il luogo; ma .trovandosi che 
del primo miracolo non fanno cenno gli altri due Sinop- 
tici, che pure raccontarono con lui la risuscitazione della 
figlia di Jairo , lascia supporre che possa essere la ripe- 
tizione di un fatto medesimo, con qualche variazjone ne- 
gli accessorii. 

Del cieco guarito a Betsaida, fuori di Marco, nissun altro 
ne parla; ed é notabile che lo fa succedere pochi giorni 
dopo il miracolo dei pani e pesci, e nell'intervallo tra 



292 UBRO TERZO 

questo fatto e l' andata di Gesù verso Cesarea di Filippo. 
Anche Matteo (XVI, 13) rammenta questo viaggio, ma tace 
del cieco guarito; Luca (IX, 10) dice altresì che (Jesù 
si ritrasse nel deserto di Betsaida ove operò il miracolo 
dei pani^ ma di quello del cieco non fa parola. Finalmente 
nissuno dei Sinoptici ricorda il miracolo accennato dal 
quarto Evangelio, come questo non ricorda i ciechi guariti 
di' cui parlano i Sinoptici. 

Giova però di osservare che V operazione meccanica con 
cui fu guarito il cieco di Betsaida, ricordato da Marco, è 
esattamente la medesima con cui fu guarito il cieco di Ge- 
rusalemme accennato da Giovanni; cioè F applicazione di 
un empiastro di polvere e saliva; con questo di più, che 
il quarto Evangelista vi aggiunge il comando di lavar gli 
occhi nelle acque del Siloe. 

Non è dunque improbabile che i due Evangelisti abbiano 
voluto parlare di un fatto medesimo, di cui avevano una 
confusa idea, e che ciascuno lo raffazzonò a suo modo. 

Notiamo anche la varietà del processo; il cieco di Bet- 
saida e quello di Gerusalemme sono risanati mercè di un 
empiastro accompagnato da un'altra operazione meccani- 
ca; in Marco, due volte T applicazione della mano di Gesù; 
in Giovanni, la lavanda degli occhi nella piscina del Siloe. 
I ciechi della città di Jairo sono guariti col semplice tocco; 
e il cieco o i ciechi di Jerico colla semplice parola. 

Qui occorre di rammentare un altro fatto accennato dai 
Sinoptici (1), ed è, che Gesù trovandosi un sabato in una 
sinagoga ov'era un uomo con una mano secca, i Farisei 
lo stavano osservando se voleva guaVire anco nel sabato per 
indi accusarlo di avere infranto il precetto festivo. Gresù 
chiamato quelP uomo in mezzo, chiese agli astanti (secondo 
Matteo) qual fosse di loro jche avendo una pecora la quale 

(I) Matteo, Xn, 10; Marco, m, i; Laca, VI, -6. 



aECHi E Km cnARiTt. 898 

in un sabato fosse caduta in una fossa, non volesse andare 
a levarla? Ora un uomo essendo molto più che una peco- 
ra, è quindi lecito far del bene in* suo favore. E coman- 
dando all'infermo di stendere la mano, gliela guarì. Invece, 
secondo Marco e Luca, Gesù disse: < È egli lecito in sa- 
« bato di far del bene o del male? di salvare un'anima o 
di perderla? » E poiché tutti tacevano, ordinò all'uomo 
di stendere la sua mano, e la guari. Il medesimo racconto 
si ha nell'Evangelio de'Nazarei, e di sopra ne ho già 
riferito il testò al confronto di quello di Matteo. 

È singolare che i Farisei considerassero le guarigioni 
miracolose di Gesù come un lavoro manovale fra quelli 
vietati dalla legge in giorno di sabato; lo che fa credere 
che ciò che era un miracolo per gli Evangelisti, non fosse 
che una semplice cura medica agli occhi de' Farisei; quindi 
il miracolo non poteva essere così evidente come gli Evan- 
gelisti vorrebbono far supporre. 

Si racconta che Vespasiano, poco dopo che fu acclamato 
imperatore^ trovandosi ad Alessandria per passare a Roma 
Tanno 69, uni plebea noto per la sua cecità si gettò ai suoi 
ginocchi, e dicendosi inspirato dal Dio Serapi lo supplicava 
che gli bagnasse le palpebre e gli occhi col suo sputo ; ed 
un altro rattratto da una mano, consigliato dal medesimo 
Iddio, k) scongiurava che con la pianta del piede gliela 
calcasse. Vespasiano da prima se ne fece beffe, ma insi- 
stendo essi colle preghiere, e indotto anco dalle adulazioni 
(te' circostanti, e credendo ogni cosa piana alla sua fortuna 
e nulla incredibile, si prestò a quanto da lui si esigeva; 
e tosto la mano riebbesi, e la vista al cieco si ravvivò. 
L^uno e l'altro di quei fatti, 'aggiunge Tacito, da que'che 
furon presenti si narra aoch'oggi, che niun guadagno si 
^n dalla menzogna (1)* Con ciò Tacito par quasi che li 

(1) Tadto, /slor^IV.Si; SvetODio» tii Ve$paiùm, % 7; Dione, UCYI, 8. 



294 LIBRO T^RZO 

tenga per veri. Ad ogni modo la tradizione esisteva nei 
primi anni del If secolo quando scrivevano egli e Sveto- 
nio, e si raccoglie da loro che fu portata dall'oriente, dove 
là si era sparsa prima che a Roma. Quindi chi sa che la 
medesima leggenda, la quale somministrò agli scrittori 
profani i niiracoli di Vespasiano, non abbia somministrato 
agli scrittori evangelici i miracoli di Gesù? 

Oltre ai ciechi di cui abbiamo discorso, Matteo (XII, 22) 
accenna anche di un demoniaco cieco e muto, a cui Gesù 
restituì la vista e la favella. Sembra che sia il medesimo 
individuo di cui parla altrove (IX, 32), e che era muto so- 
lamente. Anche Luca (XI, 44) pària di un muto guarito, 
ma lo colloca in altra occasione. 

ifarco ci ragguaglia di due altri sordo-muti, che furono 
guariti da Gesù. L'un fatto, successo tosto dopo che Gesù 
scese dal monte ove si era trasflguràto, è comune anco 
ai due altri Sinoptici (1), che però lo riferiscono con mi- 
nor corredo di particolarità. Dalla descrizione che ne fa 
Marco, egli era un ragazzo epilettico fin dalla nascita; e 
seguendo gli altri, gli accessi di epilessia si riproducevano 
secondo le lunazioni; ma non aggiungono che, oltre al pa- 
tire di mal caduco, quel ragazzo fosse anco muto e so'rdo. 
Comunque sia, i Giudei attribuivano cosi Tepilessia come 
più altre infermità ad ossessione di demoni. Gli Apostoli 
per quanto facessero non poterono liberarlo, ma Cristo 
Io risanò perfettamente. 

L'altro fatto è ricordato dal solo Marco (VII, 32), "e ri- 
guarda parimente un sordo-muto, che fu presentato a Gesù 
in un luogo ai confini della Decapoli. Egli lo trasse in 
disparte, gli pose un dito nelP orecchio, gli bagnò la lin» 
gua colla propria saliva, volse gli occhi al cielo, emise 
tin sospiro, pronunciò una formola, e con questo- metodo 

ti) Itatleo, XVn, 14, Marco, DC, 16; Luca, IX, 37. 



CIECm E MUTI GUARITI. 295 

curativo lo' riabilitò neirudito e nella favella; ingiungen- 
dogli poscia di non raccontare ad altri questo successo: 
pacoomandazione assurda, perocché quelli che gli avevano 
presentato l'infermo, vedutolo poscia guarito di una ma- 
niera cosi improvvisa, dovevano ben conoscere e il mira- 
colo e Fautore di esso. 

Vede il lettore che la storia di questo sordo-iputo è 
molto simile a quella del cieco di Betsaida raccontata dal 
medesimo autore. La guarigione del cieco succede a Bet- 
saida, quella del sordo-muto ai conCni della Decapoli, che 
può intendersi versò Betsafda; così il cieco cojqc il sor- 
do-muto sono tratti in disparte; cosi l'uno che l'altro sono 
guariti colla saliva; e dopo guariti hanno entrambi \\ co- 
mando di non dir niente- di ciò che era a loro successo. 

É impossibile di non sospettare che non sia un . fatto 
medesimo, narrato in divèrso modo. Ma poiché nell' un 
caso l'infermo era un cieco, e nell'altro un sordo-muto, é 
chiaro che V Evangelista non ebbe una notizia esatta di 
quell'avvenimento, e che formulò il suo racconto dietro 
reiaziòni tradizionali e molto confuse. 

Quindi il mfracolo avviluppato fra tante incertitudini 
perde assai del suo valore istorìco, mólto più se sì consi- 
deri che i mezzi meccanici di cui Gesù si era servito ap- 
partenevano alla terapeutica a cui faceva ricorso l'empiri- 
smo volgare de-'suoi tèmpi. 

Petronio introduce una fattucchiera che con un impasto 
di polvere e di saliva guarisce alPiniprowiso un giovane 
drtl^impotenza (4), e Ligfatfoot cita esempi di rabbini che 
si servivano alWncirca dello stesso rimedio contro il mal 
d'occhi (f). E se oltre all'empiàstro di polvere e di saliva 
che Gesù applicò àgli occhi del cieco di Gerusalemme, gli 



(1) Petronii, Saiffrieon^ % i31. . " * 

(i) Winer, Bihli$ehet W^rMkth, tomo IT, pag. 861. 



206 tuao vaio 

ordina eziandio di andarsi a lavare nella fontana del Siloe, 
questa prescrizione potrebbe essere stata derivata da mia 
prescrizione quasi simile che il profeta Eliseo ordinò al 
siriaco Naaman quando per guarirlo dalla lebra lo mandò 
a lavarsi sette volte nelle acque del Giordano (1). 

D'altronde certi segreti magici per curare le malattie e 
cacciare i demoni, che si dicevano stati scoperti ed inse- 
gnati da Salomone, erano molto in uso a quel tempo; e 
Flavio Giuseppe racconta di aver veduto, l'anno 67, uo 
certo Eleazaro giudeo il quale cacciava i demoni dai corpi 
ponendo alle nari dell'indemoniato un anello, nel castone 
di cui vi era una radice portentosa stata scoperta dal re 
Salomone; e nell'atto che il paziente fiutava, T operante 
gli traeva dalle narici il demonio; ma l'indemoaiato pativa 
tale scossa che ne cadeva a terra e il demonio che fuggiva 
rovesciava in pari tempo un recipiente d'acqua posto a 
qualche distanza (^. 

É chiaro che il preteso taumaturgo si serviva di un ap^ 
parato elettro-magnetico per operare, non diremo i suoi 
prodigi, ma i suoi colpi di destrezza, che facevano stupir 
Vespasiano, i suoi figli e ì suoi afflziaU> come la catena 
elettrica o la pila Yoltiana o il ferro a cavallo magnetizzato 
in mano dei saltimbanchi sulle fiere fanno stupire il volgo 
di oggidì. Con ciò non intendo insinuare che tali fossero i 
mezzi di cui si serviva Gesù, ma intendo dire solamente 
che quei mezzi erano comuni ; e che indipendentemente 
da loro erano conosciuti vari altri q^iflci empirici, che 
si adoperavano in varie malattie, e^ di cui principalmeate 
si servivano gli EssenL Ma se sradicassero effettivamente 
l'infermità che si voleva curare, o se fossero softameate un 
palliativo, è ciò che ,poa saprei decidere. Solo oso afftr- 



(l)IV,Be,V. li. 

(S) Ginieppe, AmUelUtà gMakhe, Ym, S. | f . 



CIECHI E nri GUARITI. S97 

mare, che ai miracoli di Gesù i quali abbiamo esaminati 
fin ora, manca assai perché si possano dire bene aecertatL 

CAPO DECIMO. 

MORTE DL GIOVANNI BATTISTA. 

Racconterò adesso la storia di Giovanni Battista, che 
avrebbe dovuto essere collocata prima, ina che ho voluto 
riservare a questo luogo per riunire in un sol gruppo tutte 
le particolarità che lo riguardano e che sono pervenute 
flnò a noi, e quali furono le sue relazioni con Gesù 
Cristo. 

Johannon Hahamdonah, o Johannon Sabi, cioè Giovanni 
Battista Giovanni il Bagnatore, era^ come dice Flavio 
Giuseppe (1), un uomo giusto, il quale confortava i Giudei 
ad osservare la virtù e la giustizia e la pietà verso Dio, 
onde ricevere il battesimo; la qual lavanda tornerebbe a 
Dio più grata quando se ne valessero, non còIP intenzione 
di lavarsi dai peccati, ma quando Fani ma essendo già pu- 
rificata dalla virtù, se ne servissero per la mondezza del 
corpo. 

Aggiunge che molti si affollavano ad udire le sue pre- 
dicazioni; per il che Erode tetrarca della. Galilea e della 
Perea, temendo che tanta gente devota a Giovanni, e che 
da' suoi consigli lasciavasi governare, potesse recarsi a 
qualche sollevazione, onde prevenirla prima che succedesse 
e non aversi poi a pentire quando non fosse più tempo, 
fece arrestare e condurre nella fortezza di Macheronte; e 
quivi toglier di vita Giovanni. 

Lo storico che ho citato pone la n^orte di Giovanni prima 
della guerra fra Erode ed Àreta re degù Arabi, che sem*- 

(I) Antichità giudaiche, XVIÌI, 5, | 2. ^ 

Crit. degli Ev. Voi. I. 2i 



bra essere aeeaicta in fnao 35 e X defl'èra Tol^ve. 
fei qmOm fwrra Pesnvil» di Erede ìm ntienflwiite ri»- 
nflìato, cade il popolo lo attribvhn e pvdmo di Dìo ìi 
Tendetla deOa nceimae di GiofMsL 

Secondo Lata, GiofaBBi predicava sia Taaiio XY delliii- 
pero di Tifeerìos c o r f ia po ad eite all'anso 9S dell'era Ti- 
fare. EfU restiTa wn nnrida tonaca di lana di cameìo 
stretta al corpo da naa ciatiira di cuoio, si natriya di 
micie sdTatico e di locaste, che in Oriente servono infitti 
di cibo al iNisso popolo; battezzava in un Inogo al di là 
del Giordano, detto Eanon (le fontane) presso SaUm (1); 
ed anche Bctàamiàk (casa della barca) (2X o Btik'habmré 
(casa del transito) (3X lo cbe vuol dire die qoivi era fl 
passo del Some, e per coosefoenza che era un lao^o di 
concorso. La fortezza di Macberonte, oltimo confine tra la 
Perea e FArabla, e dove Gfovanni fa condotto per essere 
ncdso, stava 60 stadi o sette miglia e mezzo d'Italia lungi 
dal Giordano, da cui era separato dalki valle di Baaras. 

Era vi tra gli ebrei una setta di celibi solitarii che chiama- 
vansi Esseni, 1 quali vivevano in cornane e praticavaBo un 
modo che ha molta somiglianza coUe istitozioni dei |Nrimi 
cristiani. Tra le altre cose, amministravano il battesimo a 
tutti quelli che abbracciavano il foro tenore di vita^ e che 
venivano ricevati nel loro consorzio (4). Pare altresì che 
il battesimo fosse passato molto in oso fra i mistici giudei 
e cbe lo considerassero come un mezzo per lavare i pec« 
cati. 
Comunque sia, se Giovanni non era un Esseno, teneva 

(I) Giovanni^ m, S3, 
(a) Giovanni, I, fg. 

M^Ja ^"*'''.^^' *^' ® ""^'^^ '«•** ^"^^«'^ dell'evangelio di Giovanni. I, 
(4) W cmiir''"** "^ ^' ^''*^' ^' ^««^ W- 87«. 



MORTE DI OiaVANin BATTISTA. S99 

per lo meoo molti dei loro priaeipii; e il sopra|iame di 
Battista, conosciuto anche da Giuseppe^ dimostra a quanto 
egli estendesse l'uso del battesimo^ e l'applicazioDe ch'egli 
ne faceva per chiamare il popolo alla penitenza e all'abban- 
dono del peccato. Egli sali perciò alla riputazione di grande 
profeta fra il pòpolo (1), trasse a sé molti discepoli che 
gli sopra vissero, e propagarono la setta dei Giovanniti o 
Emero-Battisti o Sabi. Uno di quei suoi discepoli semina 
che fosse Banù, verso l'anno 60^ il quale al paro del Bat- 
tista soggiornava in un deserto, si vestiva di scorze di al- 
beri, si cibava di radiche, si bagnava ogni giorno, e lo stesso 
genere di vita insegnava a'suoi seguaci (2). I Giovanniti sotto 
il nome di Sabì erano molto diffusi nell'Arabia e nella Siria 
al tempo di Maometto, cheque parla più volte nel Corano^ 
e sussistono ancora in ^n distretto della Mesopotamia^ ver30 
le foci del Pasitigri. 

Noi abbiamo veduto con (j^uale lusso di particolarità il 
terzo Evangelio abbia raccontata la nascita del Battista^ 
che a suo dire sarebbe stato cugino di Gesù. Il medesimo 
ci somministrò altresì ampi ragguagli sulla di lui predi* 
cazione, e sulle varie classi di gente che ricorrevano a lai 
e che ricevevano i suoi insegnamenti. Tutti quattro gli 
Evangelisti si accordano a dire ch'egli predicasse l' immi- 
. nente apparizione ,del Messia, di cui egli era in certo qual 
modo il precursore; ma di queàto Giuseppe Flavio non 
fa parola, lo che non toglie che non fosse vero. 

Quello però che più ci sorprende si è di vedere che, né 
della parentela tra lui e Gesù, nò della perfetta cognizione 
che egli doveva avere intorno alla missione del suo cugini^ 
o non si trovino più indizi, o non s'incontrino che contra- 
dizioni. 

(1) Matteo, XXI, 26; Marco, XI, 32; Luca, XX, 6; Giovanni, X, 41 ; AtH 
Àpoit. I, 5. 
(3) Giuseppe Flavio, Biografia, % S. 



300 UBM TSUO 

Della prima lo stesso Luca non ne fa più menzione, è 
meno ancora gli altri Evangelisti. Quanto alla seconda Mar- 
co e Luca non dicono che Giovanni abbia conosciuto Gesù 
per quello ch'egli era, quando andò a farsi battezzare da 
lui. invece Matteo, e più chiaramente l'Evangelio degli 
Ebioniti^ dicono che quando Gesù si presentò a Giovanni, 
questi sulle prime non volea battezzarlo, dicendo dovere egli 
piuttosto essere battezzato da Gesù; donde s'Inferisce che 
lo aveva conosciuto pel Messia. Questa cognizione è anco 
più esplicita nel quarto Evangelista (i). 

Ma come avvenne che Giovanni^ trovandosi in carcere ed 
udendo i miracoli di Gesù, gli spedisse alcuni dei suoi 
discepoli per sapere da lui se egli era colui che doveva 
venire, o se si doveva aspettarne un altro (2)? Questa 
missione, di cui non parlano il secóndo ed il quarto Evan- 
gelio', è tanto più singolare in quanto die è raccontata 
da Matteo e da Luca: da Matteo, al dire di cui Gesù era 
già stato riconosciuto pel Messia da Giovanni nel momento 
istesso in cui andò per farsi battezzare; e da Luca, a cui 
siamo debitori della notizia intorno alla parentela fra i due 
profeti, ed ai singolari prodigi che precèdettero ed accom- 
pagnarono la nascita del Battista. 

Le contradizioni degli Evangelisti diventerebbero anche 
più flagranti ov,e determinar si potesse con qualche esat- 
tezza la data della morte di Giovanni; la quale se ci atte- 
niamo alle notizie forniteci da Flavio Giuseppe, accadde 
prima della guerra tra Erode ed Areta, cioè prima del- 
l'anno 36; ma non però molto tempo prima. Seguendo il 
medesimo storico pare che Giovanni sia stato arrestato, 
tradotto nel castello di Madìeronte e subito messo a morte. 
All'incontro gli Evangelisti sinoptici frappongono un inter- 



(1) Giovann i, I, 6 e seq: III, 23 e seq. V, 33 e X, 41, 

(2) Matteo, XI , 2; Luca. VII, i8. . 



KORTE DI aiOVANin BATTISTA. 901 

vallo fra la prigionia e* la morte. Al dir loro, Giovanni 
sarebbe stato imprigionato poco dopo il battesimo di Ge- 
sù (i), per lo che quest' ultimo si ritirò nella Galilea. Ma 
se Gesù temeva di Erode, perchè ritirarsi dalla Perca nel- 
la Galilea, che era egualmente nel dominio di Erode, e 
darsi a predicare nelle vicinanze di Tiberiade ove soleva 
risiedere quel principe? Il quarto Evangelio fa un cenno 
fugace della prigionia di Giovanni (2), ma quel verso è cosi 
fuor di luogo che ha tutti i caratteri di essere una postilla 
marginale passata nel testo. Esso manca infatti in quello dei 
Templari. Della sua morte nulla dice; ma ha un passo da 
cui sembra doversi inferire che a quell'epoca il Battista 
fosse morto (3). Ora ecco come quell'avvenimento ci vien 
raccontato dai Sinoptici: 



MATTEO XIV. 

1. A quel tempo la fama di Gesù 
pervenne ad Erode il telrarca; 

% e disse a' suoi famigliari: Que- 
sti é Giovanni Battista che risuscitò 
da morte ed é perciò che le potenze 
operano in lui. 



3. Imperocché Erode temendo Gio- 
vanni, lo fece arrestare e sostenere 
in carcere a cagione di Erodiàde mo- 
glie dì Filippo suo fratello. 

5. Ed egli volendo ucciderlo, non 
si ardi per cagione della plei)e 
(OchUmJf che lo tepeva per profeta. 



MARCO VI. 

14. £ il re Erode adi, perocché il 
nome di Gesù si era fatto chiaro; 

e diceva che Giovanni Battista 
risuscitò da morte « td é perciò che 
le Potenze operano in lui. 

i5. Altri dicevano che é Elia; al- 
tri poi dicevano che é profeta o quaai 
uno de'profeti. 

i6. Ma Erode udendo disse: QnesU 
é quel Giovanni che ho fatto decapi- 
tare, ed egli è risuscitato da morte. 

17. Imperocché Erode aveva man- 
dato ad arrestare Giovanni, e lo te- 
neva in carcere a cagione di Ero- 
diade mo|lie di Filippo e sposata d* 
lui. 

19. Ma Erodiàde lo insidiava e vo- 
lava ucciderlo, ma non poteva; 



(1) Matteov lY, 12; Mareo, I, li; Lttca, m, M. 

(2) Giovanni, HI, 24. . 

(3) Giovanni, X, 40. 



lOt 



UBM TSBZO 



MATTEO XIV. 



0. m nel dì aaulìxio dì Erode, 



U figlia di Erodiade ballò nella 
Mia e piacque ad Erode; 

7. n qnale con ffiuramenlo promise 
di darle tatto ciò che domandasse. 



8. Ooella, istmtta dalla madre, 
ditte: Dammi sa qaesto bacile la te* 
tta di Giovanni Battista. 



9. TI re ne fa contristato, ma pel 
fhiramento e per rispetto ai convitati 
ordinò che fosse compiaciuta. 

10. E mandò a decapitare Giovan- 
ni in carcere. 



11. E la tetta sopra un bacile fa 
presentata alla ragazza, che la diede 
1 sua madre. 

il S i ditoepoli di lai andarono, 
e presero il sno corpo e lo srppelli- 
hmo; indi vennero ad annuncurlo a 
Getà. 



13. E Getù adendo, ti ritirò, e 
■tentato sopra ana barca jiataò in un 
luogo deserto. 



MARCO VI. 

20. Imperocché Erode temeva Gio> 
vanni sapendolo nomo ginsto e santo; 
e lo conservava, ed ascoltandolo fa- 
ceva molte cose e Io udiva con pia- 
cere. 

31. Ma venne il giorno opportono 
quando Erode celebrando il suo na- 
tale, invitò a cena tutti i suoi prìn- 
cipi e tribuni e primari della Ga- 
lilea. 

Si. E venne la figlia di Erodiade, 
ed avendo ballato, piacque ad Erode 
ed ai convitati; 

e il re disse alla ragazza: Chiedi 
ciò che vuoi e te lo darò. 

23. £ giuro tutto ciò che doman- 
derai ti darò, fusse anco la metà del 
mio regno. 

24. E quella, uscita, disse a sua 
madre: Che cosa domanderò? ma 
quella disse : Il capo di Giovanni Bat- 
tisU. 

25. Ed entrata chiese prontamente 
al re: Voglio che tu mi dia subito 
su questo bacile la testa di Giovanni 
Battista. 

26. Il re ne fu contristato, ma pel 
giuramento e per rispetto ai convi- 
tati non volle rigettar la domanda. 

27. E il re mandando subito lo 
speculatore (tagliateste) comandò di 
portare il di lui capo, e quegli an- 
dando lo decapitò in carcere. 

28. E portò la sua testa nel l)adle, 
che diede alla ragazza, e la ragazza 
la diede a sua madre. 

Ed udendo i suoi discepoli, ven- 
nero, presero il cadavere e lo posero 
nel monumento. 

30. E vennero gli apostoli a Gesù, 
e gli annunciarono tutte le cose che 
avevano fatto e quanto avevano in- 
segnato. 

31. E disse loro: Ritiriamoci a 
parte in un luogo deserto e nposatt 
un poco. 



KORTE DI «OVAim BATTISTA. 303 

Luca non ba quest'episodio e si limita a cUre: e Eroda 
t il tetrarca, essendo ripreso da lui a cagpioiie di Erodiada 
« moglie di Filippo suo fratello, e di tutti i mali che 
e aveva fatti, aggiunse anco questo di far mettere in pri- 

• ^ione Giovanni (i) ». 

Ma questo passaggio è così poco a suo luogo ^ e cosi visi-^ 
burnente dimezza un altro racconto, che siamo indotti a 
crederlo una interpolazione. 

In un altro luogo dice (2): t Erode il tetrarca udì tutte 
< le cose che si facevano da Gesù e ne stupiva, per quello 
e che alcuni dicevano Giovanni è resuscitato da morte, 
e Altri dicevano: É apparso Elia; altri infine: É risuscitata 
e uno degli antichi profeti. E disse Erode : Io feci decapi** 
« tare Giovanni, ma costui chi è del quale odo tanta 

• cose? t Anco questo squarcio patisce i difetti dell'ante-, 
cedente, perocché nel te3to di Luca è introdotto cosi di^ 
mala grazia, che interrompe la narrazione già cominciata, 
la quale ripiglia subito dopo di esso. Essendo quindi poco^ 
naturale che uno scrittore, per quanto sia imperito, voglia 
incominciare un racconto, interromperlo per cominciarne 
un altro che non vi ^a aissun legame, e finito questo, ri- 
pigliare il racco|3to antecedente, convien credere che anco^ 
questo secondo sia un'interpolazione a guisa del primo. Ad 
ogni modo, Luca ha niente di quanto riferìscoBO Mattea 
e Marco, e vi sono diversità notabili anche nel poco ove si^ 
somigliano. Per esempio: secondo Matteo e Marco è la 
stesso Erode il quale è persuaso che il Battista sia trasmi- 
grato in Gesù; in Luca sono altri che lo dicono, ed Erode 
è solamente ammirato di ciò cbe ode narrarsi, di jGreeùu 
Infatti Erode, che, cQiie tutti i priBcipi della sua casa, pro^ 
lessava la setta dei Saducei, e non era d'altronde molto rigo-. 



(i) Loca, m, 19 e so. 
W Luca, IX, 7. 



304 uno TEKto 

roso nelle credenze giudaiche, è oltremodo inrerosiinile 
olle credesse alla trasmigrazione delle anime ammessa sol- 
tanto dai Farisei. 

' Quanto agli altri due Evangelisti, essi incominciano con 
un grave errore contro la storia supponendo che Erodiadct 
convivente con Erode Antipa, fosse moglie di Filippo di 
lui fratello. Quest'ultimo, tetrarca della Traconitide, aveva 
per moglie una figlia di Erodiade chiamata Sàlome; e il 
vero marito di Erodiade era un altro fratello di Filippo 
e di Erode Antipa, chiamato esso pure Erode, che viveva 
in Roma da privato* Antipa aveva per moglie una figlia 
di Areto re degli Arabi Nabatei; ma in. una sua gita a 
Roma, essendosi innamorato della cognata, che era in pari 
tempo sua nipote, la indusse a fuggire, promettendole dal 
canto suo di far divòrzio dalla moglie propria. Ma questa 
accortasi, se- ne fuggi presso il padre, che per vendicare 
l'affronto recato alla figlia mosse guèrra al tetrarca della 
Galilea è gli diede una segnalata sconfitta, che il popolo, 
come ho detto, attribuì a castigo di Dio per la morte di 
Giovanni. 

Gli Evangelisti però non avendo notizia dell'Erode che 
viveva privatamente a Roma, ed essendo a loro assai più 
famigliare il nome di FiHppo, il fondatore di Cesarea nella 
Traconitide, e d'altronde sapendo che Erodiade era It 
moglie di un fratello di Erode il tetrarca, supposero facil- 
mente che tale fratello fosse Filippo. 

I Commentatori, non sapendo come conéiliare gli Evange- 
Rstt con Flavio Giuseppe, supposero che Filippo ed Eroda 
marito di Erodiade fossero una persona identica; e il Nol- 
dio (i) che si è mdUo affaticato per disbrigare l'imbrogliata 

(1) HUtaria Idumaea, nell'opera di Flavio Gins^pe. ediiióne di Haver- 
eamp, umdo U. 



XORTE m dO^Am BATTISTA. 306 

storia genealogica degli Erodi, adduce moltissimi esempi 
dì nomi doppi usitati fra i Giudei: ma né quelli, né le 
altre cose che. aggiunge, distruggono la ben decisa diffe?* 
reoza fra Erode primo marito di Erodiade e Filippo suo 
fratello. Da questo lato lo storico ebreo, che era istrettis* 
Simo degli affari domestici degli Erodi, merita molto mag- 
gior fede che non gli Evangelisti, persone o idiote o che 
scrivevano sopra vaghe tradizioni popolari, senza vaglio^ 
critica. 

Un'altra invenzione popolare debb'essere quella figlia di 
Erodiade che danza in occasione di un banchetto ed alla 
presenza de'convitati. É vero che ai conviti si facevano 
intervenire suonatori e danzatori, ma erano persone ve- 
nali; e sarebbe stato contro il decoro orientale se una 
prindpessa si fosse posta a divertire i convitati danzando. 
Oltre a ciò non consta dalla storia che Erodiade avesse 
altra figlia tranne Sàlome^ che quando ella si divise dal 
marito era già maritata con Filippo. Quindi la danza della 
fanciulla, la sciocca promessa del principe sostenuta .d^t 
un giuramento non meno sciocco, l'atroce domanda di 
Erodiade, gli scrupoli puerili con cui è acconsentita da 
Erode, e, il teschio di Giovanni presentato sopra un bacile, 
sono di quelle poetiche fantasie inventate dal volgo per 
dar ragìpne di un fatto che lo interessa e di cui gli sono 
ignote le vere cause. 

Siccome le nozze di Erode Aotipa colia cognata erano 
severamente condannate dalla legge mosaica^ che le puni- 
va, di morte, cosi quantunque Giuseppe non- lo dica, non 
è improbabile che Giovanni alzasse una voce di riprova- 
zione contro quelle nozze illegali ed incestuose, e che fos&t 
questo uno fra i motivi per cui Eroda lo fece portare in 
carcere e togliere di vita. Ma in questo caso, ed attenen-. 
doci alla relazione di Giuseppe, la morte di Giovanni sareb* 
be posteriore a quella di Gesù; eccoae le prove. 



a06 UHO flUO 

Seeondo i Sinoptiei, Giovanni fu imprigionato qiHil<^ 
mese dopo il b^ti^imo di Gesù, cioè l'anno 26 dell'era 
volgare. 

Gesà morì al più tardi l'anno 29. La guerra contro 
Areia successe circa un anno prima della morte dell'im- 
peratore Tiberio (i4 marzo dell' anno 37) e dopo che Fon- 
ùo Pilato era stato deposto dalla carica di procuratore 
iiUa Giudea, quindi verso Tanno 36. 

La sconfitta toccata ad Erode venendo attribuita dal 
popolo a casiigo d^ Iddio per Tuccisione di Giovanni, lascia 
credere cbe qu^ta uccisione fosse ancora di fresca data. 

Aggiungi che quella guerra era stata cagionata da eon* 
tese di confini, ma principalmente dall'affronto che la figlia 
di Areia aveva ricevuto dal marito Ek*ode; per cui le pat- 
tovi2»oni tra esso lui ed Erodiade, di separarsi questa dal 
marito e lui dalla moglie, per ìndi eongiungersi tra loro in 
matrimonio, non possono essere anteriori di più di due o 
tre anni alla guerra aniùdetta e per conseguenza poste- 
riori alla morte di Gesù. Di maniera che, o la si pigli per 
un verso o la si pigli per T altro, gli Evangelisti sareb- 
bero sempre caduti in un anacromsmo. 

Se è vero che tra le cagioni che provocarono la morte 
di Giovanni fa il biasimo da lui portato contro le nozze 
di Erode con Erodkde, quelle nozze essendo accadute 
dopo la morte di Gesù, posteriore alla- medesima debbe pur 
essere quella dì Giovanni; e se è vero che Giovanni fu 
ucciso pHma di 6«6Ù7 non è più vero che egli .potesse 
aver biafiimate H incestuose nozze dì Erode , per essere 
esse posteriori. 

Si osservi finafaneiite che i due Evangelisti non sono 
fteppttre d'accordo f»s di loro. Secondo Matteo è Erode 
che vuole uccidere Giovanni, ma non si ardisce per H- 
morte deUa i»tebe ; e secondo Marco , Erode è il protei 
tore di Aio'Wiiii, prende piacere a sentirlo, ne segue 



KORTE DI eiOVAlim BATTISTA. 8W 

i consigli, ed è invece Erodiade quelh che insidia atta 
sua vita. 

Matteo si contenta di far promettere ad Erode che ^dtrfc 
alla ballerina tutto ciò ch'ella chiede; Marco vi aggiunge 
fosse anco la metà del mio regno, proposizione ridicola^ 
perchè il regno di Erode non era suo, ma dei Romani ; e 1 
Romani che glielo diedero, glielo tolsero pure alcuni anni 
dopo; ma egli non poteva darlo ad altri quando ne ftt 
spogliato. 

Si arroge che quel regno era poco più grande del du- 
cato di Modena ; e se ne regalava, una meti, che cosa fK 
restava (1? 

Secondo Matteo i discepoli di fiiovanni, dopo di averlo 
sepolto, vanno a dame parte a Gesù; in Marco vi è niente 
di simile, e sono invece gli apostoli del medesimo Gesù che 
vanno a lui, non per parlargli di Giovanni, ma per render* 
gli conto delle loro missioni. Cosi la ritirata nel deserto, 
secondo Matteo, è consigliata dal timore; e secondo Matteo 
suggerita dal bisogno del riposo e di conferire insieme traiH 
quHhimente. Nel resto i racconti de' due Evangelisti soml 
identici e derivanti da una stessa sorgiva; ma quello del pri- 
mo^ come è il più semplice, sembra anco il più originale : 
e Marco nel copiarlo vi ha fatto alcuni ornamenti. 

Con tutto ciò vi sono ragioni per credere che quelf^ 
pisodio nei due Evangeli sia stato interpolato da una mano 
posteriore. 

Già abbiamo osservato che l'Evangelio di Marco noA è 
che una traduzione delP Evangelio di Matteo faitta sopra 
un testo differente da quello che possediamo; e PE vangelo 
di Luca, scritto in greco e che copia cosi spesso i due m- 
«ecedenti, di certo non avrebbe omesso un episodio tanto 
interessante, e anco più interessante per lai^ se lo avesse 

(I) U Galilea aveva circa 30 knisUa H latìlndine e 4è o 4Sto Iwfhfiiia. 



906 Lomotmzo 

trovato Begli originali di cai si serviva. Ma egli, che àvevt 
raccontato cosi diffusamente la nascita del Battista e U 
sua predicazkme nei deserto, intorno alla sua prigionii 
perchè si sbriga in due parole e appena di foga accenna 
la sua morte? Senza dubbio perchè queirepisodio non si 
telava ancora negli Evangeli da lui consultati. 

Se ben si esamina il testo di Matteo, tosto si scorge che 
quanto è compreso dal 3.^ al 12.^ versetto non è coerente 
col resto, e che il primitivo racconto si limitava al V 
e 2.^ verso, dopo il quale si pacava immediate al i3.^; 
vile a direi che Gesù, sentendo quale opinione Erode si 
avesse di lui, temè di subire la sorte del Battista e fuggi 
nei desertiir Nel secondo Evangelio il versetto 16.^ inco- 
mincia una interpolazione che continua sino a tutto il verso 
S8.% e sembra che il testo primitivo dopo il verso 15.^ at- 
taccasse il 30.^ e non esistessero i versetti intermedi. Ifa 
eiiandio coi versi non contestati vi sono delle difflcoltà. 

Se il Battista fu ucciso dopo Gesù, come Erode poteva 
dire^ ch'egli era risuscitato e passato in Gesù? Erode Antipa, 
più pagano che ebreo, credeva egli alla trasmigrazione delle 
anime? .0 se era superstizioso a questo segno da persua- 
dersi che un uomo fatto decollare da lui è risuscitato e 
fa grandi miracoli, come non fu percosso dallo spavento e 
non si. è separato da Erodiade, la quale anzi continuò a 
vivere seco lui e volle esser sua compagna anche nell'e- 
silio? 

Come abbiam detto, Giovanni Battuta fu capo di una 
setta austera che si occupava di digiuni e penitenze (1), e 
ohe si diramò in un seguito numeroso di discepoli, spara 
nella Grecia e fino a Roma (2); i più dei quali andarono 
a fondersi fra i cristiani. Ma per guadagnarsi questa setta 

(i) Matteo, IX, iC, Marco, II, 48; Lnca, V, 33. 
W AUi Apo$MM, XVm, » e XIX. i e •«!. 



MORTE DI dOTARHI BATTISTA. 309^ 

rirale convenne ricorrere a vari ripieghi; fu d'uopo pro- 
digare i più grandi encomi al Battista, dare un carattere 
prodigioso alla sua nascita ed esaltarlo il maggiore fra i 
profeti (1). 

Secondo la tradizione giudaica la venuta del Messia do- 
veva essere preceduta dalla riapparizione di Elia. Quindi 
fa introdotto l'angelo che annuncia a Zaccaria la nascita 
di un Aglio dotato dello spirito e della virtù di Elia (2); 
si andò anche più oltre supponendo che il Battista fosse 
Elia medesimo (3), e il più grande fra ì profeti (4), sic- 
come viene esaltato in alcuni discorsi posti in bocca a 
Gesù. E perchè l'avvicinamento fosse più sensibile, due tra 
gli Evangelisti ci descrivono Giovanni con un vestito di 
pelo di camello stretto alle reni da una cintura di cuoio (5)r 

Uh po' diverso è il vestito che. gli attribuisce l'Evangelio 
secondo gli Ebioniti, dicendo che il Battista si copriva i 
lombi con pelliccie e portava al di sopra un abito o man- 
tello di pelo di camello (6). La descrizione dei due Evan- 
gelisti canonici è perfettamente conforme a quella che ci 
fu conservata del profeta Elia (7). Ha rEvangéiio apocrifo, 
richiamandoci il vestimento dell'Esseno Banù'tal quale lo 
descrive Giuseppe è verosimilmente storico. 

Qua pure abbiamo una tra le tante contradizionl tra gli 
Evangeli sinoptici e il quarto Evangelista; imperocché se 
i primi si sforzano di rappresentarci nel Battista il perso- 
naggio di Elia, e a dargli il carattere dei maggiore^ anzi 
dell'ultimo fra i profeti, l'altro introducendo i Farisei a 

(1) Matteo, XI, 1; Luca, YU, 28. 

(2) Luca, I, 17. 

(3) Matjeo, XVII, IO, Marco, IX, 10. 

(4) Matteo, XI, 11; Luca, VII, 28. 

(5) Matteo, III, 4; Marco, I, 6. 

(6) Epifanio, Eresie, XXX, 13. 
(7). IV, Re, I, 8. . • 



310 UBMO mxo 

diisputare o<ri Battista, pone in boeca ai primi ia domanda 
se egli era Elia od un i^ofeta ? e ii Battista risponde, non 
essere nò l'ano né l'altro (1). 

E siccome nel sistema di queli' Evangelista non hanno 
luogo le trasmigrazióni di anime in altri corpi, cosi egli 
non introduce, come fanno gli altri, l'opinione di quelli i 
q«ali supponevano clie Gesù potesse essere il Battista ri- 
suscitato, od Elia, od alcuno degli antichi profeti. 

Conchiud<> pertanto che tutto ciò che narrano gli Evan- 
gelisti intomo a Giovanni Battista ed alle sue relazioni 
con (ìesù se non si può dirlo asseveratamente falso, è per 
k) meno assai oscuro e soggetto a gravissime difOcoltà. 
Supposto che Giuseppe abbia collocata fuori del vero sao 
tempo la morte del Battista, e <die questa sia accaduta 
avanti la morte di Gesu^ rimane pur sempre che una parte 
de'racconti degli Evangelisti è patentemente erronea, un' 
altra pane è inverosimile; ed essendo fuor di dubbio la 
loro smania di accoinodare gli avvenimenti alle loro pre- 
venzioni, od alla necessità di conciliare interessi od opi- 
nioni diverse, si rimane incerti nella scelta tra il vero ed 
ii^ittiziò, tra ciò che appartiene alla storia e ciò che fu 
ereato dalla immaginazione. 

CAPO ONBECmO. 

MOLTll^LICAZlONE DEI PANI. 

Tutti quattro gli Evangelisti (2) raccontano che in una 
data occasione Gesù saziò più migliaia di persone con po- 
chi pani ed alcuni pesci; ma non sono concordi nelle 
particolarità. I Sinoptici fanno succedere questo fatto sa- 

(f ) Giovanni. I, 21 e seq. 

(«) Matteo, XIV, 12; Marco, VI, 84; Luca, IX, 40; (Hovanai, VI, 5. 



MOLTIPUGAiaOIffi DEI PANI. ZU 

bito dopo obe Gesù, temendo di Erode, si ritirò in un de- 
serto di là del lago, intanto che le nioltitadini da diverse 
eittà circostanti lo seguitarono a piedi f»;endo il giro della 
riva. Posto che Gesù partisse da Cafarnao, a poca distanza 
di questa città vi era un ponte su cui si passava il Gior- 
dano, e da costi per internarsi nel deserto, che conflnava 
c^la opposta riva, vi era nn viaggio presumibilmente di 
961 ore almeno, andando a piedi. 

Matteo e Marco dicono semplicemente un luogo deserto, 
ma Luca aggiunge che era il deserto di Betsaida; e si deve 
ì<itendere non il villaggio sulla sponda occidentale del lago, 
ma la città ad oriente del Giordano, nella Gaulanitide ch6 
Filippo il tetrarca fece rifabbricare e chiamare Giuilade dal 
nome della figlia di Augusto. 

Anco Giovanni pone la scena di là del mare di Tiberia- 
de; e senz'altra precisione di luogo, dice ^he era un mon- 
te, cioè alcuni dei colli o monticoli che si vedono in qud 
eontorni. ^ 

Matteo racconta che venuta la sera, i discepoli dissero 
a Gesù : * L'ora si fa tarda, e il luogo è deserto ; licenzia 
«' dunque la moltitudine acciocché se ne vadi a con^perarsi 
t da mangiare nei villaggi. Gesù rispose: Non c'è questo 
« bisogno: date voi da mangiare. Ed essi: Non abbiamo 
•- se non cinque pani e due pesci. A cui Gesù : Portateli 

* a me. — E fatta sedere la turba sulFerba, pigliati t 
« cinque pani e i due pesci, giiardando H cielo li bene- 
« disse, li spezzò e diedeìi ai discepoli, e questi alla mol- 
€ titudine. E tutti mangiarono e furono saziati; e raccolti 
•^ gli avanzi ne empirono due gerle. Ora il numero di 
« quelli che mangiarono era di cinque mila uomini^ senza 

* contare le donne e i fanciulli ». 

I tre altri hanno sostanzialmente la cosa medesima, tran- 
ne che secondo Marco al comando di Gesù: « Date voi a 
« mangiare -— gli apostoli risposero.: ^ Andiamo danque 



313 Ulto mzo 

< a comperare per duecento denari di pane >. Secondo 
Giovanni è l'apostolo Filippo che risponde; e Dove com* 
e prereino tanto pane per duecento denari ». Ed Andrea 
fratello di Simone soggiunge subito: e C è qui un ra« 
« gazze che ha cinque pani e due pesci ; ma che vai qae* 
e sto per tanta gente? » 

Secondo Luca, Gesà ordinò di far sedere quella molti- 
tudine in squadre di cinquecento ciascuna; secondo Marco 
in squadre di cento e cinquecento. 

Secondo Luca e Giovanni erano ti» tutto circa 5000 per* 
sone; Marco lascia^ l'indeterminato circa^ e dà il numero 
positivo di 6000; Matteo ingrandisce la quantità ponendo 
cinque mila uomini senza tontare le donne e i fanciulli, 
che per lo meno saranno stati altrettanti. 

Matteo e Marco raccontano (1) un altro fatto che identi- 
camente è lo stesso, perchè accompagnato dalle medesime 
circostanze e narrato colle medesime parole. Matteo lo fa 
succedere sopra un monte in un deserto di là del mare 
di Galilea, locchè coincide colla località assegnata da Gio- 
vanni al miracolo antecedente; Marco lo fa succedere verso 
i confini della Decapoli, cioè nella giurisdizione di Filippo^ 
verso la città libera di Gàdara. Ma in ambi gli Evangeli- 
sti non sembra più lo stesso luogo del primo miracolo, al ' 
quale si poteva andare a piedi; mentre a questo secondo 
il viaggio a piedi sarebbe stato lunghissimo, e per passare 
sull'acqua tante migliaia dì persone vi volevano troppo più 
barche che forse non ve n'erano su tutto il lago di Tiberiade. 
Un'altra differenza tra il primo e il secondo miracolo è, 
che in quello vi erano cinque pani e due pesci, in questo 
sette pani e pochi pesciolini; nel primo mangiarono 5000 
o più persone, nel secondo 4000 uomini senza contare le 
donne e i fanciulli; nel primo sopravanzarono dodici gerle 

(1) Matteo, XV, 31; Marco, VIU, I. 



HOLTIFUGAZICHIE DEI FARI. Si 3 

di reli<{ui6| nel secondo sette. Gli Armonizzatori preten- 
dono che siano due miracoli distinti; ma la qualità del 
miracolo, le circostanze e il modo con cui fu operato di- 
mostrano essere uno solo, ripetuto due volte con diversità 
nelle cifre. Ma verosimilmente un interpolatore avendo 
trovato questo secondo e veggendo la differenza col primo 
nel numero delle persone, dei pani e degli avanzi raccolti, 
si persuase che era diverso dal primo, e come tale lo 
aggiunse al documento che iiervì di base ai due primi 
Evanigeli. 

.Ma ritenendone anco un solo, si presentano molte diffi- 
coltà. Da prima è poco verosimile che tante persone se- 
guitassero Gesù in un luogo deserto, lontano dal loro do- 
micilio, e che il venir della sera non facesse loro sentire 
il iH'sogno di restituirsi alle proprie case; a meno che non 
si voglia supporre che fossero oziosi deiP infima plebe, 
senza faccende tranne quella di correre dietro alle novità. 
Il progressivo aumento che si scorge negli Evangelisti 
prova, imi pare, la progressiva formazione della leggenda. 
In Luca è detto: < Non abbiamo da dar loro da mangiare 
« se pur non andiamo a comperarne > . Secondo Marco gii 
apostoli dicono e Andiamo a comperare duecento denari 
€ di pane e diamolo a loro > . Come gli apostoli potevano 
aver tanta pecunia? Duecento denari di argento corri- 
spondevano a 25 ohci^ di quel metallo od anco più, ossia. 
a tanto argento quanto h'è contenuto da iSO franchi^ ma 
il valore comparato coi generi doveva essere molto mag- 
giore se con essi si poteva comperar tanto pane da bastare 
a 8000 persone^ mentre a' dì nostri con 160 franchi ap- 
pena si potrebbe avere tanto pan bigio per darne una 
moderata razione a 1500 persone (1). Il quarto Evangeli- 

(1) CoD 150 fraDchi si possooo comperare 500 pani da munizione ossia 
iOOO razioni di pane militare, che potrebbero appunto bastare a 1500 per- 
I Bone, inesèolando uomini, donne o fanciulli. 

Crii, degli Ev. Voi. I. M 



314 tlBtO TERZO 

sta leva questa diffieoltà oioettendo I^aff«rmativo Andiamo 
a comperare duecento detMri di pane^ e ponendo in bocca 
ad AiMlrea a modo di una esclamazione: Duecenio denari 

a pane non basterebbono a tanta gente ì 

Certamente quando i primi cristiani raccontavano que- 
sto miracolo, griacreddii più dt una volta si saranno messi 
a ridere ed avranno detto: Chi ha poi contata quella gen- 

. te? Onde nacque il bisogno di supporre che furono di- 
stribuiti in isquadre di cinquecento daseuna; ma quelle 
squadre essendo un po^ troppo numerose, furono ridotte a 
cento; in seguito per condliare tutte le s^serzioni fu detto 
di cento e cinquecento. 

Ma se il luogo era co^ deserto, dove furono te*ovate le 
dodici gerk o coffiini o panieri, insomma i dodici reci- 

. pienti per contenere le reliquie? Non potevano essere dei 
dodici apostoli, perchè Gesù aveva proibito loro di por- 
tarne; convien dunque supporre che appartenessero ad 

. alcuni di quella moltitudine. Ma egli è verosimile ohe ta- 

. Inno seguisse Gesù per un lungo cammino caricato di quegli 
inutili utensili? No certo: ma il numero di dodici è in- 
dubitabilmente un'allusione ai dodici apostoli, o alle dodici 
tribù ; come le sette gerla del secondo miracolo stanoo io 
armonia con un altro numero sacro fra gli ebrei. 

L^uSicio di far sedere tutta quella incomposta moltitu- 
dine, di dividerla in squadre compartite esattamente in 
cento e cinquecento, di distribuir loro i^ cibo e po^ia di 
raccoglierne gli avanzi e porli nelle gerla, aveva mestieri 
di un tempo lunghissimo e forse appena bastava tutta la 
notte. Ha intanto che faceva quella gente senza fuoco, 
sdraiata sull'erba» in una stagione che non era ancora ben 
calda? 

Secondo Giovanni la Pasqua de'Giudei era vicina^ vaie 
a dire che si trovavano tra il mese di marzo e di aprile; 
è ben vero che in Oriente i pastori e molti anco fra i 



MOLTIPLIGAZiOltE DEI PANI. Si5 

contadini sogliono passare la notte a elei sereno, ma so- 
gliono anco accendersi intorno un buon fuoco, onde pre« 
servarsi dall'umido e dagli insetti e tener lontane le 
Aere. Ma di queste cautele niente è notato dagli Eyan« 
gelisti. 

Il più strano si è che £^i apostoli medesimi, pochi giorni 
dopo, anzi poche ore dopo non si ricordavano più di quel- 
l'iasigne miracolo, e fu forza a Gesù di rinfrescarne lono 
la memoria (i). Il che prova, mi pare, ohe il miracolo non 
era cosi evidente che non lasciasse dei dubhi anco fra qaelU 
che ne furono spettatori. 

La tradizione giudaica riferiva di Elia che avesse tnoiU^ 
plica to la farina e l'olio della vedova di Sar^pta (2 , e che 
lo stesso miracolo avesse operato Eliseo coU'olio della ve- 
dova di un profeta (3). Il bisof^ di attribuire a Gesù 
miracoli anco più stupendi fece immaginare la moltiplteat- 
zione de'pani e dei pesci. 

I Musulmani raccontano che Maometto con un agnello 
arrosto e un pane d^orzo saziò più di 3000 uomini^ e che 
un'altra volta moltiplicò un paniere di datteri per nutrire 
gli operai che scavavano un fossato intomo a Medina. Le 
ragioni che abbiamo noi per credere il miracolo di Gesù, 
servono ai Musulmani per credere il miracolo di Mao- 
metto. 

CAPO DUODECIMO. 

PASSAGGIO SUL LAGO A PIEDL 

La moltiplicazione dei pani e pesci accadde a sera, ed 
abbiamo osservato che per distribuire tante migliaia di 

(i) Matteo, XYI, 9; Maròo, Yin, 19. 
(2) 111, Re, XVn, 46. 
<3) IV, Re, IV, 6. 



316 I4BR0 TERZO 

rtzioni e per raccoglierne gli avanzi era necessaria una 
parte considerevole delia notte; ma gli Evangelisti Matteo, 
Marco e Giovanni, senza tenere alcun conto di questa 
necessità di tempo» sciolgono quella numerosa adunanza 
nella medesima sera, fanno partire gli apostoli per Poppo- 
sta riva del lago, e intrecciano la storia di un altro mi- 
racolo, in cui nel fondo sono identici, ma che ciascuno 
Ai loro abbellisce con speciali accessorii (1). 

Racconta Giovanni che accostatasi la notte, i discepoli^ 
ksciando Gesù nel deserto, s' imbarcarono per trasferirsi a 
Cafarnao quando il lago era agitato da un vento gagliardo. 
Già si erano inoltrati per 28 o 30 stadii allorché videro 
Gesù che veniva a loro camminando sull'acqua. Da pri- 
ma n^ ebbero paura, ma rassicurati da lui stavano per ri- 
ceverlo nella barca, quando all'improvviso si trovarono 
giunti alla riva. 

Marco racconta invece che Gesù comandò ai discepoli 
d^imbarcarsi per Betsaida (il villa^io), intanto ch'egli 
ritiravasi sopra un monte a far orazione. Era notte, gagliar- 
da il ventQ, e i naviganti lottavano a forza di remi, quan- 
do, verso la quarta vigilia (sull'aurora)^ gettarono un grido 
di spavento alla vista di uno che presero per un'ombra 
(fantasma) il quale camminava sul pelo* dell' acqua e stu- 
diava il passo per andar loro davanti. Ma Gesù li chiamò, 
li rassicurò, salì con loro nella barca, e subito il vento 
si calmò. TuttavoUa i discepoli ne^ rimasero ammirati e 
sbalorditi, perchè, soggiunge l'Evangelista, niente avevano 
capito del miracolo dei pani e incjillito, era il loro cuore. 

La versione di Matteo è in tutto simile a quella di 
Marco, se non che quest'ultimo dice che i discepoli naviga- 
vano verso Betsaida, e da Matteo rilevasi invece che s'in- 
dirizzavano a Genezs^ret o Tiberiade. Inoltre Matteo ha una 

(I) Giovanni, VI, i 6; Marco, VI i6; Matteo, XIV, 27. ' 



' PASSÀGGIO SUL LAGO A PIEDI. 317 

aggiunta tatta sua. Vi narra che Pietro, riconosciuta la 
voce di Gesù, gli disse: Se sei tu, comanda cbMo ti 
venga incontro sull'acqua. Avutone il consenso, si gettA 
dalla barca, camminò sull'acqua; ma scorgendo che il ven- 
to era fortissimo, n'ebbe timore, cominciò a sommèrgersi 
e gridando chiese aiutò a Gesù. Questi gli stese la mano, 
gli rimproverò la sua poca fede, si ridussero entrambi 
nella barca e quetò il vento. Ma coloro che erano nella 
barca adorarono, cioè si prostrarono a Gesù e lui confes- 
sarono essere vero figliuolo di Dio. 

Il fatto è un solo, ma esposto in tre differenti modi. La 
navigazione^ secondo Giovanni, ora rivolta a. Cafarnao; se- 
condo Marco a Betsaida; secondo Matteo a Genezaret ó Tibe- 
riade. La discrepanza però non è affatto irreconciliabile. La 
Betsaida di cui qui si parla, diversa dall'altra di li del lago 
chiamata anche Giuliade, e nel cui vicino deserto successe il 
miracolo de' pani, evz un borgo o forse meglio un villag- 
gio poco discosto da Cafarnao, sulla strada di Tiberìade, 
che dista da Cafarnao sette miglia romane. Matteo non 
dice propriamente che andassero a Genezaret, ma sulla 
sponda del lago che sta dalla parte di Genezaret; lo che 
si può intendere anche di Cafarnao o di Betsaida. Ben pii 
difficile è di conciliare il rimanente. Perchè, al dire di 
Giovanni, i discepoli quando stavano per ricevere nel bat- 
tello Gesù si trovarono miracolosamente sospinti alla riva 
verso cui erano rivolti, e dalla qoale S6 avevano già per- 
corsi SS o 30 stadi, ne erano lontani ancora iO o i5 
almeno, o da un miglio e mezzo a due miglia. Marco inve- 
ce afferma che Gesù entrò nella barca, che il lago divenne 
tranquillo, e che si prosegui la navigazione. Ma è curiosa 
l'osservazione ch'egli fa intorno ai discepoli che rimanevano 
stupefatti perché non sapevano spiegarsi come Gesù avesse 
potuto Camminare sull'acqua e che niente avevano capito del 
miracolo de' pani accaduto aleune ore prima e sotto i loro 



MS LIBIO TERZO 

oecbi. Matteo vi fa la coda aggiungendovi l'aneddoto di 
Pietro. Dalle parole dell' Evangelista sembra che Pietro 
non camminasse ritto sull'acqua, ma che si fosse gettato 
a nuoto, e che non potendo lottare contro le onde spinte 
dalla forza del vento, pericolasse di annegare. Tutte que- 
ste differenze sono troppo notabili perchè non debbano 
intaccare graveinente la verità isterica del fatto, il quale 
anche per sé stesso non è verosimile. Se Gesù vestiva un 
vero corpo, non poteva camminare sull'acqua senza in ver- 
tere tutt' affatto le leggi necessarie della natura ed intro- 
durre una contradizione nella volontà del creatore; e se si 
trasformò in un corpo fantastico, come sembrano accen- 
nare i due Sinoptici, a che serviva quello scherzo più 
degno di un prestigiatore che della gravità di un uomo 
divino? Comunque si voglia^ quel miracolo non aveva né 
Boopo né moralità; e tornava al tutto inutile a Gesù per 
dimostrare la sua potenza, dopo i tanti altri molto più 
illustri che av^va già operati. Quello della sera precedente 
valeva cinque o dieci mila volte più di questo. 

Si arroge che Luca (IX, 18), il quale insieme coi tre 
altri Evangelisti raccontò la moltiplicazione dei pani e dei 
pesci^ li smentisce implicitamente {>er quelle altre cose 
ohe essi soggi6Qgono:.imperoochè, invece di far imbarcare 
i discepoli per indi farli seguitare da Gesù, li f^ fermar 
tutti nello stesso deserto ove si trattengono a ragionamenti, 
che gli altri riferiircono più tardi oJn. diverse altre occa- 
iionL Da ciò rilevasi che il compilatore del terzo Evan- 
gelio non conobbe o nnn trovò neMoeumenti di cui si 
serviva quel passaggio miniooloso di Gesù sul lago di Ti- 
beriade. x 

Bensì egli e i due altri Sinoptici (i) raccontano in un'al* 
ira occasione «he, neU' attraversare il detto lago. Gesù es- 
ci) Ifettoo, YIII,!»; Marco IV, 3% Um» Tifi, 3i. 



PASSAGGIO SUL LAGO A PIEDI. 319 

sendosi addormentato, si sotlerò in quel mentre tele una ' 
furiosa burrasca, che i discepoli, quantunque periti bar- * 
caiuoli, n'ebbero paura: svegliarono il loro maes^aro, i4 
quale sgridò i venti, ed essi calmarosi. Di ciò si meraviglia- 
rono quelli cbe furono presenti, e dicevano: Chi s^rà mai 
costui che comanda andie ai venti? 

Questo potrebb' essere il fondo primitivo dei racconti 
precedenti, elaborati poscia dalla fantasia secondo la Varietà 
dei gusti; od anche per conformarli al bisogno di far 
operare a Gesù le stesse meraviglie che si raccontavano 
degli antichi profeti. Mosè passò il Mar Bosso a piedi asci^it- 
ti , Giosuè passò il Giordano , e lo stesso fiume fu pas^ 
sato da Eliseo eolio stendere sovra di esso il mantello dì 
Elia (I). Per conseguenza . si cominciò dal dire che Gesùf 
comandò ai venti e calmò una burrasca ; ma questo mira- 
colo parendo troppo piccola cosa, s'immaginò ch'egli per 
lungo tratto camminasse sul lago di Tiberiade come se 
fosse sul pian terreno e che, avendo raggiunto il battello' 
de'suoi discepoli, vi entrò e comandò ai venti di acquetarsi. 
Il primo Evangelista vi aggiunse T avventura di Pietro; il 
quarto, onde dare una più larga estensione al meraviglioso, 
pretese ohe Gesù traversasse a piedi tutto quanto il lago 
che dall'una all'altra sponda ha non meno di cinque mi- 
glia; e che i discepoli, quando vollero farlo entrare netta 
loro baroa, si trovarono ad un tratto presso la riva; 

Aggiungo un altro fatto che <k) ve va essere celebre nella 
memoria del popolo. Raecontano i Talmudisti die ufir* 
certo eretico diede prova di camminare sul mare: ma ebe* 
rabbi Gesù figlio di rabbi Chanina lo fece sommergere (2). 
Quel rabbi Gesù, se non m'inganno, do vrebb' essere uno 
dei figli del sommo sacerdote Anna o Chanina, nel qual 

(I) IV, Re, n, 44. 

(S) Sanh^drin Hieroiol, W, 16, col. iOS, in Ugolini, The$awm; 
tomoXXT. - 



320 UBM TEISO 

caso avrebbe vissuto poco dopo 6. C. Se il hito è vero, 
è probabile che gli Evangelisti abbiano voluto immaginare 
un contraposto. 

Io non so se l'espressione dei due Sinoptici là ove di- 
cono che i discepoli si spaventarono alia vista di Gesù, 
avendolo essi preso per un fantasima^ non tradirebbe 
rorigine di quella leggenda, la quale potrebb'esscre stata 
inventata dai Doceti che a Gesù attribuivano un corpo non 
reale, ma fantastioo, e che quando i Giudei lo vollero cro- 
cifiggere egli sfuggi loro di mano, e crocifissero in sua 
vece Simone Cireneo. Un altro indizio di questa opinione 
dei fantasiasti lo troviamo nel terzo Evangelio (1), là ove 
dice che quei di Nazaret avendo trascinato Gesù onde 
precipitarlo da una rupe, egli scomparve all'improvviso e 
li lasciò burlati, ma non convertiti. Una tale disparizione 
fantasmagorica è Innammissibite, ove non si supponga che 
Gesù vestiva un corpo on^bratile, una illusione de' sensi. E si 
#6Servi che questo fatto riferito da Luca rimase sconosciuto 
ai due prioii Sinoptici, i quali, sebbene raccontino anch'essi 
r andata di Gesù a Nazaret e la poca riuscita che vi fece, 
nulla dicono dell'attentato dei Nazareni di volerto precipi- 
tare da^ una montagna: m|a si contentano di ricordare la 
notissima sentenza di Gesù, che nessuno è profeta nel 
proprio paese e che non potè fare alcun miracolo a cagione 
della incredulità de' suoi compatrioti. Singoiar confessione. 
I miracoli dovreUbero operarsi per convertire gl'increduli, 
ed invece non possono s<ttccedere se non a favore dei cre- 
duli, che non dovrebbero averne bisogno. 



(I) Lue», IV, M; Cfr., Matteo^ XH, 54, aeq.; Mirco, VI, i. 8ff. 



PASSAGGIO SUL LAGO A PIEDI. 



m 



CAPO OECIMOTERZO. 

CONFESSIONE DI PIETRO. 

Se i fatti che abbiamo esaminati nel capo precedente, 
malgrado la loro incertezza ed oscurità istorica, hanno 
immensamente contribuito alla formazione primitiva del 
cristianesimo; non meno importante, quantunque non meno 
incerto ed oscuro, è il fatto che stiamo ora per assog- 
gettare alla critica, siccome quello da cui derivò la supre- 
mazia delia Chiesa romana e la base sopra cui poggiare 
^intiero edilizio del sistema cattolico romano ed il cardine 
che sostiene l'autorità ponteflcale. 

Ma fa sorpresa come un fatto di cosi alto momento e 
che avrebbe dovuto essere contornato di tutti i caratteri 
della certezza istorica, sia rammentato da un solo Evange- 
lista, e che se non è smentito formalmente, è per lo meno 
Versato in grave dubbio dal silenzio di tre altri. Ha perchè 
i lettori possano con maggiore attenzione seguirci nell'esa- 
me che andremo facendo di questo brano, giova ch'essi 
abbiano sottocchio e disposto in linea parallela il racconto 
quale ci vien fatto da ciascuno dei tre Evangelisti sinop- 
tioi, avvertendo intanto che il quarto Evangelio ha niente 
in proposito. 



MATTEO XVI. 

13. Pòi Gesù andò 
aeDe parti éì Geuren di 
Filippo 9 interrogava i 
«am discepoli : Gli acmi- 
Di che cosa dicono che 
«a il Wìftio deirUomb? 

14. B mielli dissero: 
Gli uni Giovanni Batti- 



MARCO Vili. 

fi. G Gesù co'siioi 
dìteepoli ée oe andò •Ter.'- 
so i villaggi di Cesarea di 
Filippo, e per strada in- 
terrogava 1 discepoli di- 
cendo: GU «oimni che 
cosa dicono che io sonoT 

SIS. I qnali risposero a 
hd dicendo: CBovanni 



LUCA IX. 

18. £ dopo che fa solo 
fdòò dopo il mtfaooto 
de* pani) in orazione , 
erano con lai i d ts oe po li 
e gì* interrogò dicenido: 
Che dicono di 'me le 
genti? 

19. Ma quelli risposero 
e dissero: Giovanni Bat- 



uno Tino 



MATTEO XVI, 

•U,gli altri Elia, altri 
G^renia od «no dei pro- 
feti. 

15. E Gesà disse a 
imo: E Toi oba ne dite 
4à a»eT 

10. Rispondendo Sì- 
aoo Pietro, di«et Tu sei 
il Messia figlinolo di Dio 
yIvo. 

17.RispoiiéeodoGeaà 
disse a lai: Beato sei, 
SimoBe figliuòlo di Iona, 
perchè la oarna e il san- 
gae non te lo rivelò, ma 
Il Padre mio che è oel 
delo. 

18. Ed io ti dico che 
M sei Pietro, e sopra 
onesta pietra edificherò 
la mia Chiesa, e le porte 
deU* ìalenio imni pròva- 
leranno contro di lei (1). 

19. E ti darò le chiavi 
aeà regno dei cieli. Ed 
ogni cosa che sarà legata 
snila terra sarà legau 
ancora ne* deli, e «ina- 
Innqne cosa sarà sdolta 
sopra la terra sari sciolta 
anoD nei cieli 1%), 

20. Allora egli coman- 
dò a loro die dicessero 
a nissnno egli essere il 
MessU. 



MARCO yni. 

BaUisU, altri Elia, ed 
altri noo de' profeti. 

tO. Gesà disse a loro*. 
E voi, che ne dite di met 
topondeado Simon Pie- 
tro disse: Tn sei il Messia. 



LUCA IX. 

tista; altri invece Elia; 
altri, che è uno degli an- 
tichi profeti risoadtato. 
90. Effli disse a loro: 
E voi, che ne dite dì meT 
Rispondendo SioMW Pie- 
tro disse: D Messia di 
Dio. 



dO. Ma -egli proìbi a 
loro che non lo «ioessero 
a nissnno. 



%i. Ma egli proìbi a 
loro e comandò che non 
lo dicessero. 



Leggendo e confroatando questi passi, salta chiaro agli 
occhi che i tre Evangelisti, o si sono eq^ti reciproca- 



ci) Le pofla édl'iniemo fSnAsvvficéil) in Isaia, XXIYIII, «t, nono tt 
sepolcro. 
(S) Anche questo versetto è parodiato sopra nn altro dlsaia, XXD^ 2S. 



COIfFESSIOn DI PIETRO. 3S3 

mente, od hanno copiato un medesimo originale; anzi la 
differenza che passa fra di loro è quella di tre traduttori 
che traducono letteralmente una cosa istéssa. Tuttavia si 
osserverà che, secondo Luca, rinterpeilanza di Gesù e la 
risposta di Pietro avvenne subito dopo il miracolo dei 
pani e nello stesso deserto di Betsaida, ove quello fu ope* 
rato. Invece i due altri lo trasferiscono molto tempo dopo 
in occasione di un viaggio verso Cesarea di Filippo^ ossia 
Paneade che era nella Traconitide; del quale viaggio Luca 
non fa parola. Del resto la domanda di Gesù e la risposta 
de'discepoli è la stessa e fatta in circa colle stesse parole 
in tutti tre gli Evangelisti, tranne che in Marco e Luca 
Gesù non si dà la qualiflcazione di Figlio dell'uomo; ma 
la diversità principale consiste nella risposta di Pietro. 

Secondo Marco, interrogati da Gesù i discepoli, che c^sa 
essi credessero di lui, Pietro rispose: Tu sei il Messia; 
Luca vi aggiunge qualche cosa di più, cioè: Tu sei U 
Messia di Dio; ma la risposta è ampiamente formulata da 
Matteo colle parole: Tu sei il Messia figliuolo di Dio 
vivo. 

È curioso che Marco, il quale in tutto il resto segue 
passo passo Matteo, e si serve delle stesse parole disposte 
collo stesso ordine, giunto a questo luogo lo abbandona re* 
pentinamente per omettere l'importante frase: figliuoh 
di Dio vivo; e anche Luca, se non solo omettQ tutta 1^ 
frase ne omette per lo meno una porzione molto signifi- 
cativa. 

Ma ciò che più sorprende si è ^omissione di tutto quan- 
to il discorso che Gesù tiene a Pietro e che è della massima 
conseguenza per lui, per gli apostoli e per tutta la futura 
chiesa. Perchè di un fatto cosi grave, Giovanni, che era 
premute al colloquio, non ne ha tenuto parola? Perchè 
Marco e Luca lo hanno taciuto? Al contrario è chiaro, se 
non mi sbaglio, che o}r omisero espressamente, o non lo 



324 LIBIO TEBZO 

trovarono nel testo che traducevano o nelle relazioni ehe 
copiavano; imperocché dopo ì versi 17, 18 e 19 di Matteo, 
che essi saltano a pie pari, si riscontrano col mede- 
simo nel verso 20 che essi ripetono colie stesse parole. 

Fra tutte te ipotesi che immaginar $\ possono per ispie- 
gare questa singolare omissione, una sola è probabile, ed 
è questa: cheli di più che si legge in Matteo non si leg- 
geva negli antichi Evangeli a cui attinsero Marco e Luca, 
e che in Matteo esso è una interpolazione fatta posterior- 
mente, ed anche molto tardi: imperocché non pare che 
sant'Ireneo rabbia conosciuta. Infatti egli cita a questo 
modo il passo che abbiamo riferito : < Un giorno il Signore 
e interrogò i suoi discepoli, e disse: Che dicono gli uomini 
t del Figliuolo deirUomo? Pietro rispose: Tu sei il Cristo 
t figlio del Dio vivente. Gesù si rallegrò con lui e disse: 
< La carne e il sangue non te lo hanno rivelato, ma il 
« Padre mio che é ne' cieli » (l). In un altro luogo, ove 
sarebbe stato necessario di recitare i versi 18 e 19 : Tu sei 
Pietra, ecc., se si fossero trovati nel suo testo, non ne fe 
alcun cenno, lo che dimostra che non vi erano (2). 

Oltre la reticenza di Marco e di Luca, contro l'amplifi- 
cazione di Matteo, sta pure il quarto Evangelio^ il quale 
dà a divedere di non aver conosciuto l'episodio raccontato 
dai Sinoptici, ed al sopranome di Pietro assegna un'altra 
erigine. A suo dire (I^ 41) Andrea dopo che lasciò di es- 
sere uno fra i discepoli del Battista, per farsi discepolo di 
Gesù, incontrò Pietro suo fratello e gii disse : Abbiamo trth 
vaio il Messia, e lo menò a Gesù, il quale al primo vederlo 
gli disse: Tu sei Simone^ figlio di Iona, tu sarai chia- 
mato Pietro^ 



(!) IreMieos, Àiv. Bmr$$, IT, 18. 
(t) Wd^ m, i3, eoofr. lU, li. 



CONFESSIOlfE DI PIETRO. 925 

Secondo Marco e Luca^ il sopranome di Pietro o Chifò 
(in siriaco pietra, rupe) sembra che gli fosse dato abitual- 
mente anche prima che conoscesse Gesù, come suo fratel- 
lo era sopranominato Ghevar (Andrea) o il Gagliardo, ed 
altri erano parimente chiamati per sopranome, il figlio di 
Tolomeo (Bar Tolmai), il Gemello, (Thomò o Tomaso), i figli 
del tuono (Banai-Reghese o Boanerges), e simili. 

Finalmente Io stesso Matteo sembra che si metta in con- 
tradizione con sé medesimo, perchè, se nel luogo citato 
attribuisce con un diritto esclusivo di Pietro la facoltà d* 
legare e di sciogliere, più oltre (XVIII, 18) questa mede- 
sima facoltà la fa attribuire da Gesù a tutti gli apostoli ; e 
lungi che Gesù fondi la sua Chiesa sopra il solo Pietro, dice 
che ovunque due o tre si saranno congregati nel suo 
nome, nel mezzo di lor si troverà egli pure. 

A considerare la cosa con qualche attenzione» sembra 
che quell'aggiunta di Matteo fosse una invenzione degli 
Ebioniti dei cristiani-giudaizzanti per opporla ai cristia- 
ni-gentili. Imperocché questi ultimi, appoggiandosi agli 
insegnamenti di Paolo apostolo, violavano i precetti. de^ 
Mosaismo, e dicevano la nuova legge averli al tutto pro- 
sciolti dair osservare V antica, la quale Paolo chiamava una 
legge di schiavitù. Invece i Giudaizzanti, sebbene tenes- 
sero che Gesù avesse modificato molte cose, in massima 
però volevano che i precetti fondamentali della religione 
mosaica, come la circoncisione e T astinenza da alcuni cibi, 
fossero mantenuti; e diffamavano Paolo tacciandolo di 
refrattario, che, nato nel gentilesimo e fattosi proselite per 
amore, né avendo potuto ottenere la sua amata in isposa, 
disertasse dalla sinagoga e si trasmutasse in un acerrimo 
nemico del Giudaismo (1). Indi, a prova che la missione 



(!) Epifanio, Eresia XXX, 5 1^- 



326 LIBRO TERZO 

di regolare la Doova Chiesa era stata affidata, non a Paolo, 
bensì a Pietro^ bisticchiando sul sopranome di quest'ulti- 
mo, fecero dire a Gesù: « Tu sei Chifò (macigno) e sopra 
t questo Chifò (macigno) io edificherò la mia chiesa, 
ecc. (i) ». 

Ma come avviene di tutti i libri che furono composti 
un pezzo per volta, e non di rado con intenzioni opposte, 
i quali presentano perciò delle contradizioni o delle ano- 
malie, cosi anco l'incidente di Matteo sull'apostolato su- 
^remaziale di Pietro è contradetto subito dopo. Imperoc- 
ché Gesù , continuando il suo ragionamento co' disce- 
poli, soggiunse ch'ei doveva andare a Gerusalemme, e 
quivi patir molto dai seniori, dagli scribi e dai principali 
sacerdoti, che l'avrebbono fatto morire, ma che sareb- 
be risorto il terzo giorno. Pietro lo pregò che volesse 
aver riguardo a sé stesso e non permettere che accadesse 
quella sciagura. A cui Gesù*» rispose: • Vanne da me, o 
e Satana, tu mi scandalizzi colle tue parole, perocché 
e non sai distinguere ciò che é di Dio e ciò che é degli 
e uomini ». 

Questo rimprovero non é egli tutto il contrario dell'elo- 
gio antecedente? Come conciliare che Pietro fosse ispirato 
da Dio nel conoscere e confessare il Messia figliuolo di Dio 
vivo, e che pochi momenti dopo fosse dallo stesso Gesù 
reputato un Satana, una pietra di scandalo, un ignorante 
che non sapeva distinguere dalle cose di Dio a quelle degli 
uomini? Lo stesso aneddoto è in Marco; ma Luca dopo la 
confessione di Pietro e il comando di Gesù di non palesarla 
altrui prosiegue facendo dire a Gesù : e Perciocché con- 
€ viene che il figlio dell' uomo debba patir molto ed es- 
€ ser riprovato dai seniori, dai principi de' sacerdoti e 

(4) Ckifò in siriaco, come Petros in greco, che corrisponde al significato 
di qaei primo, cioè rupe o pietra, sono di genere mascolino. 



COUFESSIOltE Ot PIETRO. 397 

« dagli scribi, ed essere ucciso per risuscitare il terzo gior- 
« no. » E tace dei timori di Pietro e dell'acerbo rimprò- 
vero che glie ne fece Gesù. 

Ora , analizzando il fatto relativo alla confessione di 
Pietro, se^ ne ricavano tre distinti momenti. 

1. La confessione di Pietro; 

2: La dichiarazione di Gesù, che quella confessione 
non fu rivelata a Pietro dalla carne o dal sangue^ ma da 
Padre celeste; 

3. L' altra dichiarazione con cui Gesù riconosce in 
Pietro la pietra fondamentale d^Ia Chiesa e gli attribuisce 
la potesti di legare e di sciogliere. 

n primo momento l'hanno tutti' tre i Sinoptici, seb- 
bene con qualche varietà; 

n secondo non Fhantio Marco e Luca; ma leggesi nel 
primo Evangelio quale lo possediamo al presente e quale 
fti conosciuto da sant'Ireneo; 

Il terzo non l'hanno né Marco né Luca, né lo aveva 
il primo Evangelio nel testo veduto da sant'Ireneo; e 
deve per conseguenza essere stato intruso dopo quel padre 
della Chiesa. 

Parimente analizzando l' altro fatto, ne risultano due .di- 
stinti momenti: 

1. La dichiarazione con cui Gesù fa conoscere ai di- 
scepoli eh' egli deve patire a Gerusalemme; 

2. Le istanze di Pietro a Gesù affinché si sottraesse 
a quel j^ericolo, e la brusca risposta che ne ricevette. 

Il primo si legge in tutti tre i Sinoptici; 

Il secondo manca nell' Evangelio di Luca; ma con- 
giuntamente col primo si legge nei due altri. 

In seguito a queste distinzioni non é più difficile Io in- 
dovinare la progressiva formazione di ambi quegli episodi. 
Chi sa quante volte i Giudei avranno detto ai primi se- 
guaci di Gesù : Com' è che il loro Messia fosse giammai 



888 UBRO tnzo 

stato conosciuto da nlssono al ponto che i capi istes» 
della sinagoga lo fecero morire? 

A quest'obbiezione fu risposto collo aggiungere negli 
Evangeli io stupore, che i miracoli di Gesù avevano eccitato 
in tutti gli uomini, a tal che lo stesso Erode dubitava che 
in lui non fosse risuscitato Giovanni Battista, che altri 
poi lo credeviano Elia od alcuno degli antichi profeti^ ma 
che gli apostoli per la bocca di Pietro non avevano esitato 
un istante a riconoscerlo pel Messia. 

Gli oppositori avranno detto ancora': Se egli era il Messia, 
con;ie non previde il destino che gli sovrastava se andava 
a Gerusalemme? Anche a questo fu risposto con un^altra 
aggiunta, cioè con dire che egli non ignorava niente, ma 
che anzi lo sapeva e lo predisse a' suoi discepoli. 

Fu forse controsservato altresì: Se io sapeva, perchè 
non ha cercato di evitarlo, o perchè i suoi discepoli non 
lo hanno consigliato altrimenti? Per distruggere anco 
questa obbiezione si addussero le istanze di Pietro per di- 
sconsigliare Gesù, e l'aeerbo rimbrotto chei n'ebbe. 

Come anco fu citato il motivo per cui Gesù non volle 
che si propalasse essere lui il Messia: questo motivo con- 
sisteva nella fatale necessità di dover egli essere riprovato 
e fatto morire, affinchè potesse risuscitare -il terzo giorno ; 
laddove se fosse stato conosciuto per quello ch'egli era, 
non avrebbe potuto correre il suo destino. 

Finalmente quando insorsero le contese fra i cristiani 
gìudaizzanti che volevano T osservanza del rituale giudai- 
co, e che si appoggiavano all'autorità di Pietro, e i cri- 
stiani-gentili che riattavano que^ riti ed . adducevano la 
predicazione di Paolo, allora fu trovato necessario di an- 
nestare nel!' Evangelio di Matteo una dichiarazione di 
Gesù, mercè della quale vien data a Pietro una decisa 
superiorità sopra fìì altri apostoli, a lui solo s^no affidate 
le chiavi de' cieli , a lui solo l' autorità di legare e di 



COIfFEKffam Bl IttTRO. 3W 

sciogliere, o TOgUaitt dire, di eonservape o di aboUiiBr i Hti 
giudaici. 

E stecome IMdea di ana «éeearità fatcltstioa «ke spinger» 
Gesdì a compiere il suo saerifizio è tatia prqiris di sM 
Ptoio^ ed è Itti che Vìm posta eoaie pHtodpio metaAslog 
cM sao £v«qgelio^ ossia della reBg>e|ie 4ii' egli Iftségiiava^ 
cosi io sospetto obe le istanze 4a FMta fatte aftesèaAa* 
ohe volesse aver euri di sé «edesimo e ma eiÉiefi4ars4 ai 
perieoli ehe gli jovrasterano, e la sdègMii tìsposta iAie na 
Qttemo^ mno stati immaginati dalla se«<^ di qiiel priiia 
JkpasMa per dire che Pietroi^ 1ud|^ 4tH' esiMe H fobd»' 
Hieato della Cìàms^ era tal «omo eba noft eapìva M^la 
intomo» alo seopò pro^riddiicidè étì^ .mtssiMe del 900 
maestro^ 

Finalmente se poniamo al confronto i Sinoptici ^ol'^uao^O 
Evangelio vi troviamo un' altra manifesta contradizione. 
Imperocché se é vimi che il quarto BtangeUo sia di Gio- 
vanni, che Giovanni fosse il discepolo più favorito da Gesù, 
e ch'elei si trovasse pres^te a tatti i suoi colloqui anche 
i più segreti, non si sa concepire come potesse trascurare 
OB fatto ehe non é gii di an ordine sec(ffidarto,.jiaa ohe è 
di un inti^resae cardiiMite« 

EgU è: viifQ Qbe|, seqo^do lui, Gesù dopo nsvaeltito da 
morte, «^^accomandò ^ealdameat^ e per Jbeq tr» volte k Piatto 
di pa^^Kire il suo Crregg^ (1)^ ma mìì vi ^ «Icnaa all mi aa ta 
relativa ^^'ai^tqriti 4^Uq <^biavi ed agli alki attsbuti di 
autorità e di supremazia che trovieaio nel!' Sir«Bge]% 
di Matteo. Gesù si raccomanda alP amore che Pietro ebbe 
per lui: e/ g}i ordina di pascere le sue peoorelle; m^ non 
gli richiama né punto né poco che avesse confidate a lui 
le chiavi del regno deicidi e la poteste di legare e di 
sciogliere: a «uo piacimento. 

(1) Giovanni^ XXI» 15. 

Crii, degli Ev.\(A.t tX 



«t.Altn.floiitridisioii6/{rfti Sinòptki.e ià 4^^wto Evang^ 
consiste in ciò, che al dire dei primi, cosi nel citato tubga 
OQitt«..ii(^alÉri 0MtìH\ gUrapositli eranb siati {iBfi>riiwti:ia 
6«sù.BÌQ«iqt«.(P0UiMrébl^ .dtftlo uodso : a iGcpmsaleinittev' 
Btt 4lM4opo.t^>gkN|nia»0ebh0:«n|f5Uflilflatoi fiiiiTaBié 9)1 

tlt}ìllMiléroi!Mr^M^4iM|ffvtiifiBtef;^^ ^ì\^9ip&9Ì»ìioàgtM> 
i«m0«'^0ffiMA.ìa9t#yftii»vttto)ristticièàTeuno(*^ iv i.m 
.:ift6hi9. i;'SiMpti«if>Mftfi9Mp 4ré^poiud'tecord0^ «»n4 
siedtBtqiii .^ttnertiiol^it^Q ineidoof^ . ciitoti iluttiribùlsoraQ} 
$tik «l^ostqli la ijm«9niiM)Cèitt0Ìoimi dettai TirarrezMttrìiìt> 
GMà^t otie ffèi Jfmtmt$tì(^i I «uastalf isulrezidiìet >qi fiisgoqtf 
|o^topp«witAegfi(fap(etoli:;modeiia[ik, *i qmiri hoà! ^peTano* 
pM3ai^ra#Mv9 ,P^iitli*o kiìsoettacmip di ateuni diffondi 
che noD vollero credere finché non videro e tocenronoi 

,»tHtÌ,it -l*' f» I j'-tìri*" l! "Iti!, 'ilf (>. M\7«»'tt f' «..•-'„, .!j.v H 

-...:» il, ,.,>. ...; ..€AP0'>BECÌIIMHHMIITO. • ••'•:'--■! -i-.i 

w.ini; .. i" .-'..M !on^LÀiJflU8FiailMcX!fira/<»:'^0'i> i- '*?:■ '*'' ' 

« Dal einip9>delftir-iradfifioni ^«oritbey^^s^^l^io)^ 
gendarie eccoci di bel nuovo traspe^Haié 'iHl qfudKh'dèi Witi(' 
lfaquiiai«era,<H]»ièe''reMaro>la'^^HtìCft {i«ft' iM@M«vb^t ^ 
balie khe i >tettòH'«lbb!«»io solt^ Oeèitrió ki ìiaH^tfbnè^^^ 
MMate'aei «f^JEvabgèMti' dinò^cf;- MéÀt^ ^^li^Hò tìo# 
'àpat^di qbéMoiilirvtóitièntlty di olii, iì^iffi^è^éfi<tr^ ành;" 

€Msù pre^'Pietr<r, hc-1 Gesà prese Pietro, Jaco- qopo questi ragiotuimen- 
eepo e Giovanni di lai ' pò e Giovaom.0.lliUttl^'r4iil?il|^Mei•PillMJ'^lft^ 
fratello , e H condusse j dusse soli sopra oo alto 
«oli sopra un alto monte. ] monte. 



pò e uiovaoni, e sali so- 
pra un monte fSer*Srvi 



l ArV r^'A <K>4. r.<:> 



LA TM9ff|^niblM9NE. 



as9s 



2. E si tnisOguru alla 
loro prt'aenza e la sun 
facci-i spleiidtUu siccoroa 
\iiì soie e JL* sue vfsii 
di ventarono hiancjie i^ 
ine la neve. 



% E plj apparvero 
Mosè eà Elia chi? par- 
lavano eoa luì. 



-ni kiTJi tfiii ««nntii nii/ III III fviifj I 

-Uff*» ISJ »vj*i|i ìii****Ki{ f'MH i^-^V*! fl^i*' 



MARCO IX, 

u sì trosfìgurO alU lo- 
ro pr^^ìnza; 

E ì suoi vestimenti di- 
veoiAroiiù splendidi t» 
candidi più ddl:i neve 
e di un lai candore che 
non si potrebbe far da- 
gli oorajoi. 

Ed apparvero Mosé i^d 
Elia die parlavamo ton 

. itili ■• . ■ ,y ■' 



I. Ma Pietro r'iapoo* 
dendo dibe a, Qesù: Sl^ 
goore , è bvtkti ^he Jiiii , 
atifirno qaì; se vuoi ^ fac- 
<i&rDO qfai tte capanae, 
una per te, una per Mo- 
aù, f4 Tioa per Klìa. 



8, Egli pAriavA anro- 
W9,f ed ecco una nube Iìì- 
ci<^ càe ^ aUoii^brù; 

' Wf^coTirti TOfte della 
atkbe ohe dja«e: Qt]<!sto 
é il miu%l io diletto od 
quale mi minpìaC|ùÌ ; luì 
ascott'ite, 

6. £ i discepH uden- 
éétàé, tAùèero colU 



L E Pietro riapondon- 
do dissti a ùi'sà: Stabt'- 
ht? l'Ile noi restiamo q^ui, 
e facdàmo tre capanne, 
uaa per te, ofia per Mo- 
5Ò, f:d \xuii pfiV Elia. 

5. Imperocchù nou sa- 
peva quello che si dic^^s 
Mj; irofUTOcchi^ ^rano 
cMnpn'.SL dal ti morti. 

6, £ vtìnnt: una nube 
chp lì adombrò; 

.' , i: f'^t:, nllf Ili I 

é téum; nnavòce dalla 
nube che dùsa: O^^J 
é il mio figlio diletto, lui 
aacolUle. ' 

thU 



39. E intanto- die k- 
vttà oraziofii: aecaddé 
dieil^uo vi>Uo o>i|Usse 
aspltp e il ^no VLSljìO 
dìventie candidp ^ splene 
dente. ,j j^ , 

. 'M .'i..|>*v , *i?ìr5w; 

30. Ed ecco due illu- 
mini che pnrlavani^ eoo 
luì , ) quali ^Taao Mom 

31. 1 quali àpparirbod 
con ipaestà e parlava no 
del suo fine me doveva 
compitasi a Gerusjile0' 
me, 

31 Ma Pietro e gli al- 
tri die erano seco erano 
oppressi dal sonno, E ri- 
ave(5Uaìisi , videro la 
^aesià di lui e quella 
dei ùvl^ uùrtiinS rhe st^* 
vancf con luì, , ^^ v > 

3,1. É quando furono 
panili daln^PielrèSft* 
s^ a Gcàù: J^i^esiio, egii 
é bene che noi resiti amo 
qui, e /ice: amo tre «»- 
palane, una ptr le^ ujria 
per tìosi^, ru una per 
Elia; e non capeva quel- 
lo nhe sLÀÌcessù, ., 

,...|^. .. ' 4,.Tk 
%\. itfa ìntanlo che di- 
eCTfr questo veflne ntìa' 
nui^fì e li adombro: ed 
ebbero lìmOR^ v cingendo 
Mosé ed Et(a t^e entra* 
vano nell^ nube, 

S5. E venne &na voc^ 
dalla nube obe disse: 
putiti è ti mio figlio di' ' 
■ ' aacolut^. ' 
• r. .il 

ÌU4 liiiJltl^A*!' 



1Qu«!ti è ì 
letto; luì 



33S 



uno TERZO 



MATTEO XVII. 

faceta a terra ed dt»bero 
fran timore. 

7. E s'aeeostò Oetù e 
li Mosse dicendo: Leva- 
ter! e non temete. 

8. Ma essi levando gli 
oedii , videro oissnn al- 
tro fuorché Gesù solo. 

9. E discendendo essi 
dal monte. Gesù coman- 
dò a loro dicendo : Non 
direte ad alcuno questa 
visione fin tanto che il 
figlio dell* Uomo non ri- 
siiti da morte. 



MARCO IX. 



7. E subito guardando 
intorno , videro nissun 
altro con loro tranne 
Gesù. 

8. E discendendo essi 
dal monte, comandò a 
loro che non narrassero 
ad alcuno le cose vedute, 
finché il figlio deirUo- 
mo' non fosse, risuscitato 
dai morti. 



LUCA IX. 



36. E passata quella 
voce trovarono die Gesù 
é restato solo, ed essi ta- 
quero, ed allora non dis- 
sero niente a nissuBo 
delle cose che videro. 



Queito avvenimento Luca lo fe succedere nel già in- 
dicato deserto di Betsaida, circa otto giorni dopo la con- 
fessione di Pietro, la quale ebbe luogo ò nella notte suc- 
ceduta appresso al miracolo dei pani, o in alcuno dei due 
di seguenti; e secondo i due primi sembra che sia acca- 
duto nella Traconitide, perchè lo suppongono durante il 
viaggio per Cesarea, precisamente sei giorni dopo h sopra- 
detta confessione di Pietro; e poco appresso parlano del 
ritorno di Gesù in Galilea. 

Con termini anche più espliciti Marco soggiunge che 
passò per U Galilea senza voler essere conosciuto; laddove 
per andare da Betsaida (Giuliade) a Cafàrnào non era bi- 
sogno di trascorrere molto spazio della Galilea ^.perchè 
Cafarnao stava circa due ore lontano dalle foci ove il Gior- 
dtiM versa nel lago di Tiberiade e segaava H confine tra 
la Galilea ove era, Cfafarnao, e la Perea ov'eria Betsaidau 

Luca dice un «nohto, Matteo e Marco un alto monte. Vhtr 
tradizione antica C(|nservata dai Missiottari modèrni vaoto 



Lk Mi0iiG<nuaoHE« 333 

che sii il Tabor (1), al <lttaie siao dai tempi di sta Gero- 
lamo i devoti tndavaao in peUegrittaggìo (2); ma questo, 
piuccbè inonte, è una collina due ore e mezzo lontana (k 
Nazareth, ed ha niente più di «n'ora di salita sino alla 
cima; quindi per la qualità del monte noD conviene un 
due primi Evangelisti, e per la località non con viete t nes- 
suno dei tre, essendo il Tabor nel cuore della Galilea. Forse 
r indicata tradizione derivò dalla posizione magnifica di 
quel cMe , dalla cui vetta , quasi sem(H*e adombn^ta da 
vapori, si dominano presso cbe tutta la Galilea e le pianure 
del Giordano (3)« Altri, con maggior ragione, credono che 
sia il Libano, il più alto monte della Palestina, che sepa- 
rava la Traconitide dalla Siria, e citano un passaggio d' I- 
saia (4) ove dice: < Ad essi fu data la gloria del Libano, 
e l'ornamento del Carmelo e della pianura; essi vedranno 
« la gloria del Signore, l' orna^nento del Dio nosiro > . Ma 
se il Libano può convenire alla descrizione di Matteo e 
Marco, non è lo stesso per quella di Luca, seguendo il 
quale bisognerebbe trasferire. la scena verso le montagne 
di Galaad di là dal deserto di Betsaida, le quali separavano 
la Perca dall'Arabia. 

Secondo Luca, Gesù sali quel monte per farvi orazione, 
circostanza omessa dagli altri due. Marco dice che le 
vesti di Gesù diventarono splendenti più della neve ; Lu- 
ca esprime la stessa cosa, ma aggiunge che il volto di Gesù 
mutò aspetto; e Matteo caricando la dose afferma che la 
di lui faqcia divenne splendente come un sole. Siccome a 
quel tempo non esistevano ritratti né veri né convenzio- 
nali) cosi non saprei indovinare *eome gli apostoli abbiano 



(1) Rawner, Palaitim, pag. 38. Làpzig. IS38. 

(È) HieroBym, Epitt. GVIII, nelle opere, tomo I, pag. 698 ediz. Yallani. 

(3) Daldini, Viaggio e vitita in Terra Santi, pag. 50 e seq. 

(4) Isaia, XXXY, 2 ; Tirino, in Matteo, XYIU 



331 ' UBA»'9mM '^i 
potato :.eenosc8|ie ohe Fapparizioi^delle'dile'fi^rtsfequaK 
jCOBTiersftvmno -con ^esi :foÈ;sero Ho^ «d'Elik. ^Veramente 
«I sapeiral per tradtzìoQe obe OMfosèydopo dlav&r parMo 
IbcckLaiacDÌa^^coÉ Dìo, gli era riparto 4al6 lino dpléìido/e 
sul vollo.ohé,iper nen abbagliarne gli altriV s^va andare 
velito (l};'e che «Elia portava un. abiU)^ di peto stridito al 
eorpo jda aoa ciMundi cudìo ^S). ifa> non sarebbe^ ragio- 
nevole di oredere: ohe ^Mosèi, dopo morto 10 ridotto a eoo*- 
(iizioDe di -paro spirito y^av^se conservato iia distintilo 
oorpor^o. Quanta ad Etia^ supposto jche^ il «suo rapimento 
nònsiaiun mito, mippo&io che si fosse oònservatO'in quello 
at^to medesimo cótne-qiiaiìdotftì rapitoisu vm eafrro di 
&ioco,U.siio jabito non era tanto singolare^ e caratteristico 
da dovérlo distinguere dagli' alttri; al' contratto sembra che 
<(BeUo fosse il vestiDftQQto ooms^e a tatti i proMi ed an- 
die.altbossO' polA)10i « > < 
> D^altfó parte si iseor^e dagli Evangelisti i^he^ragiiizione 
degli aposteli ,fu dal loro aquisttata jcolta semplice es;pertenii& 
della vista, e< non per alcana oosa ctie abbia .detto loro 
Gesè; Ip qjiai^ agnizióne diventa anbo • più dlCOfeile se è 
vero ciò che dice Luca, che anco Mosè^d Elia''4pparir0D0 
con uiaestà, vaiai a dire circondati da- un >dìv%^ splen- 
dóre,' e se è vero lo awiarnimento 41 Pietro, che ^^alor- 
dito da quella i inuaitata visione non Mpeva ^quello ^che si 
dicesse. « • ........ .• - . ■ ■ i.-=. -i ■ 

I 4ue: primi B^bgelisti < oòft aecéMJano di èhe'Si traf^ 
tasse Dei' ragionamentlìfra Gesùe^tdue' profeti» uè che 
gii apostoli fossero add^tàion tati ^ anzi 4ì{U)arei ^daf tofù 
cbe fossero in I piena veglia. Seootido Luca, Pietro teìKne 
la sua proposta di erigere tre capanne quando Mo3£L^ 

'(4) EÌodo, xxkiy;iw: "'' • ' - ' ' • l' ■" '' • * '- " ^' ' 

(SI) Re, 1,8. '■ '. . -•-••- VI 



LA inmiTGMilttOIlE. 

ElianamuDongìà espatriti, ihe) pot si *cohtradtee ^8oggmi»geode 
cketurentìó unairitibe rieUa- qtiiire entraik»n<(ù'(ki« pk^ti^ 
<iMaPCp:.riMVprMr6f» tuoa at v«rS6»345l dicorio'éwa unirti, 
MatteoiI «iffiog^^paF«)l0lo<dide uAa 'nnbeiudéa; e'K'èpF 
tetot^ttcttfai fu; 'SeoBz* dubbiò' aggiunio ih s9<?uito'-ifcf-'ciwP 
Fekzibiie; eolia faccia luceh4e^ le ^esti lucenti) eoe. Maràò 
e Lilcft)ctmfij;tono là oiretestànzlf e&e i discepoli ^att^rHti 
dai suono fortent«po della vk^e ^deisero' - coll^ fàccia a 
terrai eicfte riseosài fossero da Gésà; et Luca dleen^ff* 
pilre cheoGestt coBoapdasse ai discepoli di new dir lYieàtcf 
diir^ueliai^fooe; ma, secorlda liii, son^U! discepoli smessi 
ehe-nbn «ne parlàron^w i ■ ' •< •! i - • *; oi'-, < ' '- >;"' 
Egli è poi sor)}rel^ote;ìcbè'6iovaiìaiP Evangelista^ H 
quale^ sebbodó 1 Siìiopjbioi,!era onò) dei tre* ^discepoli pte- 
seolt.^à quei prodigio^ imou ne dica nienieaiTàtto; è questa 
sflóQxiC! nèliòt st<iNc(^ <dV8supporie< «sseri 'staio ^9timèdid 
dir vistai j è mblto notabile ;>janzi baBta jCSso ^soto a bendare 
sosfieÉta: iHauteniiertà . dei tire altrV ^^lan*^ le stesse- loro 
ototlladiziooi^ ijòni fossero itfrink>tlvo pertfcrfto rigtìttaréTìl 
racconto. Se si trattasse di un fatto ordinario e «eh» Xilòli 
eeced&ìléiConflttete^lttssibiiità umane, raSèrmaziOQEiè di tre 
autori 'armonici^ ìlei: fótidp, aàcorcbè disseéziénti iim ràg^ 
guarii, ba8ter^M'(a^)òoittituinie<ia verità asoraie; è il si-» 
lensiio^diouQìitèi^iniohio oculare . potrebbe iittfernaHa^ non 
perà: distruggere la. prca)abiBt^; Ma ' qui < si ik^aAt^i dilHfi 
avtvemmebto sppranaturale !che nissuno èf obbligato) a 
credere se non è garentito da indisputabili prove, £.4uer 
ste m^ncafl^o, Jl racconto dei tre Evangelisti .^^^^ pel 
pavVei!o dot libiti popolaci^ ila cui primitiva forD^aaioiue debbe 
avere avuto la stessa oHgiaè <legli anteeedesii; ^ - ' 

RabB¥' Jddà, ff^lò^di rabbf Jtidtf il'' Sabtb dfee: « Eeeo 
« quale onore Dìo impartì a Mosè.Dio;[|an^^^edettj(> àt^ 
e bandonò i cieli superiori e venne a Mosè^ v^nmr^iaaqo 
< gli angeli ministranti e reeitaifiotìo indi in laeeia alai; veD- 



336 UMQ Ttarn 

« nero anco il solp^U luna e le stelle, e cantarono innanzi a 
% liti (1), egli chiedevano la permissione di poter iUsminare 
t il mondo. Se da lui non avessero ricevuto questa permis- 
4 Bione , non tvrebbono potuto uscire nel mondo (2) » . 
Rabbi Juda mori alla fine del U secolo, ma cita senza dub- 
bio una tradizionev anteriore; ad ogni modo una tradizione 
antichissima riferiva che Mosè, dopo di aver parlato foccia 
a faccia con Dio, il suo volto rimase poi sempre cosi ra- 
diante che^ nissuno potendo mirarlo, fu egli obbligato co- 
prirsi con un velo che si toglieva sol quando entrava nel Ta- 
bernacolo, a parlare con Dio (3); e riferiva altresì che Elia 
era stato rapito nei cieli sovra un carro di luce, e che vi- 
veva immortale in un mondo invisibile (4). 

Cosi per eguagliare Gesù ai due profeti od esaltarlo so- 
pra di loro fu immaginata la trasfigurazione. Ed ivi furono 
fotti comparire Motó ed Elia piuttosto che altri, perchè, 
oome dicono gli espositori cattolid, fosse dimostrato che 
fosù non era Elia o Mosè od alcun altro degli antichi pro- 
feti com'era l'opinione del volgo, ma il Messia, figliuolo 
di Dio <6). 

Una leggenda che somiglia alla tras^urazione l'abbiamo 
Ufi codice de'Nazarei o de'discepoli di Giovanni Battio 
ehe esistono ancóra ne'eontorni del Golfo Persico, a Bas- 
sorra ed in altri luoghi presso le foci dell'Eufrate. Il loro 
codiee publicato da Norberg è scritto in un antico dialetto 
arammo» 6 contiene la loro dottrina teologica; 4a quale, 



' (1) Era opiniond ^* mistici orìenuli, adottato anco da molti platonici « 
aa^Òrigeiie, tibe gli astri iMsero aiiiitiatii Pitagora li crederà iddii. Laerzio, 
Ub. YIU^ 19, t0«H> n, 9H^ a04. edlt. UmiM. 

\%) Scfmot Bflbbà, l ^00, i« prfsso Glroref^ MrMmda dei Beélei, to- 
mo I^^g. 219. 

■ (3) Esodo, XXXIV, tO. ' • 

' (4)lV,'lte, Hill. : • ■ '' r"vM- ,.N' • 

K1i)Tuiù^(Qmtm.m MaU^%VUf9. ii 



LA nuwiGiflu^ioRe. 3Sr 

qa9gAUii^[iie jpossa avtre subito deUe modilScauoDi su^tto 
rjiiiflaenza deUa teosofia gnostica ed orientale, nel fcmdo 
60sa ba H carattere dì una autentica antichìià. Ivi duiMlue 
si legge ohe il discepolo della Vita, sjurito celeste 9|»parso 
so^ la forala di un ragasizo, ess<Àdo aQ4ato per larsi 
b^^ttasasare da Giovanni, quando fu nell'acqua tutto il 
flame fu coperto dai raggi della sua luce. < Allora Gio- 
vanni disse al Discepolo della Vita: e Tu sei quello in 
M jìim^ del quale io do il battesimo della vita; poni la 
« tua ùtano sopra di me. Il Discepolo della Vita rispose: 
e Se io.poofo la mano sopra di te, tu non puoi più restale 
« nel tuo corpo. Giovanni disse: Io ti ho ^uto, non 
e voglio restar qui , onde non escludermi dal luogo (di 
m ogni luce e splendore) donde tu vieni e dove tu vai* 
« Allora l'Angelo della Vita gettò r abito del corpo di 
€ Giovanni nel fiume e lo vesti con un corpo di si^en* 
< dorè e lo copri col bel turbante della luce. Indi se ne 
« andò (1). > 

Confrontando il recitato squarcio con ciò che gli Evange* 
listi narrano di Cesa all'atto del battesimo e nella sua 
trasfigurazioiie, vi si scoria la massima similitudine. Come 
tatti sanno, i Giovanniti esistevano prima de' cristiani, e 
posto pb^ quanto ^i narra da loro della trasflgiira^one 4i 
Giovanni ascenda ai primi secoli, si ricaverebbe cbe gli 
Evangelisti hanno cercato d'imitar» e d'ingrandire la stes^ 
aa casa relativamente a Gesù, e il mito 4e' G^vaMiti^ 
ordinato coi miti giudaichi sopra M.oiè ed £Ua sommiitotrò 
reulsodio della trasfignraaione. f 

Dell'Gvaogeliq!de'GiK)$lici saM' Epifanio ci ha conservato 
il segiien^ pasaiggio: :' 

« Io atava s<^Ni^ un, aito moQta^ ed e«i9o mi apparve wi 



(I) Non avendo il CoHee de' Nazareni di K^fterg, «ilo U trtimiono 
di Michidis, JEffOetiittiiiy m dot 2V. ^Il4ii l 140, pHf. Miw 



3B6 lino flou» J 

« MiM ffande ed VD'aRt^^'piceèto.' làdl tidtiflMM^'f^ii^ 
« !irèi]e à quella del ^<m^; i«ft^a|pf^M8sài |lè9^uélf#^,^'6nÀìi 
«^fte imriilo in questa gaiséf Io sono Itfiitédldo ^é<iti^^^ 
« tv. te stesso die io; OTuóqoe'tu sei soiro'<afircte'i^'-e>^(h 
« per. tatto sono ^AsperSK). K( o^aqtie ia v«01;* M cep, 
« e B«rl coglier ine; td'cogfi te isteeso {I). j Non ^{»laite^ 
òhisit quéirio cbe pffHa; ma probabiieaento è >il('Gri£MM^ 
e oeiie- parole éelia- Voee^ mtst^rlosai si 'tede ^e^i^esso M 
sistettM panleislieo^ eMinviP^' d^ Gèostiei, tf la >lik*o o^^o^ 
ne ebe il {Ifisto, einàftiazlob^ divina, rappmsenfldi^ ftt^sè 
stesso uM inniatine di Dio^ ehe poi st"tfa^af6^'in1in 
oerpo norMe. — - : : - . • i* • .,■/■ - i-v* i— - 

(N p«ré» eoriie'Mgtl STaUgiSlisll, Abittdio'M flRc^niotite; 
oome negH Svangelisti qui Iporle tl^Matttoil'appai^^iMfe di 
due persone^ etma Toeeknlstefiosa'obè parlai atinw^cià 
l'iirffvidnaKUi ^vina delCMsto. *St> vede pertanto •dhè 
questi 4iviersi miti erano ^iift tùrso\ ^ed hanno' avuto ^un 
medesimo tipo, che poi ciascuna setta ha modificati a^éorma 
delle p^prie idee. '■' '• . .» - ■ .i.^- ■ m i: >\-; li:, r. ^ " 
> ^ Oltre al eonoorsò poetiào <di tafirte Mf^ag^na^lotìr ^1 Jhh 
irebbe ^ongetturarevltres^iéfacl tt^witoidéHatraMgli'Hi^ooé 
mimsBU atk> ieopé^ di ^ooiùtradlre P>o|AAfoye dèl^ Geotìfid 
dbe iMi<ttiio eitòto poe^aftfzi,t'oott(ye' éeiaildiéPqfuéllla 'iM 
Diacetl che a Gesù attrib«RVanoi'un torpO'ftntastieoy ed il 
provane «b'ei tisso in vera eahie; ttia cftè èSseMo ^tìmé 
e voNndo mafaifé^tare^ la sdir òHglne^ 'dMtta, si trasfl^rè 
in. oMieisere dÌi(Hào (9)J' :'m,o- ..:■■.• r'i.r_ u,.!-. m-. t.j;..-,in.. 

Aggiungo qui un piccolo ittMddOto^^Mineht^tO'ito Hat* 
tèe (XVHI, »> ed if^hAo<d«gli<>ati^ì,4rillMl»'a^^^^ 
tosto dopo la trasfigurazione , Geitò, :^toniatadè<i *40l^dt^ 
soepoU «ii Gaftiraiio, 4 eolMtOri kteimtdrà<Msa'<inon«ia* di 

(S) Ireneo, Céim^^$rHki^ HI/M.-V > ^ - ....iu.sW-^ \ ...i- < v : 



Pietro ne tenne discorso con Gesù; ilj5^^Jpjjl9.ipj^ej'j:jgjS 
^.i re,, della,, terra ,rj[ce.\(ea9 i jtyib^ijiti. p^.^c^n^i dali?^lifl5^^ 

dunque, 3og;giunsq,. Gesù,. i» figliuoli .jae ^ono,,^?e{)J,i; B'M*]?» 
pqrc>f np^. reejii^mo ^ .^^andplo, a . Y^ruc^o, m,al.jn\^ft (fll 
tago), getii# * r^a^o,, . q , al prif»p j |)psc^ chq , P^W^'aÀ i ^n- 1^ 
boccale ,yì ti^ovfraiuup statère (I»ope^jii.q^^^^tjro, 4^ 
iq^iì), ;e ?pn e^^p pfjga ppr te ^ fier iOifi,.. ;, j . ;:, . . i;^. i- 
. ,Cq^t 91?^ ifl^prpftlq au?sìq,,r,aqcpnl^^ae^ %y,^gfir 

<J^»<^J:.,Ifl.^s?a,.,del^.dij^,^r^qjPie,,,9^^^^ de!..pie?«o ,fti^ 
er?.P<c^. jMt»ca,.istiif»?Ìpn^ rftl^ofa,.st%^,,^ifflU;>ppt3. ^lt^^\\ 
gli Israeliti maschi che avessero compiti, i vent'ai\pjj;p s<?jr- 
viva dapjRrfmjàj.aJ.ajaftteftiipqn^o^^^^ ^^ter^aqplpj iPRS^mj al 
flaap,tei?ffleijto ,d^} ;ten^pip^ (1) j. J^ , ^ p?igaya j « ^ ,Gi^r.**^WT 
me,;a.y^3!qufi o^;^,Pie9tfCQ?t9^. ^^Ue^iqaji;^ 4ei J^sfiri^^ 4sl 
te«^Pm% .-.1- -. .1 ...-.^ i../..'iiiH p;; .1 '^. ;,j.. ;;..;; -.hO 

jjpr^?«w^.fiHi?Ucii^^m^?^i|<jiPirpiyi^^^^ #sigft?« m^i 

più^ fla;\i^ ofel?.ligP. d^m cpsc|9»z^ .<^e ,4a Jegg§^ ppe^I^ì^v^, 
yijCranq ])gf)si, qo^^^o^i,pfflci^(^sì,Q|^§ sM^cart^^^^ 

qhfi .i}(Hj pqte^rauo, gndaj^yi ^jpaga^-lpj.i^iPQi^HGjn^J^ i^ru)..: 
;y^njep4Q p?r.t^3;,dlBeJwifla;o,:^ivUi»^qia tì^fs^rfl^fl yfi 
passava il Giordano sovra due ponti di pietra di c^ì^^fo^ 
^tppfl aneopa gli a-vanpi; è perq^ probabile c1^^ lJor.e^^i^vi 
p^pfl^o ,^^ pp(ÌaggiQ,.4a ,cu|^jei;anQ.e^Ì.:8ti^y^#,Qaferr 
nao, a cui sembrano anche alludere le parole di_Gesù. 

"""""" .1 i t' ;r/ . '^■•■"'v ■'■''***»^'^ , ;*'•'■' ì* 
.l(l).-JEiodo, XX?, lA s«jk'. ..» ./: 1-^ N' -.1: .- "' -i ■'■' 



S40 UMO n»zo 

Quinth r interpolatole dilkfatteo avrebbe confuso questo 
pedaggio, che era di diritto regale, col mezzo siclo che 
pagaTasri al tempio. 

forse egli cadde in un errore anche più massiccio. 
Dopo la distr80ione di Gerusalemme, Tespasìano 4>nlinò 
che le due dranime, le quali i Giudei pagavano ogni anno 
al loro tempio, dovessero mandarle al Campidoglio (1); 
e si può credere che queli' imperatore cupidissimo di 
denaro abbia stabIKto nelle Provincie, ov'eranvi Giudei, 
degli esattori molto rigorosi: P interpolatore di Matteo 
avrebbe per conseguenza commesso un anacronismo po- 
nendo ai tempi di Gesù un' usanza che fu introdotta 
solamente quarant'anni dopo. Non è il solo anacronismo 
del detto Evangelio; nel libro seguente ne noterò qual- 
che altro. 

Quanto al pesce, in bocca a cui fu trovata una moneta 
d'argento di quattro dramme (quasi eguale ad uno scudo 
da 8 franchi), è più degno di figurare nelle fa velette degli 
Orientali anziché in un miracolo serio. Fare un miracolo 
per trovare quattro dramme è un incomodar Dio per ben 
poca cosa, e li pesce delP Evangelio mi richiama l'avven- 
tura di Policrate, tiranno di Samo, il quale sovraearico 
di prosperità e temendo i rovesci della fortuna, onde mor- 
tificarsi con una privazione che gli recasse dispiacere, gettò 
in mare un anello che si teneva molto caro. Ma alcuni 
giorni dopo venendogli regalato un grosso pesce, il cuoco 
nell' aprirlo gli trovò nel ventre Panello che si credeva 
perduto (2). 

Raccontano i Sinoptici che una volta i Farisei tentarono 
Gesù interrogandolo se, a parer suo, era lécito a^Oiudd 

(i) Giuseppe, Gu$rra giudaica, VII, 6, | 6. 

(2) Erodoto, m, 41 seq. Nelle novelle aral)e avvi pura U moglie di 
HmM AklMr che bel Yeatro di m peaoe troirm im preiteso 4ÌMB«ite. 



LA TRA$PlGU&A2I01fE. .341 

di pagare il tributo a Cesare, cioè ad un principe ido- 
latra (I). N*è conosciuta la risposta. Questo fattOj che pu4 
essere istorico, fu verosimilmente travestito dall'amore 
pel meraviglioso e mutato nella domanda fatta. a Pietra 
in Oaftirnao e nell'apologo del pesce. 



PIRE Dfit VOLUME PRIVO. 



(I) Malleo, XXH, 15: Marco XXII, 13; Luca. XX, 91. 



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Opere iti corsa di stampa e che si pubblìcbera 
ia breve dalla libreria Sanvtto : 



COLLEZIONE 



DKLLE 



PREDICHE DOMENICALI 

DI 

A. BIANGHI-GIOVXNX 

CO^ Pl^KFAZlONE E RITRATTO DEU Al TORK, 

Saranno quattro volumi in-ir». 

= V— 

APPENDICE 

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PIETRO eioROAnri 

n-lE F0ll5lltR\ ILVOLtHE Qt'^TTORDÌCESfHO DELLE MED£.S|)IL] 

Utì volume in-lG. 



LA 



CONGIURA DI BRESC 




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